MONDO

 

sabato 17 febbraio 2024

Aria di regime

‘Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione…’, articolo 21 della Costituzione

di Giovanni Pulvino

Ghali Foh, Sanremo 2024.

Gaza è in corso una carneficina. I morti sono quasi 30mila, il 70% dei quali sono donne e bambini. Hamas l’8 ottobre scorso, assassinando e rapendo centinaia di israeliani, ha commesso un crimine efferato, ma le vittime palestinesi non sono terroristi e non possono essere trattate come tali.

L’ipocrisia dei nostri politici, opinionisti e giornalisti è incomprensibile. La vita è una e nessuno può toglierla, per nessun motivo.

Le censure ai cantanti che si sono esibiti a Sanremo sono un segnale preoccupante sullo stato della libertà di espressione sanciti dall’articolo 21 della Costituzione.

L’imbarazzo di Mara Venier nell’ascoltare le parole di Ghali Foh e Dargen D’Amico, il primo sul ‘genocidio’ dei palestinesi ed il secondo sul trattamento dei migranti, sono un segnale preoccupante di quanto sta accadendo in Rai. La successiva lettura e condivisone della stessa presentatrice del comunicato dell’Amministratore Delegato Roberto Sergio, rappresentano un atto di servilismo e sudditanza incomprensibile.

C’è aria di regime.

Denunciare i crimini di guerra, in qualunque parte del mondo essi siano stati perpetrati, e chiedere la pace non possono essere oggetto di censura, mai.

Non solo.

Se manifesti per la pace rischi di essere manganellato dalle forze dell’ordine, se invece marci facendo il saluto fascista sei scortato e tutelato. Per il Giorno del Ricordo la Presidente del Consiglio è intervenuta alla cerimonia con commozione e trasporto. Per celebrare la Liberazione invece ha accampato improcrastinabili impegni.

È un momento buio della nostra storia, specie se la confrontiamo con la tanto vituperata Prima Repubblica, quando Enrico Berlinguer dichiarò: ‘Sono ostile all’antisemitismo come a qualsiasi altra forma di odio razziale: compreso quello di cui appaiono pervasi gli attuali governanti di Israele’. Parole oggi attualissime come quelle del luglio 2006 di Giulio Andreotti che in uno dei suoi interventi sul Medio Oriente e sulle condizioni di vita dei palestinesi disse: ‘Se ognuno di noi fosse nato in un campo di concentramento e da cinquant’anni fosse lì e non avesse alcuna prospettiva da poter dare ai propri figli sarebbe un terrorista’.

Come dargli torto.


sabato 14 ottobre 2023

Due popoli, due Stati

Due milioni e mezzo di palestinesi sono confinati a Gaza, di questi il 60% hanno meno di 25 anni, i veri perseguitati sono loro e non da oggi 

di Giovanni Pulvino

Foto da twitter.com

Se guardiamo la cartina geografica del Medio-Oriente del 1947 possiamo constatare che sul territorio che oggi consideriamo israeliano c’era la Palestina.

Gesù era palestinese. I primi cristiani erano palestinesi.

In questo lembo di terra si concentrano i luoghi di culto di tre religioni. La loro storia inizia nella stessa città, a Gerusalemme. Non solo, cristiani, mussulmani ed ebrei hanno lo stesso Dio.

Israele come Stato è un’invenzione dell’Onu per dare una patria a quanti furono respinti da tanti paesi europei mentre fuggivano dagli orrori dell’Olocausto.

Il progetto era quello di costruire due Stati: uno israeliano ed uno palestinese. Da allora sono trascorsi oltre settant’anni e siamo ancora al punto di partenza. Guerre, morti, un popolo perseguitato che perseguita, che vuole sicurezza, ma lo fa con la forza delle armi ed alzando muri, manca solo il genocidio.

La tragedia a cui stiamo assistendo in queste ore è il risultato della mancata realizzazione di quel progetto. Gli israeliani vogliono il riconoscimento del loro Stato, i palestinesi vogliono la loro terra.

Entrambi i popoli intendono vivere negli stessi luoghi, ma non sanno farlo insieme e pacificamente. Paghiamo ancora una volta l’idea dello Stato/Nazione, della necessità dei muri, dei confini. 

È una guerra stupida come lo sono tutte le guerre. La vita è breve, con le bombe si muore e non conta di quale religione sei, semplicemente e tragicamente si muore, allora perché tanto odio? A che serve? A chi serve?


mercoledì 12 luglio 2023

Extraprofitti e povertà

Quando è troppo è troppo. I governi non devono consentire alle grandi corporation e ai super ricchi di trarre profitto dalla sofferenza delle persone’, Arthur Larok, segretario generale di ActionAid 

di Giovanni Pulvino

Foto da oxfamitalia.org

Quasi 1.000 miliardi di extraprofitti all’annoQuesto è quello che hanno realizzato negli ultimi 24 mesi 722 grandi imprese. Nello stesso periodo i prezzi dei beni di consumo sono saliti alle stelle con ‘un impatto devastante sul costo della vita per miliardi di persone in tutto il mondo’. A sostenerlo sono Oxfam ed AzionAid.

Nel 2021 e nel 2022 quarantacinque società energetiche hanno realizzato in media ‘237 miliardi di dollari all’anno di profitti in eccesso’. Novantasei miliardari hanno fatto le loro fortune grazie ai combustibili fossili ed oggi hanno ‘un patrimonio complessivo di 432 miliardi di dollari’ con un incremento di 50 miliardi rispetto allo scorso anno.

Nello stesso periodo un miliardo di lavoratori ha subito una riduzione reale dei salari per 746 miliardi di dollari ed i prezzi dei prodotti alimentari sono saliti del 14%, ‘contribuendo a portare alla fame 250 milioni di persone’. In Italia la contrazione è stata del 7,6%. 

Ad avvantaggiarsi di questa situazione sono state le multinazionali del comparto alimentare e i principali rivenditori al dettaglio. Le imprese del settore hanno trasferito i costi dell’inflazione sui prezzi. Questo gli ha consentito di incrementare i margini di guadagno. I salari invece aumentano più lentamente, quindi nel breve periodo perdono il loro valore reale.

Per le due ONG è indispensabile ed ‘urgente introdurre un’imposta straordinaria sugli extraprofitti e di estenderla a tutti i settori dell’economia’. In questo modo si potrebbero recuperare le risorse necessarie ‘per garantire i servizi essenziali dei Paesi in via di sviluppo e per il loro adeguamento ai cambiamenti climatici’.

Quando è troppo è troppo. I governi non devono consentire alle grandi corporation e ai super ricchi di trarre profitto dalla sofferenza delle persone’. Questo è quanto ha dichiarato Arthur Larok, segretario generale di ActionAid. Ed ancora: ‘Per questo è necessario tassare gli extra-profitti societari in tutti i settori … il bene comune non deve essere messo sotto scacco dagli interessi di pochi privilegiati’.

Fonte oxafamitalia.org

mercoledì 28 giugno 2023

Gli Usa e le sparatorie non intenzionali

Uno Stato dove circolano più armi che persone è un paese civile? No, non lo è

di Giovanni Pulvino

Foto postata su Twitter dalla deputata del Congresso Usa
Lauren Boebert in posa con i suoi figli sotto l'albero
di Natele, 8 dicembre 2021

Quante volte da bambini abbiamo giocato ai cowboy e agli indiani. Le nostre pistole ed i nostri fucili erano di plastica o di legno e c’era chi, non potendoselo permettere, usava le mani. Ovviamente era tutto finto e tutto si basava sulla reciproca fiducia. Si doveva, cioè, riconoscere lealmente che eravamo stati ‘uccisi’ dal colpo di pistola o fucile ‘finto’ del nostro compagno di gioco.

Quello che succede negli Usa invece è tutto vero, sia le armi, sia i morti che i feriti.

Un bambino di 2 anni ha ucciso involontariamente la mamma incinta di 8 mesi. È avvenuto pochi giorni fa in Ohio, negli Stati Uniti. Probabilmente il ragazzino ancora non parla e non cammina, ma sa sparare sia pure per gioco. È stata la madre a chiamare il numero di emergenza ed a spiegare cosa era successo. I soccorsi sono stati inutili ed i medici non sono riusciti a salvare neanche il bimbo che la donna portava in grembo.

Nelle stesse ore un ragazzino di 7 anni ha sparato al fratellino di 5 anni uccidendolo. Il fatto è avvenuto a Jackson County nel Kentucky orientale. Anche in questo caso i soccorsi sono stati inutili.

Quest’anno ci sono stati nel paese a stelle e strisce più di 150 sparatorie non intenzionali che hanno coinvolto bambini e che hanno provocato 58 morti e 101 feriti.

Com’è possibile tutto questo? Com’è possibile che bambini così piccoli possano accedere alle armi. Per noi europei è una situazione inconcepibile, negli Usa no. Tenere una pistola o un fucile a portata di mano e senza la sicura è considerato ‘normale’. Chiunque può comprare armi da guerra o semplicemente da difesa.

Il 'fai da te' ha origine nella guerra di Indipendenza. Garantire la sicurezza in un territorio sterminato come quello del continente Nordamericano era praticamente impossibile. Il diritto alla difesa individuale e quello di possedere armi sancito nella Costituzione del 1776 aveva una sua 'giustificazione'. Oggi quel principio non ha più motivo d’essere. Esso è diventato un fatto economico e culturale e non c’è nessuna volontà politica di estirparlo o di limitarlo.

L'individualismo e l’interesse delle industrie produttrici prevalgono anche sul buon senso. Per tanti, troppi americani l’altro non è una ‘risorsa’ per vivere meglio, ma un pericolo da attenzionare.

E non meravigliamoci se gli ‘yankee’ sono stati i primi ed i soli ad avere usato la bomba atomica e ad aver fatto ed a fare guerre in giro per il mondo. E non dobbiamo sorprenderci se qualcuno si fa giustizia da solo o se un bambino di due anni uccide la madre incinta o il fratellino di 5 anni.

No, gli Stati Uniti d'America non sono un paese civile.

martedì 4 aprile 2023

Le stragi e le sparatorie negli Usa non sono casuali

Il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non può essere infranto’, questo è quanto stabilisce il secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America

di Giovanni Pulvino

Il presidente degli Usa Joe Biden
Negli Usa le armi le compri al ‘supermercato’. Ogni americano è armato. Non c'è da meravigliarsi, quindi, se qualcuno decide di farsi giustizia da solo o spera di diventare famoso facendo una strage. 
Le dichiarazioni fatte dai presidenti democratici sulla necessità di approvare una legge che limiti l’acquisto delle armi appaiono ogni volta retoriche ed inutili. I buoni propositi durano un paio di giorni, poi più nulla fino alla strage successiva.

Dall’inizio del 2023 negli Stati Uniti d’America ci sono state 129 sparatorie, una al giorno. L’ultima in ordine di tempo quella nella Covenant School di Nashville, in Tennessee, dove una giovane ventottenne transgender imbracciando due fucili ed una pistola prima di essere uccisa dalla polizia ha assassinato tre piccoli alunni delle elementari e tre adulti.

È una storia che si ripete.

Dal 1999 ad oggi nelle scuole americane sono state uccise oltre 175 persone.

Il 25 maggio del 2022 un ragazzo di 18 anni, Salvador Ramos, ha ucciso a sangue freddo diciannove bambini e due adulti nella scuola elementare di Uvalde, in Texas.

Il 25 gennaio 2023 in California ci sono state tre sparatorie in meno di 72 ore. Un settantaduenne ha ucciso 11 persone che festeggiavano il capodanno cinese, un altro killer anziano di origine asiatica ha assassinato sette uomini in una fattoria ed una donna è stata gravemente ferita. Sempre in California ad Oakland un uomo ha ucciso una persona e ne ha ferite altre sette.

Le stragi e le sparatorie in America non sono casuali. E non hanno nulla a che fare con la criminalità organizzata. Sono opera di ‘normali’ cittadini. Per noi europei è incomprensibile, ma per la maggior parte degli americani andare in giro armati è 'legittimo' oltreché necessario.

Negli Usa circolano più armi che persone. Il secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America stabilisce: ‘Il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non può essere infranto’.

Non è solo un interesse economico dei fabbricanti di armi è anche e soprattutto un fatto culturale.

Gli Usa sono una superpotenza economica e militare e si ritengono una grande 'Democrazia', ma, nonostante ciò, restano uno dei Paesi dove i diritti civili e sociali non sono pienamente affermati. Non rappresentano cioè un valore primario. Prima viene la libertà di fare profitti, poi, dopo, tutto il resto. Il diritto alla salute, ad una retribuzione dignitosa, all’uguaglianza tra bianchi e neri e, persino, il diritto alla vita sono secondari rispetto al 'business' delle armi.

La cultura di un Paese si misura con la sua capacità a garantire i diritti fondamentali dei suoi cittadini ed in questo gli Usa hanno molto da imparare da altri popoli e non solo da quello europeo.

domenica 18 dicembre 2022

Qatar: un mondiale multietnico

Anche nel calcio, come per le merci e le persone, sono state abbattute le barriere ed i confini nazionali, altro che respingimenti e blocchi navali

di Giovanni Pulvino

La formazione francese titolare ai mondiali del Qatar

Nel 1998 la Francia vinse il suo primo campionato del mondo. Gran parte del merito fu di Zinèdine Zidane, calciatore figlio di immigrati algerini. In quella squadra insieme a lui c’erano tanti calciatori di origine non francese come Desailly, Thuram, Djetou, Vieirà, Karembeu e così via.

Degli undici titolari della nazionale che ha vinto il torneo nel 2018 solo tre erano chiaramente di origini francesi: Lloris, Pavard e Giroud. Gli altri erano di etnia africana o comunque di colore, cioè immigrati di seconda o terza generazione: Varane, Umtiti, Pogba, Kantè, Matuidi, Mbappè. Oppure avevano cognomi non propriamente di etnia transalpina: Hernandez e Griezmann. L’unico che di certo era francese era il selezionatore, già vincitore del trofeo mondiale come calciatore nel 1998, Didier Deschamps.

La storia in Qatar non si è ripetuta, ma quella transalpina è rimasta una squadra multietnica. L’allenatore è sempre lo stesso. I calciatori di sicura origine francese sono solo tre: Rabiot A., Giroud O. e Lloris H.. Gli altri sono di colore o di etnia non transalpina. Koundè j., Varane R., Konatè I., Hernandez T., Tchouamèni A., Fofanà Y., Dembèlè O., Griezmann A., Mbappè K.

Una rivoluzione che è iniziata alla fine del secolo scorso e che ormai è una tendenza che coinvolge numerose nazionali e club sportivi e non solo nel calcio. Persino il Marocco, giunto per la prima volta in semifinale è composto da calciatori che non sono nati in Marocco e che, tranne qualcuno, non giocano nel loro Paese.

Anche nello sport, come per le merci e le persone, sono state abbattute le barriere ed i confini nazionaliÈ la sublimazione della globalizzazione.

La Francia e non solo è una multinazionale d'immigrati di seconda e terza generazione, che rappresenta un esempio d'integrazione e tolleranza etnica, altroché blocchi navali e respingimenti ipotizzati, ma finora non realizzati, dal governo di Giorgia Meloni.

Fonte wikipedia.org

martedì 25 ottobre 2022

Give Peace A Chance

'Quando i ricchi si fanno la guerra tra loro, sono i poveri a morire’, Jean Paul Sartre

di Giovanni Pulvino

Video da Yuotube.com - Give Peace A Chance di John Lennon, 1969

I conflitti armati fanno parte della storia dell’uomo. È difficile spiegarne i motivi, quello che è certo è che 'Quando i ricchi si fanno la guerra tra loro, sono i poveri a morire’.

L’affermazione di Jean Paul Sartre è inconfutabile. Per i ‘potenti’ farsi la guerra è come un gioco, ma a morire non sono loro. A sparare sui campi di battaglia ci vanno coloro che non sanno neanche perché sono lì, che magari non hanno mai imbracciato un fucile e che non hanno mai fatto male a nessuno.

Spesso sono soldati loro malgrado, sono costretti a combattere, ad odiare e ad uccidere per non morire.

La vita è una sola ed è breve, i guerrafondai lo sanno bene. Loro in guerra non ci vanno, comandano ed incitano all’odio, si fanno ragione della vita che non è la loro.

No war è diventata un'affermazione obsoleta, chi osa pronunciarla è tacciato di essere contrario alla 'democrazia' o peggio ancora di essere dalla parte di chi ha 'provocato' la guerra tra Russia ed Ucraina. 

Le ragioni o i torti non sono mai tutti da una parte. Solo il dialogo può porre fine ai conflitti ed impedire l'escalation militare. Vladimir Putin è intenzionato a combattere fino a quando le repubbliche del Donbass non diventeranno russe, gli ucraini sostenuti dalla Nato resisteranno fino a quando queste non torneranno ad essere un loro territorio. Ed allora? Aspettiamo? Cosa? Non possiamo limitarci a mandare armi restando in attesa di vedere chi chi sarà il primo a premere il 'tasso rosso', a quel punto non si potrà più tornare indietro.

I giochi di potere tra i leader delle potenze mondiali e non solo impedisco il confronto, mentre civili e militari continuano a morire.

Diamo una chance alla pace. 

martedì 24 maggio 2022

La Nato andrebbe abolita non allargata, ecco perché

‘Un giorno non ce l’ho più fatta. Ho sentito il bisogno di scoprire l’altra faccia del mondo, di andare a fare il chirurgo di guerra. Poi non è stato possibile tornare sui miei passi: avevo visto troppo dolore, troppe ingiustizie', Gino Strada

di Giovanni Pulvino

A sinistra in blu i paesi europei aderenti alla Nato oggi,
a destra quelli aderenti nel 1989

La richiesta avanzata dalla Svezia e dalla Finlandia di entrare nella Nato non sorprende. Il conflitto tra la Russia e l’Ucraina sta preoccupando tutti i paesi europei che sono al confine con il ‘gigante’ russo e non solo, ma la richiesta di protezione militare è, per i due paesi scandinavi, una novità assoluta. Finora la ‘neutralità’ era stata un segno distintivo della loro cultura pacifista.

Le legittime preoccupazioni dei paesi europei sono la logica conseguenza dell’invasione dell’Ucraina. Per i russi invece la guerra sarebbe stata degerminata dal tentativo degli americani di allargare la loro influenza politica e militare in Europa e che avrebbe come scopo quello di indebolire ed isolare la Russia.

Se si guarda la mappa del Vecchio continente con i paesi aderenti al Patto atlantico di oggi e la si confronta con quella del 1989 la preoccupazione è giustificata. Il ‘soccorso’ alle aree russofone e l’espansionismo della Nato sarebbero, secondo Putin, i motivi della guerra. Sono, in fondo, le stesse argomentazioni utilizzate per giustificare le politiche estere 'imperialiste' dagli Usa e dalla Cina o da qualunque altra superpotenza mondiale. 

In tutto questo l’Europa, ancora una volta, ha un ruolo subalterno.

La domanda che dovremmo porci come europei è: ma tutto questo a chi conviene? Ed ancora, cosa non abbiamo fatto per evitare questa tragedia? E cosa possiamo fare per fermare la guerra?

Ai primi due interrogativi ormai è inutile rispondere, ma il terzo è dirimente. L’impressione è che non si stia facendo abbastanza per favorire la pace, anzi parteggiare pedissequamente per una parte può solo acuire la tensione o addirittura provocare una escalation del conflitto.

Negli anni Settanta si contestava la Nato che, come tutti sanno, è un’organizzazione militare. Farne parte vuol dire consentire al Pentagono e all’esercito americano di installare sul proprio territorio nazionale armi atomiche e reparti militari pronti alla guerra, ma la guerra contro chi? 

Negli anni Ottanta c’erano oceaniche manifestazioni per la pace e contro l’installazione di ordigni nucleari, oggi li invochiamo.

Fino al 1989, anno della caduta del muro di Berlino, il patto ‘atlantico’ aveva una sua logica militare, ma da allora, con il disfacimento dell’Unione sovietica, che senso ha?

Il Patto atlantico da chi ci dovrebbe difendere? Non c’è un pericolo ‘russo’, come non c’è un pericolo cinese o arabo. È tutta propaganda. Ed in ogni caso ci si può difendere anche senza armi e senza ricorrere alla violenza.

Le guerre hanno sempre portato morte e distruzione, i conflitti si risolvono con il dialogo e la condivisione, non con le armi. La Nato è organizzazione militare che andrebbe abolita, non allargata. La sua esistenza si giustifica solo per confermare e possibilmente allargare l’egemonia politica degli Stati Uniti d’America. 

E non dimentichiamoci che con l’invio di armi all’Ucraina siamo diventati un Paese co-belligerante in piena violazione dell’articolo 11 della Costituzione che è chiarissimo ma spesso lo dimentichiamo: ‘L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo’.

Fonte senato.it

 


venerdì 8 aprile 2022

Profughi ucraini bianchi si, neri no

Che strana la sorte dei profughi, sono accolti a braccia aperte se sono bianchi ed arrivano in comodi pullman, mentre quelli che vengono dall’Africa rischiando di morire annegati nel Mediterraneo sono considerati come degli ‘invasori’, chissà perché?

di Giovanni Pulvino

Lo spirito di accoglienza dei profughi non è senza sé e senza ma. Le tragiche vicende della guerra tra Ucraina e Russia non hanno scalfito i sentimenti di odio razziale di tanti italiani e non solo. I rifugiati ucraini di colore oltre alle bombe devo affrontare un altro dramma: il razzismo. Se ne parla poco, ma sono diversi gli episodi di intolleranza.

A Palermo due giovani studenti universitari di origine nigeriana sono stati respinti da una donna che intendeva ospitare dei profughi, ma solo se erano bianchi. Non voleva due ‘africani’.

Sono tanti gli episodi di migranti respinti al confine unicamente per il colore della pelle. In diversi hanno dovuto aspettare o gli è stato vietato di salire sui treni in partenza dall’Ucraina. Prima i bianchi, poi voi, si sentivano dire.

Il presidente dell’Unione africana e del Senegal e quello della Commissione dell’unione africana hanno denunciato i respingimenti avvenuti al confine con la Polonia.

Il sentimento buonista di tanti italiani e non solo e double face, riguarda cioè solo i profughi ucraini bianchi. Del resto, un ex ministro degli Interni ha distinto poche settimana fa i rifugiati ‘veri’ da quelli 'finti', riferendosi ai migranti che a rischio della vita sbarcano da anni sulle nostre coste.

Il lupo perde il pelo ma non il vizio. Il razzismo è un sentimento difficile da estirpare. I populismi continuano ad istigarlo con le medesime motivazioni che hanno spinto Vladimir Putin ad invadere l’Ucraina. Ed è paradossale che da un lato si condanna l’aggressione russa e dall’altro si continuano a praticare gli stessi sentimenti nazionalisti e razzisti.

Il mondo è strano e l’uomo è strano, o no?

sabato 2 aprile 2022

Basta guerre, cancelliamo l’odio dal mondo

Restiamo in silenzio, impariamo ad ascoltare, la vita è una, non sprechiamola, è breve ed estemporanea, pensiamo ad amare non ad uccidere

di Giovanni Pulvino

Opera di Banksy - (foto da nanopress.it)

Basta, è ora di dire basta. Chi vuole le guerre se le faccia da solo. Niente più incarichi a perdere. Nulla può giustificare la morte. Il cammino dell’uomo è funestato dai conflitti e da inutili controversie militari ed economiche, ma perché?

Ideologie e fedi religiose non devono portare alla fine della vita, ma, al contrario, devono renderla ‘facile’. Sì ‘facile’, nient’altro. È così difficile vivere. Non ci possiamo permettere di sprecare il poco tempo che abbiamo a disposizione. Non possiamo e non dobbiamo morire o uccidere per delega. Nulla lo può giustificare.

Cancelliamo l’odio dal mondo.

Considerate se questo è un uomo’.

Qui al fronte o nei campi di prigionia, al freddo ed al gelo, siamo soli. ‘E non c’è più nessuno che mi parli ancora un po' di lei’, solo silenzi e odore di polvere, di carne che sa già di cadavere, ma perché continuiamo ad ammazzarci? Perché?

Eppure, basterebbe poco.

Ma che bello il sole che sorge là, in fondo all’orizzonte, un giorno dopo l’altro, in un dolce e lieve ripetersi della vita. Così è e così sarà con o senza di noi, non sprechiamo questo tempo che ci è dato.

E, che bello stare seduti in riva al mare a guardare il moto perenne delle onde, magari fissando l’azzurro dell’acqua trasparente come solo a luglio è possibile che sia, sapendo che tutto rimarrà immutato anche dopo di noi, allora perché sprecare la nostra vita sparandoci a vicenda, a che scopo?

E che bello sorridere e gioire guardando un bambino che barcolla nel vano tentativo di alzarsi e camminare. Facciamo in modo da non fargli conoscere l’orrore della guerra, facciamo che non debba mai pronunciare questa terribile parola, cancelliamogliela dal vocabolario, per sempre. Facciamogli e facciamoci  un regalo, basta guerre, basta odio.

E, restiamo in silenzio, impariamo ad ascoltare, la vita è una, non sprechiamola, è breve ed estemporanea, pensiamo ad amare non ad uccidere.

Se si vuole si può, ma si può? Si vuole?


sabato 19 marzo 2022

Sarà Austerity come nel 1973 o è solo speculazione?

La guerra tra Russia ed Ucraina potrebbe evolvere in senso negativo; quindi, dobbiamo prepararci ad una situazione più difficile e, non è da escludere, un periodo di Austerity come quello del 1973

di Giovanni Pulvino


          Roma 1973 Austerity e domeniche a Piedi - (video da YouTube)

Nel 1973 ci fu una grave crisi energetica determinata dalla guerra dello Yom Kippur. Il conflitto combattuto in Medioriente portò all’embargo delle esportazioni di petrolio nei paesi occidentali. 

Il governo guidato da Mariano Rumor varò un Decreto-legge per vietare l’utilizzo delle auto, delle moto, delle barche e degli aerei privati nei giorni festivi, comprese le domeniche. L'interdizione iniziò nel dicembre di quell'anno e durò fino a giugno 1974. Furono domeniche di festa, oggi diremmo ecologiche. Le strade asfaltate divennero un luogo aperto alle bici, alle passeggiate, alle corse e persino al calcetto. Anche il Tg1 dovette anticipare la trasmissione alle 20:00 e la Rai chiudere le trasmissione alle 22:45, mentre i cinema dovevano concludere le proiezioni entro le 22:00.

Oggi, con la guerra tra Russia ed Ucraina, potrebbe ripetersi la stessa situazione. L’Europa e soprattutto il nostro paese dipendono dal gas russo. Se il conflitto si complica nulla potrà essere escluso. Le sanzioni imposte dai paesi occidentali e le inevitabili ritorsioni finora non hanno creato grandi problemi se non quelli del rincaro del prezzo del gas e del petrolio. La situazione potrebbe evolvere in senso negativo, quindi dobbiamo prepararci ad una situazione più difficile e, non è da escludere, un periodo di Austerity come quello del 1973.

Intanto, i soliti furbetti ne approfittano. Produttori e distributori stanno speculando sul prezzo del gas, gasolio e della benzina. Rincari quasi raddoppiati rispetto a pochi mesi fa.

L’aumento ‘non è giustificato’, sostiene il ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani. In diverse interviste, il tecnico voluto da Mario Draghi, ha sostenuto che per il rincaro dell’energia non esisterebbe una motivazione ‘tecnica’. Anzi sarebbe ‘una colossale truffa a spese delle imprese e dei cittadini’. Queste affermazioni sono paradossali. Il ministro anziché protestare e fare dichiarazioni dovrebbe intervenire, scovare chi ne approfitta e intervenire sulle inadeguatezze delle politiche di approvvigionamento energetico del nostro Paese. 

Non solo. La riduzione provvisoria delle accise che il governo si appresta a varare è solo un palliativo che graverà sulle casse dello Stato e quindi sulle tasche dei cittadini. 

Gli speculatori possono stare tranquilli, a loro non succederà nulla, siamo nel paese dei balocchi dove a pagare sono sempre i soliti noti.

Fonte it.wikipedia.org

martedì 15 marzo 2022

Ucraina, tra demagogia e giornalismo di guerra

Vladimir Putin per alcuni leader politici nazionali, era, fino a poche settimane fa, un grande capo di Stato ora è diventato ‘Belzebù’

di Giovanni Pulvino

Le guerre della Nato - (foto da @elevisconti)

Non c’è telegiornale o programma televisivo o di approfondimento giornalistico che non si occupi della guerra tra la Russia e l’Ucraina. Fino a pochi giorni fa l’argomento principale era il Covid-19 e le sue conseguenze ora, invece, sembra un tema del passato. 

Non c’è programma televisivo che non abbia i suoi ‘Inviati sul campo’, anche se la maggior parte non è sulla linea del fronte. I loro reportage spesso sono basati sui sentito dire e sono riportati con l’uso del condizionale.

Poi ci sono le dirette televisive, uguali le une alle altre, tutte volte a dimostrare l’eroismo ucraino e dall’altro lato il ‘diavolo’ Vladimir Putin. Quello che, per alcuni leader politici nazionali, era, fino a poche settimane fa, un grande capo di Stato ora è diventato ‘Belzebù’.

Quei pochi che tentano di fare ragionamenti basati sui fatti e sulla storia vengono additati come filorussi, come se in guerra la verità stesse tutta da una parte.

I morti sono morti.

Nel secondo dopoguerra l’Europa era divisa dalla cosiddetta ‘cortina di ferro’. Due grandi organizzazioni militari, Nato ed Armata rossa, si sono fronteggiate per 54 anni. Polonia, Romania, Lituania, Estonia, Ucraina e mezza Germania erano dall’altra aperte del confine. Oggi, con l’esplicita volontà imperialista dei governi degli Stati Uniti d’America, l’espansione militare della Nato ha raggiunto i confini della Russia. 

Negli anni Sessanta del secolo scorso J. F. Kennedy era pronto a far scoppiare la Terza guerra mondiale per impedire a Cuba di ottenere la protezione militare dell’Urss. Il buon senso dei russi prevalse e si ritirarono. Le richieste di Putin di oggi sono analoghe, ma l’Occidente fa finta di nulla ed è pronto a garantire quella difesa militare che gli americani ed i loro alleati non permisero ai cubani.

Ed ancora. I colpi di Stato nei paesi sudamericani e quelli della Grecia e del Portogallo furono perpetrati con l’aperto sostegno militare ed economico degli Usa. Dittature che hanno privato quei popoli della loro libertà e che hanno causato centinaia di miglia di morti.

Per non parlare dei diritti calpestati dei palestinesi, dei siriani, dei libici, ect….

Putin sarà ‘pazzo’ come sostengono giornalisti e opinionisti e Zelensky un ‘eroe’, ma quando scoppia una guerra le ragioni non sono mai tutte da una parte ed a pagare non sono i ricchi ed i potenti che l’hanno provocata, ma i civili che non hanno mai imbracciato un fucile.

Ed i giornalisti dovrebbero limitarsi alla cronaca. Molti, soprattutto opinionisti, fanno demagogia e giornalismo di guerra. Usano cioè due pesi e due misure, perché?

La soluzione al conflitto potrebbe essere semplice se ci fosse la buona volta di tutti e se si mettessero al centro della discussione le reciproche ragioni. Creare una zona de-militarizzata al confine con la Russia è una cosa complicata? Zelensky perché non la propone? Garantire la sicurezza del popolo russo è un’ipotesi folle?

Meno armi e meno eserciti non hanno fatto male mai a nessuno, tranne alle industrie della guerra e della morte.

 

giovedì 3 marzo 2022

Ma Putin cosa vuole?

'Ogni guerra ha una costante: il 90% delle vittime sono civili, persone che non hanno mai imbracciato un fucile. Che non sanno neanche perché gli arriva in testa una bomba. Le guerre vengono dichiarate dai ricchi e potenti, che poi ci mandano a morire i figli dei poveri', Gino Strada

di Giovanni Pulvino

Il dottor Stranamore e Vladimir Putin
(foto da wikipedia.org)

Non sappiamo quali sono le ‘vere’ motivazioni che hanno indotto il presidente della Russia, Vladimir Putin, ad invadere l’Ucraina. E soprattutto non sappiamo fino a che punto sarà disposto a spingersi nell’escalation militare.

Quello che è certo è che dopo 77 anni di pace i fucili ed i cannoni sono tornati a sparare nel cuore dell’Europa. E non è giustificabile in alcun modo. ‘Il mondo - ha dichiarato il cancelliere tedesco Olaf Scholz - non sarà più lo stesso’.

È una questione di sicurezza nazionale? È l’ambizione di una potenza militare? Di un leader? Di certo è il risultato di una serie di errori politici e militari compiuti negli ultimi due decenni. L’espansione della Nato verso l’est europeo non poteva non creare squilibri geopolitici e militari. 

Le responsabilità, del resto, non sono mai solo da una parte. La retorica nazionalista a cui stiamo assistendo in questi giorni renderà difficile una soluzione pacifica. L’alternativa, non dimentichiamolo, è la Terza Guerra Mondiale. Sarebbe un disastro.

Ma Vladimir Putin perché ha voluto questo conflitto? Forse la risposta è più semplice di quanto possa apparire. Maria Montessori una volta disse: ‘'Tutti parlano di pace, ma nessuno educa alla pace. A questo mondo, si educa per la competizione, e la competizione è l'inizio di ogni guerra'.

Il sistema economico e politico a cui ci vantiamo di appartenere è fondato proprio sulla competizione che spesso decade nel machismo, se poi sono gli altri a comportarsi alla stessa maniera ci sorprendiamo e gridiamo allo scandalo.

Intanto, decine di migliaia di uomini e donne sono vittime dell’ennesimo conflitto bellico. ‘Le guerre vengono dichiarate dai ricchi e potenti, che poi ci mandano a morire i figli dei poveri‘.

La storia si ripete ancora una volta, purtroppo.


giovedì 14 ottobre 2021

Le disuguaglianze non sono casuali

'Siete proprio come vi vogliono i padroni: servi, chiusi e sottomessi. Se il padrone conosce 1000 parole e tu ne conosci solo 100 sei destinato ad essere sempre servo', don Lorenzo Milani

di Giovanni Pulvino

Nelson Mandela - (foto da facebook.com)

I livelli di istruzione e partecipazione nel nostro Paese sono tra i più bassi in Europa. A certificarlo è l’Istat. I laureati in Italia sono il 20,1% della popolazione, mentre nel Vecchio continente sono il 32,8%. Ampie sono anche le differenze sul territorio nazionale. Nel Mezzogiorno sono il 16,2%, al Nord sono il 21,3% ed al Centro il 24,2%.

L’Istituto di statistica registra un’analoga distanza con la quota di popolazione che ha almeno un diploma. Nell’Unione europea a 27 sono il 79,0%, nel nostro Paese il 62,9%. Le disparità sono evidenti anche tra il Nord ed il Sud Italia. Nel Meridione solo il 38,5% di adulti ha il diploma di scuola superiore, mentre nel Nord e nel Centro sono circa il 45%. Nel 2020 i giovani che hanno abbandonato gli studi sono stati il 13,1%. Il maggior numero, cioè il 16,3%, è stato registrato nel Mezzogiorno, l’11,0% al Nord e 11,5% al Centro.

L’abbandono scolastico, sottolinea l’Istituto di ricerca, è maggiore tra gli studenti i cui genitori hanno conseguito solo la licenza media o che esercitano una professione non qualificata oppure non hanno un’occupazione stabile.

Il report dell’Istat è una ulteriore conferma dell’esistenza delle ingiustizie e delle disuguaglianze sia a livello continentale che sul territorio nazionale. I giovani meridionali come i loro padri non hanno le stesse opportunità formative e professionali dei loro coetanei del centro e del nord del Paese.

Il livello di istruzione ha anche implicazioni politiche e sociali. Per i populisti ed i sovranisti tanto più basso è il livello culturale dei cittadini tanto più facile sarà per loro ottenerne il consenso. La crescita culturale è indispensabile per il progresso civile di una comunità, ma questa non potrà esserci se non sarà accompagnata da una riduzione delle ingiustizie e delle disuguaglianze economiche e sociali.

Fonte istat.it

mercoledì 29 settembre 2021

‘Ingovernabilità’ alla tedesca

I tedeschi come gli italiani? Per noi l’ingovernabilità è uno stereotipo, ma ormai è diventata una prassi comune in tanti paesi, Germania compresa

di Giovanni Pulvino

Annalena Baerbock, Armin Laschet, Olaf Scholz, Jörg  
Meuthen, Angela Merkel, Susanne  Hennig-Wellsow 
Il risultato delle elezioni politiche tedesche evidenzia l’inadeguatezza del sistema elettorale. Per assicurare la ‘governabilità’ i partiti sempre più spesso sono costretti ad estenuanti mediazioni. Anche questa volta sarà così.

Il leader della Spd (Centrosinistra) Olaf Scholz  ha dichiarato di essere il vincitore e che, pertanto, spetta al suo partito la leadership del nuovo Governo. Finora la governabilità è stata assicurata con la ‘Grande coalition’ tra Spd e Cdu/Csu e con Angela Merkel cancelliera.

Dalle urne è uscito un Bundestag frammentato. Il Centrodestra potrà contare su 196 seggi (24,1%), i Liberali su 92 (11,5%), la Destra di Afd su 83 (10,3%), i Grüne su 118 (14,8%), la Die Linke su 39 (5%) e la Spd, primo partito, su 206 (25,7%).

Ago della bilancia saranno i Verdi. Per formare un governo di centrosinistra saranno necessari anche i voti dei Liberali o della Sinistra, sempreché per quest’ultima sia confermato il superamento dello sbarramento (5%).

Per avere la maggioranza occorrono i voti di almeno 355 deputati.

Stando ai numeri le ipotesi possibili sono tre. La più probabile è una coalizione Giallo (Liberali), Verde e Rossa che disporrebbe di 416 deputati. Possibile è anche la riedizione con un nuovo cancelliere della ‘Grande coalition’ tra Spd e Cdu/Csu che potrebbe contare su 402 voti. Maggioranza analoga (406 voti) avrebbe anche un governo di Centrodestra con Cdu/Csu, Liberali e Verdi.

Infine, non è da escludere, anche se è assai improbabile, una coalizione Spd, Grüne e Die Linke che disporrebbe di 363 seggi.

Il sistema elettorale della Germania non assicura la governabilità. I compromessi per la formazione del Governo saranno inevitabili e non è la prima volta che accade.

Dunque, i tedeschi come gli italiani? Per noi l’ingovernabilità è uno stereotipo, ma ormai è una prassi comune in tanti altri paesi.

È la crisi delle Democrazie? Di certo la mediazione politica tra governati e governanti assicurata finora dei grandi partiti fa fatica a raccogliere tutti i conflitti e le istanze sociali.  

Gli elettori sembrano seguire le 'mode' e le formazioni politiche hanno perso la visione di lungo periodo. Le ideologie sono state sostituite da un sistema politico 'liquido'. L’estemporaneità delle coalizioni è un fatto consolidato. E non è solo una questione di sistema elettorale. Il primo partito ha ottenuto i consensi di un tedesco su quattro. Rappresenta cioè una minoranza tra altre minoranze. Governare non sarà facile.

In questa situazione tentare di ridurre le ingiustizie e le disuguaglianze sarà impossibile o quasi.


sabato 28 agosto 2021

Isis, solo odio e morte, ma perché?

Non sono i primi e non saranno gli ultimi. Sacrificare la propria esistenza per causare stragi e lutti fa parte del cammino dell’uomo. È inevitabile, ma che senso ha?

di Giovanni Pulvino

'Segui i tuoi sogni' - Opera di Bansky 
(foto da it.blastingnews.com)
La strage all’aeroporto di Kabul del 26 agosto è indicibile. Circa 200 morti e altrettanti feriti, ma perché? Erano uomini, donne e bambini che non facevano male a nessuno. La vita è una, non c’è una seconda volta, allora perché?

Sono decenni che i terroristi dell’Isis compiono attentati kamikaze con il solo scopo di uccidere persone innocenti. È una corsa a togliere la vita, ma qual è il loro scopo?

La fede religiosa è solo un pretesto, nessun Dio può volere la morte di un essere umano.

E nessun ideale politico può propugnare la morte del suo popolo. È una contraddizione in termini.

E non ci possono essere spiegazioni sociologiche o economicheL’odio e la violenza sui civili inermi aumentano le ingiustizie anziché impedirle. Le disuguaglianze si riducono con la crescita culturale e civile di un popolo. 

Allora, perché? Non abbiamo una seconda alternativa, si nasce e si muore una volta sola. Cosa spinge questi uomini e queste donne a togliersi la vita per negarla ad altri? Quanto odio c’è nei loro cuori per dare la morte ad un bambino che pochi secondi prima di premere l’innesco esplosivo hai guardato negli occhi e magari gli hai fatto un sorriso?

Cos’hanno concluso? Nulla, se non aver causato dolore e sofferenza in chi resta, ma anch’esse sono memorie a termine, destinate ad avere una fine.

Non c’è e non ci può essere una motivazione. Togliere la vita non ha senso, mai. Non siamo indispensabili, il mondo andrà avanti anche senza di noi e malgrado noi. Allora perché uccidere?

Questi atti mostrano la precarietà della vita e l’irrazionalità dei nostri gesti, il cammino dell’uomo è incerto e breve, oltre non c’è nulla.

E non è una questione di potere. Piuttosto è paura. Incutere terrore per non mettersi in discussione. Per non vedere i propri limiti e le proprie frustrazioni. 

Come sono tristi questi uomini e queste donne che si autodistruggono. Sono esistenze a perdere, nient’altro. Uccidono perché sono incapaci di vivere. Odiano le donne perché non sanno amarle. Tolgono la vita ai loro figli perché non hanno un futuro su cu cui credere.

Eppure, fanno parte della storia dell’uomo. Non sono i primi e non saranno gli ultimi. Sacrificare la propria esistenza per causare stragi e lutti fa parte del nostro cammino. È inevitabile.

Sono solo odio e morte, ma sono destinati a passare, come tutto come tutti, allora perché?

 

martedì 17 agosto 2021

Zarifa Ghafari: ‘I talebani presto verranno a prendermi, e mi uccideranno’

‘Sono qui, seduta, e qui resto. So che i talebani presto verranno a prendermi, e mi uccideranno, e così faranno con quelle come me. Ma non vado via’, Zarifa Ghafari, 15 agosto 2021

di Giovanni Pulvino

Foto di @Zarifa_Ghafari (dal profilo Twitter)
Sindaco di Maidanshahr dal 2019Zarifa Ghafari è una delle poche donne afgane a ricoprire un’importante carica politica. Nel 2018, quando è stata nominata dal presidente Ashraf Ghani, aveva appena 26 anni. Per l’ostilità dei politici locali ha potuto iniziare il suo mandato solo nel 2019. Dopo aver prestato giuramento ha subito minacce di morte dai talebani e dall’Isis. 

E' diventata un modello per le altre donne afgane. Per questo motivo nel 2020 è stata scelta dal Segretario di Stato americano, Mike Pompeo, come International Woman of Courage. 


Il 5 novembre dello scorso anno, dopo l’assassinio di suo padre, ha detto: ‘Sono i talebani. Non mi vogliono a Maidanshar. Ecco perché hanno ucciso mio padre’.

Sono seduta qui ad aspettare che arrivino. Non c'è nessuno che aiuti me o la mia famiglia. Sto sola seduta con loro e mio marito. E verranno per le persone come me e mi uccideranno’. Queste potrebbero essere le ultime parole di Zarifa Ghafari.

La ‘fuga’ in fretta e furia della coalizione militare anti-talebana sta mettendo in pericolo la vita di decine di migliaia di uomini e donne che si sono fidati dei governi occidentali, compreso quello italiano.

Ad occupare e successivamente abbandonare l’Afghanistan non sono stati solo i marines a stelle e strisce, prima di loro negli anni ottanta lo hanno fatto i soldati dell’armata Rossa. Le due superpotenze militari non sono riuscite ad imporre i loro modelli istituzionali ed economici.

Ora, mentre il nostro ministro degli Esteri si gode il mare di Ferragosto, Zarifa è rimasta nella sua terra a difendere pacificamente i diritti e la dignità del suo popolo 

E con Lei tanti attivisti e militanti a cui non resta che resistere e sperare di non diventare le nuove vittime dell’integralismo religioso.

Fonti: it.wikipedia.org e facebook.com

giovedì 29 luglio 2021

Anthony Fauci: ‘Nessun vaccino è efficace al 100%’

La quanta ondata della pandemia dovuta al Covid-19 è arrivata. Il numero dei nuovi contagiati aumenta di giorno in giorno, ma in tanti pur potendolo fare ancora non si sono immunizzati

di Giovanni Pulvino

Anthony Fauci - (foto da it.wikipedia.org)

‘I vaccinati posso contrarre la variante Delta e contagiare’. A sostenerlo è il maggior esperto in pandemia degli Stati Uniti d’America, Anthony Fauci. Ed ancora: Nessun vaccino è efficace al 100%, perché il virus è cambiato. La gente – ha aggiunto l’immunologo - non si rende conto di una cosa: finché c'è circolazione elevata del virus tra le persone non vaccinate, diamo al virus la chance di variare ancora di più e rischiamo una variante peggiore della Delta, una variante che nemmeno i vaccinati potrebbero gestire’. 

Il Coronavirus è mutato ancora una volta. La nuova variante si sta diffondendo in tutto il mondo. Ha una carica virale nettamente superiore ai ceppi precedenti e può contagiare anche chi ha già fatto il vaccino.

Si trasmette soprattutto tra i più giovani o i non immunizzati, ma non è escluso che si possa infettare anche chi ha completato il ciclo vaccinale.

Negli Stati Uniti ci sono circa 100 milioni di persone ancora senza protezione anti-Covid-19. La situazione è così grave che il sindaco di New York, Bill de Blasio, ha promesso cento dollari di compenso a chi si farà iniettare il siero.

Sembra un paradosso ma non lo è. Nei paesi più ricchi una parte della popolazione pur avendone la possibilità è No vax o semplicemente è indecisa e le autorità pubbliche sono costrette a promettere denaro o comunque un compenso a chi non si è vaccinato.

Nel nostro Paese ci sono forze politiche che pur facendo parte della maggioranza di Governo manifestano contro il Green pass e sono contrarie alle vaccinazioni obbligatorie. Tra un mese ci sarà il rientro a scuola e oltre tre milioni di studenti ancora non sono stati immunizzati. Nulla è cambiato rispetto allo scorso anno se non la vaccinazione della maggior parte dei docenti e del personale Ata, ma questo ancora non basta.

Le conseguenze sanitarie ed economiche della nuova ondata dipenderanno da noi. Ancora una volta conterà il buon senso, ma per tanti italiani e non solo andare a mangiare una pizza o prendere un drink al bar è più importante che salvare delle vite. Ma anche questa non è una novità.

Fonte ansa.it

venerdì 23 luglio 2021

Lula, appello a Draghi: i vaccini anche ai Paesi poveri

Mentre nel nostro Paese discutiamo dei No vax nel mondo ci sono milioni di individui che vorrebbero vaccinarsi, ma non possono farlo perché non hanno accesso ai sieri

di Giovanni Pulvino

Mario Draghi e Luiz Inácio Lula da Silva

La pandemia diventerà endemica solo quando la maggior parte della popolazione mondiale sarà vaccinata o comunque immune al Covid-19. I sieri, si sa, non sono disponibili per tutti. Gli Stati più poveri dovranno aspettare i prossini anni per raggiungere quella che gli esperti definiscono l’immunità di gregge. Ed è per questo che l’ex presidente del Brasile Lula in una intervista rilasciata a Sky TG24 ha detto: ’Se potessi mandare un messaggio al presidente Draghi direi che è importante che al G20 di ottobre sia presa la decisione da parte di tutti i Paesi di sopperire alle deficienze dei vaccini nei Paesi più poveri. L'appello che vorrei fare è questo: il vaccino non è solo per chi lo può comprare ma per tutti gli esseri umani’.

Nei paesi più sviluppati oltre la metà dei cittadini è già immunizzata. Resta, tuttavia, una parte significativa di popolazione che è restia a vaccinarsi, perché?

Sono i cosiddetti No vax. In nome della libertà personale non sono disponibili ad iniettarsi il siero anti-Covid-19. Temono gli effetti collaterali. Poi ci sono gli indecisi. Questi ultimi sono vittime probabilmente della cattiva informazione, in particolare quella sugli effetti indesiderati dei vaccini.

Tra loro ci sono medici, infermieri ed insegnanti. Si tratta come è evidente, di lavoratori particolarmente esposti al contagio. Rischiano, cioè, di contrarre il Coronavirus e di finire in ospedale o peggio ancora in terapia intensiva, ma nonostante ciò non si decidono a vaccinarsi. Non solo potrebbero essere essi stessi soggetti portatori ‘inconsapevoli’ del virus.

La campagna vaccinale dovrebbe essere sostenuta da tutte le forze politiche, invece non è così.

Matteo Salvini e Giorgia Meloni quasi tutti i giorni fanno dichiarazioni intese a giustificare chi non si vuole immunizzare. Non solo, sono contrari all’obbligo vaccinale per gli insegnanti ed ora anche al Green pass. Unico strumento utile per evitare chiusure e per convincere gli indecisi.

In questi mesi così difficili i due esponenti della Destra non hanno pronunciato una parola o fatto una sollecitazione nei confronti di coloro che inneggiano al diritto a non iniettarsi il vaccino. Per loro la libertà personale viene prima dell’interesse collettivo, anche quando questo riguarda la vita delle persone. Di certo è una posizione di comodo, tanto le decisioni difficili le prenderanno altri, quelli che agiscono nel solo interesse del bene comune.

Ed è paradossale che mentre noi italiani discutiamo dei No vax, nel mondo ci sono milioni di individui che vorrebbero vaccinarsi, ma non possono farlo perché sono poveri e non hanno accesso ai sieri. 

Fonte Sky TG24

lunedì 14 giugno 2021

Ilo: nel mondo oltre 220 milioni di disoccupati

I ricchi sono sempre più ricchi, mentre i disoccupati ed i poveri aumentano di numero

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro quest’anno nel mondo oltre 220 milioni di persone reteranno disoccupate. Un miglioramento dovrebbe registrarsi nel 2022, ma resterà comunque al di sopra dei 117 milioni registrati nel 2019, prima cioè dello scoppio della pandemia dovuta al Covid-19.

Il tasso di disoccupazione globale del 6,3% scenderà il prossimo anno al 5,7%, rimanendo quindi superiore al 5,4% del periodo pre-coronavirus.

Secondo gli economisti dell’Ilo la crescita dell’occupazione non riuscirà ‘a compensare le perdite fino ad almeno il 2023’. Inoltre, occorre aggiungere la riduzione imposta dell’orario di lavoro. Quelle perse ammonterebbero a circa 144 milioni di posti a tempo pieno.

Tra le tante caratteristiche tipiche del sistema economico capitalistico ce n’è una che non si smentisce mai. A pagare le conseguenze delle congiunture recessive sono sempre e solo i ceti meno abbienti. Le indagini statistiche pubblicate negli ultimi mesi confermano questa peculiarità. L’epidemia dovuta al Covid-19 non solo sta mietendo più vittime nei paesi del terzo mondo, ma sta accentuando le ingiustizie.

I ricchi sono sempre più ricchi, mentre i disoccupati ed i poveri aumentano di numero. E non importa se la crisi è finanziaria o pandemica e se a causarla non sono i lavoratori, la conseguenza sociale che essa determina è sempre la stessa: un incremento delle disuguaglianze.

L’ineluttabilità dei privilegi non è scontata, è frutto di una volontà politica che può essere capovolta in qualunque momento. Certo è difficile ed è complicato, ma è sempre possibile, basta volerlo.

Fonte ilo.org



martedì 1 giugno 2021

L’1% più ricco ha visto aumentare il patrimonio del 43%

La pandemia non solo ha aumentato la disuguaglianza di reddito, ma anche la disparità nella distribuzione della ricchezza’, a sostenerlo è Florian Scheuer, professore di economia all’università di Zurigo

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da vocisinistre.com
Il valore dei patrimoni privati in Svizzera è raddoppiato negli ultimi 20 anni. Secondo i dati comunicati dalla Banca Nazionale (BNS) il volume di azioni, immobili e averi delle casse pensioni, esclusi oggetti come gioielli ed opere d’arte, è duplicato dal 2001 ad oggi.

Un’indagine compiuta nel 2019 dall’Amministrazione federale elvetica (AFC) sui dati 2003-2015 ha stabilito che l’1% più ricco della popolazione ha visto aumentare il patrimonio del 43%, mentre per il 75% meno benestante l’incremento è stato del 19%. Ad aumentare è stato soprattutto il valore dei beni immobiliari. Lo svizzero medio secondo questa indagine è il più ricco del pianeta.

Non solo. La concentrazione del capitale è destinata ad accrescersi in questa fase di epidemia dovuta al Covid-19. A sostenerlo è il professore di economia all’università di Zurigo, Florian Scheuer. La pandemia non solo ha aumentato la disuguaglianza di reddito, ma anche la disparità nella distribuzione della ricchezza’.

Ed ancora: ‘I super-ricchi hanno ad esempio visto i loro beni attraversare la crisi molto bene, grazie alla rapida ripresa dei mercati azionari. Ma anche i benestanti (ma non ultraricchi) hanno potuto risparmiare di più: le famiglie con redditi elevati sono state spesso in grado di spostare il loro lavoro a casa, economizzando sulle spese di consumo. Al contrario chi ha un reddito basso ha dovuto attingere ai risparmi o addirittura indebitarsi. Queste diversità, secondo Scheuer, probabilmente contribuiranno ad alimentare ulteriormente la crescente disuguaglianza in materia di ricchezza’.

Fonte RSINEWS

domenica 16 maggio 2021

Medio Oriente: a morire sono sempre i civili

A fare le guerre sono le élite militari e politiche, ma a subirne le conseguenze sono i popoli

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da @Barahmeh

Le vittime delle guerre sono soprattutto i civili. Quello che sta avvenendo in questi giorni in Medio Oriente è solo l’ennesima conferma: a pagare sono i più deboli, gli innocenti, quelli che muoiono e non sanno neanche il perché.

Il raid aereo israeliano su Gaza di ieri ha provocato 26 morti, tra cui 8 bambini. I feriti sono stati 50. Nella notte erano stati lanciati oltre cento razzi su Israele. Le vittime sono salite a 10, i feriti sono un centinaio, per lo più leggeri. Nella striscia di Gaza i morti sono stati finora 198, di cui 58 bambini, i feriti sono oltre mille. Intanto continuano le proteste in varie città, dall’inizio del conflitto i palestinesi uccisi nelle manifestazioni in Cisgiordania sono diciannove.

La storia si ripete ancora una volta e non ammette eccezioni. Il conflitto Medio Orientale continua a mietere vittime innocenti. Quella palestinese è una terra martoriata. Due popoli costretti a convivere nello stesso spazio, ma non riescono a farlo in pace.

Gerusalemme è una città contesa da secoli. Un luogo Santo per i fedeli di tre religioni. Chi crede in un Dio misericordioso non dovrebbe imporre con la violenza la sua fede. Il rispetto dell’altro, della vita, della dignità umana sono principi sanciti sia dal Corano che dal vecchio e dal nuovo Testamento. Fedi che hanno in comune la stessa radice monoteistica. Eppure, questi valori di pace e di fratellanza sono utilizzati spesso per giustificare guerre e conflitti.

Nessun Dio giustifica la morte altrui in nome suo. Allora perché cristiani, ebrei e islamici continuano a farlo? Le insicurezze dell’uomo trovano nella fede uno strumento per superarle. Tutti i popoli si sono dati una religione. Una perdita di quei valori o una loro violazione sono considerate eventualità da impedire a tutti i costi. Ed è così che esse sono diventate spesso il motivo dei conflitti. Ancora oggi è così.

A fare le guerre sono le élite militari e politiche, ma a subirne le conseguenze sono i popoli. Questo spiega perché esse si ripetono con continuità nel tempo. Si possono impedire? Le organizzazioni internazionali preposte a questo scopo non bastano. Occorre fare di più. Fino a quando ci saranno disuguaglianze e ingiustizie o, comunque, situazioni considerate come tali, i conflitti non saranno evitabili.

Il bisogno di sicurezza può essere garantito anche senza guerre, ma a comprenderlo devono essere per primi le élite politiche e istituzionali. Decidere di bombardare e seminare morte è relativamente 'facile' per chi ha il potere, tanto a pagarne le conseguenze non saranno loro.

giovedì 29 aprile 2021

Governatore del West Virginia: ‘100 dollari per vaccinarsi’

‘100 dollari per vaccinarsi. È la proposta fatta dal governatore del West Virginia (Usa) per convincere i giovani americani a vaccinarsi, intanto nei paesi più poveri e non solo decine di migliaia di persone continuano a morire di Covid-19

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da vocidallastrada.org

La diffusione del Covid-19 e la campagna di immunizzazione stanno accentuando le differenze. Negli Stati Uniti d’America i cittadini sono pagati per vaccinarsi. In India le persone muoiono per strada ed il sistema sanitario è al collasso. Queste due notizie confermano quanto sia ingiusto il sistema economico e sociale che gli economisti chiamano Capitalismo.

Tutto ha un prezzo, anche la salute nostra ed altrui. Il fatto che i giovani americani siano restii a vaccinarsi è emblematico. Il benessere diffuso ci ha fatto perdere il senso della comunità. Sono gli effetti nefasti del consumismo. È la sublimazione dell’edonismo reaganiano.

Il governatore del West Virginia, Jim Justice, ha proposto di dare 100 dollari ad ogni giovane tra i 18 ed i 35 anni che si farà vaccinare. Non è che il primo dei tanti incentivi proposti negli Usa. Qualcuno dà un drink gratuito, le Università danno la possibilità agli studenti di vincere del denaro per comprare i libri o una borsa di studio, altre un alloggio gratuito per un anno accademico, e così via.

I sieri negli Stati Uniti d’America ci sono, ma una parte degli americani per vaccinarsi ha bisogno di un ‘spinta economica’. Tutto questo avviene mentre migliaia di indiani e non solo muoiono di Covid-19.

Nell’immediato le dosi non ci sono per tutti. Una immunizzazione di massa è comunque inevitabile e necessaria, ma prima vengono i paesi ricchi. Siamo in una situazione paradossale: chi ha la possibilità di vaccinarsi ha bisogno di un ‘incentivo’, chi invece vorrebbe farlo ‘senza se e senza ma’ non può, perché c’è penuria di siero.

Tutto ha un costo ed un prezzo. Tutto deve generare un profitto. È la logica del Capitalismo che ha prodotto e produce un mondo ingiusto e diseguale.

martedì 16 marzo 2021

Le vaccinazioni non si possono fermare

Trombosi venosa cerebrale, è questa la causa dei decessi che si sono verificati negli ultimi giorni. Il timore è che siano dovuti al vaccino AstraZeneca 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da toscana-notizie.it

Nel nostro Paese gli eventi tromboembolici sono 166 al giorno, circa 60mila all’anno. Quelli dovuti alla patologia della trombosi venosa cerebrale sono compresi tra 2 a 5 casi su un milione di persone all’anno. Quindi sono piuttosto rari.

Non esistono ad oggi prove che certificano una relazione diretta tra l’inoculazione del siero del colosso farmaceutico anglo-svedese e gli eventi gravi sulla salute verificatisi nell’ultima settimana e che hanno portato alla sospensione delle somministrazioni in diversi paesi europei. Sarà l’Ema (Agenzia europea per i medicinali) a stabilire se c’è una correlazione oppure no.

Secondo il Paul Ehrlich Institute (PEI) della Germania, che corrisponde al nostro Istituto Superiore di Sanità, ci sarebbe un aumento ‘notevole’ di una forma rara di trombosi venosa cerebrale in concomitanza con la somministrazione del siero di AstraZeneca. Da qui lo stop alla somministrazione del vaccino.

Le segnalazioni di effetti collaterali gravi sono numerose. Nel nostro Paese per Pfizer sono state 1.700, per AstraZeneca sono state 79, ma le somministrazioni con quest’ultimo siero sono state minori.

In Germania sono stati segnalati 7 casi di trombosi venosa cerebrale, di cui tre deceduti, su 1,5 milioni di vaccinati. In Gran Bretagna, ci sarebbe stati 3 casi su oltre 11 milioni di persone vaccinate. Nel Regno Unito quelle dovute ad AstraZeneca in tutto sono state 39, di cui 14 per trombosi, 13 per embolia polmonare e 13 per trombocitopenia (mancanza di piastrine). Mentre per Pfizer sono state 36 di cui 8 per trombosi venosa profonda, 15 per embolia polmonare e 13 per trombocitopenia.

I vaccini come tutti i farmaci possono provocare effetti collaterali. Non esiste e non potrà mai esistere un medicinale che non produca una qualche conseguenza non voluta. Il punto allora è: siamo disposti ad accettare i rischi sia pure limitati oppure vogliamo tenerci il Covid-19 che continua a fare migliaia di vittime ogni giorno?

La risposta è ovvia. AstraZeneca, Pfizer/Biontech, o qualunque altro vaccino, non importa, le somministrazioni non si possono fermare.


martedì 16 febbraio 2021

Ma i vaccini sono efficaci sulle varianti del Covid-19?

Cresce la preoccupazione degli esperti sulla diffusione delle varianti del Covid-19. ‘Serve un lockdown totale ed immediato’ auspica Walter Ricciardi consigliere del ministro della Salute

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Gam-COVID-Vac, nome commerciale
Sputnik-V - 
(foto da it.wikipedia.org)

È una lotta contro il tempo. La rapidità delle campagne vaccinali è dirimente. Di certo riusciremo a battere il Covid-19 anche se non sappiamo quando. Gli esperti e gli enti statali ed europei preposti ad autorizzare le somministrazioni assicurano sull’efficacia dei vaccini, ma quelli approvati lo sono anche per le varianti del virus? Molti virologi ritengono di sì, ma solo il tempo potrà confermare questa ipotesi.

Intanto occorre accelerare la campagna di vaccinazione. Affinché questa avvenga con rapidità occorrono un numero sufficiente di medici ed infermieri e, ovviamente, di vaccini. Il primo problema da risolvere è l’incremento della capacità produttiva delle aziende farmaceutiche che sono titolari dei brevetti. Pfizer, Moderna e Astrazeneca possono garantire quantità limitate. Per aumentare la produzione è necessario sospendere i diritti che derivano dalla privativa. Occorre, cioè, un trasferimento tecnologico ad altre aziende farmaceutiche. Ma le multinazionali saranno disposte a rinunciare ad una parte dei profitti?

Poi ci sono le varianti del virus. Per evitare che si propaghino le soluzione sono due. Un altro 'lockdown' come auspicato dal consigliere del ministero della Salute Walter Ricciardi oppure una campagna vaccinale rapida.

La guerra contro il Covid-19 non è vinta. Le misure adottate nell’ultimo mese non sono state sufficienti a far scendere la curva dell’epidemia. Il numero dei contagi si mantiene stabile e la variante inglese preoccupa molto. Siamo in un momento delicato. Non è necessario essere degli esperti per capire che il virus tenterà di adattarsi alla nuova situazione. È una battaglia contro il tempo. L’uomo di certo la vincerà, ma quando questo avverrà dipende molto dai nostri comportamenti e dalla capacità degli Stati di imporre l’interesse generale a quello privato delle aziende farmaceutiche.

Tutto nella speranza che i timori degli esperti sull’arrivo di una terza ondata siano infondati.

sabato 6 febbraio 2021

I vaccini? Prima ai paesi ricchi, poi agli altri

Nel 2021 i tre colossi farmaceutici, Pfizer/BioNTech, Moderna e AstraZeneca produrranno vaccini contro il Covid-19 solo per l’1,5% della popolazione mondiale. A sostenerlo sono Oxfam, Emergency, Frontline AIDS e Global Justice Now, membri della People’s Vaccine Alliance

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto oxfamitalia.org

‘Il sistema che garantisce i monopoli sta provocando una crisi globale di forniture con conseguenze drammatiche in termini di vite umane e impatto economico’, sostiene Oxfam Italia. I brevetti ‘esclusivi’ impediscono che ci siano dosi sufficienti per tutti. È necessario sospendere le ‘regole che tutelano la proprietà intellettuale e la condivisione della tecnologia’. Solo in questo modo sarà possibile un incremento della produzione ed un accesso rapido ai vaccini per tutti i popoli del mondo.

Pfizer/BioNTech, Moderna e AstraZeneca posso coprire ‘il fabbisogno solo un terzo della popolazione mondiale’. Inoltre, la maggior parte dei vaccini sono stati acquistati dai paesi ricchi. Solo AstraZeneca ha destinato parte della sua produzione ai paesi in via di sviluppo.

Eppure, basterebbe poco.

In tutto il mondo stiamo assistendo ad una corsa contro il tempo per raggiungere l’immunità di gregge e tenere sotto controllo il Covid-19, salvare milioni di vite e far ripartire le nostre economie. È una gara contro il tempo che dobbiamo vincere prima che nuove mutazioni del virus rendano obsoleti i vaccini esistenti. – ha detto Sara Albiani, policy advisor per la salute globale di Oxfam Italia – Eppure la logica del profitto e i monopoli imposti dai colossi farmaceutici rallentano pericolosamente la corsa globale verso l’immunizzazione Se aziende come Moderna e Pfizer/BioNTech continueranno a non condividere brevetti e tecnologia, non saremo in grado di vincere questo terribile virus’.

Il diritto alla salute di tutta l’umanità deve venire prima dei profitti degli azionisti. Un’azienda privata non dovrebbe avere il potere di decidere chi ha accesso a cure o vaccini e a quale prezzo. Soprattutto, in questo caso, quando si stima che i contribuenti abbiano finanziato la ricerca e produzione dei vaccini con più di cento miliardi di dollari. Investimenti di questa portata li rendono dei veri e propri beni pubblici – aggiunge Rossella Miccio, Presidente di EMERGENCY – I governi hanno gli strumenti per indurre le aziende a condividere i brevetti, e li devono usare. Se vogliamo superare questa crisi senza precedenti, tutti devono fare la propria parte e agire per il bene comune: cittadini, istituzioni pubbliche e aziende’.

Nel mondo ideale, vaccini per tutti. Nel modo reale si salvi chi può. La pandemia è anche un conflitto tra nazioni, c’è chi ne uscirà più forte e chi invece resterà indietro. E di certo sta accentuando le disuguaglianze e le ingiustizie, ma anche questa non è una novità.

Fonte oxfamitalia.org

lunedì 25 gennaio 2021

La vera storia di Eva Schloss, ‘sorella’ di Anna Frank (dall’arrivo ad Auschwitz-Birkenau alla liberazione)


'Quando scendemmo dal treno quel giorno ad Auschwitz – terrorizzati, stupiti e confusi – 
ci ritrovammo direttamente nella sala macchine dell’Olocausto', Eva Schloss 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

La copertina del libro
'Sopravvissuta ad Auschwitz'

Questa è la seconda parte della storia di Eva Schloss (la prima è nel post precedente), raccontata con le parole del libro che lei stessa ha scritto ad oltre quarant’anni di distanza dalla sua liberazione, avvenuta il 27 gennaio 1945 nel ’campo di sterminio’ di Auschwitz. Il suo destino è legato a quello di Anna Frank. Compagne di giochi ad Amsterdam, entrambe hanno vissuto la clandestinità e successivamente la deportazione nei ‘campi di sterminio’ ma soltanto Eva è sopravvissuta. Nel dopoguerra sua mamma Fritzi (il marito ed il figlio Heinz morirono ad Auschwitz) sposerà Otto Frank (unico superstite della sua famiglia), divenendo in tal modo 'sorellastra postuma' di Anne.

L’arrivo ad Auschwitz-Birkenau(22 maggio 1944): 'Il treno ci condusse lentamente attraverso l’Europa per tre giorni e tre notti. Eravamo stipati al buio come animali portati al macello, con un piccolo secchio fetido per i bisogni e un altro per l’acqua (…). A volte facevamo delle lunghe soste (…) in qualche punto di quello che avrebbe dovuto essere il continente più civile al mondo (…). Quando scendemmo dal treno quel giorno ad Auschwitz – terrorizzati, stupiti e confusi – ci ritrovammo direttamente nella sala macchine dell’Olocausto (…). Le scene sul binario erano strazianti e rimasi sconvolta dal chiasso delle persone che gemevano, piangevano e urlavano addii disperati. C’erano centinaia di persone: anziani, madri con neonati in braccio e bambini piccoli, tutti in uno stato di totale agitazione e di una sorta di primitiva disperazione; imperturbabili, le ss cominciarono a smistarci come fossimo abiti su una rastrelliera, finché non fummo divisi in uomini e donne, e poi in file di cinque (…). Salimmo lentamente la rampa finché non vedemmo in cima le ss che indirizzavano le persone in due colonne, una a destra e una a sinistra. Una donna davanti a noi cominciò a urlare quando capì che sarebbe stata costretta a consegnare il bambino all’altra colonna (…). Allora non sapevo che avevamo appena superato la nostra prima selezione da parte del celebre dottore del campo, Josef Mengele, o che il cappotto e il cappello mi avevano salvato la vita (…). Tutti i ragazzini sotto i quindici anni venivano automaticamente  mandati a destra – la fila che conduceva direttamente alla camera a gas – e su 168 bambini del nostro trasporto io fui una dei sette sopravvissuti (…). Nell’aria c’era un odore acre che non avevo mai sentito.'

'Ero la prigioniera A/5272, inserita in un processo volto a privarmi dell’orgoglio e dell’identità. Allontanandomi dalla stazione di Auschwitz, mi ero lasciata alle spalle la piccola Eva Geiringer e i suoi sogni. Avevo trascorso gli ultimi momenti insieme alla mia famiglia al completo e non avrei più rivisto mio fratello.'

Vita nel campo: 'Auschwitz era un mondo di sporcizia, fame, depravazione, e pochi gesti di solidarietà (…). Mi resi ben presto conto che la civiltà è una patina molto sottile che viene via facilmente e compresi le vere necessità della vita, come avere una ciotola per bere e mangiare in modo da poter sempre ricevere la propria razione (…). Non tutti riuscivano ad adattarsi. Coloro che non si adeguavano alla vita del campo, avevano uno sguardo vuoto, perdevano la speranza e morivano. Nel gergo del campo venivano chiamati ‘Muselmann’ perché la posizione curva ed inerte li faceva somigliare a musulmani chini per la preghiera. Sono sopravvissuta in gran parte per pura fortuna, tuttavia giurai di non unirmi mai alle schiere dei ‘Muselmann’.'

'Percepii che uno dei soldati mi osservava attentamente e poi lo udii dire:’Questa qui può andare al Canada’ (…). Lo scopo del Canada era depredare gli ebrei fino all’ultimo bene, per mandare poi tutto in Germania, dove sarebbe stato distribuito ai soldati, alle loro famiglie e alla gente comune. Gli uomini tedeschi si rasavano con rasoi ebrei, mentre bravi madri tedesche spingevano carrozzine ebree e i nonni indossavano occhiali ebrei per leggere sul giornale gli articoli sullo sforzo bellico (…). Si trattava di una rapina e un saccheggio su scala davvero enorme (…). Nei forni crematori, una squadra estraeva i denti d’oro alle vittime. I denti venivano poi immersi in un acido per rimuovere nervi e tessuti, fusi in lingotti d’oro e spediti in Germania (…). A volte i tesori non erano altro che foto piegate o rifilate con cura, la minuscola immagine di un bambino sorridente, o una vecchia foto di genitori inserite nella cucitura della giacca. Rimasi a fissare la foto di una madre e di un padre con in braccio un bambino e mi resi conto con orrore che quella era stata l’unica cosa importante per la persona che l’aveva nascosta, e che nessuno di loro si sarebbe mai rivisto. Erano tutti morti.'

L’inverno più triste: 'Solo una cosa mi faceva andare avanti e rendeva più sopportabili quelle notti: avere Mutti (la mamma di Eva) al mio fianco e dormire tra le sue braccia. Immaginate anche la fame. Le nostre razioni ufficiali di cibo consistevano di una minestra tiepida a colazione, o di alcune sorsate di un granuloso succedaneo del caffè, seguite da un pasto serale a base di una fetta di pane nero (…). lo scopo era farci morire lentamente di fame (…). Immaginate la sporcizia. Una volta, una Kapò ci punì per qualche infrazione gettandoci addosso il secchio dei bisogni ed ebbi per giorni i vestiti e la pelle ricoperti di escrementi prima di avere finalmente il permesso di lavarmi (…). Senza Mutti, pensando che anche Pappy (il papà di Eva) era probabilmente morto e non avendo idea se Heinz (il fratello di Eva) fosse vivo o meno, mi sentii precipitare in un buco nero (…). Che importanza aveva la vita? Che importava se una persona era buona o cattiva? Che conforto si poteva trovare in ‘Dio’?'

La liberazione: 'A ottobre avevano ordinato la fine della soppressione degli ebrei e a novembre aveva deciso di far saltare in aria le camere a gas e i forni crematori di Auschwitz, con l’intenzione di eliminare ogni traccia di ciò che vi era accaduto (…). Potevano avere la tentazione di ammazzarci tutti piuttosto che lasciare qualcuno a raccontare i fatti (…). Dormimmo tutta la notte e mi svegliai al mattino del 19 gennaio 1945con una stranissima sensazione di calma assoluta. Aprii gli occhi e mi guardai intorno: la baracca pareva quasi vuota e non c’era nessuna delle solite attività mattutine. Scesi dal letto e uscii in esplorazione. Non si vedeva nessuno (…). Era rimasto solo un piccolo gruppo di prigionieri dalla salute precaria, come noi. Eravamo pelle e ossa, ma cominciammo immediatamente a organizzarci per sopravvivere fino all’arrivo dei sovietici. Era un grandissimo senso di liberazione sapere che se n’erano andati i tedeschi – quanto avevo desiderato quel giorno – ma sapevamo che ci aspettavano ancora enormi difficoltà' (…).

'La cosa peggiore che abbia mai fatto in vita mia fu portare fuori i corpi rigidi di donne che avevo imparato a conoscere. Reggendole, sentivo che si erano ridotte al lumicino, guardavo i loro occhi sbarrati e le bocche spalancate e sapevo che avevano resistito tanto a lungo e piene di speranza fin quasi alla fine. Vidi più persone morire in quei pochi giorni che in tutta la mia permanenza a Birkenau' (…).

L’arrivo dei soldati sovietici: 'Ci dirigemmo nervose all’ingresso per osservare quella insolita scena. E in effetti c’era un ‘orso’. Un uomo grosso ricoperto da una pelle d’orso che ci fissava con la medesima espressione sbigottita. Forse avrei dovuto essere più cauta, ma in quel momento provai solo una gioia irrefrenabile. Gli corsi incontro e lo abbracciai. Era il 27 gennaio 1945 e le forze sovietiche erano venute a liberarci (…). Furono giorni incerti e disperati, e il fatto che fossimo così prossime alla libertà rendeva la morte ancora più crudele. E’ duro accettare che molte donne fossero decedute non per mano dei nazisti, ma per aver mangiato il buon cibo caldo fornito dai nostri liberatori. Dopo aver fatto la fame tanto a lungo, i loro corpi non erano riusciti a sopportare il repentino cambio di dieta (…). Passai sotto l’insegna in metallo, forgiata da un prigioniero su istruzione dei nazisti, che recitava menzognera ‘Arbeit macht frei’ (il lavoro rende liberi). Ricordo di aver pensato che era una ben piccola e misera riproduzione dell’ideologia più malvagia che il mondo abbai mai conosciuto.'

'Più di un milione di ebrei venne assassinato ad Auschtwitz-Birkenau e, al momento della liberazione, eravamo in vita solo in seimila (…). Io e Mutti avevamo resistito per pura fortuna, grazie alla forza di volontà e alla protezione di Minni (una conoscente anch’essa deportata). Eravamo sopravvissute alla più perversa ideologia di pulizia etnica della storia. I nazisti ci avevano braccati per tutta Europa, guidati da una folle ossessione e dalla determinazione a non fermarsi fino all’eliminazione dell’ultimo ebreo. Ero viva, ma avrei dovuto imparare di nuovo a vivere e trovare il mio posto in un mondo che spesso non voleva conoscere gli orrori a cui avevo assistito.'

Fonte: 'Sopravvissuta ad Auschwitz' di Eva SchlossKaren Bartlett. Newton Compton Editori

sabato 23 gennaio 2021

La vera storia di Eva Schloss, ‘sorella’ di Anna Frank (dalla fuga da Vienna alla deportazione)

'Quando i miei nipoti mi hanno chiesto del tatuaggio sul braccio con cui ero stata marchiata ad Auschwitz, avevo risposto che era solo il mio numero di telefono. Non parlavo del passato', Eva Schloss

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Eva Schloss e Anna Frank (foto da amazon.it)

Questa è la storia di Eva Schloss raccontata con le parole del libro che lei stessa ha scritto ad oltre quarant’anni di distanza dalla sua liberazione avvenuta il 27 gennaio 1945 nel ’campo di sterminio’ di Auschwitz. La sua vicenda umana è legata a quella di Anna Frank. E’ stata sua compagna di giochi ad Amsterdam e nel dopoguerra sua madre Fritzi, anch’essa sopravvissuta allo sterminio (il papà ed il fratello morirono ad Auschwitz), sposerà Otto Frank, a sua volta unico superstite della sua famiglia.

Il nove marzo 1938 a Vienna, città natale di Eva Schloss, arrivano i nazisti accolti con entusiasmo dalla popolazione: 'Gli ebrei austriaci cominciarono a correre da un’ambasciata all’altra alla disperata ricerca di un visto che consentisse loro di scappare. Purtroppo, però, molti Paesi non li concedevano.'

La fuga a Bruxelles (1938): 'Eravamo degli apolidi e la nostra presenza non era gradita in nessun posto.' 

Le molestie di Dubois (coinquilino di Eva, di sua madre e del fratello Heinz nella pensione di madame Le Blanc): 'Cercavo di evitarlo a tutti i costi, ma alcuni giorni dopo, ero sola e lui mi bloccò nel corridoio (…). Mi fece entrare in camera sua, dicendomi che voleva mostrarmi delle fotografie del Congo (…). Riluttante, gli rimasi accanto mentre sedeva alla scrivania e sfogliava album color seppia (…). Con il passare delle settimane, cominciò a prendermi sulle ginocchia mentre sfogliava le pagine dell’album (…). Ben presto Dubois pretese che (…). Ero talmente inorridita e imbarazzata che corsi fuori dalla stanza e incappai dritta in mia madre. Vedendomi tanto sconvolta, mi costrinse a parlare finché non crollai e le dissi tutta la verità (…) erano tutti scioccati (…). Ma non potevano farci niente. Eravamo in un Paese straniero, in attesa dei visti grazie a cui avremmo potuto tornare ad essere una famiglia. Mutti (la madre di Eva) mi disse di non rivolgere mai più la parola a Dubois e fece di tutto per proteggermi (…). Solo poco tempo prima ero stata una bimba vivace e felice (…) ora vedevo che (…) i miei genitori non potevano proteggermi dalle cattiverie del mondo. Non avevano potuto salvarci dai nazisti ed eravamo dovuti scappare da casa nostra. E ora non riuscivano nemmeno a proteggermi da un uomo che mi aveva fatto così tanto male.'

L’arrivo di Eva ad Amsterdam (febbraio 1940) dove fa amicizia con Anna Frank: 'Parlava talmente tanto che la chiamavamo la Signora Qua Qua e nei miei ricordi era sempre circondata da un gruppo di ragazzine pronte a ridacchiare per le sue ultime esperienze e osservazioni. Mentre io giocavo a campana, Anne leggeva riviste di cinema e andava con le amiche nei caffè a mangiare gelati e a discorrere come le signore di mondo che avrebbero voluto diventare (…). Alla fine del suo diario, poco prima di essere catturata, Anne Frank ha scritto di credere ancora che la gente fosse fondamentalmente buona; chissà cosa avrebbe pensato se fosse sopravvissuta ai campi di concentramento di Auschwitz e Bergen-Belsen. La mia esperienza ha dimostrato che le persone possono essere di eccezionale crudeltà, brutalità e totale indifferenza verso la sofferenza umana. E’ facile dire che il bene e il male esistono in ognuno di noi, ma ho potuto toccare con mano questa poco edificante realtà ed è una vita che mi interrogo sull’animo umano.'

I nazisti occupano l’Olanda: 'I nostri peggiori timori si erano avverati: il 15 maggio 1940 vivevamo sotto l’occupazione nazista e non sapevamo dove andare (…). Corremmo affannati da un posto all’altro per ore, sempre più stanchi, esausti e sconvolti, mentre Pappy (il papà di Eva) tentava di prenotare un posto su una qualsiasi nave in partenza. Fu impossibile. L’ultima era partita, e non avremmo mai potuto salirci.'

La soluzione finale: 'Alla conferenza di Wannsee, il 20 gennaio 1942, il tenente generale delle ss, Reinhard Heydrich, capo dell’ufficio centrale per la sicurezza del Reich, presento la soluzione finale della questione ebraica: tutti gli ebrei d’Europa dovevano essere trasportati in campi a est e lì fatti lavorare fino allo stremo o assassinati.'

La clandestinità: 'C’è l’ho fatta perché dovevo farcela. La scelta era netta: nascondersi o morire. E ce l’ho fatta perché quando stai nascosto ti dici che non sarà per sempre (…) aspetti un altro giorno perché pensi che quello seguente sicuramente arriverà la libertà (…). C’era gente che aiutava le famiglie di ebrei a nascondersi solo per buon cuore (…) ma c’era chi lo faceva esclusivamente per denaro (…). A volte, i bambini mandati in fattorie di campagna venivano sfruttati, e le donne e le ragazze violentate o costrette ad avere rapporti con l’uomo di casa per poter restare nascoste.'

Il tradimento: 'Nessuno di noi sospettava che la simpatica infermiera olandese e la calorosa famiglia fossero tutti agenti nazisti (…). Venni catturata il giorno del mio quindicesimo compleanno. Era l’11 maggio 1944 (…). Floris (un amico) mi porse un regalo (…) aprilo dopo colazione (…). Erano le otto e mezza e stavamo per cominciare a mangiare, quando si udì un deciso scampanellio alla porta (…). Di colpo si scatenò la baraonda. Dei soldati salirono rumorosamente le scale. I nazisti puntarono le canne delle armi dritte sulle nostre facce stupite e paralizzate (…). Non apri mai il mio regalo (…). Ero una ragazzina di soli quindici anni ed ero stata braccata dai nazisti di Paese in Paese, costretta a lasciare la mia casa e a nascondermi e ora mi trovavo in carcere. Ero sopraffatta dalla rabbia e dall’amarezza, ma in fondo sentivo un gran vuoto (…). Le baracche di legno e le condizioni di vita erano primordiali e la gente aveva l’aria tesa e preoccupata, ma non disperata.'

Il viaggio per Auschwitz-Birkenau: 'Eravamo a Westerbork da soli due giorni quando ricevemmo la terribile notizia: i nostri nomi erano sulla lista per il prossimo trasporto (…). Come mi avvicinavo al treno, vidi che molte persone dei primi carri bestiame erano zingari. Il trasporto in cui fummo ammassati partì il 19 maggio 1944 e portò 699 persone in diciotto vagoni. Dei 453 ebrei a bordo, 41 erano bambini. I bambini costituivano anche metà dei 246 zingari. Rimanemmo lì per più di un’ora. In seguito, scoprì che in quella carrozza c’erano più di cento persone, ma in quel momento sapevo solo che eravamo tutti schiacciati gli uni contro gli altri senza alcuno spazio per sedersi o muoversi. Alzando lo sguardo, vidi due finestrelle con le inferriate vicino al soffitto e due secchi di ferro in un angolo (…). Con un lungo e lento scossone, il treno cominciò a muoversi ed ebbi la sensazione di iniziare un viaggio all’inferno.'

Continua....

Fonte 'Sopravvissuta ad Auschwitz' di Eva SchlossKaren Bartlett. Newton Compton Editori

sabato 5 dicembre 2020

Covid-19, la terza ondata è quasi certa, ecco parchè

Non saranno un Natale ed un Capodanno sereni, almeno non per tutti. Continuare a rispettare in modo rigoroso le regole di contenimento del Covid-19 sarà dirimente per limitare la terza ondata della pandemia

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Giorgione - Adoration of the Shepherds
 National Gallery of Art,  Washington D. C. 
online collection ( foto da it-wikipedia.org)

Gli ultimi dati sull’epidemia dovuta al Coronavirus fanno ben sperare. Negli ultimi giorni sono calati i nuovi casi di contagio e, soprattutto, è in diminuzione il rapporto con i tamponi effettuati. Le misure adottate dal Governo sembrano funzionare, anche se resta molto alto il numero dei decessi. L'andamento della curva della pandemia torna a scendere in tutte le Regioni, ma il virus continua a circolare. La storia ci insegna che le epidemie si espandono per successive ondate. L’allentamento dell’attenzione durante l’estate è stata la principale causa dell’aumento dei contagi. Ora non bisogna ripetere lo stesso errore.

È il momento di mantenere alta l’attenzione, di continuare a rispettare con rigore le regole sul distanziamento. Un secondo ‘liberi tutti’ in occasione del Natale e del Capodanno potrebbe essere particolarmente grave.

L’arrivo della terza ondata è assai probabile. Le ragioni sono almeno tre. La prima è il rientro a scuola previsto per il 7 di gennaio. Coloro che insistono per un ripristino della didattica in presenza, prima tra tutti la ministra Lucia Azzolina, non tengono conto degli inevitabili assembramenti che questo comporterà nei mezzi di trasporti, nei locali pubblici e nelle aule scolastiche. Non vedere questi pericoli o fare finta di non vederli, non è comprensibile.

Un secondo motivo è il comportamento spesso 'infantile' dei negazionisti e non solo. Un allentamento delle misure per molti è interpretato come un ritorno alla 'normalità'. Gli italiani hanno bisogno di regole stringenti, altrimenti è l’anarchia. La stessa cosa succede a scuola. Quando i professori, per un qualunque motivo, allentano la tensione sulle regole di comportamento, il caos in classe e nei corridoi è assicurato. Purtroppo, quello degli adulti non è il ‘fanciullino’ che ritroviamo nelle poesie di Giovanni Pascoli, ma piuttosto una diffusa mancanza di cultura e di senso della comunità tipica di tanti italiani e non solo.

Infine, la motivazione più grave: l’arrivo dell’influenza stagionale. Tra la fine di dicembre e l’inizio di marzo milioni di italiani saranno costretti a stare a letto con la febbre. Per molti sarà complicato capire se si tratta di influenza o di Covid-19. La corsa a fare i tamponi sarà inevitabile. Questo comporterà un ulteriore intasamento degli ospedali. Ed ancora una volta capiremo quanto sia importante una medicina di base diffusa sul territorio e di come siano stati deleteri i tagli alla Sanità pubblica operati negli ultimi decenni.

Tra poche settimane dovremo affrontare la fase più complicata della pandemia e, ancora una volta, saranno i nostri comportamenti a fare la differenza. Di certo, con quasi mille morti al giorno per Coronavirus, parlare in questo momento di cena di Natale o del cenone di Capodanno è a dir poco paradossale.

giovedì 29 ottobre 2020

Siamo proprio sicuri che a vincere sarà Joe Biden?

I sondaggi per l'elezione del Presidente degli Stati Uniti d'America danno Donald Trump indietro rispetto all’altro candidato, Joe Biden. Nonostante ciò, ci sono alcune circostanze che potrebbero smentire le previsioni, ecco quali

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Donald Trump e Joe Biden

Di solito il Presidente uscente viene riconfermato. La circostanza si ripete dal 1993 e Donald Trump è al termine del primo mandato. Una sua rielezione, quindi, non è da escludere.

Tutti ricordano come andò quattro anni fa quando la candidata democratica, Hillary Clinton, era data per favorita. L’ex first lady pur avendo ottenuto, in valori assoluti, più voti del suo avversario non venne eletta. Sarebbe stata la prima donna a capo della Casa Bianca.

La sorpresa dell’indipendente e miliardario Donald Trump fu determinata da una campagna elettorale aggressiva, in perfetto stile sovranista, lo stesso che sta caratterizzando molti governi in tutto il mondo. Allora il popolo americano, soprattutto quello della provincia, votò in massa per l’attuale Presidente. Quello è stato un voto contro l’establishment democratico. Un rifiuto della élite di potere che da otto anni stavano guidando il Paese a stelle e strisce.

Del resto, la Sinistra non fa più la Sinistra da tempo, anche quella super soft degli Usa. Joe Biden, l’avversario di Trump è la sublimazione di questo decadimento ideologico. Rappresenta una classe dirigente autoreferenziale, lontana dai bisogni ‘reali’ di milioni di persone, soprattutto lavoratori.

I cambiamenti sociali ed economici che i 'liberal' d'oltreoceano propongono non sono adeguati a limitare le disuguaglianze e le ingiustizie provocate dal sistema economico capitalista. La riforma sanitaria approvata durante la presidenza di Barak Obama (Biden era il suo vice) è parsa agli elettori progressisti ‘poca cosa’ rispetto ai bisogni dei ceti sociali più deboli. Nessun presidente democratico è mai riuscito ad imporre delle limitazioni alla vendita di armi o ad introdurre un sistema di welfare degno di questo nome. È sempre prevalsa la logica del profitto, che è il mantra ideologico della maggioranza degli americani.

Il Partito democratico non ha saputo proporre neanche un candidato nuovo, lontano dai vecchi schemi di palazzo. La Sinistra americana non riesce ad imporsi e quella democratica non sa rinnovarsi. I vecchi ed i nuovi leader non si impegnano ad attuare un cambiamento radicale della società americana, ma si limitano ad opporsi alle bizzarrie del Presidente uscente. Troppo poco. Un partito senza ambizioni, senza un seguito popolare non può fare molta strada.

Tuttavia, come già avvenne nel 2016, a pochi giorni dal voto sembra che l’esponente democratico possa farcela. Sembra, appunto. Non possiamo affermare con certezza chi sarà eletto, ma se dovesse prevalere Joe Biden a vincere non sarebbe il candidato democratico, ma la certificazione di una sconfitta: quella dell’arroganza e della presunzione di Donald Trump. 


giovedì 22 ottobre 2020

144 milioni di bambini soffrono di malnutrizione cronica

Il rapporto 'La Malnutrizione infantile e l’impatto del Covid-19pubblicato da Save the Children conferma la crescita delle disuguaglianze causata dalla pandemia 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Campo profughi- (foto da facebook.it)
'La malnutrizione cronica colpisce nel mondo 144 milioni (circa il 21% del totale) di bambini sotto i cinque anniA sostenerlo è Save the ChildrenUno su due (78,2 milioni) vive in Asia, quattro su dieci (57,5 milioni) in Africa’Di questi 47 milioni sono affetti da ‘malnutrizione acuta’. 

La crisi causata dal Covid-19 potrebbe far cadere 27 Paesi ‘nella peggiore crisi alimentare di sempre, per l’impatto congiunto di crisi economica, insicurezza e instabilità politica, condizioni climatiche e malattie di origine animale’.

Secondo il rapporto ‘circa 6,7 milioni di bambini sotto i 5 anni potrebbero soffrire di malnutrizione acuta entro la fine di quest’anno’ ed il numero di quelli che vivono in famiglie povere potrebbe aumentare di 117 milioni.

Il Coronavirus sta aggravando anche le condizioni ‘socioeconomiche’ delle popolazioni che vivono in alcune aree. 1,6 milioni di bambini, a causa della pandemia non sono potuti andare a scuola e molti non hanno potuto usufruire della didattica a distanza. Con la conseguenza che, sottolinea il Report, ‘368,5 milioni di bambini non hanno potuto accedere neanche ad un pasto completo al giorno’.

Ed ancora. Un bambino su sei vive in paesi ‘fragili o flagellati da conflitti e guerre civili. Questo li espone a gravi forme di malnutrizione. Nel mondo ‘160 milioni di bambini crescono in aree soggette a siccità, mentre un altro mezzo miliardo si concentri in aree ad alto rischio di alluvioni e di tempeste’.

La pandemia, le guerre, i cambiamenti climatici, sono un mix micidiale per milioni di individui, soprattutto bambini. Con il Covid-19 aumentano le disuguaglianzeI ricchi continuano ad accrescere i loro patrimoni, mentre milioni di bambini si aggiungeranno a quelli che già oggi soffrono di fame e di malnutrizione. 

Le crisi economiche e sanitarie non sono uguali per tutti, ma sono un’ulteriore occasione per creare nuove ingiustizie ed il Rapporto di Save the Children ne è la conferma.

Fonte savethechildren.it

domenica 18 ottobre 2020

Pensionati: i 'furbetti' dei paradisi fiscali

Mentre si cerca di attrarre nel nostro Paese i pensionati stranieri, la fuga di quelli italiani continua

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da lindro.it
Non solo imprese e facoltosi imprenditori si trasferiscono all’estero per pagare meno tasse, adesso a farlo sono anche i pensionati italiani. Nel 2019 secondo i dati Inps erano 388 mila. La maggior parte lo fa per ragioni familiari e gli assegni sono mediamente bassi, circa 259 euro. Ma ci sono anche pensionati che percepiscono assegni più consistenti e che hanno deciso di andare ad abitare all’estero per pagare meno tasse. I paradisi fiscali sono in diversi paesi, alcuni fanno parte dell’Unione europea. La metà preferita dagli italiani è il Portogallo. Clima mite e comunità accoglienti dove i redditi dei pensionati ‘non abituali’ sono esentati dal pagamento delle tasse per dieci anni. Unica condizione richiesta dal governo portoghese è la dimora per sei mesi all’anno. I nostri connazionali che nel 2019 hanno usufruito di questa agevolazione fiscale erano 2.897 ed hanno ricevuto mediamente dall’Inps 2.719,99 euro al mese.

Altra meta degli italiani è Cipro. Qui i ‘furbetti’ residenti sono circa 200. Essi godono di una no tax area fino a 19.500 euro all’anno. Questo significa che chi ha una pensione di 1.500 euro al mese non paga nulla, fino a 2.500 euro versa il 2,5%, che diventa il 3% fino a 3.500 euro. Chi ha una pensione superiora paga il 3,5% di tasse.

Malta è stata scelta da circa cento italiani. Il sistema fiscale prevede un’aliquota fissa del 15%.

Infine, la Tunisia, dove l’80% del reddito imponibile è esente. La tassazione, cioè, è solo sul restante 20%. L’aliquota è progressiva, quella massima è del 35% ma riguarda solo i redditi sopra i 50.000 euro.

Per frenare questo fenomeno il Parlamento ha introdotta con la Legge di Bilancio del 2019 (corretta con il Decreto crescita) un’imposta sostitutiva del 7%. I pensionati italiani o stranieri residenti all’estero ne possono usufruire per dieci anni se si trasferiscono in un piccolo Comune del Sud che ha meno di 20 mila abitanti.

I furbetti della pensione si aggiungono alle grandi e medio-piccole imprese che hanno delocalizzano o trasferito le loro sedi nel paradisi fiscali. Quello che è paradossale è che alcuni di questi paesi fanno parte dell’Unione europea. Abbiamo un mercato economico comune, la libera circolazione di merci e persone, la stessa moneta e la stessa Banca centrale, ma sistemi fiscali diversi. Fino a quando dovremo assistere a queste 'furberie' degli Stati, delle imprese ed ora anche dei pensionati?

Fonte inps.it

sabato 10 ottobre 2020

Covid-19, è in arrivo la seconda ondata

Per la prima volta i nuovi casi di Covid-19 registrati in un solo giorno in Europa sono stati oltre 100 mila, ormai è chiaro, la seconda ondata della pandemia è iniziata, ed ora?

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella
(Foto da @chetempochefa)

Il Ministro della Salute, Roberto Speranza, pochi giorni fa ha dichiarato che ‘sarà un autunno di resistenza’ ed ancora che saranno mesi da affrontare ‘con il coltello tra i denti’. Il numero dei contagiati continua a crescere. Coloro che in queste settimane hanno minimizzato sulla pericolosità del Covid-19 sono stati smentiti dai fatti ancora una volta. La situazione peggiora in Europa. In un solo giorno i nuovi casi di Coronavirus sono stati oltre 100 mila. Record in Russia e nei Paesi dell’Est e continuano a crescere in Gran Bretagna, in Francia, in Spagna ed ora anche in Germania ed Italia. Chiudono interi quartieri delle città e tornano le limitazioni alle attività di ristorazione e sportive. I Governi reintroducono l’obbligo delle mascherina all’aperto ed il divieto di assembramenti anche tra conoscenti e parenti. Ma è solo l’inizio.

Il nostro Paese sembrava un’oasi felice, invece non è così. L’epidemia sta riprendendo vigore. Non solo, stavolta i focolai pandemici sono diffusi su tutto il territorio nazionale. Si ha la sensazione che tutte le precauzione prese finora non siano state sufficienti a contenere i contagi. Il ‘liberi tutti’ o quasattuato durante la stagione estiva ha creato le condizioni per la diffusione del virus.

Senza considerare il fatto che ancora non sappiamo quali saranno gli effetti che causerà il rientro a scuola. I primi dati, al di là delle rassicurazioni della ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, non sono confortanti. Non c’è istituto dove non si registra qualche caso di positività. Alcune scuole sono già in Dad. Come era facilmente prevedibile le misure di contenimento stanno limitando i contagi, ma non riescono ad impedirli.

La seconda ondata della pandemia è arrivata in anticipo rispetto alle previsioni degli esperti. Sarà un autunno piuttosto complicato anche perché sarà difficile distinguere i sintomi del Coronavirus con quelli dell’influenza stagionale. Solo i tamponi potranno accertare se la febbre sarà dovuta all’uno o all’altro virus. Gli ospedali e i laboratori di analisi reggeranno una nuova situazione di criticità? E, soprattutto, riusciremo a limitare le terapie intensive ed i decessi? Una risposta certa non può esserci, possiamo solo fare gli scongiuri o pregare, ma soprattutto continuare a adottare tutte le precauzioni che da mesi gli esperti ed i politici, tranne qualcuno, ci spiegano e ci invitato a rispettare.

martedì 6 ottobre 2020

Il Covid-19 sta accentuando le disuguaglianze

Uno studio pubblicato da Istitute for Policy Studies evidenzia come ‘le risposte pandemiche e imperfette abbiano ampliato le divisioni economiche, razzali e digenere di lunga data’

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da ips-dc.org

Negli Stati Uniti i morti per Covid-19 sono circa 200 mila, lo stesso numero di deceduti con i bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki. Non solo, sono di più delle vite americane perse nella guerra in Vietnam, l’11 settembre e la Prima guerra mondiale messe insieme. Ora, dopo aver minimizzato per mesi sulla diffusione della pandemia, anche il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, è risultato positivo al Covid-19. Chissà se è ancora convinto del fatto che ‘la malattia non colpisce praticamente nessuno’. Evidentemente il Presidente uscente degli Usa si riferiva ai suoi amici miliardari. I ricchi hanno meno probabilità di contagiarsi. Le ragioni sono ovvie. Non vanno al lavoro. Non devono spostarsi affollando i mezzi di trasporto ed i luoghi di ritrovo che frequentano sono ‘esclusivi’. Non solo. Secondo Ips molti di essi hanno visto le loro ricchezze ‘espandersi nel periodo della pandemia’.

La ricchezza di circa 600 miliardari statunitensi è cresciuta notevolmente. Quella dei cinque più ricchi è aumentata ancora più velocemente. ‘Jeff Bezos (Amazon), Bill Gates (Microsoft Corporation), Mark Zuckerberg (Facebook Inc.), Warren Buffet (Berkshire Hathaway) ed Elon Musk (Tesla, SpaceX, Neuralink e The Boring Company) hanno visto un aumento del 59% della loro ricchezza tra il 18 marzo ed il 20 settembre è passata da $ 358 miliardi a $ 569 miliardi’.

Nello stesso tempo l’epidemia sta colpendo soprattutto i ceti sociali più deboli. Gli stessi che pagheranno più pesantemente gli effetti della crisi. In particolare, essi avranno maggiori possibilità di perdere il posto di lavoro.

Il tasso di mortalità negli Usa è simile a quello di altri paesi in via di sviluppo ‘altamente diseguali’ come Brasile e Messico. Percentuale che è superiore rispetto a quella delle nazioni sviluppate più ‘egualitarie’ e con un buon sistema sanitario pubblico come Italia e Germania’. Non solo, i decessi per Covid-19 dei neri americani sono doppi rispetto a quelli delle altre razze del continente.

Il Coronavirus sta facendo emergere le criticità tipiche del sistema economico capitalistico. Anziché ridurre le ingiustizie le sta aggravando. I ricchi sono sempre più ricchi ed hanno meno probabilità di ammalarsi ed in ogni caso possono avvalersi dei migliori centri di cura in caso di contagio. Non rischiano il posto di lavoro e comunque dispongono di patrimoni che gli garantiscono la stabilità economica. No, nonostante i progressi delle tecnologie produttive e della crescita culturale, continuano ad aumentare le disuguaglianze e le ingiustizie, forse è giunto il momento di cambiare rotta.

Fonte ips-dc.org


lunedì 21 settembre 2020

Eurostat, cresce il divario tra il sud Italia ed il resto d’Europa

L’annuario regionale 2020 pubblicato da Eurostat evidenzia il crescente divario tra le regione del sud Italia e il resto d’Europa, ecco alcuni dati significativi

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Eurostat, Annuario regionale 2020
(Foto da ec.europa.eu)

L’Eurostat ha pubblicato l’annuario regionale 2020. Le informazioni statistiche evidenziano alcuni dati significativi. Tra questi le regioni dell’Unione europea dove più alto è il rischio di cadere in povertà. Tra le prime dieci ci sono la Sicilia con una quota del 40,7%, la Calabria con il 32,7% e, al primo posto, la Campania con il 41,4%. La media europea è del 16,8%. Tra le aree dell’Europa in cui più marcata è la differenza tra il livello di occupazione degli uomini e delle donne ci sono la Campania, la Sicilia, la Calabria, la Puglia e la Basilicata. In media il divario supera il 25%. 

Il tasso di occupazione femminile in Europa è del 67%. Il più alto è a Stoccolma con l’83,3%. Poi ci sono i rischi ambientali. Otto regioni italiane sono al vertice della classifica per erosione del suolo. Al primo posto ci sono le Marche con una quota del 47,6%. Seguono la Sicilia (43,9%), la Calabria (40,2%), la Campania (37,4%), il Molise (37,2%), la Valle d’Aosta 33,9%), la Basilicata (32,1%) e l’Umbria (32%). La media europea è del 5,3%. 

Se invece prendiamo in considerazione l’aspettativa di vita nei primi sei posti ci sono le Provincie di Trento (82,7) e Bolzano, l’Umbria, le Marche, e la Toscana. La media europea è di 78,2. 

L’indagine di Eurostat è impietosa per il Meridione. Rischio povertà ed emergenze ambientali, gap occupazionali, aspettative di vita e non solo, il divario tra il Sud ed il resto d’Italia e d’Europa continua a crescere. Certo ci sono ragioni ‘strutturali’ e territoriali, ma ci sono anche e soprattutto le responsabilità dei governanti nazionali ed europei che si sommano a quelle degli amministratori locali. 

Il Recovery fund e, eventualmente il Mes, predisposti dall’Unione europea per far fronte alla crisi determinata dal Covid-19 serviranno a ridurre queste distanze o continueranno ad accrescerle? Una risposta certa non ci può essere, ma qualche preoccupazione su come i finanziamenti saranno utilizzati i cittadini del sud Europa dovrebbero averla.

Fonte Eurostat


sabato 25 luglio 2020

‘L'umanità è più importante dei nostri soldi’

‘Oggi noi sottoscritti milionari chiediamo ai nostri governi di aumentare le tasse su persone come noi. Subito. Sostanzialmente. Permanentemente’, dalla lettera dei Millionaires for Humanity

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Paperon de' Paperoni - (Foto da quotidiano.net)
A differenza di decine di milioni di persone in tutto il mondo, non dobbiamo preoccuparci di perdere il nostro lavoro, le nostre case o la nostra capacità di sostenere le nostre famiglie. Non stiamo combattendo in prima linea in questa emergenza e abbiamo molte meno probabilità di essere le sue vittime. Quindi per favore. Tassaci. Tassaci. Tassaci. È la scelta giusta. È l'unica scelta. L'umanità è più importante dei nostri soldi. Con questa considerazione finale si conclude la lettera scritta e pubblicata dai ‘Millionaires for Humanity’.
Non sono pericolosi comunisti, del resto quelli veri non lo sono mai stati, e neanche violenti rivoluzionari con le bandiere rosse e la falce e martello del secolo scorso. No, questi sono milionari, anzi super ricchi preoccupati delle conseguenze economiche e sociali del Covid 19. ‘Non stiamo guidando le ambulanze che porteranno i malati negli ospedali. Non stiamo rifornendo gli scaffali dei negozi di alimentari o consegnando cibo porta a porta. Ma abbiamo soldi, molti. Soldi che sono disperatamente necessari ora e continueranno a essere necessari negli anni a venire, mentre il nostro mondo si riprende da questa crisi’.
Ci sono già ‘un miliardo di bambini che non vanno a scuola, molti dei quali non hanno accesso alle risorse di cui hanno bisogno per continuare il loro apprendimento’ e la crisi provocherà milioni di disoccupati e mezzo miliardo in più di poveri. Ed ancora: ‘La nostra interconnessione non è mai stata più chiara. Dobbiamo riequilibrare il nostro mondo prima che sia troppo tardi. Non ci sarà un'altra possibilità per farlo beneI leader del governo devono assumersi la responsabilità di raccogliere i fondi di cui abbiamo bisogno e di spenderli equamente. Possiamo assicurarci di finanziare adeguatamente i nostri sistemi sanitari, scuole e sicurezza attraverso un aumento fiscale permanente sulle persone più ricche del pianeta, persone come noi’.
Non è la prima volta che una parte sia pure limitata di miliardari chiede di essere tassata di più ed in modo permanente. Chiedono una ‘patrimoniale’, uno dei pochi strumenti in grado di ridurre, almeno in parte, le enormi disuguaglianze generate dal sistema capitalistico, ma la politica ha le competenze e le capacità per imporla? Questi 83 milionari non sono ‘pericolosi estremisti’ e non sono ‘impazziti’, sono solo persone di buon senso che mettono a disposizione della comunità il loro ‘superfluo’. Meglio di niente.
Ovviamente poche persone di buona volontà ed una lettera d'intenti non sono sufficienti per cambiare il mondo, ma sono, comunque, segnali che qualcosa si sta muovendo.

martedì 21 luglio 2020

Ora siamo un po' più europei


‘L’Europa non è solo una questione geografica, ma la raffigurazione di una storia geniale che ha definito il mondo attuale, portando la cultura ovunque, propagando il fuoco di Prometeo e il volo di Dedalo negli altri continenti’Pier Gariglio

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

I cosiddetti Paesi ‘frugali’, cioè Austria, Olanda, Svezia e Danimarca, alla fine hanno ceduto. L’Europa stanzierà 750 miliardi di euro per far fronte alla crisi causata dal Coronavirus. Di questi 390 miliardi sono a fondo perduto. Il 27,87%, cioè 209 miliardi, andrà al nostro Paese, 82 miliardi sono contributi, mentre i restanti 127 miliardi sono prestiti ad un tasso agevolato, quindi convenienti per il nostro Erario.
Per la prima volta l’Unione europea destina risorse che sono a carico del bilancio comunitario. È un fatto storico. Un passo decisivo verso gli Stati Uniti d’Europa. Abbiamo un mercato comune, una moneta unica, una Banca centrale europea, la libera circolazione di persone e cose, piani di aiuto per i Paesi in difficoltà, la cittadinanza europea, un Parlamento ed un Governo comune, ed ora anche debiti condivisi. Si, l’Europa c’è.
Ci sono volute guerre e violenze inaudite perpetrate per secoli da un popolo su un altro, ma ormai abbiamo compreso. La direzione intrapresa nel lontano 1957 è quella giusta. Condivisione e solidarietà, nella convinzione che le differenze arricchiscono.
Si, continuiamo ad essere italiani, francesi, tedeschi, olandesi, spagnoli, slavi, ma siamo anche e soprattutto europei. Una collettività fondata su una cultura millenaria. Dove nessuno è lasciato da solo e dove la vita di ciascuno è al centro di un progetto politico e sociale condiviso. Oggi possiamo essere fieri di questa grande comunità e di quanti hanno combattuto per raggiungere questo risultato.

lunedì 20 luglio 2020

E se i ‘Frugali’ avessero ragione?


‘Per l’Italia solo prestiti, niente contributi a fondo perduto. In futuro deve imparare a fare da sola’, questa è l’opinione sul Recovery Fund del premier olandese Mark Rutte

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Un momento della riunione del Consiglio europeo
(foto da unionesarda.it)
I cosiddetti paesi ‘Frugali’, cioè Austria, Olanda, Svezia e Danimarca, si oppongono al Recovery fund. Ammettono l’urgenza di un intervento da parte dell’Unione europea per i problemi causati dal Covid19, ma non si fidano dei Paesi del sud Europa ed in particolare dell’Italia. I problemi in discussione al Consiglio europeo sono: quanto deve essere l’ammontare complessivo del finanziamento? deve essere a fondo perduto (Recovery fund) o un prestito (Mes)? come e chi ne deciderà l’utilizzo e, soprattutto, chi dovrà controllare sull’operato dei singoli Stati?
La diffidenza verso il nostro Paese non è di oggi, ma risale, almeno, agli anni Ottanta, quando il debito pubblico raddoppiò nel giro di un decennio. Nel 1992 eravamo sull’orlo del fallimento. Molti risparmiatori ricordano ancora oggi il prelievo forzoso del sei per mille operato sui conto correnti delle banche italiane. Quell’anno, con il Trattato di Maastricht, ci impegnammo a ridurre il rapporto debito/Pil dal 120% al 60%. Gli unici governi che riuscirono a diminuire tale relazione (fino al 100%) furono quello di Romano Prodi e, poi, dopo l’uscita dalla maggioranza di Rifondazione comunista, quelli di Massimo D’Alema e di Giuliano Amato. Nel 2011 la situazione debitoria era così grave che Silvio Berlusconi dovette dimettersi da presidente del Consiglio. I tagli del successivo Esecutivo di Mario Monti servirono a mettere una 'pezza' ai buchi di bilancio, ma non cambiarono di molto il rapporto del debito con il Pil, che intanto era giunto ad oltre il 135%. In più ci impegnammo al pareggio di bilancio con una riforma costituzionale (art.81 Cost.) approvata rapidamente ed a larghissima maggioranza. Non solo non abbiamo mantenuto quella ed altre promesse fatte, ma abbiamo continuato a fare deficit, soprattutto con il Governo gialloverde. Quota 100 e il Reddito di cittadinanza ci costano quasi 15 miliardi di euro ogni anno. Ora, intendiamo accollare il nuovo debito causato dalla crisi economica e sanitaria al bilancio comunitario. Da qui la diffidenza di diversi paesi dell'Unione europea.
Perché i ‘Frugali’ dovrebbero fidarsi di noi? Facciamo promesse che regolarmente non manteniamo. Siamo un Paese ricco, con risorse umane e ambientali che solo poche altre nazioni hanno, eppure siamo inaffidabili nell’utilizzo delle risorse collettive, perché? Il problema è, di certo, culturale. La colpa è sempre di quello che c’era prima ed ora dell’Euro e dell’Europa. Continuiamo a scaricare sugli altri i nostri errori. Nulla è gratis e non dobbiamo aspettare sempre di giungere al limite del baratro per comprenderlo. Ora è tempo di crescere e di iniziare ad assumerci le nostre responsabilità.

martedì 16 giugno 2020

Negli Usa circolano più armi che persone


‘Il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non può essere infranto’, questo è quanto afferma il Secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da freespeech.org
La conquista del West non è stato un fatto epico come hanno tentato di inculcarci con la cinematografia di Hollywood e non solo. Un intero popolo è stato annientato con la violenza. Consentire ai civili di armarsi era funzionale alla realizzazione di quell’obiettivo. Esigenza confermata con la Guerra d’Indipendenza. I Padri costituenti, quindi, non potevano non inserire nella Costituzione il principio della legittimità del possesso di armi.
Quello che sorprende è come sia stato possibile che in oltre due secoli di storia nel popolo americano non sia nata l’esigenza di un cambiamento. Ancora oggi la maggioranza dei cittadini continua a ritenere necessario il mantenimento di quel principio sancito nel 1787. Cambiare opinione è difficile. Poche multinazionali e decine di migliaia di venditori al dettaglio impediscono ogni tentativo di limitare per legge la vendita di armi e di conseguenza di ridurre la produzione di armi. Secondo un ‘report del Congressional Research Service negli Usa circolano 357 milioni di armi da fuoco contro una popolazione di 318,9 milioni di persone’. Sul suolo del Paese a stelle e strisce circolano più armi che persone. Non solo, ‘il 42% di civili armati del mondo’ è di nazionalità americana.
Per comprare armi basta essere maggiorenni e presentare un documento di identità, ‘il venditore si limiterà a registrare i dati ed associali all’arma’. Chiunque può farsi un arsenale. Nonostante le rigorose misure di repressione previste dall’ordinamento giudiziario, gli Stati Uniti sono il Paese occidentale dove maggiore è il numero di vittime causato da armi da fuoco. Non solo, maggiore è anche il numero di suicidi e l’uccisione di civili attribuita alla polizia. E non è un caso che le sparatorie di massa, cioè quelle con un numero di vittime pari o superiore a 4, siano quasi giornaliere.
Gli Usa sono una superpotenza economica e militare e si ritengono una grande Democrazia, ma, nonostante ciò, restano uno dei Paesi dove i diritti civili non sono pienamente affermati. Non rappresentano cioè un valore primario. Prima viene la libertà di fare profitti, poi, dopo, tutto il resto. Il diritto alla salute, ad una retribuzione dignitosa, all’uguaglianza tra bianchi e neri e, persino, il diritto alla vita sono secondari rispetto al 'business' delle armi. La cultura di un Paese si misura con la sua capacità a garantire i diritti civili e sociali ai suoi cittadini, ed in questo gli Usa hanno molto da imparare da altri popoli, e non solo da quello europeo.

Fonte focus.it

venerdì 29 maggio 2020

Nel 2020 il debito pubblico pro-capite di ogni italiano salirà a 43.000 euro


La Banca d’Italia ha diffuso la Relazione annuale 2019 e le previsioni per il 2020, i dati confermano il notevole incremento del debito pubblico ed il forte calo del Pil

di Pulvino Giovanni (@PulvinoGiovanni)

Foto da bancaditalia.it
Secondo le previsioni della Banca d’Italia ‘il disavanzo del 2020 e quello del 2021 saliranno rispettivamente di circa 8 e 4 punti percentuali’Ed il rapporto tra il debito ed il Pil aumenterà ‘di oltre 20 punti percentuali’, cioè salirà ad oltre il 155,7%, ma nel 2021 dovrebbe calare grazie alla ripresa economica. Nel primo trimestre di quest’anno il Prodotto interno lordo è già diminuito del 4,7%. Tutto ciò comporterà un forte calo dei redditi delle famiglie, soprattutto per quelle con redditi più bassi. Gli effetti ‘dovrebbero essere attenuati dagli ammortizzatori sociali’ e dai provvedimenti emanati dal Governo
Il 31 marzo scorso il debito pubblico era, in termini assoluti, di 2.431 miliardi di euro. Per il 2020 è prevista una crescita di circa 190 miliardi di euro, cioè salirà a circa 2.600 miliardi di euro. Questo significa che il debito pro-capite di ogni italiano, disoccupato o miliardario che sia, aumenterà ad oltre 43.000 euro
La crisi causata dal Coronavirus è la più grave dalla Seconda guerra mondiale. Il Governo italiano ha dovuto prendere misure importanti per contenere il disagio sociale e per garantire liquidità alle imprese. Provvedimenti che stanno incrementando in modo abnorme il debito pubblico. Il Recovery fund predisposto dall’UE limiterà le conseguenze finanziarie del disavanzo di bilancio, ma resterà comunque un enorme fardello con cui gli italiani dovranno fare i conti. 
Il peso relativo dell'incremento del debito sarà diverso a seconda del ceto sociale di appartenenza, come diverse e più gravi saranno le conseguenze economiche sulle categorie meno abbienti, ma anche questa non è una novità.

domenica 24 maggio 2020

La rivoluzione post-Coronavirus ‘non sa da fare’


Riduzione dell’orario di lavoro, reddito minimo universale, economia circolare e sostenibile, sono cambiamenti possibili oltreché necessari, ma questa rivoluzione non ci sarà

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Influenza spagnola, 1918/1920 (foto da vanillamagazine.it)
La crisi sanitaria causata dal Covid 19, il crollo del Pil e l’incremento abnorme del debito pubblico potrebbero essere l’inizio di un mutamento radicale nei rapporti sociali. In questi mesi ci siamo resi conto che senza l’abnegazione degli operatori sanitari non ci sarebbero state cure per tutti. Ed ancora, se i lavoratori rimangono a casa l’economia crolla. Niente produzione e niente ricchezza. Tutto finisce.
La pandemia ci ha insegnato che nessuno può essere lasciato da solo. Questo principio di solidarietà dovrebbe essere alla base della società post-Coronavirus. Per realizzare questa ‘rivoluzione’ è indispensabile ripartire dal lavoro e dalla giustizia sociale. Non è più accettabile che ci siano pochi individui straricchi e miliardi di persone che vivono in povertà. Non ora, almeno, dopo aver constatato la fragilità della vita e le difficoltà che l’uomo deve affrontare quotidianamente.
E non ci potrà essere crescita economica e sociale se gli ultimi continueranno ad essere ultimi e se non ci sarà la consapevolezza che al centro dello sviluppo umano non c’è il capitale, ma il lavoro ed i lavoratori. Le soluzioni, se si vuole, ci sono e sono semplici: ridurre l’orario settimanale di lavoro per garantire a tutti un’occupazione dignitosa ed un reddito minimo universale per eliminare la piaga della povertà e della miseria. Oggi tutto questo è possibile. Le nuove tecnologie ci permettono di produrre di più e meglio, ma poi è necessario distribuire la ricchezza prodotta in modo equo.
Le grandi crisi economiche e sanitarie possono essere un’opportunità per ridurre le ingiustizie sociali, ma occorre volerlo. Tutela dell’ambiente ed economia circolare sono già il presente. Riutilizzo delle risorse ed energie rinnovabili, riduzione delle disuguaglianze e pari opportunità per tutti sono esigenze necessarie ed ineludibili del sistema economico. Primo o poi questo sarà. Allora perchè non ora?
Per tanti, la rivoluzione post-Coronavirus ‘non sa da fare’L’individualismo e la logica del profitto, per loro, saranno prioritari nel cammino dell’uomo ancora per molto tempo. Vedremo. Quello che è certo è che le sofferenze e le difficoltà vissute in queste settimane non saranno state inutili solo se l’uomo sarà capace di fare un passo avanti verso il bene comune ed una maggiore giustizia sociale.

sabato 16 maggio 2020

Chi pagherà i costi economici e finanziari causati dal Coronavirus?


In autunno potremmo essere travolti da un doppio tsunami: quello sanitario e quello economico-finanziario. Solo l’Unione europea potrà impedirlo, ma occorrerà la volontà dei singoli Stati, anche di quello italiano

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da occhionotizie.it
Secondo gli specialisti la battaglia contro il Covid 19 non è stata vinta ed un ritorno alla normalità non potrà avvenire prima di uno o due anni. Questo sarebbe infatti il tempo necessario per raggiungere l’immunità di gregge. Qualcuno è ancora più pessimista. Ritiene che il Coronavirus resterà tra noi per lungo tempo, come è avvenuto con l’Hiv. Con l’arrivo della ‘bella stagione’ la pandemia ridurrà i suoi effetti, ma molti temono una rapida e pericolosa ripartenza nel prossimo autunno. Una nuova crisi sanitaria è quindi una eventualità che potrebbe verificarsi. 
Il Governo sta erogando decine di miliardi di euro a cittadini ed imprese in difficoltà. Sono provvedimenti inevitabili. Ma tutto questo ha un costo finanziario. Il Prodotto interno lordo potrebbe calare del 10%. Si tratta, nei fatti, di un impoverimento generalizzato che determinerà un calo preoccupante delle entrate tributarie. In questa situazione il rapporto tra il debito ed il Pil potrebbe superare abbondantemente il 150%. All’inizio del 2020 era circa il 135%. Con il Trattato di Maastricht del 1992 ci eravamo impegnati a ridurlo al 60% del Pil (allora era al 120%). Insomma, per evitare il conflitto sociale ci stiamo indebitando ulteriormente ed in modo abnorme. In futuro, sapremo sostenere questo fardello? E soprattutto i mercati finanziari ed i risparmiatori fino a quando saranno disposti a darci fiducia e non avranno timore a comprare in nostri titoli di Stato? 
L’unico strumento finanziario che potrebbe evitarci il peso di questi ulteriori debiti è il cosiddetto ‘Recovery fund’. Esso, infatti, non graverebbero sui singoli bilanci statali, ma su quello dell’Unione europea. Sarebbe il passaggio decisivo verso gli Stati Uniti d’Europa, ma i Paesi membri, Italia in primis, saranno disposti a rinunciare ad una parte consistente della loro sovranità nazionale? 
Intanto, stando così le cose, in autunno rischieremo un doppio tsunami: quello sanitario e quello economico. Finora il Governo ha evitato il conflitto sociale. Ma cosa succederà quando dovremo fare i conti con i costi della pandemia? Chi pagherà per il disavanzo di bilancio? E soprattutto, reggerà il sistema democratico o ci affideremo ancora una volta a l’uomo della ‘Provvidenza’?

mercoledì 29 aprile 2020

La dignità del lavoro


‘Si può considerare veramente libero un uomo che ha fame, che è nella miseria, che non ha un lavoro, che è umiliato perché non sa come mantenere i suoi figli e educarli? Questo non è un uomo libero’, Sandro Pertini

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


Il 'Quarto Stato' di Giuseppe Pellizza, 1901
(foto da it.wikipedia.org)
Il primo maggio 1886 a Chicago i sindacati iniziarono uno sciopero per rivendicare migliori condizioni contrattuali, in particolare per ridurre ad 8 ore l’orario giornaliero di lavoro. La protesta continuò per diversi giorni. Il 3 maggio la polizia attaccò senza preavviso i manifestanti provocando due morti e diversi feriti. Il giorno dopo durante il presidio di Haymarket Square dalla folla qualcuno lanciò un ordigno che provocò l’uccisione di un poliziotto. Le forze dell'ordine reagirono sparando sui manifestanti. Alla fine della giornata si contarono 11 morti e molti feriti. Tra le vittime 7 agenti, ad ucciderli fu il fuoco amico. Cinque lavoratori furono accusati ingiustamente dell’attentato, quattro furono giustiziati, uno per evitare l'impiccagione si suicidò. La loro riabilitazione avverrà solo nel 1893. Non si seppe mai chi lanciò l’ordigno che provocò la tragica reazione della polizia.
Nel 1886 nelle fabbriche si lavorava anche 16 ore al giorno e la ‘sicurezza’ non era neppure presa in considerazione ed i morti sul lavoro erano un fatto quotidiano. Tre anni dopo da quei tragici eventi, il 20 luglio del 1889, a Parigi, durante il primo congresso della Seconda Internazionale, fu deciso dai partiti socialisti e laburisti europei di indire ogni primo maggio una manifestazione per ridurre la giornata lavorativa ad 8 ore. Da allora, in quel giorno dell'anno si celebra la festa dei lavoratori.
Oggi la dignità del lavoro è riconosciuta in quasi tutto il mondo. Due secoli di lotte operaie e contadine, di scioperi e di vittime innocenti non sono state vane. È cresciuta l’importanza del ruolo e della professionalità dei lavoratori. Ma non tutto è dato per sempre. Nulla è gratis e non ci può essere cambiamento senza impegno e conflitto sociale. Per molti il lavoro è vissuto ancora come un'imposizione che si è disposti a subire solo per garantire un minimo di sussistenza economica alla propria famiglia. Si tratta, di occupazioni occasionali o di attività precarie e mal retribuite. A cui si devono aggiungere luoghi di lavoro spesso pericolosi ed alienanti e datori di lavoro improvvisati ed autoritari. 
Il lavoro deve diventare un'attività che consenta ad ognuno la possibilità di esprimere la propria creatività e le proprie capacitàNon basta più lottare per la conquista dei diritti, è giunto per i lavoratori il tempo di battersi per ricoprire ruoli di primo piano nelle scelte e nelle decisioni strategiche su cosa, su come e per chi produrre.
‘Un uomo che non ha un lavoro, che vive nella miseria, non è libero’. Certo. La libertà dal bisogno ha come presupposto il lavoro, a condizione, però, che esso non sia una necessità economica o peggio ancora un'attività da svolgere per garantire il profitto e la ricchezza di pochi.

sabato 18 aprile 2020

Stati Uniti d’Europa, se non ora, quando?


La grave crisi sanitaria ed economica causata dal Coronavirus potrebbe sviluppare tra gli europei un nuovo spirito comunitario, ma per tanti gli Stati Uniti d’Europa rimangono un’utopia, per altri una iattura da impedire a tutti i costi

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da change.org
Di solito i grandi eventi storici facilitano i mutamenti sociali e politici. Il dramma sanitario che stiamo vivendo ci costringerà a cambiare stile di vita. Dovremo adattarci ad una nuova organizzazione del lavoro, ad un diverso utilizzo dei trasporti e del tempo libero. Ci saranno mutamenti significativi nei rapporti tra governati e governanti e nelle relazioni internazionali, in particolare tra i Paesi membri dell’Unione europea. Uno di questi cambiamenti potrebbe riguardare la struttura e l’organizzazione politica dell’Ue. Sul suo ruolo e sulla sua struttura istituzionale esistono due visioni contrapposte. Ma le vicende delle ultime settimane potrebbero rendere inevitabile un passo in avanti verso l’unione federale. L’alternativa è l’immobilismo. Restare cioè una confederazione di Stati, dove ognuno continuerà ad agire nel solo interesse nazionale.  
La disputa sul Mes e sugli Eurobond è emblematica. Da un lato ci sono Stati che da sempre ricorrono all’indebitamento per coprire i disavanzi di bilancio e vogliono continuare a farlo anche come membri dell’Unione europea. Dall’altro lato ci sono Paesi più ‘parsimoniosi’ che usufruiscono dei vantaggi del mercato comune europeo senza però volerne condividere i problemi finanziari. Inoltre, alcuni di essi, essendo dei veri e propri paradisi fiscali (Olanda, Lussemburgo, Irlanda), non hanno nessuna intenzione di equiparare i sistemi tributari. A tale proposito, è bene ricordare che molte grandi e piccole aziende italiane, come Fca e Mediaset, hanno la loro sede fiscale in questi Paesi. 
L’Unione europea è, di fatto, una ‘istituzione incompiuta’. Abbiamo una moneta unica, una Banca centrale europea e tante norme che regolano la vita sociale ed economica dei cittadini, ma, nello stesso tempo, abbiamo bilanci nazionali e sistemi fiscali non omogenei e spesso contrastanti. In questo modo è inevitabile che il sistema economico e finanziario dell’Ue sia soggetto periodicamente alle turbolenze dei mercati e degli speculatori. 
Ora è tempo di decidere se istituire un’entità politica comune oppure se è meglio tornare agli Stati nazionali. Per alcuni l’integrazione federale sarebbe un’utopia, mentre per altri sarebbe un dramma politico e sociale da impedire a tutti i costi. Da soli si perde, questo è certo e l’epidemia del Coronavirus lo dimostra. La fiducia e la solidarietà tra i popoli sono fondamentali, senza non ci può essere condivisione e non ci può essere un’Europa unita e prospera.

martedì 14 aprile 2020

MES o Eurobond? Ecco le differenze


Che cos'è il MES? Cosa sono gli Eurobond? Perché quasi tutte le forze politiche sono contrarie al MES? Ecco una possibile spiegazione 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

I Paesi membri del MES
(foto da it.wikipedia.org)
Si cominciò a discutere della necessità di un dispositivo di stabilità finanziaria dell’Eurozona già nel 2010. L'Ue, a seguito della grave crisi del 2008 e della tempesta finanziaria che stava colpendo i Paesi dell’Europa, ha predisposto un meccanismo di stabilita finanziaria. I contenuti del trattato furono definiti dal Consiglio Europeo del 25 marzo 2011, a rappresentare l’Italia c’era il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. L’accordo, entrato in vigore nel luglio del 2012, prevede il finanziamento dei Paesi in difficoltà finanziarie che ne fanno richiesta. Ha stabilire il fabbisogno finanziario di quel Paese e le condizioni per la sua erogazione è, poi, l’organo plenario del MES.
I principali Stati che finanziano il Fondo sono la Germania (27,14%), la Francia (20%), l’Italia (17%), la Spagna (11,90%), i Paesi Bassi (5,72%) e, a seguire con quote inferiori al 5%, gli altri Paesi dell’Eurozona. Il MES è in grado di erogare finanziamenti per circa 700 miliardi di euro.
L’Italia ad oggi non ha fatto nessuna richiesta, ma ha ottenuto che il Meccanismo di stabilità finanziaria sia concesso senza condizioni se utilizzato per l’emergenza del Covid 19. La differenza con gli Eurobond sta nel fatto che con il MES il debito contratto è a carico del Paese che lo richiede, mentre con i primi è a carico di tutti i Paesi dell’UE. Inoltre, fino ad oggi per garantire il rimborso del prestito gli Stati che ottenevano il finanziamento erano obbligati ad adottare ‘pesanti’ misure fiscali e monetarie. 
Sembra una procedura di buon senso, ma per chi è abituato a fare debiti senza preoccuparsi di onorarli è una condizione inaccettabile. Certo, le politiche di rigore nel bilancio pubblico comportano sacrifici e nel breve periodo un calo del Pil e problemi per l’occupazione, ma il debito sovrano fino a quando può continuare a crescere? Come si può impedire il default? Di certo, noi italiani se continuiamo a sperperare risorse pubbliche, non potremo evitarlo. Allora il dilemma è: MES o Eurobond?
L’alternativa che propongono i sovranisti è la svalutazione monetaria, cioè stampare moneta. I primi effetti di questa politica sarebbero l’inflazione ed un aumento dello spread. L'impoverimento del Paese sarebbe inevitabile e riguarderebbe soprattutto i lavoratori, cioè tutti coloro che vivono con un reddito fisso. Crescerebbero, quindi, le disuguaglianze sociali e le ingiustizie. Sarebbe anche la fine dell’UE, i Paesi del nord Europa non lo permetterebbero. Allora, è meglio fare qualche sacrificio fino a quando siamo in tempo o dobbiamo continuare a spendere a debito, MES o Eurobond che sia?



lunedì 6 aprile 2020

Coronavirus: cosa sarebbe successo se avessimo avuto un Governo sovranista?


Nei momenti difficili ‘gridare’ e polemizzare non serve a nulla, al contrario occorrono pacatezza e competenza, quelle che sta dimostrando il Governo, in particolare il ministro della Salute, Roberto Speranza

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Boris Johnson, Viktor Orbàn, Donald Trump
Foto da cranbrooktownsman.com
Negli ultimi tre decenni l’elemento che ha caratterizzato i comportamenti dei nuovi leader è stato il personalismo. Chi ha ricoperto ruoli di rilievo istituzionale spesso lo ha fatto con altezzosità e prosopopea. Queste settimane caratterizzate dal diffondersi del Coronavirus dimostrano, invece, che si può fare politica e governare senza individualismi, cercando, cioè, la collaborazione e la condivisione delle scelte. Tra questi politici c’è senz’altro, il ministro della Salute, Roberto Speranza. Entrato nel Partito democratico durante la segreteria di Pier Luigi Bersani, ora segretario di Articolo uno, il giovane leader politico sta dimostrando autorevolezza e serietà. La pacatezza e la competenza istituzionale con cui sta operando ricordano i leader del passato.
I provvedimenti presi dal Governo ed in particolar dal dicastero della Salute sono stati misurati, progressivi ed ineccepibili. La validità delle decisioni, nonostante le critiche inopportune di qualche governatore di Regione, hanno evitato situazioni di panico e caos. La linea adottata dal Governo si sta dimostrando adeguata e risolutiva.
Cosa sarebbe successo se avessimo avuto un Esecutivo diverso? Quello che sta avvenendo nei Paesi guidati dai sovranisti ci danno un’idea del pericolo che abbiamo corso. In Ungheria il Parlamento ha dato al suo leader, Viktor Orban, i pieni poteri. In Usa, in Brasile e in Gran Bretagna i leader populisti sono passati dal ‘contagio di gregge’ alla chiusura delle attività produttive. Ora, tutti i Paesi vittime della pandemia stanno prendendo le stesse misure adottate dal Governo italiano.
Non sappiamo ancora quanto durerà l'epidemia, ma sin d’ora dobbiamo dire grazie al presidente del Consiglio ed ai suoi ministri. Con i provvedimenti che hanno preso hanno saputo motivare gli italiani affinché tenessero comportamenti adeguati e soprattutto hanno saputo dare sostegno a quanti, infermieri e medici, hanno messo e stanno mettendo in pericolo la loro salute per salvare la vita dei contagiati e non solo.


lunedì 23 marzo 2020

Coronavirus: tutto chiuso, ora il Pil potrebbe calare dell'8%


Gli effetti economici del Coronavirus potrebbero essere catastrofici, persino più gravi di quelli provocati dalla crisi del 1929

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da repubblica.it
Preoccuparsi oggi delle conseguenze che sta causando la chiusura delle principali attività produttive potrebbe apparire poco opportuno, eppure quando la pandemia dovuta al Coronavirus sarà passata dovremo fare i conti con la recessione e con l’incremento del debito pubblico. La borsa di Milano ha già perso il 40% del suo valore, segnando un record negativo peggiore di quello registrato nel crack di Lehman Brothers ed in quello dell’11 settembre. In poche sedute il Ftse Mib è precipitato da oltre 25.000 punti a circa 15.000 ed il calo probabilmente continuerà.
Alla crisi sanitaria ed a quella finanziaria seguirà quella dell’economia reale. Ed è per questo che le autorità monetarie e politiche di tutto il mondo si stanno attivando. La Bce ha annunciato un incremento degli acquisti già previsti del Quantitative easing, il presidente del Consiglio italiano invoca i Coronavirus bond, la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen ha annunciato di essere favorevole ad uno stop al Patto di stabilità, la Federal Reserve ha abbassato i tassi d’interesse e Donald Trump, dopo le iniziali titubanze, ha annunciato stanziamenti per centinaia di milioni di dollari.
Questi ed altri interventi, seppur necessari, non impediranno la recessione, che sarà pesante e globale. Il ‘mostro’, secondo l’Organizzazione mondiale del Lavoro, provocherà 25 milioni di disoccupati. Alcune stime prevedono un calo del Prodotto interno lordo italiano dell’8%. Nello stesso tempo, per il 2020, sarà inevitabile un notevole incremento del disavanzo di bilancio. Il rapporto tra debito pubblico e Pil raggiungerà valori record che il nostro Paese potrebbe non riuscire a sostenere.
Quindi, limitare il propagarsi dell’epidemia serve anche ad impedire una crisi prolungata e profonda del ‘sistema Italia’. Più a lungo durerà l’emergenza sanitaria, più ardua sarà la ripresa della produzione e dell’economia. Un ulteriore motivo, questo, per rispettare le indicazioni del Governo e per restare a casa.


lunedì 16 marzo 2020

Coronavirus: è il momento della paura


Paura, non c’è un altro termine che possa definire meglio lo stato d’animo degli italiani. Ci sono voluti 46 giorni di epidemia, 1.809 morti e 24.747 contagiati per capire che la situazione era grave, ora in giro c’è tanto smarrimento e timore per il futuro

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Disegno di Giulio Ciccia
I flash mob organizzati per ringraziare chi in queste settimane ha messo la propria vita a disposizione dei malati (ma tanti medici lo fanno tutti i giorni) sono soprattutto un timido tentativo per scacciare il ‘mostro’: il CoronavirusUn'epidemia che sta cambiando le nostre abitudini e la nostra vita. Tutti mutamenti indotti per paura del contagio.
Figli e nipoti che evitano di andare a trovare i genitori o i nonni anziani. Amici che non vedi da settimane e con i quali prendevi il caffè al bar o con cui passavi le serate o il weekend. Per ultimo la rinuncia al pranzo domenicale con i familiari.  
Per strada non c’è nessuno. Di tanto in tanto si sente, amplificato dal silenzio, lo strepitare del motore di un’auto che sfreccia a tutta velocità. Di certo, il conducente sta correndo a casa o al lavoro. Poi torna il silenzio. Nessuno alle finestre. Nessuno affacciato ai balconi. Solo nei momenti condivisi in Rete i palazzi si rianimano, ma sono solo episodi estemporanei, poi di nuovo tutti chiusi in casa. A chattare, a cercare in Rete o in televisione le ultimi informazioni sul ‘mostro’. A stare lì, seduti in poltrona, a riempirsi la testa su come difendersi, su come fare per sottrarsi ai contatti, su come evitare il contagio. Certo tutto serve per allontanare i cattivi pensieri e soprattutto per cacciare nel profondo del nostro inconscio il rimorso per non aver agito per il bene comune quando si poteva.
È la paura. È la speranza che non tocchi a noi. Una volta si facevano i ‘voti’ religiosi per evitare il peggio, oggi si fanno gli esorcismi con i flash mob, ma il senso è sempre lo stesso. In questi momenti di difficoltà si prendono impegni ‘buonisti’. Se tutto andrà bene sarò più onesto, non penserò solo a me stesso, terrò un comportamento più altruista.
Intanto, il virus si sta diffondendo in tutte le regioni e, se continua così, dopo la paura ci sarà il panico. Lo stesso che la settimana scorsa ha caratterizzato il comportamento di tanti piccoli risparmiatori, che con le loro insicurezze hanno fatto la felicità dei soliti noti, gli speculatori e gli affaristi.
Ma tutto questo non durerà. Tra poco, tutto tornerà come prima. Allora vorrà dire che la paura sarà passata, che il panico non ci sarà stato e che ognuno potrà tornare a farsi i fatti suoi.


lunedì 20 gennaio 2020

I ricchi sono sempre più ricchi


‘La ricchezza globale rimane concentrata al vertice della piramide distributiva’a dirlo è il rapporto pubblicato da Oxfam Italia

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da oxfamitalia.org
‘L’1% più ricco deteneva a metà del 2019 più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone’. Questo è quanto afferma il rapporto Time to care pubblicato da Oxfam Italia. Ed ancora, ‘2.253 persone detenevano più ricchezza di 4,6 miliardi di persone’, cioè circa il 60% della popolazione globale. ‘Il patrimonio di 22 persone più facoltose è superiore alla ricchezza di tutte le donne africane’.
In Italia, l’1% più ricco ‘superava quanto detenuto dal 70% più povero’. Il 10% possedeva ‘oltre 6 volte la ricchezza del 50% più povero’. Il 20% più ricco detiene il 69,8% della ricchezza nazionale netta, mentre il 60% più povero detiene il 13,3%.
L’ascensore sociale è fermo. ‘I ricchi sono figli di ricchi ed i poveri figli di poveri’. Un terzo dei figli di genitori più poveri è destinato a rimanere tale, mentre il 58% di quelli i cui genitori appartengono al 40% più ricco manterrà la posizione di privilegio. 
Il lavoro è sempre più precario e mal retribuito. Oltre il 30% dei giovani occupati guadagna meno di 800 euro lordi al mese. Il 13% è working poor. Nel mondo ‘il 46% di persone vive con meno di 5,50 dollari al giorno’.
Il 42% delle donne non può lavorare perché deve farsi carico della cura di familiari. Le donne spesso sono sottopagate e con orari di lavoro irregolari. A livello globale impiegano ‘12,5 miliardi di ore di lavoro non retribuito al giorno’.
Insomma, il Rapporto conferma ancora una volta che abbiamo creato un mondo fatto di ingiustizie, dove milioni di persone vivono in povertà, mentre le diseguaglianze sociali ed economiche anziché diminuire crescono, ma questa non è una novità.


lunedì 2 dicembre 2019

MES, i debiti vanno comunque onorati


La polemica politica sul MES, il Meccanismo Europeo di Stabilità, non tiene conto del motivo per cui esso è nato: fornire assistenza alle banche e agli Stati dell’area Euro che si trovano in difficoltà finanziaria

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


Foto da @anpa100
Il MES è attivo dal 2012 ed è l’evoluzione di altri meccanismi: il Fondo Europeo di Stabilità Finanziaria ed il Meccanismo Europeo di Stabilità Finanziaria. Il suo scopo è fornire assistenza finanziaria ai Paesi dell’area Euro che dovessero avere gravi problemi di finanziamento. Esso è sovvenzionato dai singoli Stati membri. La Germania contribuisce con il 27,1%, seguita dalla Francia (20,3%) e dall’Italia (17,9%). Il finanziamento diretto è di 80 miliardi di euro (27 Germania, 20 Francia e 14,3 Italia), ma possono essere raccolti sui mercati finanziari altri 620 miliardi con l’emissione di bond. Le modifiche del MES di cui si sta discutendo sono sostanzialmente tre. Se la riforma sarà approvata dai Parlamenti dei singoli Stati la richiesta di una linea di credito al Fondo di risoluzione potrà essere fatta con una lettera d’intenti. Questa procedura semplificata potrà essere adottata solo da quei Paesi che rispettano i parametri di Maastricht. L’Italia non è tra questi, in quanto il rapporto tra il debito ed il Pil supera abbondantemente il 60%.
Per contro, gli Stati più indebitati hanno ottenuto il cosiddetto ‘backstop’. Con esso il MES potrà finanziare il Fondo di risoluzione fino a 55 miliardi di euro. In questo modo le banche dell’area Euro che si trovano in difficoltà avranno una doppia protezione. Infatti, il Fondo di risoluzione sarà finanziato oltreché dalle banche europee anche dal MES. 
Infine, la riforma rende più facile ‘ristrutturare’ il debito pubblico di un Paese che ricorre al Fondo di salvataggio. Il nuovo meccanismo prevede, per gli Stati che hanno chiesto l’intervento, l’obbligo di emettere titoli con una clausola che permetterà la ‘ristrutturazione’ del debito tramite il solo voto dei creditori. Questa modifica potrebbe provocare, per i Paesi più indebitati, un aumento del tassi di interesse sui loro debiti sovrani, perché, per loro, più alto è il rischio di insolvenza.
La questione di fondo, quindi, è sempre la stessa: lo Stato italiano è in grado di sostenere il suo enorme debito pubblico? Inoltre, le variazioni del tasso di interesse sui nostri titoli dipendono dalla nostra credibilità internazionale e non dalla semplificazione di un meccanismo che già esiste e che è stato creato per salvaguardare l’Euro e le banche dell’Unione Europea
Quella 'gridata' in questi giorni da Giorgia Meloni e da Matteo Salvini è, pertanto, solo l'ennesima polemica pretestuosa e propagandistica di chi non ha nessun senso delle istituzioni e, di certo, non fa gli interessi degli italiani, almeno di quelli seri ed onesti.

Fonte ilsole24ore.com

lunedì 16 settembre 2019

Silvia Romano libera


Amo piangere commuovendomi per emozioni forti, sia belle sia brutte, ma soprattutto amo reagire alle avversità. Amo stringere i denti ed essere una testa più dura della durezza della vita. Amo con profonda gratitudine l’aver avuto l’opportunità di vivere’, Silvia Romano

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Silvia Romano - (foto da agi.it)
Nella notte tra il 20 ed il 21 novembre 2018 è stata rapita una giovane cooperante italiana: Silvia Romano. La volontaria milanese, in missione per una Ong di Fano, stava operando a Chakama, un villaggio nel sud del Kenya. Secondo quanto hanno riferito i testimoni gli uomini che hanno effettuato il sequestro erano armati e parlavano tra di loro in somalo. Nell’attacco sono rimaste ferite cinque persone, tra cui due bambini di 10 e 12 anni. Da quel giorno non si hanno più notizie certe sulla sua sorte. Le indagini non hanno portato a nulla di concreto, ancora oggi non si sa se si tratta di criminalità organizzata, di delinquenti improvvisati o di una cellula di terroristi.
Silvia Romano è una giovane donna che ha messo la sua vita a disposizione di chi ha bisogno. Lo ha fatto senza se e senza ma. Ha donato il suo sorriso ed il suo amore a chi non ha nulla. Ha un candore ed una dolcezza che i suoi sequestratori non possono comprendere. Ha un’umanità che in tanti, in troppi hanno perso per rincorrere il superfluo o un benessere effimero e provvisorio.
Pochi giorni fa Silvia ha compiuto 24 anni. Per la prima volta nella sua vita non ha potuto festeggiarlo con i suoi cari. Ecco il pensiero del padre, Enzo Romano, postato su Facebook il giorno del suo compleanno: Oggi compi 24 anni. È il secondo compleanno che vivi laggiù in Africa. L'anno scorso festeggiavi con i tuoi amati bambini: quella torta con le scintille, piena di gioia e sorrisi "bianchi più che mai" intorno a te, e tu sorridente e felice di essere là. Questo compleanno è diverso. Ma posso regalarti DOLCI PENSIERI, trasmetterti forza ed energia dal profondo di un cuore che soffre, ma che non ha mai smesso di CREDERE che tornerai tra le nostre braccia. Sei una GRANDE!️ PapàTuo’, Enzo Romano. 

Fonti facebook.com e tpi.it

venerdì 30 agosto 2019

I tassi d’interesse sui Btp sono scesi ai minimi storici, perchè?


Il debito pubblico italiano continua ad aumentare, il Pil non cresce ed il nuovo Governo dovrà predisporre per il 2020 una manovra finanziaria complicata, eppure i rendimenti sui titoli di Stato scendono, perché?

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da twitter.com
La prospettiva delle economie mondiali non è buona. La guerra dei dazi, la stagnazione dell’economia tedesca e la Brexit non sembrano, almeno per ora, preoccupare gli investitori. La situazione italiana è altrettanto allarmante. Il Pil non cresce, il debito pubblico continua ad aumentare e le indicazioni per i prossimi trimestri non sono buone. Tutto farebbe supporre una fibrillazione dei mercati con un aumento dello spread e dei tassi d’interesse sul debito pubblico italiano e non solo. Invece, non è così’, perché? 
I rendimenti dei debiti sovrani stanno crollando dappertutto. Di certo sta influendo l’acquisto dei titoli di Stato da parte delle banche centrali. In particolare, il Quantitative easing posto in essere dalla Bce di Mario Draghi ha abbassato il rischio di insolvenza dei Paesi con il debito pubblico più elevato. Nello stesso tempo esso ha aumentato la quantità di moneta in circolazione ed ha ridotto le opportunità di profitto dei risparmiatori. Inoltre, l'incremento delle disuguaglianze e la concentrazione della ricchezza prodotta con la globalizzazione sta accentuando il fenomeno. Gli speculatori fanno fatica a trovare nuovi strumenti per far fruttare i loro patrimoni finanziari.
I titoli di Stato decennali della maggior parte dei paesi Unione europea non rendono nulla o quasi, anzi in alcuni casi gli investitori ci rimettono. I tassi sui titoli decennali emessi dalla Germania, dai Paesi Bassi, dalla Slovacchia, dall’Austria, dalla Finlandia, dalla Francia, dal Belgio, dalla Slovenia, dall’Irlanda (paesi area Euro), dalla Danimarca e dalla Svezia (paesi Ue) sono tutti negativi. Chi acquista oggi Bund tedeschi lo fa con una perdita dello 0,68% del capitale investito. La sicurezza sulla solvibilità della Germania vale di più del profitto prodotto dai suoi titoli.
L’Italia, insieme a Spagna, Portogallo e Grecia, è, invece, uno dei paesi membri dell’Ue che ancora garantisce un rendimento positivo, quindi appetibile per i risparmiatori. Negli ultimi mesi la loro discesa è stata rapida ed inaspettata. Da un tasso del 3,60% (spread sopra i 350 punti) del dicembre scorso allo 0,93% (spread a 162 punti) di ieri. L’andamento è ai minimi storici, ma garantisce comunque un profitto. Questo spiega perché molti investitori stanno acquistando i Btp italiani nonostante la stagnazione economica e le condizioni difficili della nostra finanza pubblica. Il calo dei tassi dei titoli italiani registrato negli ultimi mesi quindi non è dovuto alle politiche adottate dal governo, ma da ragioni strettamente finanziarie e speculative. Il punto ora è, fino a quando godremo di questa inaspettata fiducia?



venerdì 23 agosto 2019


I porti chiusi e quelli aperti, ma perché ad accogliere devono essere solo Italia e Malta?

‘Dopo 14 giorni di inutili sofferenze, i 356 sopravvissuti a bordo di #OceanVikingsbarcheranno a #Malta. Alcuni paesi #UE si sono finalmente fatti avanti con una risposta umana a questo disastro umanitario in mare ma serve subito un meccanismo di sbarco predeterminato, @MSF_ITALIA

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da twitter.com
Con questo messaggio postato su twitter da Medici senza frontiere si conclude l’odissea dei migranti a bordo della Open Viking. Dopo quella vissuta dai naufraghi della Open Arms si sta avviando a conclusione anche quella dell’imbarcazione norvegese. Ancora una volta i porti aperti sono solo e sempre quelli italiani o maltesi, perché? La Francia nei giorni scorsi aveva dato la sua disponibilità ad accogliere una parte dei migranti, ma aveva negato l’accesso della nave nei suoi porti. Essa, secondo le autorità francesi, doveva attraccare nel ‘porto più vicino’, cioè in Italia o a Malta. Sono anni che i leader dei Paesi membri dell’Unione Europea fanno questo tipo di affermazione. Si continua a scaricare il problema dell’emigrazione sul nostro Paese o su un’altro ancora più piccolo: Malta. Non si capisce perché gli altri porti del Mediterraneo non debbano essere disponibili. Queste imbarcazioni, pur non essendo di grandi dimensioni, possono navigare fino alle coste della Spagna, della Francia o della Grecia.
La politica dell’accoglienza dei migranti seguita finora dai leader dei principali Paesi dell’Ue è servita solo ad aumentare i consensi elettorali dei sovranisti. La disponibilità alla redistribuzione, seppur positiva, non è più sufficiente. I nostri confini sul Mediterraneo sono anche quelli dell’Europa, il problema non può essere solo italiano o maltese, ma di tutta l’Unione Europea. Continuare a ripetere che devono ‘sbarcare nel porto più vicino’ non solo è miope dal punto di vista politico, ma è anche disumano. Enon devono essere le Ong ad intervenire, ma l’Unione Europea con le sue navi militari. Il soccorso, l’accoglienza o il rimpatrio deve coinvolgere tutti gli Stati membri.
Intervenire è urgente, perché nel Mediterraneo si continua a morire. Il monito lanciato su Twitter dalle due Ong, Sos Mediterranèe e Medici senza frontiere, è senza se e senza ma:‘Mentre noi stiamo fermi la metà delle barche che parte della Libia naufraga senza che nessuno intervenga e lo si sappia’.

Fonte twitter.com


lunedì 19 agosto 2019


Bang bang e ‘American first’

Bang bang non è solo il titolo di una popolare canzone degli anni Sessanta, è anche il rumore sordo che fanno le armi quando vengono utilizzate e negli Usa questo avviene spesso, troppo spesso

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Donald Trump - (foto da globalproject.info)
Il tre agosto scorso diciotto persone sono morte e dieci sono rimaste ferite nella sparatoria al Walmart a El Paso, in Texas. Tra le vittime sei bambini. Arrestati tre sospetti. Due giorni prima sono stati uccisi due impiegati di Walmart nel Mississippi. Il sabato precedente un 19enne italo-iraniano, con simpatie suprematiste, ha sparato sulla folla a un festival in California: morti un bimbo di 6 anni, una 13enna ed un 25enne. A Dayton in Ohio ancora una sparatoria a poche ore dalla strage a El Paso.
Quasi tutti i giorni negli Usa si verifica un conflitto a fuoco. Non si tratta di atti compiuti dalla criminalità organizzata o da delinquenti comuni, ma di vere e proprie azioni di tipo militare. I motivi sono, spesso, religiosi o per la difesa della razza. Questi eventi si sono moltiplicati negli ultimi mesi. Le ragioni sono diverse. La prima è la facilità con cui negli Usa è possibile procurarsi le armi. Per compare fucili, pistole, mitragliatori e qualsiasi tipo di arma da guerra, basta entrare in uno dei tanti negozi che sono autorizzati alla loro vendita. È possibile farsi un arsenale senza essere soggetti ad alcun controllo. È la logica dei ‘Cowboy’ e del ‘Far west’È la logica del capitalismo, del profitto comunque e prima di tutto. Inoltre, per i politici sostenere il libero accesso alle armi è il modo più semplice per ottenere consensi elettorali e, magari, essere eletti alla Presidenza degli USA.
Non è un caso che ‘Americans first’ è stato ed è lo slogan principale di Donald Trump. Questo status quo sta bene a tutti. Gli americani vogliono armarsi, i produttori vogliono continuare ad arricchirsi vendendo oggetti di morte ed i politici vogliono fare carrierafacendo finta di nulla e se poi qualcuno viene ucciso senza un vero motivo non importa, peggio per lui che non era armato e non ha saputo difendersi.
Ma perchè negli Usa non ci sono i controlli che potrebbero limitare l’acquisto di questi strumenti di morte così come ci sono in Europa? Il secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America entrata in vigore nel 1791 sancisce: ’Essendo necessaria, alla sicurezza di uno Stato libero, una milizia ben regolamentata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto’. Nel luglio del 2008 ‘la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha riconosciuto il diritto dei cittadini di possedere armi, stabilendo l’incostituzionalità della legge del Distretto di Columbia che ne vietava il possesso’. Con questa sentenza il diritto all’acquisto delle armi è equiparato aidiritti inviolabili come il diritto di voto e quello di espressione.
Gli Stati Uniti d’America sono, da oltre un secolo, una potenza economica, ma dal punto di vista della civiltà giuridica e culturale sono lontani anni luce rispetto al Vecchio Continente e non solo. Ed è incomprensibile che anche nel nostro Paese ci sia qualcuno che intende imitare quelle politiche con ‘Prima gli italiani’ e con il legalizzare l’uso delle armi per la legittima difesa. Ma noi siamo italiani e, probabilmente, si tratta solo di uncopia ed incolla fatto per guadagnare voti e che nel concreto ci sia, come sempre, solo poco o nulla.



Ubicazione: Sicilia, Italia 

mercoledì 14 agosto 2019


Open Arms: ‘E' infame il silenzio dell'Europa’

13 giorni. Europa? Nessuno cancellerà la vergogna di aver lasciato 147 persone per 13 giorni alla deriva in questo mare dove starete passando le vacanze. Ricorda che ci sono più di 500 naufraghi senza un porto e oggi arriva il temporale. Farete i conti con la storia’, Open Arms

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da openarms.es/it
I migranti che negli ultimi giorni sono stati soccorsi nel Mediterraneo dalle ONG sono 501. Le imbarcazioni che si trovano in acque internazionali restano in attesa di un porto sicuro. Finora gli appelli dei comandanti delle navi e di noti personaggi dello spettacolo come Richard Gere e Chef Rubio sono stati ignorati dalle autorità italiane e da quelle maltesi.
Il tutto sta avvenendo nel ‘silenzio dell’Europa’ e dei Paesi di bandiera delle navi, Spagna e Norvegia, che ancora non hanno fatto nessuna richiesta di intervento all’Unione Europea. L’unico ad aver sollecitato la Commissione è stato il presidente del Parlamento europeo David Sassoli. La sua richiesta ad oggi non ha prodotto nessun risultato.
Intanto, da 13 giorni, 501 persone sono in mezzo al Mediterraneo ed ancora non si vede una soluzione. Indietro non possono tornare, nei porti dell’Italia e di Malta non possono sbarcare perché c’è il divieto di ingresso ed il silenzio di Spagna, Norvegia e del resto d’Europa è diventato assordante. La situazione rischia di diventare insostenibile anche per le condizioni meteorologiche previste per i prossimi giorni. Nel Mediterraneo stanno arrivando forti venti di maestrale e moto ondoso in aumento, si prevedono onde alte due metri.
Nello stesso tempo, continuano gli sbarchi fantasma. In Sardegna, in Sicilia, in Calabria e in Puglia proseguono gli arrivi di barchini con a bordo decine di profughi. I migranti sbarcano sulle nostre coste, ma si deve fare finta che non sia così, mentre quelli salvati in mare dalle ONG non possono farlo, perché?
Avviso agli idioti: se non finanziassimo le guerre e non stringessero accordi con i Paesi di provenienza di queste persone - posta su Twitter Chef Rubio - le ONG che tanto demonizzate non esisterebbero. Invece di abbaiare chiedete ai vostri padroni di riformare tutto, non chiedete alle ONG di lasciarli morire’ 



domenica 3 marzo 2019


Greta Thunberg: ‘Skolstrejk för klimatet’

La biosfera è sacrificata perché alcuni possano vivere in maniera lussuosa. La sofferenza di molte persone paga il lusso di pochi. Se è impossibile trovare soluzioni all'interno di questo sistema, allora dobbiamo cambiare sistema’, Greta Thunberg
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
Greta Thunberg - (foto da valigiablu.it)
Greta Thunberg 16 anni è un’attivista svedese per lo sviluppo sostenibile e contro il cambiamento climatico. Il 20 agosto 2018 la giovane studentessa, a cui è stata pronosticata la sindrome d’Aspergen, ha deciso, per protestare contro il suo Paese, di non andare a scuola fino alle elezioni politiche che si sono tenute il 9 settembre dello stesso anno. Il suo scopo era quello di indurre il governo svedese ‘a ridurre le emissioni di carbonio come previsto dall’accordo di Parigi sul cambiamento climatico’. Il suo slogan era 'Skolstrejk för klimate', cioè ‘Sciopero della scuola per il clima’. La protesta è poi continuata ogni venerdì della settimana. 
‘Are we evil?’ E’ una frase che Greta pronuncia spesso. 'Siamo forse malvagi a permetterci di autodistruggere il nostro futuro?' Per questa ragione la giovane attivista è passata all’azione. Possiamo affidarci alla speranza, ‘but one thing we need more than hope is action’, ripete nei suoi discorsi. Ed è disarmante che a dirlo sia una ragazzina di 16 anni. Greta chiede solo un futuro sostenibile per lei, i suoi figli, i suoi nipoti. Un mondo in grado di superare le emergenze climatiche. E se la società non si adopera per garantirle un futuro, che senso ha andare a scuola in quei venerdì? ‘Che senso ha far parte di quel sistema scolastico che ha istruito gli scienziati che ci stanno continuando ad avvisare di questa crisi e che continuiamo ad ignorare? Are we evil? O forse solo stupidi?’
L’iniziativa di Greta ha attirato l’attenzione del mondo intero ed oggi manifestazioni simili si svolgono in tanti altri paesi. Il 14 dicembre dello scorso anno nell’ultimo giorno del vertice sui cambiamenti delle Nazioni Unite che si è svolto a Katowice ha detto: ‘Voi parlate soltanto di un'eterna crescita economica verde poiché avete troppa paura di essere impopolari. Voi parlate soltanto di proseguire con le stesse cattive idee che ci hanno condotto a questo casino, anche quando l'unica cosa sensata da fare sarebbe tirare il freno d'emergenza. Non siete abbastanza maturi da dire le cose come stanno. Lasciate persino questo fardello a noi bambini.... La biosfera è sacrificata perché alcuni possano vivere in maniera lussuosa. La sofferenza di molte persone paga il lusso di pochi. Se è impossibile trovare soluzioni all'interno di questo sistema, allora dobbiamo cambiare sistema’.
Fonte wikipedia.org e rollingstone.it

mercoledì 21 novembre 2018


La lunga marcia dei migranti honduregni è arrivata davanti al ‘Muro della vergogna’

I profughi honduregni hanno dovuto attraversare il confine meridionale messicano e dopo aver percorso centinaia di chilometri sono giunti a quello con la California, ma, ora, devono affrontare un ostacolo quasi insuperabile: il ‘Muro della vergogna’ 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Tijuana, il 'Muro della vergogna' - (foto da wikipedia.org)
Quando hanno iniziato la marcia verso gli Stati Uniti d’America erano poche centinaia di persone, ora, che sono arrivate sul confine americano, sono migliaia. E’ la lunga marcia dei migranti honduregni. Partiti oltre un mese fa dalla città di San Pedro Sula, in Honduras, ora sono arrivati a Tijuana con l’obiettivo di attraversare il confine con gli Usa. Alcune migliaia sono ancora in marcia e presto arriveranno al campo allestito dai volontari per accogliere i profughi centroamericani. In tutto si tratta di oltre cinquemila persone che si aggiungono a quelli che sono già presenti nel campo. Nella maggior parte dei casi sono disperati che fuggono dalla guerra e dalla miseria.
Giunti a Tijuana i rifugiati devono iniziare il processo di richiesta di asilo politico. La pratica potrebbe richiedere diversi mesi di attesa, anche perché le autorità americane ne espletano solo poche decine al giorno.
Il campo si trova a pochi metri dalla barriera di separazione che si snoda lungo la frontiera tra Tijuana e San Diego. Alto dai due ai sei metri il ‘Muro della vergogna’, così lo definiscono i messicani, è fatto di lamiera metallica sagomata. La sua edificazione ha avuto inizio nel 1990 durante la presidenza di George H. W. Bush ed è stata continuata nel 1994 da Bill Clinton. Oggi, il nuovo presidente Donald Trump vuole estendere la struttura su tutto il confine meridionale americano, ma vuole farlo a spese del Messico.
Da quando è stata costruita la barriera un numero crescente di persone è entrata illegalmente negli Usa attraverso il deserto di Sonora. I clandestini devono percorrere oltre 80 Km di territorio inospitale e pericoloso, tanto che tra il 1998 ed il 2004 sono morte, secondo i dati ufficiali, 1.954 persone.
Il presidente Donald Trump per fermare la marcia dei migranti, oltre alle guardie di frontiera americana, ha schierato al di là del confine alcuni reparti dell’esercito, come se i nuovi arrivati fossero degli ‘invasori’. Invece, si tratta di persone e di nuclei famigliari che intendono entrare legalmente negli Usa.
I profughi honduregni in queste settimane hanno dovuto sopportare anche le proteste dei sovranisti messicani, preoccupati, questi ultimi, dal fatto che difficilmente i migranti riusciranno ad entrare negli Stati Uniti e che pertanto è assai probabile che molti di essi rimarranno nel territorio messicano.  
‘Si è sempre meridionali di qualcuno’ afferma Luciano De Crescenzo in ‘Così parlò Bellavista’. Americani contro messicani, messicani contro honduregni, europei contro africani, veneti contro campani o siciliani, è una lotta continua, tra chi è benestante e chi è povero, tra chi ha una vita dignitosa e chi vi aspira. E' tornato il nazionalismo e con esso il tempo della'intolleranza e della xenofobia. E, di certo, non si può rimanere indifferenti davanti a tanta ingiustizia.

martedì 3 luglio 2018


Migranti, è una strage senza fine

Con la politica dei porti chiusi attuata dal governo 'pentaleghista' sembra di essere tornati indietro nel tempo, quando i barconi pieni zeppi di migranti naufragavano davanti alle coste di Lampedusa facendo stragi che, con un po’ di buona volontà, si sarebbero potute evitare

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da libera.it
Dall’inizio del 2018 i morti in mare sono oltre mille e circa diecimila sono i migranti salvati dalla Guardia costiera libica. Negli ultimi quattro giorni si sono verificati tre naufragi. Il 29 giugno centotre migranti sono annegati perché la barca su cui erano stipati si è rovesciata. Tra i morti, i corpi di tre bambini di pochi mesi. Domenica davanti alle coste di Zuara in Libia, a seguito di un naufragio, sessantatre persone risultano disperse. Mentre quarantuno sono state salvate dalla Guardia costiera libica. Ieri 276 rifugiati sono stati fatti sbarcare a Tripoli, tra loro sedici sopravvissuti di un’imbarcazione su cui erano stipati 130 migranti, gli altri 114 sono considerati dispersi in mare.
E’ una strage senza fine. Persone che fuggono da guerre, carestie, persecuzioni o semplicemente perché vogliono vivere in modo dignitoso, ma per molti di loro il viaggio della speranza si trasforma in una tragedia. Lasciati esamini o senza vita lungo le strade roventi del deserto del Sahara, oppure muoiono per fame o per le torture subite nelle carceri libiche e, se riesco a salire su un gommone, rischiano di annegare nelle acque del Mediterraneo.
A nulla valgono gli appelli umanitari del Papa, delle organizzazioni internazionali e di quanti denunciano il cinismo dei governi europei. Tra loro Il Presidente dell’associazione Libera, Don Ciotti, che, per il 7 di luglio, ha lanciato l’iniziativa una #magliettarossa. L’intento è di sensibilizzare le autorità ad adoperarsi per un’accoglienza capace di coniugare sicurezza e solidarietà’.
‘Rosso – scrive su Libera Don Ciotti - è il colore che ci invita a sostare. Ma c’è un altro rosso, oggi, che ancor più perentoriamente ci chiede di fermarci, di riflettere, e poi d’impegnarci e darci da fare. È quello dei vestiti e delle magliette dei bambini che muoiono in mare e che a volte il mare riversa sulle spiagge del Mediterraneo. Di rosso era vestito il piccolo Alan, tre anni, la cui foto nel settembre 2015 suscitò la commozione e l’indignazione di mezzo mondo. Di rosso erano vestiti i tre bambini annegati l’altro giorno davanti alle coste libiche. Di rosso ne verranno vestiti altri dalle madri, nella speranza che, in caso di naufragio, quel colore richiami l’attenzione dei soccorritori’.
Ed ancora: ‘L’Europa moderna è libertà, uguaglianza, fraternità. Fermiamoci allora un giorno, sabato 7 luglio, e indossiamo tutti una maglietta, un indumento rosso, come quei bambini. Perché mettersi nei panni degli altri – cominciando da quelli dei bambini, che sono patrimonio dell’umanità – è il primo passo per costruire un mondo più giusto, dove riconoscersi diversi come persone e uguali come cittadini’.
Fonti: libera.it e twitter.it

 

 lunedì 25 giugno 2018


I ricchi sono sempre più ricchi

'Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l'avarizia', Don Milani da Lettera ad una professoressa

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da unhcr.org
Gli Hnwi sono le persone che, escludendo la residenza principale, hanno investito almeno un milione di euro in asset, beni da collezione, di consumo e durevoli. Nell’ultimo anno sono aumentati di 1,6 milioni di unità e la loro ricchezza è cresciuta del 10,6%, cioè ha superato i 70.000 miliardi di dollari. A sostenerlo è il World Wealth Report 2018 pubblicato da Capgemini. La ricchezza dei super paperoni cresce per il sesto anno consecutivo. Merito, sostiene il rapporto, anche delle cosiddette criptovalute.
In Italia il numero è aumentato di circa il 9%, passando da 251.500 a 274.000 individui. Nella classifica mondiale prima del nostro Paese ci sono gli Usa, il Giappone, la Germania, la Cina, la Francia, il Regno Unito, la Svizzera, il Canada e l’Australia.
I dati Capgemini confermano la crescita delle disuguaglianze e delle differenze sociali tra aree geografiche e tra le classi sociali. I ricchi sono sempre più ricchi, mentre una parte sempre più numerosa della popolazione mondiale s’impoverisce.
Nel 2017, 68,5 milioni di persone sono fuggite da guerre, violenze e persecuzioni (rapporto annuale Global Trends, pubblicato da l’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati). Le persone costrette alla fuga ‘sono pari al numeri di abitanti della Thailandia’, cioè, nel mondo, una persona ogni 110. L’85% dei rifugiati risiede nei paesi in via di sviluppo e ‘quattro su cinque rimangono in paesi limitrofi ai loro’. Gli esodi di massa verso altri paesi sono piuttosto limitati (Turchia e Libano), due terzi sono sfollati all’interno del proprio paese.
Un mondo ingiusto, diviso in due, ma per i nostri politici e per la maggioranza degli elettori italiani il problema sono i migranti la cui unica colpa è quella di fuggire da guerre e carestie.
Fonti: capgemini.com e unhcr.it

 

giovedì 5 ottobre 2017

Donald Trump vuole abbassare le tasse ai ricchi, ma Destra e Sinistra non erano la stessa cosa?


‘L’opera umana più bella è di essere utile al prossimo’, Sofocle IV secolo a.C.

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Donald Trump (foto da wikipedia.org)
Negli anni Settanta coloro che affermavano che Destra e Sinistra fossero la stessa cosa venivano considerati dei ‘qualunquisti’ che al momento delle elezione votavano per la Democrazia cristiana o per un altro partito moderato. Oggi essi sostengono che non esistono più le ideologie, i partiti e gli interessi di classe, l’unico obiettivo da perseguire è per loro il bene dei ‘cittadini’, che è come dire che non ci sono più distinzioni economiche e sociali tra i lavoratori ed i dirigenti, i disoccupati e gli eredi di immense ricchezze, i proprietari dei mezzi di produzione ed i dipendenti. Insomma, si nega l’esistenza delle diverse categorie sociali e del conflitto che scaturisce dalle disuguaglianze.
Sofocle (foto da wikipedia.org)
Queste affermazioni sono frutto di scarsa cultura politica o, peggio, di studiati atteggiamenti propagandistici che hanno un solo scopo: ottenere maggiori consensi tra gli elettori meno attenti alle tematiche politiche e sociali. Gli operai dell’Ohio o dell’Alabama che hanno sostenuto e votato Donald Trump alle ultime elezioni presidenziali di certo non lo hanno fatto perché volevano togliere le tutele sanitarie ai poveri o per attuare il taglio delle tasse ai ceti benestanti. La volontà di abolire o quantomeno limitare l’Obamacare, la proposta di ridurre le imposte ai ‘ricchi’, la difesa senza se e senza ma nella vendita di armi (senza ipotizzare cioè alcuna restrizione) e la politica estera aggressiva, sono ‘opzioni’ di Destra. Non è un caso che esse si contrappongano a quelle adottate da Barak Obama, un presidente ‘attento’ alle tematiche sociali. Le politiche che sta perseguendo Donald Trump dimostrano che essere dalla parte dei cittadini (nel nostro caso di quelli statunitensi) non facendo nessuna differenza tra chi vive nel benessere e chi invece fa fatica ad arrivare alla fine del mese o come, avviene in molte parti del mondo, muore di fame, è strumentale agli interessi di una precisa categoria sociale: i ricchi. Il populismo è l'ennesimo strumento che essi utilizzano per mantenere il potere e consolidare le differenze sociali.
La lotta di classe, quindi, è necessaria se si vogliono ridurre le disuguaglianze. Fino a quando ci saranno privilegi e divari nelle opportunità e nelle condizioni di vita dei diversi ceti sociali la distinzione tra chi agisce nell’esclusivo interesse personale e chi invece opera anche per quello altrui è destinata a durare nel tempo. Del resto, di fronte a chi muore di fame o semplicemente fugge dalla miseria e dai conflitti, come si fa a non condividere quello che nel IV secolo a.C. scrisse il poeta e drammaturgo greco Sofocle:‘L’opera umana più bella è di essere utile al prossimo’. 


sabato 29 luglio 2017

La Francia nazionalizza Stx, ma non erano 'vietate' dall’UE?


Il presidente della Francia Emmanuel Macron ha deciso di nazionalizzare, nel silenzio assordante dell’UE, i cantieri di Stx, bloccando così gli accordi che il suo predecessore François Hollande aveva stipulato con Fincantieri 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Emmanuel Macron - (foto da formiche.it)
La vicenda dell’azienda di Saint Nazaire è solo l’ultimo episodio di una lunga serie d’intrecci finanziari e politici tra le due sponde delle Alpi. Nel 2000 la Fiat abbandona il settore ferroviario cedendo Fiat Ferroviaria ad Alstom. Nel febbraio del 2006 il tentativo di scalata della Bnl da parte di Unipol fallì miseramente. Chi non ricorda la telefonata in cui Piero Fassino, allora segretario dei Democratici di sinistra, inopinatamente esultava per l’avvenuta acquisizione? Non se ne fece nulla, furono i francesi di Bnp Paribas ad acquisire la banca guidata da Luigi Abete. Nel 2007, a seguito della fusione tra Banca Intesa e Sanpaolo Imi, la nuova banca, Intesa Sanpaolo, ha dovuto cedere per motivi di antitrust il controllo di Cariparma e Banca Popolare FriulAdria a Credit Agricole. Nello stesso anno Groupama ha acquisito il 100% di Nuova Tirrena e, di recente, Amundi ha acquistato da Unicredit la società di risparmio gestito Pioneer. Stessa sorte hanno subito i marchi del lusso e dell’alimentare italiano. Eridania Italiasocietà leader nel settore dello zucchero è finita in mano francesi. La grande distribuzione come Carrefour, Castorama, Auchan e Leroy-Merlin sono state acquisite da aziende d’Oltralpe. La Parmalat è passata a Lactalis. E così via, l’elenco è lungo.
Tweet di Paolo Gentiloni - (foto da contropiano.org)
Poi ci sono i tentativi falliti.Nel 2008 Air France-Klm aveva accettato la proposta dell’allora ministro del Tesoro, Tommaso Padoa-Schioppa, di acquisire l’Alitalia offrendo un investimento di un miliardo di euro, l’accollo di tutti i debiti per un altro miliardo e mezzo di euro e l’impegno a mantenere l’autonomia organizzativa della compagnia aerea. Tutto questo non bastò al nuovo presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che, in nome dell’italianità, azzerò l’accordo e fece stanziare al Parlamento, appena eletto, 800 milioni di euro per far decollare la ‘cordata di imprenditori italiani’ chiamata a rilevare il pacchetto azionario della compagnia di bandiera. Quella mancata cessione è costata allo Stato italiano almeno 4,5 miliardi di euro ed, oggi a distanza di quasi dieci anni e dopo alterne vicende, l’azienda è di nuovo sull’orlo del fallimento. Ancora in corso è, invece, la vicendaVivendi-Telecom-Mediaset, con i ripetuti tentativi di Vincent Bollorè di acquisire il controllo delle due aziende italiane. Il ministro Calenda a proposito di Telecom ha dichiarato: ‘Non la nazionalizziamo, non si risponde alle fesserie con le fesserie’.
Foto da webnews.it
Quando, invece, sono state le aziende italiane a tentare di acquisire i gioielli francesi sono scattati subito i distinguo e le difese del governo d’Oltralpe. Basta citare i tentativi di acquisizione falliti  da parte di Enel e Mediaset (La Cinq).
Quello che stupisce in questa vicenda di Stx è, oltre all’idiosincrasia dei cugini per le acquisizioni italiane, il silenzio assordante dell’Europa. Pronta a richiamare l’Italia se interviene per proteggere le proprie aziende (Banca Montepaschi, Alitalia), è silente se a farlo sono i cugini francesi, perché? L’asse franco-tedesco è positivo per il Vecchio Continente se consente di fare passi in avanti nel processo d’integrazione politica dell’Europa, ma diventa deleterio se questo avviene a danno degli altri paesi e l’Italia, di certo, non può stare a guardare passivamente.




venerdì 28 aprile 2017

Il dottor Stranamore ed il suo gemello coreano


Donald Trump, presidente degli Usa e Kim Jong-un, leader della Corea del Nord, minacciano guerre e bombardamenti con armi atomiche come i bizzarri personaggi del film ‘Il dottor Stranamore’ 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Il dottor Stranamore interpretato da Peter Sellers
(foto da wikipedia.org)
I più anziani ricorderanno con piacere il film cult di Stanley Kubrick uscito nel 1964. La pellicola, il cui titolo completo è ‘Il dottor Stranamore - Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba’, narra la storia del generale dell’esercito americano Jack D. Ripper comandante della base militare di Burpelson e della sua folle idea di dare esecuzione al piano ‘R’, cioè di bombardare con ordigni atomici una base dell’Unione Sovietica. Quando il presunto attacco russo si rivelerà un falso e il presidente degli Stati Uniti revocherà l’ordine di ritorsione, il comandante del bombardiere, il maggiore T. J. ’King Kong’, che inizialmente aveva accolto la disposizione con scetticismo, si rifiuterà di interrompere l’attacco e deciderà, sostenuto dal generale Ripper, di proseguire con l’attacco atomico.
Donald Trump e Kim Jong-un
(foto da liberoquotidiano.it)
Il presidente americano, vista l’impossibilità ad interrompere l’operazione, ordinerà, inutilmente, di abbattere l’aereo. Intanto, a causa di un guasto al portellone, il maggiore ‘King Kong’ pur di portare a termine il bombardamento deciderà di azionare manualmente l’apertura bloccata, ma rimarrà a cavalcioni della bomba e cadrà ‘insieme all’ordigno urlando di gioia, agitando il suo cappello da cowboy come se stesse a cavallo di uno stallone ad un rodeo’. Nella scena finale del film il dottor Stranamore, di fronte al disastro atomico, proporrà di mantenere viva la nazione nelle viscere di una miniera in attesa della cessazione dell’effetto delle radiazioni nucleari, ovviamente con l’obiettivo di riorganizzarsi per preparare la guerra futura.
Il neo-presidente degli Usa, Donald Trump, non ha il cappello da cowboy del maggiore T. J. 'King Kong' e non porta gli occhiali neri del dottor Stranamore, ma la sua decisione di bombardare una base dell’Isis con la bomba non atomica più grande al mondo e le ripetute minacce di un intervento militare in Corea del Nord, ricordano le paradossali vicende narrate nel film di Kubrick.
Portaerei cinese (foto da adnkronos.com)
Non è da meno il leader coreano Kim Jong-un, che, in risposta alle iniziative politiche e militari della nuova amministrazione Usa, ha minacciato una guerra nucleare. Il dittatore ‘bambino’ ha già dimostrato di essere uno spietato assassino, tanto da rendere quasi incredibili alcune sue decisioni. Ha imposto, ad esempio, a tutti i suoi cittadini l’obbligo di portare il suo stesso taglio di capelli, ha indetto le elezioni presidenziali anche se era lui l’unico candidato. Ed ancora, è stato eletto miglior uomo vestito della Corea del Nord, ha fatto sbranare da 120 cani affamati suo zio Jang Song-Thaek perché ritenuto colpevole di un tentativo di colpo di Stato, ha vietato il consumo di merendine al cioccolato perché prodotte in Corea del Sud, ha bacchettato i meteorologi perché hanno sbagliato le previsioni, ha giustiziato il suo ministro della difesa Hyon Yong-chol perché si era addormentato durante un evento militare.
La minaccia di un conflitto atomico reiterata dai due ‘gemelli’ Stranamore non è solo un rifacimento, talaltro poco serio, del film cult degli anni Sessanta. La possibilità che scoppi una guerra nucleare è oggi più probabile che in passato. Agli uomini di buona volontà non rimane che incrociare le dita e sperare di non vivere in diretta le insensate vicende narrate nel film di Kubrick.

mercoledì 5 aprile 2017

L’antidumping di Donad Trump

La nuova amministrazione americana di Donald Trump si accinge ad adottare politiche economiche protezionistiche. E’ una svolta storica o sono solo annunci?

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Donald Trump
(foto da ilsole24ore.com)
L’economia capitalistica americana, la più grande al mondo, si fonda sul liberalismo e sul libero commercio. Il nuovo presidente, Donald Trump, invece intende adottare politiche economiche stataliste che limitano la libera concorrenza e la libera circolazione di persone e merci. Al di là degli annunci quello che il leader americano intende realizzare è un cambio radicale delle politiche economiche rispetto a quelle adottate dalla precedente amministrazione di Barak Obama.
Foto da corriere.it
Il dumping è una tipica tecnica di marketing utilizzata dalle imprese per entrare in un nuovo mercato.Nel breve periodo esse praticano prezzi concorrenziali, vendono cioè i loro prodotti sottocosto. I guadagni sono rinviati al medio - lungo periodo, quando cioè le aziende saranno entrate stabilmente nel nuovo mercato. Questa strategia di vendita è utilizzata dalle imprese americane che operano in Europa, in Cina, ecc. Lo stesso stanno facendo le aziende del Vecchio continente negli Stati Uniti d’America. Spesso si tratta di merci di grande qualità, difficili da riprodurre, come i prodotti alimentari italiani, della grande moda francese o delle auto tedesche.
Nello stesso tempo non c’è un paese al mondo dove non si vendono i prodotti americani, la Coca Cola, le Jeep, gli hardware o i software ideati da Microsoft o da Google, Amazon, per non citare le produzioni cinematografiche o la vendita di armi da guerra, ecc… Il mondo è invaso dai prodotti Usa e la libera circolazione di persone e merci ha creato sviluppo e ricchezza in tutto il mondo eppure questo non basta, la nuova amministrazione vuole ridurre le importazioni negli Usa con i dazi doganali. Una limitazione alla libera concorrenza e ai principi fondamentali del sistema economico capitalistico, perché?
Beppe Grillo
(foto da politica.diariodelweb.it)
Le politiche populiste hanno la loro ragion d’essere sulla difesa dei localismi. La Brexit in Gran Bretagna, l’elezione alla Casa Bianca del magnate americano, l’ascesa di Marine Le Pen in Francia o della Lega e del M5s in Italia, ecc… si fondano sulla difesa di privilegi nazionalistici acquisiti anche con le politiche economiche liberiste. Si dimentica che questi principi hanno portato, nel secolo scorso, a conflitti e crisi economiche ed hanno causato miseria e guerre.
L’antidumping di Donald Trump è quindi uno strumento che potrà portare nel breve periodo benefici limitati, ma che nel medio termine determinerà conflitti ed incertezze tali da provocare gravi crisi economiche.
Inoltre, la globalizzazione propugnata dalle stesse multinazionali americane è un fenomeno così dirompente che non potrà essere fermatadai dazi doganali o da altri limiti alle importazioni che il presidente Usa vuole imporre, l’unica conseguenza sarà l’isolamento e di conseguenza il relativo impoverimento dell’economia più potente del mondo. Tutto questo per appagare le ambizioni politiche di un solo uomo: Donald Trump.

giovedì 3 novembre 2016


Elezioni Usa, la grande paura è Trump presidente

Nonostante l’appoggio di una parte del partito repubblicano la democratica Hillary Clinton potrebbe non farcela a diventare la prima donna presidente degli Usa 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


Foto da today.uconn.edu
L’ultimo sondaggio pubblicato da ABCNews/Washington Post e riportatato da laspampa.it dà Donald Trump in vantaggio con il 46% contro il 45% di Hillary Clinton. Le intenzioni di voto sono state rilevate tra il 27 ed il 30 dello scorso mese, ossia dopo le ultime rivelazioni sulle mail dell’ex first lady. Il sorpasso si era già verificato il 13 ottobre, quando il magnate americano era avanti di due punti.
Altre ricerche danno ancora in vantaggio Hillary Clinton, anche se negli ultimi giorni la distanza tra i due candidati si è ridotta, la media delle diverse rilevazioni dà la Clinton al 47,5% contro il 45,3% dell’avversario.
Hillary Clinton
(foto da Biography.com)
E’ bene ricordare che il sistema elettorale americano è su base regionale, conta cioè il risultato nei singoli Stati, per cui un candidato potrebbe raggiungere la maggioranza dei voti ma potrebbe non essere eletto. Questa situazione si è già verificata il 7 novembre del 2000, quando George W. Bush prevalse su Al Gore solo grazie al risultato contestato della Florida.
I grandi elettori sono 538, distribuiti in proporzione al numero di abitanti dei 50 Stati che fanno parte della federazione, alcuni di questi sono in bilico e potrebbero essere decisivi nell’elezione del 45esimo presidente degli Usa. La candidata democratica disporrebbe di 263 preferenze (la maggioranza è 270), ma, se consideriamo i sondaggi, avrebbe grandi probabilità di conquistare quelli necessari tra i 111 grandi elettori in bilico. La Clinton potrebbe così arrivare a 304 contro i 234 di Trump.
Donald Trump
(foto da plus.google.com)
L’8 di novembre sapremo se gli Stati Uniti d’America avranno eletto, dopo il primo presidente nero, anche la prima presidente donna. A pochi giorni dalle elezioni quello che stupisce è che, nonostante la figura di Trump si particolarmente ‘discussa’ e la Clinton abbia il sostegno della maggior parte delle elite e della classe dirigente americana (persino una parte del partito repubblicano la sostiene),rimanga ancora tanta incertezza sull’esito del voto. Le democrazie occidentali soffrono di un deficit di rappresentanza e quella americana non fa eccezione.  In fondo i candidati sono due milionari esponenti dell’etablissement politico ed economico, leader dei rispettivi schieramenti ma lontani dai problemi quotidiani di milioni di americani. Probabilmente molti elettori non andranno a votare e tanti lo faranno solo per esprimere dissenso verso l’uno o l’altro candidato nella convinzione che per loro poco o nulla cambierà, sia che prevalga Trump o la Clinton.

sabato 25 giugno 2016

La Brexit è una grande opportunità per la nascita degli Stati Uniti d’Europa

La decisione presa dagli elettori inglesi di uscire dall’UE potrebbe essere l’occasione giusta per accelerare l’integrazione tra i 19 Stati dell’Eurozona e per la nascita degli Stati Uniti d’Europa 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Winston Churchill (foto da wikipedia.org) 
Nel 1952 Winston Churchill disse: ’L’Inghilterra ha due sole strade o diventa la cinquantesima stella della bandiera americana oppure sceglie l’Europa e provvede a costruire la nascita insieme a tutti gli altri Stati del continente’. Con il voto a favore della Brexit i sudditi di sua maestà Elisabetta II hanno deciso di restare da soli con il rischio della disgregazione interna (Scozia e Irlanda del Nord hanno votato per il Remain), in balia della globalizzazione, con una probabile fase di recessione e che l’Europa tratterà come un piccolo mercato di libero scambio, nulla di più. 
In un’intervista rilasciata oggi a Repubblica.it Gregorio De Felice, capo economista di Intesa Sanpaolo, ha dichiarato: ‘Per il futuro dobbiamo guardare alle capacità di reazione della politica europea. Se la sberla inglese avvierà un processo di adeguamento della costruzione europea maggiormente orientata alla crescita, gli effetti finali di Brexit potrebbero essere paradossalmente positivi’. Ed ancora: ‘Il fallimento di Lehman Brothers portò ad una recessione mondiale. Qui siamo di fronte ad uno choc importante che implicherà una fase recessiva per il Regno Unito ma con effetti limitati per l'Eurozona’.
Foto da trend-online.com
Il 52% degli elettori inglesi non ha tenuto conto quanto di positivo è avvenuto nel Vecchio Continente negli ultimi 60 anni. Il mercato economico unico, la Banca Centrale europea, la libera circolazione delle merci e delle persone, un ministro degli esteri comune, un governo comune, sia pure con tanti limiti, una legislazione che tende sempre più ad uniformarsi, l’Euro, il salvataggio degli Stati nazionali (Grecia, Islanda, Portogallo, Spagna e Italia). Ed ancora, dopo secoli di guerre ed odi, la pace ed il dialogo tra i singoli Stati che hanno prodotto sviluppo e benessere e la possibilità, restando uniti, di essere protagonisti nel mondo globalizzato ed interdipendente.
Dal 1992 con la stipulazione del trattato di Maastricht oltre ad essere italiani, francesi, tedeschi, olandesi, spagnoli, ecc., siamo diventati cittadini europei e la delusione dei giovani inglesi, che in massa hanno votato per il Remain, lo dimostra.
La Gran Bretagna è stata per troppi anni una ‘palla al piede’ per un’ulteriore integrazione tra gli Stati membri dell’UE. Oggi è il tempo di fare un passo avanti, l’integrazione istituzionale è urgente ed inevitabile.Tutto dipenderà dalla volontà politica dei principali leader europei: Angela Merkel, François Hollande e Matteo Renzi. Essa dovrebbe avvenire tra i 19 Stati che hanno aderito alla moneta comune, l’Euro, e dovrebbe portare alla nascita di un governo dell’Europa che traghetti l’Ue negli Stati Uniti d’Europa.
La Brexit nell’immediato sta avendo un impatto negativo sul sistema finanziario ma nel medio periodo potrebbe essere una grande opportunità d’integrazione politica ed istituzionale per gli Stati del Vecchio Continente e per i loro cittadini.

venerdì 22 gennaio 2016


Migranti: affondati tre barconi, 45 morti, 20 sono bambini

In poche ore tre barconi carichi di migranti sono naufragati nel mare Egeo causando la morte di 45 persone, 20 erano bambini

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Il primo affondamento è avvenuto a largo dell’isola Farmakonissi, a borgo dell’imbarcazione c’erano 49 migranti, otto di essi sono annegati, sei erano bambini.
Poche ore dopo un altro barcone è naufragato al largo dell’isola di Kalolimnos. Le persone tratte in salvo dalla Guardia costiera sono state 26, i cadaveri recuperati sono stati 34. Incerto il numero di migranti che erano a bordo, i soccorritori stanno continuando le ricerche.
Infine, una terza imbarcazione è affondata al largo della costa turca di Dydyma, finora sono stati recuperati tre corpi di bambini.


martedì 8 dicembre 2015


Ritrovato il corpo di Sajida Ali, cinque anni, annegata pochi giorni fa in un altro naufragio avvenuto sul mar Egeo

Ritrovato sulla spiaggia di Pirlanta nella provincia turca di Smime il corpo di una bimba di cinque anni morta annegata in naufragio avvenuto pochi giorni fa

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Ancora una tragedia nel mar Egeo. Il corpo di una bimba di cinque anni, Sajida Ali, è stato ritrovato sulla spiaggia di Pirlanta a Cesme, nella provincia turca di Smime. La bimba sarebbe annegata pochi giorni fa insieme ad altri profughi nel tentativo di attraversare i pochi chilometri di mare che separano la Turchia dalla Grecia.
La vicenda ricorda quella drammatica d’inizio settembre quando fu ritrovato il corpo del piccolo Aylan Kurdi, il bambino di 3 anni annegato con la madre ed il fratellino di cinque anni.
Il nuovo naufragio è avvenuto verso le 2:30 della scorsa notte sulle acque di Cesme. A bordo del gommone c’era un gruppo di profughi afgani ed ha provocato l’annegamento di sei bambini. Tra loro un neonato. La Guardia costiera di Ankara, secondo l’agenzia di stampa Anadolu, avrebbe tratto in salvo altre otto persone, ma nulla ha potuto fare per i sei bambini, tra cui Sajida Ali, il cui corpo ora è stato ritrovato sulla spiaggia di Pirlanta.

lunedì 23 novembre 2015


Antoine Leiris scrive ai terroristi: ‘Vous n’aurez pas ma haine’

Giornalista, papà di un bimbo di 17 mesi, compagno di Hélène, morta negli attentati di Parigi, Antoine Leiris ha scritto su facebook una lettera aperta ai terroristi

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Antoine Leiris e Hélène Muyal
Il messaggio postato su facebook da Antoine Leiris per ricordare la sua compagna uccisa dai terroristi dell’Isis andrebbe letto in tutte le scuole del mondo per il modo semplice e chiaro con cui quest’uomo di 34 anni ha respinto ogni spirito di vendetta ed ogni sentimento di odio verso coloro che hanno fatto della morte l’unica ragione della loro vita.  
Ecco il testo integrale. “Venerdì sera avete rubato la vita di un essere eccezionale, l’amore della mia vita, la madre di mio figlio, ma non avrete il mio odio. Non so chi voi siate e non lo voglio sapere, siete delle anime morte. Se questo Dio per il quale uccidete ciecamente ci ha fatti a sua immagine, ogni pallottola nel corpo di mia moglie sarà stata una ferita nel suo cuore.
Il post di Leiris sul suo profilo facebook
Non vi farò il regalo di odiarvi. Voi l’avete cercato certamente, ma rispondere all’odio con l’odio sarebbe cedere alla stessa ignoranza che vi fa essere quello che siete. Voi volete che io abbia paura, che guardi con sospetto i miei concittadini, che sacrifichi la mia libertà per la sicurezza. Avete perso. Io sono ancora in gioco. L'ho vista questa mattina. Finalmente, dopo giorni di attesa. Era bella come quando è uscita venerdì sera, bella come quando mi sono innamorato di lei 12 anni fa. Ovviamente sono devastato per il dolore, vi concedo questa piccola vittoria, ma sarà di breve durata. So che lei ci accompagnerà ogni giorno e che la ritroveremo nel paradiso delle anime libere, al quale voi non avrete mai accesso.
Siamo in due, io e mio figlio, ma siamo più forti di tutte le armate del mondo. Non ho più tempo da dedicarvi, devo raggiungere Melvil che si è svegliato dal suo sonnellino. Ha appena 17 mesi, mangerà la sua pappa come ogni giorno, giocheremo come ogni giorno e per tutta la sua vita questo bambino vi farà l’affronto di essere felice e libero. Perché no, non avrete nemmeno il suo odio».  

sabato 3 ottobre 2015


Nato bombarda per errore ospedale di Kunduz, uccisi 12 operatori di MSF

Bombardato per errore dalle forze armate Usa l’ospedale di MSF a Kunduz. I morti sono 12 ed i feriti sono 39, ma ci sono ancora diverse persone sotto le macerie

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

L'ufficio delle riunioni dell'ospedale di Kunduz utilizzato come sala operatoria
“L’attacco aereo potrebbe aver causato danni collaterali a una struttura medica della città”. Con questo comunicato le forze armate Usa in Afghanistan hanno ammesso di aver bombardato l’ospedale di Medici Senza Frontiere di Kunduz. Dodici operatori sanitari sarebbero morti, mentre i feriti sarebbero almeno trentanove, ma vi sono anche numerosi dispersi. Nell’ospedale c’erano 105 pazienti con i loro familiari e 80 membri dello staff nazionale e internazionale di MSF.
In un comunicato firmato dal direttore delle operazioni della Ong, Bart Janssens, si legge: “Alle 2,10 locali il Centro traumi di Kunduz è stato ripetutamente colpito durante un intenso bombardamento ed è rimasto gravemente danneggiato. Siamo profondamente scioccati da questo attacco, dall’uccisione di membri del nostro staff e di pazienti e dei gravi danni inflitti alla sanità di Kunduz”. Ed ancora: “Il bombardamento è continuato per oltre 30 minuti dopo che le truppe Usa ed afghane sono state allertate per la prima volta. Tutte le parti in conflitto, comprese Kabul e Washington, erano perfettamente informate della posizione esatta delle strutture MSF. Come in tutti i contesti di guerra, MSF ha comunicato le coordinate GPS a tutte le parti del conflitto in diverse occasioni negli ultimi mesi, la più recente il 29 settembre”.
Stefano Zannini, responsabile del Dipartimento supporto alle operazioni di MSF ha dichiarato: “Temiamo che il bilancio delle vittime del bombardamento possa salire ancora. I feriti sono 39 e tra di loro ci sono 19 operatori di MSF”, ed ha aggiunto: “ci sono ancora diverse persone sotto le macerie dell’ospedale bersagliato”.
“Molti feriti li stanno trasferendo al nostro ospedale di Kabul” riferisce all’Agi Gino Strada, fondatore di Emergency.
Intanto, all’ospedale di Kunduz la sala operatoria è distrutta ed ora gli interventi chirurgici si fanno nella sala riunioni. 

lunedì 21 settembre 2015


Migranti: ancora due tragedie al largo di Lesbo

L’Ue ipotizza una multa o il rinvio dei ricollocamenti dei rifugiati. Intanto, le tragedie continuano

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

La Slovenia sta innalzando una barriera al confine con la Croazia. Lo scopo è di evitare che i rifugiati provenienti dalla Croazia entrino illegalmente attraverso campi e boschi.
Intanto, si cerca un accordo sul ricollocamento dei rifugiati. Secondo fonti Ue s’ipotizza il pagamento di 6.500 euro a profugo oppure concedere la possibilità di ritardare i collocamenti di sei mesi. Un accordo è stato raggiunto invece sul numero dei 120mila ricollocamenti da fare, ma senza indicare le percentuali relative ai singoli Paesi. Quel che è certo è che i beneficiari dovranno organizzare gli ‘hot spot’ sul proprio territorio. Ma Croazia ed Ungheria non sono disponibili e questo potrebbe favorire l’Italia e la Grecia.
Mentre l’Ue discute le tragedie continuano. Tredici persone sono annegate, tra loro quattro bambini, nella collisione tra un traghetto turco ed un gommone carico di migranti. ”Era buio, abbiamo visto la nave che veniva verso di noi. Abbiamo provato a fare dei segnali con le torce e i telefonini, ma non ci hanno visti”, ha raccontato uno degli otto superstiti.
Un altro barcone si è rovesciato nella notte sempre al largo dell’isola di Lesbo. In 20 si sono salvati, mentre altri 26 risultano dispersi.  
Stamane, la guardia costiera greca ha recuperato al largo dell’isola di Lesbo il corpicino di una bimba di 6 anni. Una vittima ancora senza nome, l’ennesima che ha perso la vita nel tentativo di fuggire dalla guerra e dalla fame.

martedì 15 settembre 2015

Migranti: sciopero della fame al confine Ungheria-Serbia

Situazione di tensione al confine tra Ungheria e Serbia, dove un centinaio di migranti hanno iniziato lo sciopero della fame per protestare contro la chiusura della frontiera

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

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Secondo Frontex gli arrivi nei primi otto mesi del 2015 sono stati oltre 500mila, per l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni sono stati 464.876 i rifugiati che hanno attraversato il Mediterraneo, i morti sono stati 2.812.
Intanto, l’Ungheria ha completato il muro ed ha dichiarato lo Stato di emergenza in due contee che confinano con la Serbia. Lo scopo è di dare più poteri alla polizia e nello stesso tempo autorizzare l’intervento dell’esercito nel controllo delle frontiere. Con le nuove norme chiunque entrerà illegalmente in Ungheria sarà arrestato. Già oggi 170 migranti che hanno attraversato il confine sono stati fermati. Per protestare contro la chiusura della frontiera un centinaio di migranti hanno dato inizio allo sciopero della fame.
Il ministro degli Esteri tedesco Gabriel, dopo il mezzo fallimento dell’incontro dei membri dell'Unione europea sulla questione dei migranti, ha dichiarato: “Ieri l’UE si è coperta di ridicolo’.
Intanto, mentre i Paesi dell’est Europa prospettano un ‘problema politico’ sull’eventuale voto per il ricollocamento dei migranti, la cancelliera Angela Merkel ha chiesto un vertice straordinario dell’Ue e ‘hotspot’ in Italia e Grecia. Anche il ministro degli esteri dell’Unione europea, Federica Mogherini ha espresso la sua preoccupazione: “La mancanza di unità dell’Ue mina la sua credibilità”. Ed ancora: “Nessun muro fermerà chi scappa dalla schiavitù”.



Polizia ceca 'marchia' i profughi


Il numero scritto su un braccio identifica i treni e i vagoni in arrivo

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da ansa.it
La polizia ceca sta 'marchiando' i migranti in arrivo a Breclav, cittadina al confine con l’Austria, con un numero scritto a pennarello sul braccio che indica il treno in arrivo ed il vagone. La notizia è sul sito Britske listy ed è confermata dal quotidiano Mlada fronta Dnes.
Le stesse cifre sono poi riportate sui biglietti del treno che la polizia sequestra. Una bambina addormentata sulle spalle della madre porta sull’avambraccio la scritta C5.
Intanto non si arresta il flusso di migranti che stanno entrando dal confine con la Serbia. La polizia ungherese ha intercettato, finora, 153.561 persone entrate illegalmente. Ed è stato inutile erigere un muro ed aumentare il numero di poliziotti di guardia alla frontiera.
Le autorità ungheresi, per evitare l’assalto ai treni, hanno chiuso la stazione di Budapest Keleti. Lo scopo è impedire ai profughi di proseguire verso la Germania o l’Austria. Centinaia di persone, molte delle quali munite di biglietto, stanno manifestando sulla piazza Baross antistante allo scalo ferroviario.
“I migranti che giornalmente arrivano in Serbia sono 3 mila”. A dirlo è Anne-Birgitte Krum-Hansen, capo di Unhcr. Ed ancora: “Il flusso proseguirà probabilmente sui livelli attuali, ed è possibile che aumenti ulteriormente”.

sabato 29 agosto 2015

@GissiSim: ‘‘Syrian father selling pens in the streets of #Beirut with his sleeping daughter #Lebanon #Dyria’


Con questo tweet e con l’hashtag #BuyPens Giussur Simonarson ha promosso una raccolta fondi per aiutare Abdul, profugo siriano che vende penne mentre tiene in braccio sua figlia 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Abdul e sua figlia 
@GissiSim è il nickname di Giussur Simonarson CN, attivista di Oslo che lo scorso 25 agosto ha lanciato sul suo profilo Twitter questo messaggio: ‘Syrian father selling pens in the streets of #Beirut with his sleeping daughter #Lebanon #Dyria’
La storia di Abdul e dei suoi figli è rimbalzata in tutto il mondo ed è scattata subito la solidarietà. Ottantamila dollari sono stati raccolti in poche ore.
Abdul, trentacinque anni, è scappato dal campo profugo siriano di Yarmuk per raggiungere Beirut. E’ un papà single con due figli da accudire.Le penne che cerca di vendere mentre tiene in braccio la figlia sono, probabilmente, le ultime cose che gli sono rimaste.
Quando Giussur pubblica sul suo profilo la foto, non sa che farà il giro del mondo e che commuoverà decine di migliaia di persone.
La Rete si attiva e subito viene lanciata la campagna #BuyPens per identificare l’uomo e per aiutarlo. La raccolta fondi attivata da Simonarson aveva come obiettivo 5000 dollari, ma esso è stato raggiunto ed abbondantemente superato.
Saputo della notizia Abdul si è commosso ed ha detto ‘adesso posso mandare i  miei figli a scuola e potrò aiutare altri rifugiati’. Nella pagina dedicata ad Abdul si legge: “Grazie a tutti per il supporto. E’ bello vedere persone unirsi e fare la differenza nella vita di un’altra persona”.

martedì 25 agosto 2015


Migranti: è un esodo biblico

Sono migliaia i migranti che giornalmente raggiungono le coste della Sicilia e delle isole greche, ormai è un esodo di massa verso l'Europa 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Finora i migranti che fuggivano dalla guerra e dalla fame erano etiopi, somali, libici, adesso a farlo sono anche siriani, afghani ed iracheni, ormai è un esodo di massa verso l’Europa. Ai barconi stipati di disperati che tentano di attraversare il Mediterraneo, ora si aggiungono quelli che dalla Turchia giungono nelle isole greche.
Secondo l’Unhcr nei prossimi mesi la Macedonia deve attendersi l’arrivo di oltre 3 mila migranti al giorno. La loro meta finale sono i Paesi del Nord Europa.
I profughi che fino ad oggi hanno attraversato la Serbia sono circa 100 mila, mentre quelli che hanno chiesto asilo sono appena 4 mila, a dirlo è il ministro del lavoro e affari sociali serbo Aleksandar Vulin.
Intanto la Bulgaria invia i blindati alla frontiera. “Si tratta di una misura preventiva diretta a rafforzare il presidio lungo il confine macedone per affiancare le pattuglie di guardie di frontiera”, ha detto il portavoce del ministero della difesa ungherese.
“La costruzione di recinti, i gas lacrimogeni e altre forme di violenza contro i migranti, nonché l’impiego di un linguaggio minaccioso non li dissuaderà dal cercare di venire in Europa”. Ad affermarlo è stato Francois Crépeau, relatore speciale dell’Onu in un comunicato pubblicato a Ginevra. Ed ha aggiunto: “L’emigrazione è qui per restare, l’Ue deve elaborare una politica basata sui diritti umani, globale e coerente”.

mercoledì 5 agosto 2015

Libia: si capovolge un barcone con 700 migranti, ‘si temono molti morti’

Ancora un naufragio al largo delle coste libiche, ci sarebbero decine di morti
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

L’ennesimo naufragio è avvenuto poche ore fa di fronte alle coste libiche. Secondo la Bbc ‘si temono molti morti’, lo riferisce citando come fonte la Marina irlandese, che ha sul posto la nave Le Niamh, impegnata nel salvataggio dei migranti.
L’ipotesi più probabile è che all’arrivo delle barche i profughi si siano tutti spostati nella direzione dei soccorritori è questo avrebbe provocato il ribaltamento del barcone.
Nel peschereccio sarebbero stipate circa 700 migranti. I corpi recuperati sarebbero venticinque, mentre 400 persone sono già state tratte in salvo, ma si tratta di un bilancio provvisorio
L’allarme era partito dalla centrale operativa di Catania che aveva ricevuto una chiamata satellitare che segnalava le difficoltà in cui si trovava un peschereccio con numerose persone a bordo. Sul luogo sono state dirottate diverse imbarcazioni tra cui la Dignity One, una nave di Medici senza frontiere, e la Le Niamh. 

mercoledì 5 agosto 2015

Fethullah ed Esra hanno festeggiato il matrimonio con 4 mila profughi siriani


Grande gesto di solidarietà compiuto da una coppia di sposini turchi che hanno deciso di donare i risparmi destinati ai festeggiamenti del loro matrimonio ai rifugiati del campo di Kilis

di Giovanni Pulvino(@PulvinoGiovanni)

Fethullah ed Esra
Fethullah ed Esra sono due giovani sposini turchi che hanno deciso di donare i risparmi delle loro famiglie destinati alla festa del loro nozze agli abitanti del campo profughi di Kilis. In questa città, al confine con la Siria, si registra da mesi un alto afflusso di sfollati che scappano di fronte all’avanzata dello Stato islamico. Qui la settimana scorsa hanno festeggiato il loro matrimonio Fethullah ed Esra in compagnia di 4000 rifugiati siriani.
In Turchia è tradizione festeggiare le nozze dal martedì al giovedì e, di solito, avvengono con lussuosi banchetti. La coppia invece ha contattato l’organizzazione che si occupa dei rifugiati, Kimse Yok Mu, per donargli i loro risparmi. I due sposini, Esra vestita in bianco e Fethullah in smoking, a bordo di un ‘camion bar’ hanno servito i loro ‘invitati’.
Fethullah ed Esra
La proposta di fare un matrimonio con i profughi è stata del padre dello sposo che ha dichiarato: “Ho pensato che consumare una cena deliziosa con i nostri amici e la nostra famiglia non era necessario, soprattutto sapendo che ci sono persone bisognose vicino a noi.”
Fethullah, di fronte all’idea del padre, non avuto alcun dubbio ed ha detto: “E’ stato il momento più bello della mia vita. Vedere la felicità negli occhi dei bambini siriani è stato impagabileAbbiamo cominciato il nostro viaggio verso la felicità rendendo felici altre persone. E questa è una sensazione impagabile”. Anche la sposa dopo un attimo di esitazione ha dichiarato il suo entusiasmo: “Quando Fethullah me l’ha detto sono rimasta scioccata, ma dopo mi sono convinta. E’ stata un’esperienza meravigliosa”.
Adesso non è escluso che altri possano imitare quest’atto di solidarietàcompiuto in una regione che sta subendo i tragici effetti dell’avanzata dei terroristi dell’Isis e dove sarà costruito un altro campo che potrà ospitare fino a 55 mila rifugiati.
I nostri amici”, ha aggiunto Fethullah, “hanno detto che il nostro gesto li ha ispirati e adesso vogliono organizzare una festa simile per il loro matrimonio”.


domenica 19 luglio 2015

Raghad sognava la Germania invece è morta nel Mediterraneo per la crudeltà di scafisti senza scrupoli


Raghad, appassionata di disegni e di scrittura, malata di una grave forma di diabete, è morta ad 11 anni durante la traversata del Mediterraneo per l’avidità e la crudeltà di scafisti senza scrupoli

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Raghad Hasoun
Mormorava papà, papà e non aggiungeva nessuna parola, non aveva la forza di aggiungere altro, in realtà non ce n’era bisognoSi è spenta al quinto giorno. L’abbiamo appoggiata su un piccolo pezzo del ponte, era tutta rannicchiata, attorno c’era gente accalcata, stremata, svenuta. Poi il suo corpo si stava ... volevo che le altre figlie non avessero di lei un’immagine … abbiamo lavato i sui vestiti in mare … l’ho adagiata in acqua”. 
Con queste struggenti parole il padre Eyas Hasoun ricorda, in un'intervista rilasciata al Corriere della sera, gli ultimi momenti della breve vita di sua figlia Raghad, una bambina di 11 anni affetta da una grave forma di diabete, morta durante la traversata del Mediterraneo.
Nel 2013 la famiglia Hasoun fugge dalla Siria per rifugiarsi in Egitto. Negli ultimi mesi, con l’aumento delle tensioni politiche e delle ostilità nei confronti degli stranieri, la situazione al Cairo era diventata difficile. “Non potevamo più stare, avevo paura per le mie figlie. Così avevo pensato di raggiungere la Germania”.
Raghad Hasoun
Dopo essere fuggiti da Aleppo, dove Eyas gestiva un grande negozio di distribuzione di farmaci, il nucleo famigliare decide di tentare la traversata del Mediterraneo.Pochi giorni prima della partenza, Raghad aveva avuto un’esitazione: ”Io sono malata, sono il punto debole. Se volte, lasciatemi pure qui in Egitto e voi proseguite”.
Il giorno della partenza, racconta il papà di Raghad,: “Avevamo preparato due zaini pieni di fiale di insulina e di macchinari per misurare i valori del diabete. Sulla spiaggia di partenza gli scafisti ci hanno imposto di raggiungere un’imbarcazione che distava dalla riva un centinaio di metri. Il mio zaino si era impregnato di acqua ma mia moglie era riuscita a salvarlo. Ma uno scafista le ha ordinato di abbandonarlo e di fronte al rifiuto di mia moglie glielo ha strappato di mano e l’ha scaraventato in mare. Abbiamo provato a recuperarlo ma ormai i macchinari non funzionavano più e le fiale erano inservibili. Ho provato ad aiutare la mia piccola Raghad. Ma senza macchinari, senza insulina ero impotente. Avevo il buio che mi stava travolgendo”.
Finisce così la vita di una bambina, appassionata di disegni e scrittura, malata di diabete, che fuggiva dalla guerra e dall’intolleranza e con la speranza di vivere in Europa, invece è morta a soli 11 anni in un barcone colmo di disperati per l’avidità e la crudeltà di uomini senza scrupoli.


venerdì 17 luglio 2015

Angela Merkel e le lacrime della bambina palestinese


La cancelliera tedesca nel corso di una trasmissione televisiva tenta di consolare una bambina palestinese scoppiata in lacrime perché teme, insieme alla sua famiglia, di essere espulsa  dalla Germania

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)




Nel corso di una trasmissione televisiva la cancelliera tedesca, Angela Merkel, risponde ad una domanda fattagli da Reem, una bambina palestinese che è stata in un campo profugo in Libano e che da 4 anni vive in Germania. Ora la sua famiglia sta attraversando un momento particolarmente difficile. Il papà ha problemi con il permesso di soggiorno e tutto il nucleo familiare rischia di essere allontanato dal Paese. 
“Vorrei frequentare l’università come tutti. E’ davvero un desiderio e un obiettivo che vorrei raggiungere ed è veramente molto spiacevole osservare come gli altri assaporano la vita e non poter fare altrettanto”chiede la bambina. La risposta di Angela Merkel è gelida ed in perfetto politichese: “In Libano ci sono migliaia e migliaia di persone e se noi diciamo ‘ok potete venire tutti’ e poi non siamo in grado di gestirlo dovranno tornare indietro”.
Reem a questo punto scoppia a piangere. “Hai fatto un buon lavoro” continua la cancelliera nel tentativo di consolare la bambina ed aggiunge: ”Voi state vivendo un periodo difficile ed avete mostrato a molte altre persone come queste situazioni possono andare a finire”.


martedì 14 luglio 2015

Fmi: il debito greco non è sostenibile


Il Fmi, in un rapporto confidenziale inviato ieri ai membri dell’Eurozona, sostiene che il debito greco non è sostenibile

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni) 

Lo studio del Fmi, pubblicato dall’agenzia Reuters, afferma che la Grecia necessità di un alleggerimento del debito molto più ampio di quello concesso finora.
Christine Lagarde presidente del Fmi
Le tensioni degli ultimi mesi, afferma il rapporto, hanno causato un peggioramento dell’economia e del settore bancario e finanziario ed 'il drammatico deterioramento della sostenibilità del debito indica la necessità di un alleggerimento del debito su una scala che dovrebbe andare ben oltre quanto è stato preso in considerazione ad oggi e quanto proposto dall’Esm'.
Insomma, l’Europa oltre a dover procedere con il salvataggio, il terzo in cinque anni, dovrebbe concedere al governo di Atene un ‘periodo di grazia’ di 30 anni sul servizio del debito, comprensivo dei nuovi prestiti, e un’estensione molto ampia delle scadenze, o procedere a trasferimenti annuali espliciti al bilancio greco, oppure accettare “profondi e chiari haircut (tagli)” sui prestiti concessi.
Secondo Washington, nei prossimi due anni, il rapporto tra il debito ed il Pil greco si avvicinerà al 200%. Mentre solo nel 2022 scenderà al 170%, rispetto al 142% di due settimane fa. Inoltre queste previsioni sono suscettibili di ulteriori peggioramenti.
L’analisi sulla sostenibilità del debito greco fatta dal Fmi ed inviata ai governi dell’Eurozona poche ore dopo la firma dell’accordo tra il governo di Atene ed i 18 paesi dell’area euro dimostra come l’Europa non è l’usuraio che sta succhiando il sangue dei greci ma è l’unica possibilità che essi hanno per evitare la catastrofe.


lunedì 13 luglio 2015

L’agreement sulla Grecia è stato raggiunto


Evitata la Grexit, ma le condizioni imposte dall’Eurogruppo al governo di Atene sono molto stringenti 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


Il nuovo bail-out della Grecia, il terzo in cinque anni, prevede tra l’altro l’aumento dell’Iva sui beni alimentari dal 13 al 23 per cento, la riforma del mercato del lavoro e delle pensioni e soprattutto le privatizzazioni con la creazione di un fondo di garanzia di 50 miliardi di euro. Esso sarà gestito dal governo greco e sarà una sorta d’ipoteca a garanzia dell’ennesimo salvataggio che comporterà un altro prestito di circa 86 miliardi di euro. Di questi 25 miliardi saranno stanziati subito per salvare le banche greche ed altri 7 per pagare la rata del debito scaduta.
Entro mercoledì il Parlamento greco dovrà approvare le riforme previste nell’accordo. I tempi stabiliti sono così stringenti per consentire agli altri Parlamenti europei di approvare l’intesa raggiunta entro la settimana. La loro ratifica avverrà, infatti, solo dopo che la Grecia avrà dato avvio alle riforme ed avrà dimostrato di mantenere gli impegni presi. A tale proposito Angela Merkelha detto: ”Sarà un percorso lungo e difficile ma ora è possibile ristabilire la fiducia”.
Il leader di Syriza, Alesïs Tsipras, ha dichiarato: “L’accordo crea condizioni per la stabilità finanziaria. Inoltre abbiamo ottenuto l’alleggerimento debito. L’intesa raggiunta stanotte può portare investimenti nel Paese”.
Il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, al termine del summit ha detto: “E’ stata una discussione molto accesa, la rottura sarebbe stata insensata.Trovare un intesa è stato merito di tutti. Ora è possibile ristabilire la fiducia”. 


domenica 12 luglio 2015

E’ falso affermare che le risorse per il salvataggio della Grecia siano andate alle banche francesi e tedesche


Secondo l’analisi fatta per lavoce.info da Nicola Borri e Pietro Reichlin i beneficiari del bail-out della Grecia sono soprattutto le banche greche ed i loro depositanti

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Il leader della Grecia Alesïs Tsipras di fronte al Parlamento europeo ha detto:”I vostri soldi sono serviti a salvare le banche, non sono mai arrivati al popolo”.
In realtà secondo l’analisi fatta per lavoce.info da Nicola Borri e Pietro Reichlin i beneficiari dei due bail-out (salvataggi) della Grecia sono soprattutto le banche greche ed i loro depositanti e se 240 miliardi di prestiti non sono andati all’economia greca è responsabilità dei governi di Atene.
Con il primo salvataggio di 110 miliardi avvenuto nel 2010 solo il 35% è stato utilizzato per ripagare i creditori mentre 15 miliardi di euro sono finiti nelle casse delle banche greche e 57 miliardi di euro in quelle del governo greco.
Nel 2012 è stato necessario un secondo salvataggio che ha comportato un haircut (taglio) del debito del 52%. Esso ha riguardato anche l’esposizione verso le banche europee che a quella data era di 60 miliardi di euro. Anche le banche greche hanno subito una perdita di 22 miliardi di euro, questa però è stata coperta subito con un prestito del fondo salva-stati (Efsf).
In pratica le banche europee e principalmente quelle francesi e tedesche nel 2010 avrebbero avuto una perdita di circa 40 miliardi di euro dal default della Grecia mentre nel 2012 con l’haircut hanno perso circa 30 miliardi di euro. Una differenza di 10 miliardi, una cifra piuttosto limitata per poter affermare che ‘i soldi sono serviti per salvare le banche’.
Inoltre, a fronte di questo ‘presunto’ salvataggio, i contribuenti europei adesso sono esposti verso la Grecia, attraverso l’Efsf e la Bce, per una cifra di circa 160 miliardi di euro.
Ora siamo alla vigilia di un altro bail-out, il terzo e, considerati i precedenti, le titubanze di molti governanti europei sono pienamente giustificate.


lunedì 6 luglio 2015


Alexïs Tsipras e la vittoria di Pirro

In Grecia il ‘No’ al referendum vince con il 61,31% dei voti ma quella di AlexïsTsipras e di Syriza potrebbe presto trasformarsi in una vittoria di Pirro

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

“Con la scelta storica e coraggiosa di oggi, il popolo greco non ha risposto alla domanda ‘dentro o fuori dall’euro?’ che deve essere lasciata definitivamente fuori dalla discussione. Il popolo greco ha risposto alla domanda: ‘Che tipo di Europa vogliamo?’ E ha risposto con coraggio: vogliamo un’Europa della solidarietà e della democrazia. Da domani, la Grecia tornerà al tavolo dei negoziati.“ Questo è quanto ha dichiarato il premier greco Alexïs Tsipras dopo la vittoria del ‘no’ al referendum.
Elefanti da guerra nella battaglia di Zama, 18 ottobre 202 a.C.
“Al momento non ci sono i presupposti per nuove trattative su altri programmi di aiuto”. L’ha affermato il portavoce di Angela Merkel, Steffen Seiber.
Sembra un dialogo tra sordi.Dal voto sul referendum Tsipras esce rafforzato ad Atene ma indebolito in Europa e la sua potrebbe trasformarsi presto in una vittoria di Pirro. La Grexit adesso è una possibilità concreta ed a pagarne le conseguenze sarebbero soprattutto i greci.
Il paese ellenico ha bisogno di ulteriori prestiti per 60 miliardi di euro mal’Europa difficilmente sarà disposta a concederli. L’economia greca senza il sostegno della Bce e dell’Europa andrebbe rapidamente in asfissia. Sarebbe un disastro e le conseguenze sociali sarebbero gravissime. A quel punto l’uscita dall’euro sarebbe inevitabile. La nuova moneta andrebbe incontro ad una rapida svalutazione ed il Pil subirebbe un altro pesante calo dopo quello del 25% subito negli ultimi cinque anni.
Uno scenario catastrofico, allora cosa fare per evitarlo? La matassa da sbrogliare è sempre la stessa. Tsipras chiede all’Europa solidarietà mentre la Merkel, Juncker e i negoziatori di Bruxelles chiedono rispetto per gli impegni presi con l’UE. Del resto Alexïs Tsipras non può chiedere ed ottenere quello che è stato negato agli altri Paesi  che si trovano nelle stesse condizioni economiche e finanziarie della Grecia.
Il tempo rimasto per trovare una soluzione è limitato tuttavia un’intesa è ancora possibile, ma occorrerà tanto buon senso, soprattutto da parte dei governanti greci, sempreché vogliano evitare altre sofferenze al loro popolo. 

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