martedì 30 marzo 2021

Medici ‘No vax’: sospensione, trasferimento o licenziamento?

Medici ‘No vax’: non facciamo l’errore di penalizzare ancora una volta chi si comporta in modo corretto e serio ed opera per il bene comune, premiare i furbi non è mai una buona cosa

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da primadituttomantova.it

A Brindisi 400 sanitari ‘No vax’, a Lecce altri 200, a Fiano Romano, cittadina a nord di Roma, un’operatrice che non ha voluto immunizzarsi ha contagiato due colleghi ed ha scatenato un focolaio nella struttura Rsa dove lavora. Dei 27 positivi al Coronavirus nessuno ad oggi è in condizioni gravi, in molti avevano già fatto il vaccino. Ora si teme per coloro che ancora non sono stati immunizzati

L’articolo 32 della Costituzione sancisce: ‘La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività... Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge’. La questione è: tutelare la salute e l’interesse collettivo o garantire il diritto individuale dei medici e dei sanitari 'No vax'? Deve prevalere cioè l’interesse pubblico o quello privato? Nel 2017 la Consulta stabili ‘non irragionevole’ limitare la libera autodeterminazione per la ‘tutela degli altri beni costituzionali’, tra questi c'è, ovviamente, la salute dei cittadini.

Un medico non può e non deve mettere in pericolo la vita di un suo paziente. Prima di iniziare la professione i sanitari si impegnano a ‘…perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell'uomo e il sollievo della sofferenza, …. di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona …’.

Ognuno di noi ogni giorno deve decidere se vivere pensando solo al proprio ego o nella consapevolezza che l’esistenza altrui è altrettanto importate quanto la nostra. Le convinzioni personali non devono intralciare o condizionare il nostro operato quando questo incide nella sfera sociale altrui. Per i sanitari non ci possono essere mezze misure. Chi non accetta questi principi etici e deontologici non può svolgere la professione di medico o di infermiere.

Non solo. Chi ci garantisce che sia solo un problema di tutela della salute? Nulla esclude che essa sia una strategia volta ad ottenere il trasferimento per svolgere un’altra mansione, magari meno gravosa o una sospensione retribuita.

Non facciamo l’errore di penalizzare chi si comporta in modo corretto e serio ed opera per il bene comune. Premiare i furbi non è mai una buona cosa.

Fonte wikipedia.org

venerdì 26 marzo 2021

‘Ma voi siete comunisti?’, per noi la risposta era ovvia

Ma voi siete comunisti?’. La domanda ci parse strana e superflua nello stesso tempo, per noi la risposta era ovvia: Noi siamo figli di un operaio e di una casalinga, cos’altro possiamo essere se non questo?’

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Tessere del PCI 1983 e 1985 
(Foto di Giovanni Pulvino)

Non avevamo scelta, non era solo una questione di condizione sociale, era piuttosto una predisposizione caratteriale. Per indole non potevamo che stare dalla parte dei lavoratori. Con chi, cioè, doveva svolgere due o tre occupazioni per mantenere la famiglia e per garantire un futuro decoroso ai propri figli. Per tanti ancora oggi è così, ma la scelta ‘ideale’ non è più la stessa, chissà perché.

Quando si è ‘giovani’ non si pensa alla fine del mese, tutto ci sembra dovuto. Solo dopo, quando giungono i giorni più difficili ci si rende conto di quanti sacrifici siano stati fatti per garantirci un’adolescenza serena.

Per tanti padri e madri di famiglia, allora, l’unica soddisfazione era il ‘pezzo di carta’. Gli occhi quel giorno nell'aula magna dell'Università erano lucidi, era la loro piccola/grande ricompensa ai tanti sacrifici fatti, nient’altro.

Nulla avviene per caso. Il bisogno di conoscenza era tutto o quasi. Era una necessità ‘fisica’ che si è mantenuta nel tempo. Fino ad oggi, fino alla fine. Non era un atto egoistico. Capire e comprendere per condividere quanto appreso e per accrescere il bene comune. Lo scopo era questo.

È il Dna che ci fa andare in una direzione piuttosto che in un’altra? È la cultura acquisita? È l’ambiente sociale di provenienza? Chissà, ma che importa. Di certo è una opzione individuale. Ogni giorno ognuno di noi deve decidere da che parte stare. Lo si fa anche inconsciamente, quasi senza volere, ma è inevitabile.

Per noi e per tanti altri la scelta era ovvia, era una condizione di vita. Ed era una inevitabile conseguenza del nostro modo di intendere la ‘comunità’.

Ancora oggi è così, al di là dei nomi e delle etichette.

Ognuno può agire nel solo interesse personale, rimanendo intrappolato nel proprio ego, oppure può operare nell’interesse comune, nella consapevolezza che il bene altrui è anche il nostro. Noi sentivamo quest'ultima esigenza, era la nostra ‘diversità’.

Il senso di giustizia e del dovere era innato. Non era solo una questione ideologica o di condizione sociale, era una predisposizione ‘genetica’.

Dare a tutti le stesse opportunità senza dover sottostare alla volontà altrui, senza dover chiedere per ottenere un diritto. Liberi di decidere e di dire di no. Con l’impegno di non lasciare indietro chi non riesce ad essere autonomo. La vita è una ed il tempo scorre uguale per tutti. Troppo spesso lo dimentichiamo. Un'esistenza trascorsa senza mai dire di no, senza egoismi. Intelligenze fuori dal comune, ma senza presunzione o prosopopea ed un impegno continuo messi a disposizione di tutti. Ecco questo eravamo e siamo, almeno fino a quando resteremo nella memoria di coloro che abbiamo incontrato nella nostra strada.

La risposta a quella domanda ancora oggi è la stessa: ‘cos’altro possiamo essere se non questo?’

venerdì 19 marzo 2021

'Perché il nome di mio figlio non lo dicono mai?'

‘A ricordare e riveder le stelle’ è lo slogano scelto da Libera per la ventiseiesima edizione della Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da libera.it

‘La donna prese le mani di don Luigi Ciotti e gli disse: sono la mamma di Antonino Montinaro, il caposcorta di Giovanni Falcone. Perché il nome di mio figlio non lo dicono mai? È morto come gli altri’. Era il 21 marzo e quell’esortazione non poteva rimanere inascoltata. La Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie nasce così, dal dolore di una mamma che aveva perso il figlio nella strage di Capaci.

La prima edizione si svolse a Roma il 21 marzo del 1996. Da allora ogni anno, in una città diversa, in quel giorno vengono letti i nomi ed i cognomi delle vittime innocenti delle mafie. ‘E’ un momento di riflessione, approfondimento e di incontro, di relazioni vive e di testimonianze attorno ai familiari’, si legge nella presentazione della ventiseiesima edizione.

L’emergenza dovuta alla pandemia non ha fermato le iniziative. La campagna di sensibilizzazione sta continuando attraverso i social e con l’attivismo sul territorio.

‘A ricordare e riveder le stelle’ è lo slogan scelto per il 20 ed il 21 marzo 2021. Il senso è chiaro. Tornare a coloro che hanno perso la vita a causa delle mafie e per esprimere, attraverso la memoria, ‘l’impegno nell’oggi e nel domani’. E nello stesso tempo, citando l’ultimo verso dell’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri, si intende auspicare l’uscita dalla pandemia dopo un anno di isolamento e di distanziamento.

Combattere le mafie – dichiara il presidente di Libera don Luigi Ciotti – vuol dire anche nutrirsi di una cultura che sappia essere strumento di denuncia e di crescita civile. Le organizzazioni criminali hanno da sempre stretto un accordo con l’ignoranza e la superficialità. Le immagini in movimento rappresentano un linguaggio universale a disposizione del nostro impegno democratico. È un dovere del mondo della scuola educare gli studenti alle nuove forme di comunicazione’. 

Fonte: libera.it

martedì 16 marzo 2021

Le vaccinazioni non si possono fermare

Trombosi venosa cerebrale, è questa la causa dei decessi che si sono verificati negli ultimi giorni. Il timore è che siano dovuti al vaccino AstraZeneca 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da toscana-notizie.it

Nel nostro Paese gli eventi tromboembolici sono 166 al giorno, circa 60mila all’anno. Quelli dovuti alla patologia della trombosi venosa cerebrale sono compresi tra 2 a 5 casi su un milione di persone all’anno. Quindi sono piuttosto rari.

Non esistono ad oggi prove che certificano una relazione diretta tra l’inoculazione del siero del colosso farmaceutico anglo-svedese e gli eventi gravi sulla salute verificatisi nell’ultima settimana e che hanno portato alla sospensione delle somministrazioni in diversi paesi europei. Sarà l’Ema (Agenzia europea per i medicinali) a stabilire se c’è una correlazione oppure no.

Secondo il Paul Ehrlich Institute (PEI) della Germania, che corrisponde al nostro Istituto Superiore di Sanità, ci sarebbe un aumento ‘notevole’ di una forma rara di trombosi venosa cerebrale in concomitanza con la somministrazione del siero di AstraZeneca. Da qui lo stop alla somministrazione del vaccino.

Le segnalazioni di effetti collaterali gravi sono numerose. Nel nostro Paese per Pfizer sono state 1.700, per AstraZeneca sono state 79, ma le somministrazioni con quest’ultimo siero sono state minori.

In Germania sono stati segnalati 7 casi di trombosi venosa cerebrale, di cui tre deceduti, su 1,5 milioni di vaccinati. In Gran Bretagna, ci sarebbe stati 3 casi su oltre 11 milioni di persone vaccinate. Nel Regno Unito quelle dovute ad AstraZeneca in tutto sono state 39, di cui 14 per trombosi, 13 per embolia polmonare e 13 per trombocitopenia (mancanza di piastrine). Mentre per Pfizer sono state 36 di cui 8 per trombosi venosa profonda, 15 per embolia polmonare e 13 per trombocitopenia.

I vaccini come tutti i farmaci possono provocare effetti collaterali. Non esiste e non potrà mai esistere un medicinale che non produca una qualche conseguenza non voluta. Il punto allora è: siamo disposti ad accettare i rischi sia pure limitati oppure vogliamo tenerci il Covid-19 che continua a fare migliaia di vittime ogni giorno?

La risposta è ovvia. AstraZeneca, Pfizer/Biontech, o qualunque altro vaccino, non importa, le somministrazioni non si possono fermare.


domenica 7 marzo 2021

Zingaretti, la serietà in politica non paga

La vicenda politica di Nicola Zingaretti è un ricorso storico quasi inevitabile. La Sinistra italiana paga ancora una volta per la sua generosità

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Nicola Zingaretti - (foto da it.wikipedia.org)

Quando il nostro Paese è sull’orlo del baratro la Sinistra, chiamata alla guida del Governo, non si è mai tirata indietro. È successo tante volte. 

La rinascita dell'Italia dopo il Ventennio fascista ed il dramma della guerra non poteva avvenire senza il sostegno dei comunisti e dei socialisti, ma nel 1948 a vincere le elezioni furono le forze moderate.

Lo fece Enrico Berlinguer nel 1976 con il compromesso storico. Tre anni prima in Cile i militari erano andati al potere con un colpo di Stato. Lo stesso era avvenuto in Grecia nel 1967. Analoga sorte in tanti altri Paesi soprattutto del centro e del sud America. Lo scopo era impedire alle forze di Sinistra di accedere al governo dei loro paesi. In Italia sono gli anni della strategia della tensione e del terrorismo. Il PCI non poteva sottrarsi al Governo di solidarietà nazionale, ma fu il solo partito che nel decennio successivo ne pagò le conseguenze elettorali.

Nel 1992 eravamo in piena crisi finanziaria. Lo scoppio di Tangentopoli era inevitabile. Il fenomeno corruttivo cresciuto a dismisura negli anni Ottanta non era più sostenibile per le casse dello Stato. Il sostegno dei partiti di Sinistra fu necessario ancora una volta.

I sacrifici fatti per entrare nell’Euro alla fine degli anni Novanta costarono le dimissioni da Presidente del Consiglio a Romano Prodi ed a seguire a Massimo D’Alema.

Il sostegno del Partito democratico di Pierluigi Bersani al governo tecnico di Mario Monti dopo i disastri del berlusconismo è stato il principale motivo della mancata vittoria del Centrosinistra alle elezioni del 2013.

Ora, dopo due anni di lotta alla pandemia e di una complicata condivisione con Italia Viva ed il M5s, l’appoggio al governo tecnico/politico di Mario DraghiLa parte più complicata dell'epidemia è alle nostre spalle ed occorre spendere gli oltre 200 miliardi del Recovery plan. Non c'è più bisogno della Sinistra.

La vicenda politica di Nicola Zingaretti sembra un ricorso storico quasi inevitabile. 

I partiti progressisti fanno 'il lavoro sporco' quando le cose non vanno bene o sono impopolari, ma poi a trarne vantaggio sono quelli di centro e di destra. La serietà in politica non paga. I leader che hanno senso delle istituzioni e si limitano a guardare al futuro del Paese prendendo decisioni difficili poi ne pagano le conseguenze.

È una questione di senso del dovere. Caratteristica ineludibile nella personalità dei grandi leader dei partiti di Sinistra. Prima gli interessi del Paese, poi quelle di partito, ripeteva spesso Pier Luigi Bersani quando era segretario del Pd. Il senso della comunità viene prima di quello di parte. È un principio tipico del popolo di Sinistra, ma è anche una delle principali ragioni della perdita di consensi tra i lavoratori. Perché si sa quando c’è una crisi a pagarne i costi sono le categorie più deboli, proprio quelle che i progressisti dovrebbero rappresentare. 

È anche un fatto culturale. 

La pecora che si affida al lupo non fa un buon affare, mai, ma, nonostante ciò, ripete sempre lo stesso errore, chissà perché.

venerdì 5 marzo 2021

Ad un certo punto dello spettacolo andò via la luce

A volte basta uno sguardo, un’immagine o il ritornello di una canzone perché i pensieri comincino a muoversi, ora corrono a quando ad un certo punto della serata restammo al buio

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Il gruppo folcloristico di Torremuzza (Me)

Ad un certo punto dello spettacolo andò via la luce, nella sala ci fu sorpresa e sbigottimento, proprio nel più bello della rappresentazione restammo al buio, ma non ci volle molto tempo per capire che non era stato un problema di 'Rete'. Il Parroco aveva chiuso volutamente l’interruttore della corrente elettrica. Il suo scopo era quello di impedire l’esecuzione dell’ultima parte della canzone e soprattutto la visione dell’ultima scena che due ragazzi del gruppo folcloristico di Torremuzza stavano recitando in modo straordinario. Non c’era nulla di scandaloso, ma per il sacerdote che ci stava ospitando non era così. Le ultime battute di ‘La cammesella’ erano, per il religioso, peccaminose, ma peccaminose di cosa? Non c’era nulla di volgare se non una ingenua allusione. Era una cover, ben riuscita, di una celebra scenetta di un film di Toto, nient’altro.

E lèvate 'a cammesella. A cammessella no, no. E lèvate …

Lo spettacolo era stato interessante e fino a quel punto non c’erano state contestazione, ma solo apprezzamenti. Invece, l’esibizione finì con questo ‘malinteso’. Questo fatto esprimeva un pregiudizio campanilistico frequente, almeno allora, tra torremuzzari e mottesi. Del resto, si sa gli abitanti di ogni quartiere, paese, città si sentono diversi e migliori degli altri. Da qui le diffidenze ed i pregiudizi.

Ancora un pensiero e poi un altro, continuano a sovrapporsi, impedirlo è quasi impossibile.  

Se non ci fosse stato il gruppo folcloristico forse nessuno di noi giovani torremuzzari avrebbe imparato a ‘ballare’. Eppure, era un’esigenza che sentivamo da sempre. Una volta organizzammo una serata danzante in un garage. Ci volle un intero pomeriggio di lavoro per ripulire e sistemare, si fa per dire, il ‘locale’. Quel giorno non ballammo, ma non ricordo il perché, probabilmente gli invitati decisero semplicemente di non venire. A quell’età si è ingenui e tutto sembra possibile e realizzabile, ma così non è. La passione per la musica era quasi naturale nei giovani del Borgo e non solo. Da sempre segna i giorni più belli, quella della gioventù. Da bambini seduti a Sant’Antonino facevano la gara a chi indovinava i titoli delle canzoni della Hit Parade. Allora era una delle trasmissioni più popolari della Radio. Nessuno di noi possedeva un giradischi e tantomeno i dischi. Potevamo ascoltarle solo per radio. Nonostante ciò, conoscevamo bene i brani di maggiore successo e le star che le interpretavano. Tutto avveniva per volontà di un torremuzzaro adulto, che anche per questo è parte ineliminabile dei nostri pensieri.

Un’immagine sfocata ritorna spesso ….

Avevamo 3, 4 o forse 5 anni, ma già sapevamo ballare. Il giradischi andava con una musica popolare siciliana, probabilmente era una tarantella e tutti ci guardavano meravigliati. Era un’attitudine naturale o la leggerezza tipica dei bambini? Molti anni dopo quell’abilità fu evidente a tutti e fu al centro dell’attenzione in tante serate danzanti e non solo.

Ancora una divagazione, ma ora è tempo di concentrarsi sui balli e sulle canzoni del gruppo folcloristico.

Non ricordo come tutto ebbe iniziò. Nel corso di una serata danzante organizzata nel salone della scuola elementare il signor Mammana intrattenne tutti con la sua fisarmonica. Non so se quella festa si svolse prima o dopo che iniziassero le prove del gruppo folcloristico. Ricordo bene invece che qualcuno eccedette con gli alcolici e si senti male. E di certo a quel tempo molti di noi ancora non sapevano ballare. Forse l’idea di creare un gruppo folcloristico nacque in quell’occasione o forse no, ma non importa, l’iniziativa partì.

‘Si maritau Rosa, Saridda e Pippinedda e iu ca sugnu bedda mi vogghiu marità’

Di certo, le prime prove di canto e di ballo popolare siciliano avvennero con quella fisarmonica e con l’entusiasmo della novità e della condivisione. All’inizio alcuni di noi non c’erano, preferivamo giocare con un pallone o praticare qualche altro sport. Eravamo un po' restii a quella novità, ma una volta aggregati siamo diventati parte integrante del gruppo. Da quel momento in poi, tutti i pomeriggi o quasi la scuola elementare si riempiva di torremuzzari e nzusari di tutte le età. Bastava il suono di una fisarmonica, di una chitarra e di qualche mandolino per ‘provare’ ed imparare.

Sciuri, sciuri, sciuri di tuttu l'annu, l'amuri ca mi dasti ti lu tornu...’

Come sempre accadeva in quel periodo la novità fu sostenuta da quasi tutto il Borgo. Ognuno era pronto a svolgere la sua parte. Gli adolescenti eravamo i cantanti ed i ballerini. Le signorine avevano il compito di insegnarci le figure dei balli e le persone più grandi quello di organizzare e gestire il Comitato amministrativo e finanziario. Anche le mamme contribuirono. Furono loro a cucire i ‘costumi’ di scena, quelli tipici dei siciliani dell’Ottocento. Le canzoni erano quelle popolari. Andavano da ‘Vitti na crozza’, a ‘sciuri sciuri’, a ‘Avia nu sciccareddu’. E poi c’erano le musiche ed i balli come il fox, la tarantella. Per la meglio gioventù del Borgo erano pomeriggi di festa ed allegria.

‘Avia 'nu sciccareddu, ma veru sapuritu, a mia mi l'ammazzaru, poveru sceccu miu.… Chi bedda vuci avia, Pareva un gran tenuri, Sciccareddu di lu me cori, comu iu t'haiu a scurdari. E quannu cantava facia: i-ha, i-ha, i-ha…’

Fai finta di cantare che sei stonato’, mi disse una volta una mamma che si era intrufolata nel coro e che era accanto a me. Ci rimasi male, per tanto tempo mi venne il dubbio di essere ‘stonato’. Ma cosa vuol dire essere stonato? Nessuno in linea di principi lo è. Il problema sorge quando si usano due tonalità diverse contemporaneamente, quando cioè la musica e la voce o due musiche e/o due voci emettono suoni non ‘sincronizzati, cioè con la stessa tonalità, quindi è solo una questione di tecnica e di abilità canora e musicale. Non è un difetto naturale, non esistono le persone stonate o gli strumenti stonati. Ma solo difficoltà a prendere il tempo e la tonalità giusta. Quando si è adolescenti questi ragionamenti non si fanno, si pensa piuttosto di non essere adeguati. Come sarebbe bello essere giovani con la maturità di un anziano. Dovremmo capovolgere la scansione temporale della vita: nascere vecchi e morire giovani. Tutto sarebbe ugualmente effimero, ma sarebbe più semplice, più vero.

I pensieri si spostano, ora vanno ad una serata fatta in piccolo paesino dei Nebrodi.

Una delle prime esibizioni la facemmo a San Fratello. Un piccolo paesino di collina ad una trentina di chilometri di distanza dal Borgo. Il ricordo torna spesso a quella sera perché il pubblico, almeno una parte di esso, si comportò in modo ‘poco educato’. Di solito gli insegnanti memorizzano subito i nomi ed i volti dei ragazzi più vivaci o più preparati, mentre passano inosservati quelli più educati e silenziosi. Chissà perché è così. Il nostro cervello è pronto a memorizzare le cose belle e quelle brutte, ma stenta a ricordare quelle mediocri o che affrontiamo con indifferenza. Quella serata non è un bel ricordo, forse è per questo che ritorna spesso. Un gruppo di bambini era sotto il palco. Non erano lì per ascoltare le canzoni o per vedere i balli di coppia. No, erano lì per giocare a tiro a segno con le noccioline e per insultare i componenti del gruppo. Sono certo, che se quella sera ci fosse stato l’esibizione di veri professionisti, per quelle piccole pesti, sarebbe stato lo stesso. L’oggetto dello sberleffo non era la nostra esibizione, ma chi era sul palco. Una parte delle persone è così, dispettosa e irriguardosa. Di quell’esibizione rimane il fatto che settimane e mesi di prove e di sacrifici furono derisi da un gruppetto di bulletti di paese. Naturalmente non ci scoraggiammo, forse perché eravamo giovani e per noi era un gioco, solo un gioco, nulla poteva fermarci.

Vitti na crozza supra nu cannuni, fui curiuso e ci vossi spiare, idda m'arrispunniu cu gran duluri, murivi senza un tocco di campani …’

Il gruppo fece un salto di qualità quando alla guida arrivo un giovane musicista di Acquedolci. Era un professionista. Conosceva tutte le canzoni ed i balli popolari siciliani. Non ci mettemmo molto ad imparare. Diventammo bravi e ci esibimmo in diversi paesi. Poi tutto finì. Il nostro giovane maestro non venne più e non so se fu per una questione economica o per altro. Resta il fatto che un’altra stagione di condivisione e spensieratezza se ne era andata, ed ora restano questi frammenti di memoria, null’altro.