‘Un
bastone tutti lo rompono, ma un fascio di bastoni chi lo rompe?’, così un
dirigente dell’associazione spiegò il nome dei Fasci dei lavoratori, il
movimento popolare che si è sviluppato in Sicilia tra il 1891 ed il 1894
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
Il largo dove avvenne la strage di Caltavuturo
il 20 gennaio 1893 (foto da palermo.anpi.it)
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I
Fasci siciliani dei lavoratori erano un movimento di massa d’ispirazione
‘socialista’, ma che avevano un chiaro intento ‘secessionista.’ Gli storici affermano che vi
presero parte tra i 300 ed i 400 mila siciliani su una popolazione di circa 3
milioni e 300 mila persone. Protagonisti non furono solo contadini ed operai,
ma anche artigiani, insegnanti, professionisti. I braccianti, che da sempre erano
pagati a giornata con miseri salari, ed i mezzadri, a cui toccava solo una
piccola parte dei raccolti, chiedevano paghe più alte e migliori condizioni di
lavoro. Allora si lavorava ‘suli a
suli’, dal sorgere al calare del sole e spesso i braccianti dovevano fare
diversi chilometri di strada per raggiungere i luoghi di lavoro. I partecipanti al movimento chiedevano
anche il diritto di voto. Fin dal 1861, con la nascita dello Stato unitario
esso era concesso solo all’1,9% della popolazione, su 22 milioni di italiani
potevano esercitare tale diritto meno di 400 mila persone, quelle cioè che
avevano un certo reddito e un titolo di studio.
Francesco Crispi (foto da en.wikipedia.org) |
I
Fasci erano presenti in tutte le grandi città dell’isola ed operavano sul territorio
in contrapposizione al potere esercitato dai gruppi mafiosi. Tra gli iscritti c’erano donne e ragazzi. A Modica c’era una
sezione di ‘Figli del Fascio. A San Giuseppe Jato c’era un piccolo Fascio di
ragazzi da 6 a 12 anni. A Grotte un ragazzo di 12 anni venne arrestato solo
perché parlava pubblicamente di socialismo ai suoi coetanei. A Piana su una
popolazione di 9.000 abitanti gli iscritti al Fascio erano 2.500 uomini e mille
donne, la cui prima attività fu di imparare a leggere e scrivere. Ad una
manifestazione una militante portabandiera affrontò i soldati che erano con le
armi spianate dicendo: ’Avreste il coraggio di tirare contro di noi?’, i soldati
abbassarono le armi. A Milocca (Milena) quando i membri del consiglio direttivo
furono imprigionati, 500 donne assaltarono la caserma, s'impadronirono delle
armi e liberarono i prigionieri. Il
20 gennaio 1893 a Caltavuturo,
in provincia di Palermo, soldati e carabinieri spararono su 500 contadini che,
di ritorno da un’occupazione simbolica di alcune terre del demanio, si erano
limitati a chiedere un incontro con il Sindaco. ‘Picciotti, chi c’è carnivalata’, grido dalla finestra il segretario
del Comune. Ci furono 13 morti e molti feriti. ‘I cadaveri furono lasciati
sulla strada fino a notte, in pasto ai cani e non fu permesso di soccorrere i
feriti’. Ci fu un’inchiesta per l’eccidio, ma il segretario comunale e gli altri
impiegati dapprima sospesi furono successivamente reintegrati nell’incarico.
Processo ai capi dei Fasci siciliani, aprile 1894
(foto da wikiwand.com)
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Il
movimento fu disperso da un duro intervento militare del governo del siciliano
Francesco Crispi,
ma già nel 1893 Giolitti aveva ordinato una schedatura dei soci dei Fasci, fu la
prima dello Stato italiano. I morti furono circa 90. Le condanne che seguirono
furono pesantissime. I leader arrestati o mandati al confino. Negli
anni successivi in Sicilia ci fu un grande flusso migratorio. In un
decennio circa un milione di persone partirono per il continente o all’estero. Le
lotte dei contadini e della parte più povera della popolazione siciliana vennero,
ancora una volta, soffocate nel sangue. I tentativi di emancipazione, oltre che con
i Fasci del 1891, sono stati repressi nel 1860 ad opera delle truppe garibaldine,
nel secondo dopoguerra con l’assassinio di numerosi sindacalisti e, il primo
maggio del 1947, con l’eccidio di
Portella della Ginestra, ed ancora negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso con
l’uccisione di magistrati e tutori
dell’ordine ed oggi con il racket ed il controllo capillare del
territorio da parte delle organizzazioni mafiose. L’obiettivo è
sempre lo stesso: mantenere lo ‘status
quo’ per assicurare il potere a ‘Cosa nostra’ e agli ‘amici degli
amici’. Il tutto nell’indifferenza e, spesso, con la complicità delle
istituzioni. Condizione, questa, che ha condannato la Sicilia al sottosviluppo
economico e sociale ed i siciliani onesti a subire i soprusi e le angherie delle
organizzazioni criminali.
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