mercoledì 29 settembre 2021

‘Ingovernabilità’ alla tedesca

I tedeschi come gli italiani? Per noi l’ingovernabilità è uno stereotipo, ma ormai è diventata una prassi comune in tanti paesi, Germania compresa

di Giovanni Pulvino

Annalena Baerbock, Armin Laschet, Olaf Scholz, Jörg  
Meuthen, Angela Merkel, Susanne  Hennig-Wellsow 
Il risultato delle elezioni politiche tedesche evidenzia l’inadeguatezza del sistema elettorale. Per assicurare la ‘governabilità’ i partiti sempre più spesso sono costretti ad estenuanti mediazioni. Anche questa volta sarà così.

Il leader della Spd (Centrosinistra) Olaf Scholz  ha dichiarato di essere il vincitore e che, pertanto, spetta al suo partito la leadership del nuovo Governo. Finora la governabilità è stata assicurata con la ‘Grande coalition’ tra Spd e Cdu/Csu e con Angela Merkel cancelliera.

Dalle urne è uscito un Bundestag frammentato. Il Centrodestra potrà contare su 196 seggi (24,1%), i Liberali su 92 (11,5%), la Destra di Afd su 83 (10,3%), i Grüne su 118 (14,8%), la Die Linke su 39 (5%) e la Spd, primo partito, su 206 (25,7%).

Ago della bilancia saranno i Verdi. Per formare un governo di centrosinistra saranno necessari anche i voti dei Liberali o della Sinistra, sempreché per quest’ultima sia confermato il superamento dello sbarramento (5%).

Per avere la maggioranza occorrono i voti di almeno 355 deputati.

Stando ai numeri le ipotesi possibili sono tre. La più probabile è una coalizione Giallo (Liberali), Verde e Rossa che disporrebbe di 416 deputati. Possibile è anche la riedizione con un nuovo cancelliere della ‘Grande coalition’ tra Spd e Cdu/Csu che potrebbe contare su 402 voti. Maggioranza analoga (406 voti) avrebbe anche un governo di Centrodestra con Cdu/Csu, Liberali e Verdi.

Infine, non è da escludere, anche se è assai improbabile, una coalizione Spd, Grüne e Die Linke che disporrebbe di 363 seggi.

Il sistema elettorale della Germania non assicura la governabilità. I compromessi per la formazione del Governo saranno inevitabili e non è la prima volta che accade.

Dunque, i tedeschi come gli italiani? Per noi l’ingovernabilità è uno stereotipo, ma ormai è una prassi comune in tanti altri paesi.

È la crisi delle Democrazie? Di certo la mediazione politica tra governati e governanti assicurata finora dei grandi partiti fa fatica a raccogliere tutti i conflitti e le istanze sociali.  

Gli elettori sembrano seguire le 'mode' e le formazioni politiche hanno perso la visione di lungo periodo. Le ideologie sono state sostituite da un sistema politico 'liquido'. L’estemporaneità delle coalizioni è un fatto consolidato. E non è solo una questione di sistema elettorale. Il primo partito ha ottenuto i consensi di un tedesco su quattro. Rappresenta cioè una minoranza tra altre minoranze. Governare non sarà facile.

In questa situazione tentare di ridurre le ingiustizie e le disuguaglianze sarà impossibile o quasi.


sabato 25 settembre 2021

Salvatore Borsellino: ‘Mio fratello è morto per niente’

La trattativa c’è stata’, ma secondo la sentenza di secondo grado ‘non costituisce reato’, Salvatore Borsellino

di Giovanni Pulvino

Paolo e Salvatore Borsellino
Aspetto di leggere le motivazioni, tuttavia la sentenza, con la condanna di Bagarella e Cinà, conferma che la trattativa c’è stata, l’assoluzione di Mori e De Donno vuol dire che quella trattativa non costituisce reato. È l’ipotesi peggiore che potessi immaginare perché sull’altare di quella trattativa è stata sacrificata la vita di Paolo Borsellino. Questo significa che mio fratello è morto per niente’. Questo è quanto ha dichiarato ad Adnkronos Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, ucciso dalla Mafia nel 1992.

La strage di Capaci che provocò la morte di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e degli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonino Montinaro diede inizio agli attentati degli anni Novanta. Fu la risposta violenta della Mafia alla sentenza di condanna del maxiprocesso.

Paolo Borsellino sapeva di essere nel mirino. Nei giorni e nelle settimane che seguirono successero alcuni fatti che ancora oggi non sono stati spiegati. La sentenza di appello conferma che ci fu una ‘trattativa’, ma per i giudici ‘non costituisce reato’.

Non sappiamo se il magistrato era a conoscenza di quei contatti, anche se tanti piccoli episodi ci fanno ritenere che ne era consapevole. Di certo era preoccupato e già presagiva quello che sarebbe successo da lì a pochi giorni. Nelle ultime interviste era evidente il suo disagio. Perché aveva tanta fretta di essere sentito dalla procura di Caltanissetta? Non lo sapremo mai, ma è assai probabile che fosse venuto a conoscenza della ‘trattiva’ o di qualcosa di simile. Cosa c’era scritto nell’agenda rossa scomparsa dopo l’attentato di via D‘Amelio?

La sentenza di appello sulla 'trattativa' è una sconfitta della lotta alla Mafia, ma è anche e soprattutto l’ennesimo fallimento della magistratura inquirente e giudicante italiana. Processi infiniti che alla fine non decidono o che rinviano ad un grado di giudizio successivo, anch’esso non definitivo. I familiari delle vittime non avranno giustizia e noi italiani non conosceremo mai la verità sulle stragi di Mafia del 1992  e del 1993.

E chi ripagherà gli imputati che sono stati assolti dei danni morali ed economici dovuti ai processi a cui sono stati sottoposti? Il sistema giudiziario italiano non funziona. E non è una questione di modalità del procedimento giudiziario o di sanzioni previste dal Codice penale. No, è solo la mancanza di professionalità di tanti procuratori e giudici. Non sappiamo prenderci le nostre responsabilità, preferiamo quasi sempre delegare a qualcun altro. Anche i magistrati fanno lo stesso, annullano le sentenze se c’è qualche dubbio o se le ‘formalità’ procedurali non sono state rispettate alla lettera. L’interpretazione dei fatti varia da un soggetto giudicante rispetto a quello precedente, tutto a scapito della verità come in questo caso.

La 'trattativa c’è stata', ma per i giudici di secondo grado 'non è un reato'. Amen.

Fonte adnkronos.com

 

sabato 18 settembre 2021

Il Green Pass non è un obbligo vaccinale

Il Green Pass non impone un obbligo vaccinale, ma ha come scopo quello di salvaguardare la salute di coloro che si sono immunizzati o che non possono vaccinarsi

di Giovanni Pulvino

Foto da salute.gov.it

L’Italia è uno dei primi paesi europei ad aver esteso l'obbligatorietà del Green Pass. Tutti i lavoratori pubblici e privati dovranno munirsi del Certificato verde che attesta l’avvenuta somministrazione di almeno una dose del vaccino anti-Covid o di un tampone con esito negativo (validità di 72 per quelli molecolari) o di essere guariti recentemente dalla malattia.

La misura entrerà in vigore il 15 ottobre. Per i trasgressori sono previste sanzioni pecuniarie che vanno da un minimo di 600 ad un massimo di 1.500 euro. È prevista anche la sospensione dello stipendio dopo cinque giorni di assenza ingiustificata. Il lavoratore non potrà essere licenziato. Per il datore di lavoro che non effettuerà i controlli la multa va da 400 a 1.000 euro.

Il costo del tampone non sarà a carico del Servizio Sanitario Nazionale come avevano chiesto i sindacati. Fino alla fine dell’anno essi saranno gratuiti per chi non si può vaccinare, mentre per i minorenni il costo sarà di 8 euro e per i maggiorenni di 15 euro.

Il Green Pass non è un obbligo vaccinale e non lede la libertà personale. Con questo provvedimento il Governo cerca di convincere gli indecisi ad immunizzarsi. Proteggere chi già si è vaccinato o per ragione di salute non può farlo è un obbligo costituzionale.

I No vax sono ancora tanti. Gli italiani oltre i 12 anni che ancora non hanno ricevuto la prima dose del siero sono circa 9,4 milioni.

Con l’arrivo dell’autunno e del rientro a scuola si rischia una nuova ondata pandemica. 

I dati della campagna vaccinale confermano l’importanza delle somministrazioni. Oggi quasi tutti coloro che sono in terapia intensiva sono soggetti non vaccinati, ma questo non basta a convincere gli indecisi. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità tra gli immunizzati ci sono –77% di contagi, -93% di ricoverati e –96% di decessi.

Con il Green Pass il Governo intende evitare altri lockdown o l’obbligo vaccinale. Quest’ultimo, pur essendo legittimo, è di difficile applicazione. Occorre continuare con l’opera di persuasione, soprattutto per coloro che sono costretti a spostarsi. 

Nessuna imposizione quindi, ma opera di convincimento e fiducia nel popolo italiano. Questa è stata ed è la linea politica seguita durante tutta la pandemia dal ministro della Salute, Roberto Speranza, e dal governo di Giuseppe Conte ed ora da quello di Mario Draghi.

Con le nuove misure il nostro Paese è ancora una volta un passo avanti rispetto ad altri paesi. E, va detto, in questa difficile fase pandemica la maggioranza degli italiani ha tenuto un comportamento rispettoso delle regole che, come si sa, sono fondamentali per la convivenza civile e per la tutela dei soggetti più deboli.

I problemi ed i rapporti umani si possono affrontare in due modi: il primo pensando sempre e solo a sé stessi, il secondo, invece, agendo nell’interesse comune. Per fortuna questo Governo e le autorità sanitarie stanno agendo solo nell’interesse collettivo, ma anche questo non sorprende.

Fonte salute.gov.it

domenica 12 settembre 2021

Scuola: la Dad non è uno strumento da depennare

Riapre la scuola e come ogni anno si moltiplicano le dichiarazione di politici ed opinionisti. In particolare, essi ribadiscono l’impegno a non tornare più alla Dad, come se si trattasse del ‘male assoluto‘ per l’istruzione pubblica italiana

di Giovanni Pulvino 

La Didattica a distanza
Foto da corriereetrusco.it
è stata uno strumento fondamentale per continuare a fare formazione anche quando tutto era in lockdown a causa della pandemia dovuta al Covid-19. I dipendenti della scuola hanno continuato a lavorare con impegno e dedizione. I ragazzi hanno dovuto svolgere più attività di quando erano in classe. Eppure, c’è chi continua a sostenere che la Dad sia stata un disastro, perché?

È il giudizio di chi non è mai entrato in un'aula e non ha mai fatto un’ora di lezione. Con la Didattica a distanza docenti ed allievi hanno dovuto acquisire abilità informatiche che in presenza non avrebbero mai assimilato. Lo smart working è oggi una competenza consolidata per insegnanti, collaboratori e studenti. 

L’utilizzo delle piattaforme e la condivisione di file e programmi in cloud sono entrati nell’utilizzo quotidiano e sono uno strumento didattico fondamentale non più accantonabile. La comunicazione di conoscenze e programmi è diventata immediata ed ha reso l’attività formativa più semplice ed efficace.

Ansia e stress tipici del lavoro degli insegnanti si sono ridotti notevolmente, tutto a vantaggio della didattica e del lavoro svolto con gli alunni. Non solo. I docenti pendolari hanno eliminato i costi ed i tempi di trasporto necessari per recarsi sui luoghi di lavoro. Non tutti sanno che i dipendenti della scuola non residenti sono costretti a spostarsi con i propri mezzi ed a spese proprie. Gli impegni lavorativi spesso iniziano alle otto del mattino e finisco nel tardo pomeriggio o di sera. Tanti docenti lavorano contemporaneamente in più scuole che si trovano in località diverse da quella di titolarità. Per loro non è previsto nessun incentivo o indennità, come avviene invece per tanti dipendenti pubblici che per ragioni di lavoro sono costretti a sposarsi.

I lavoratori della scuola dopo due anni di pandemia hanno acquisito tecniche informatiche  che sono di grande importanza per il futuro del Paese.

La Dad si è dimostrata uno strumento formativo efficace. Chi dice il contrario lo fa per interesse o peggio per ignoranza. Le scuole sono un luogo di acquisizione di conoscenze e abilità, non un posto sicuro dove parcheggiare i ragazzi durante la giornata.

Ci sono molte attività didattiche in presenza che si svolgono online o comunque con l’uso dei mezzi informatici. Perché non continuare a farlo anche in smart working? Strumento questo che permette anche la condivisone del lavoro e la sua elaborazione in contemporanea con decine di alunni o docenti, attività che non è possibile realizzare con la stessa efficacia e rapidità in presenza.

Allora, perché rinunciare alla Dad? Perché non continuare a sfruttare le competenze acquisite?

sabato 11 settembre 2021

Gli zii e le zie di Torremuzza (parte terza)

Per una questione di privacy i nomi ed i soprannomi sono indicati con le iniziali. Chi li ha conosciuti o li conosce certamente capirà di chi si tratta

di Giovanni Pulvino

Torremuzza, l'arco centrale del ponte della ferrovia

Il super Santos bucato o sgonfio a noi bastava.

Quante partite a tennis o qualcosa di simile abbiamo fatto sotto i ponti della ferrovia, da un lato il mare dall’altro le case del Borgo, in mezzo noi al riparo dal sole o dalla pioggia. Lì giocavamo spensierati con un pallone di plastica che per noi era tutto, non avevamo bisogno d’altro.

Piazza Marina era ancora in terra battuta e, nonostante le pietre e la polvere, ci giocavamo sempre, sembrava un campo di calcetto. Nella parte alta c’era pure una fontanella, lì vicino caddi e mi spaccai la testa, non fu l'unica volta che successe. Un giorno ero con la bici, vidi un pezzetto di legno o qualcosa del genere, pensai, è un rialzo perfetto per fare impennare la ruota davanti, ma esagerai e finì per terra. Per fortuna quelle botte sulla nuca non mi provocarono molti danni, almeno così ricordo. Quegli episodi si limitarono ad un pò di paura e qualche goccia di sangue. Non fu così tanti anni dopo.

Il tempo passa, gli ambienti si modificano, ma i pensieri restano, non puoi evitarli, stanno lì che aspettano, inesorabili anche se non vuoi

Avevamo l’abitudine di fare le partite nella parte alta di piazza Marina. Era stata pavimentata da poco, si sentiva ancora ‘l’odore’ delle mattonelle, non c’era una crepa o un avvallamento. Era adatta per correre con la bici, noi ne avevamo una, ma bastava per tutti. 

Un dolce pensiero torna sempre

E' l'immagine di un'amica, nostra coetanea. Spesso La vedevo girare con la sua graziella tra i ponti e lo spiazzo davanti alle case, non correva, pedalava leggera, scivolava inconsapevole negli anni più belli della sua esistenza, probabilmente ha goduto di quei momenti, di quell'adolescenza che non tornerà più, mai più. Chissà se anche Lei ricorda quella felicità e quella spensieratezza che ora restano 'fissate' per sempre nella mia memoria.

Ed era perfetto per giocare a calcetto, allora non c'erano macchine

Le porte erano delimitate da due pietre. Le linee laterali erano il marciapiede che divideva la parte alta da quella bassa della piazza e quello che correva lungo gli ingressi delle case. L’uscio di una di queste veniva aperto ‘apposta’ ogni volta che iniziavamo una partita. Era la casetta da za P.. Di solito stava seduta, in compagnie delle sorelle a za C. e za A., di fronte al forno per fare il pane che c’era all’inizio della piazza e che tutti quelli che abitavano in quella parte del Borgo usavano a turno. Una specie di bene ad uso comune. Allora era possibile anche questo.

Nella porta accanto a quella da za P. ci abitava a za V.. Anche Lei non gradiva molto la nostra presenza, ma i suoi sguardi di rimprovero erano bonari, in fondo, in fondo Le faceva piacere vederci giocare vicino all’uscio di casa sua.

Ancora oggi non capisco il perché di quel comportamento, eravamo bambini buoni che rincorrevano un pallone di plastica, subivamo quell’astio senza reagire, era rispetto ed educazione.

Quando iniziavamo a giocare a za P. si alzava e quasi di corsa andava ad aprire la porta di casa. Il suo intento era quello di sequestrarci il super Santos nel caso in cui questo fosse entrato nella sua abitazione. Difficilmente questo avveniva, eppure quella zia non sopportava che giocassimo su quel lato della piazza. Alla fine, decidemmo di spostarci nella parte bassa.

Ci sono ricordi sbiaditi che vorresti cancellare, ma anch’essi ritornano sempre senza volere 

Le illusioni ed i sogni adolescenziali andarono via quel giorno

Qui il rettangolo era più piccolo ed era delimitato dai ponti della ferrovia, ci giocammo fino a quando non fui vittima di due gravi infortuni. Causai e mi causai un enorme dolore, ma quando si è giovani non si è cauti e non si pensa alle conseguenze degli atti che si compiono. Oltre ai sacrifici che già dovevano sopportare gliene arrecai un altro. Non c’era nulla di male nel desiderio di giocare a pallone, ma a volte anche i gesti più innocenti segnano la nostra vita e quella degli altri. Per anni salì i gradini, anche quelli bassi, con il timore di cadere e di farmi male di nuovo. Poi ricominciai a giocare, ma, nonostante facessi attenzione, ho rischiato tante volte un altro infortunio grave. 

Ricordo con precisone quell’anno perché il professore di Educazione fisica, allora si chiamava così, mi fece fare il salto in alto con il gesso all’avanbraccio sinistro, erano gli esami di terza Media.

Una volta, durante l’anno scolastico, lo stesso insegnante ci propose una corsa di resistenza. Ben presto rimanemmo in due. Il mio compagno, ad un giro dalla fine, mi propose di tagliare il traguardo insieme. Accettai. Quando arrivammo all’ultima curva tentò di distanziarmi tradendo il nostro piccolo patto, ma ero più forte e più bravo, lo passai di nuovo prima dell’arrivo. In seguito, non mostrai rancore per quel gesto, a cosa sarebbe servito?

La gentilezza e la tolleranza sono sempre importanti, anche quando ritieni di avere ragione o pensi di aver subito un torto

Lo stesso compagno, anche lui gemello, ma quante differenze di carattere e di ideali tra noi, era bravissimo nella pallavolo. Quando qualche settimana dopo partecipammo alle gare dei giochi della Gioventù che si svolserò a Messina il professore per impedirci di vincere ed andare alle finali a Roma lo tolse di squadre facendoci perdere.

Continua …

domenica 5 settembre 2021

Il Sud ed il PNRR

Per ridurre il divario tra il Nord ed il Sud del Paese le risorse stanziate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza devono avere come priorità il Meridione

di Giovanni Pulvino

PIL: peso percentuale del Sud rispetto al totale Italia
 Elaborazioni USC su dati Istat -(foto da confcommercio.it)

Secondo l’Ufficio studi della Confcommercio negli ultimi 25 anni il Mezzogiorno ha subito una riduzione 'progressiva del Prodotto interno lordo'. Le cause sono diverse: il calo demografico, l’eccesso di burocrazia, l'illegalità diffusa, le carenze infrastrutturali e la minore qualità del capitale umano. Tutto questo ha ampliato ulteriormente gli squilibri territoriali nel nostro Paese.

Tra il 1995 ed il 2020 la quota di ricchezza prodotta al Sud sul totale dell’Italia è passata dal 24% al 22%. Il reddito delle famiglie meridionali è stato mediamente la metà di quello percepito nel resto del Paese. Il Pil pro capite nel 2020 è stato nel Mezzogiorno pari a 18.200 euro, mentre nel Nord-Ovest è stato di 34.300 euro e nel Nord-Est 32.900 euro. 

Questo divario emerge anche dall’analisi del mercato del lavoro. Tra il 1995 ed il 2019 la crescita dell’occupazione è stata ‘4 volte inferiore alla media nazionale, 4,1% contro il 16,4%’.

Lo studio della Confcommercio non aggiunge nulla di nuovo a quanto già si sapeva sugli squilibri territoriali all’interno del nostro Paese. La Questione meridionale non è più al centro del dibattito politico da tanti anni.

Il PNRR potrebbe essere un’opportunità. Il Piano prevede per il Sud investimenti per circa 82 miliardi di euro.

È il minimo che il Governo poteva prevedere. Il punto dirimente comunque non sono le risorse, ma come esse saranno utilizzate.

Il primo obiettivo dovrà essere quello di sviluppare il turismo che già oggi è la principale risorse del Mezzogiorno. Ma come? Innanzitutto, le infrastrutture. Le strade e le autostrade sono fatiscenti. L’alta velocità è in molte regioni del Sud ancora nella fase di progettazione. Tutto questo doveva già essere, ma, comunque, anche se sarà realizzato non sarà sufficiente per ridurre gli squilibri territoriali e sociali esistenti.

Il Meridione deve essere al centro delle scelte del PNRR. Turismo, poli tecnologici, salvaguardia dell’ambiente, risorse energetiche e beni culturali devono svilupparsi insieme e devono rappresentare un'opportunità di lavoro e crescita economica per tutto il Paese.

E' una questione di volontà politica, ma, se guardiamo alla storia dell’Italia, i dubbi sulla sua realizzazione sono tanti e tutti legittimi. 

Fonte confcommercio.it

mercoledì 1 settembre 2021

Forza Italia è destinata a rimanere ‘orfana’

È da tempo che Silvio Berlusconi tenta di designare un suo successore alla guida di Forza Italia e del Centrodestra. L’ultimo tentativo, subito naufragato, è stato quello del presidente del Coni, Giovanni Malagò

di Giovanni Pulvino

Silvio Berlusconi, Angelino Alfano, Gianfranco
Fini, Stefano Parisi e Giovanni Toti

Era il 22 aprile del 2010 quando durante la direzione nazionale del Popolo della Libertà ci fu un duro scontro tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Il primo gridò: ’Gianfranco se vuoi fare politica dimetti (Fini era presidente della Camera), vieni a farla nel Partito’. Dalla platea si alzò il secondo che rispose: ’Altrimenti che fai? Mi cacci’.

Il tentativo dell’ex leader di Alleanza Nazionale di diventare l’erede di Silvio Berlusconi finì così, con un’inutile invettiva.

Nel 2011 fu la volta di Angelino Alfano. Quell’anno il fondatore di Mediaset fu costretto a dimettersi da presidente del Consiglio e da Forza Italia. Alla guida del partito fu chiamato proprio Angelino Alfano. Quell’esperimento durò appena un anno. Silvio Berlusconi lo liquidò con una dichiarazione sprezzante:’ Alfano è bravo, gli vogliono tutti bene, però gli manca il quid.

Ad un certo punto la candidata ideale a succedere a Silvio Berlusconi sembrò essere la figlia Marina. Era il 2013. Ma, dopo diversi tentennamenti, all'interesse politico prevalse quello economico delle aziende di famiglia. Nel 1994 Silvio Berlusconi è ‘sceso in campo' per garantire un futuro a Mediaset. E tra la politica e le aziende ha  scelto sempre queste ultime.

Nel 2016 toccò a Stefano Parisi. Manager ed uomo di Confindustria, sembrava essere l'uomo giusto, ma subì due cocenti sconfitte elettorali. La prima a sindaco di Milano e la seconda a governatore del Lazio. Parisi cerca di avere un ruolo nel Centrodestra, ma avendo questa situazione di contrasto con Salvini credo che questo ruolo non possa averlo", dichiarò Silvio Berlusconi.

Nel 2020 Giovanni Toti per conquistare la leadership del partito propose le primarie. Insieme con Mara Carfagna era stato nominato coordinatore di Forza Italia, ma a prendere le decisioni era sempre Berlusconi che, infatti, blocco tutto. Nel 2021 il governatore della Liguria ed il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro hanno fondato un altro partitino: ‘Coraggio Italia’.

Pochi giorni fa l'ex Cavaliere ha incontrato il presidente del Coni, Giovanni Malagò, per designarlo a capo di Forza Italia. Tutto inutile.

L’idea del partito unico del Centrodestra, ribadita più volte nelle ultime settimane da Silvio Berlusconi e da Matteo Salvini, ha un solo scopo: bloccare l'ascesa politica di Giorgia Meloni. Nella sostanza è un’altra bocciatura.

I ‘delfini’ sono ancora tanti, ma trovare un erede è praticamente impossibile.

Per affinità caratteriali e politiche l’unico che potrebbe ricoprire quel ruolo è Matteo Renzi, ma è un’ipotesi impraticabile. L’elettore moderato, ha più volte sottolineato il leader forzista, non capirebbe e comunque non voterebbe mai un ex segretario del Partito democratico.

Forza Italia è destinata a rimanere ‘orfana’. Per come è nata e per come è strutturata non può avere un ‘Capo’ che non sia Silvio Berlusconi.

È la logica del leaderismo e del sovranismo. Della politica autoreferenziale e mediatica, degli interessi personali e del profitto, dell’individualismo senza se e senza ma.

La Destra, prima o poi, si darà un nuovo leader, ma, questo è certo, non potrà essere designato da Silvio Berlusconi.