martedì 31 marzo 2020

Bonus una tantum di 600 euro al via, ecco come richiederlo

Da oggi è possibile presentare le domande per usufruire del bonus una tantum di 600 euro, ecco come richiederlo

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da inps.it
La domanda si potrà fare online accedendo al portale dell’Inps utilizzando le relative credenziali, cioè il Pin oppure lo Spid, la Carta di identità elettronica e la Carta dei sevizi, oltre al Contact center. Chi non si è già attrezzato può utilizzare un Pin semplificato rilasciato dall’Istituto.
I soggetti beneficiari del bonus una tantum di 600 euro sono i lavoratori autonomi, i liberi professionisti, i collaboratori coordinati e continuativi (che hanno una partita Iva attiva almeno dal 23 febbraio 2020), i lavoratori stagionali e quelli dello spettacolo. L’indennità è prevista anche per i lavoratori stagionali del turismo e degli stabilimenti termali che abbiano perso involontariamente il rapporto di lavoro tra il 1° gennaio 2019 e il 17 marzo 2020 e che non abbiamo altri rapporti di lavoro dipendente.
L’importo erogato non contribuisce alla formazione del reddito e non è prevista nessuna contribuzione figurativa. I beneficiari non devono essere titolari di pensioni e non devono essere iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie. Tuttavia, esso è cumulabile con l’indennità di disoccupazione per i Co.Co.Co. e con la Naspi (l’assegno ordinario di disoccupazione) incassata dai lavoratori stagionali e dello spettacolo.
Il Governo ha già detto che il bonus verrà prorogato ed aumentato a 800 euro, ma saranno introdotti criteri di selettività per evitare che l’indennità vada a chi non ne ha bisogno.

Fonte inps.it

lunedì 30 marzo 2020

La ‘spesa sospesa’ e la rabbia di chi non ha nulla

Il lavoro è vita e senza quello esiste solo paura e insicurezza’, John Lennon

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da livornotoday.it
In questi giorni di limitazione nella circolazione uno dei problemi principali delle famiglie è il reperimento delle risorse alimentari. Per i nuclei più indigenti la situazione è ancora più grave. Alle difficoltà di movimento si aggiunge quella della scarsa disponibilità di mezzi finanziari. In taluni casi è difficile perfino mettere sulla tavola un piatto di pasta.
Si tratta di lavoratori precari, sia dipendenti che autonomi, che si trovano senza reddito e senza tutele sociali. In molti, fino a ieri, si arrangiavano con piccoli lavoretti come la vendita ambulante o con piccoli lavori artigianali e commerciali. Oggi sono senza nessuna occupazione e senza quel poco di risorse economiche indispensabili per dare un minimo di sussistenza alle loro famiglie.
La situazione è grave. In alcuni quartieri delle città o nei piccoli paesi i volontari si sono organizzati. Incuranti dei pericoli dovuti alla pandemia, si recano a portare quotidianamente beni di prima necessità a chi non ha nulla. In particolare, è nata l’abitudine della cosiddetta ‘spesa sospesa’. Chi può permetterselo, quando va al supermercato o al negozio sotto casa, può pagare beni di prima necessità e lasciarli 'sospesi' per chi ne ha bisogno.
Certo, la solidarietà individuale, seppur importante, non può bastare. Provvidenziale, a tale proposito, è il provvedimento emanato due giorni fa dal Governo. Lo stanziamento di 4,3 miliardi di euro destinato ai Comuni, di cui 400 milioni di euro vincolati all’acquisto di beni di prima necessità, possono apparire poca cosa, ma ad esso si devono aggiungere i 25 miliardi di euro pianificati con il decreto ‘Cura Italia'
E' bene sottolineare, tuttavia, che non tutto dipende da chi ci governa e dalle risorse finanziarie disponibili, molto deriva dai nostri comportamenti. In futuro, quando la pandemia sarà passata, sarà importante non dimenticare il dramma che tante famiglie stanno vivendo in questi giorni. Tutti dovremo operare affinché nessuno debba trovarsi in una situazione di indigenza e fragilità. Un impegno che richiederà pazienza e solidarietà, valori che spesso mancano quando le cose vanno bene e che non sono sufficienti quando siamo in difficoltà, come ora.  

venerdì 27 marzo 2020

Coronavirus: la didattica a distanza è una grande opportunità per la scuola italiana

Scuole ed università sono chiuse, ma l’attività formativa non si è fermata, anzi la cosiddetta didattica a distanza rappresenta una grande opportunità per la scuola italiana

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Una classe dell'Itcat di Polizzi Generosa (Pa)
Scuole ed università sono chiuse in tutto il Paese dal 5 marzo. Il Governo aveva previsto la riapertura per il 15 dello stesso mese, ma considerata la gravità della situazione sanitaria, ha deciso di prorogarla al 3 aprile. Ora si pensa al prolungamento fino alla fine del mese e nell’ipotesi più drastica fino a giugno. Ma l’attività delle scuole e delle università non si è fermata.
Il ‘mostro’ vorrebbe impedire ai nostri ragazzi di studiare, ma questa per il Coronavirus è una battaglia persa in partenza. I docenti e gli studenti della scuola italiana stanno continuando a svolgere l’attività di formazione ed apprendimento. Su indicazione del ministero della Pubblica Istruzione gli istituti e le facoltà si sono attrezzati con la cosiddetta didattica a distanza. Del resto sono diversi anni che nelle scuole si fa uso del registro elettronico, delle aule informatiche, delle Lim, dei gruppi di lavoro su WhatsApp e di tanti altri strumenti che consentono un approccio ‘tecnologico’ nell’attività didattica e nella condivisione delle informazioni tra scuola e famiglie.
Il proficuo utilizzo delle ‘piattaforme’ virtuali dipende dalle abilità e dalle conoscenze acquisite negli ultimi anni dai docenti e dai collaboratori della scuola. La didattica a distanza è una sfida, ma nello stesso tempo è un’occasione ed un’opportunità per accrescere le competenze digitali di docenti ed alunni. È una prova difficile, ma sarà superata con la professionalità degli insegnanti, dei collaboratori scolastici e con l’impegno dei ragazzi. 
Certo, non tutto è semplice. Per tanti è una sfida difficile da affrontare. Anche in questa fase contano gli ‘strumenti’ e le disponibilità economiche. Nelle aree dove la Rete è adeguata, in particolare nelle città dove è disponibile la fibra ottica, l’uso delle video-lezione sarà più semplice. Come più facile sarà l’approccio delle famiglie che dispongono di ‘mezzi’ informatici adeguati. Non è raro il caso in cui esse non dispongano di computer o tablet oppure non hanno (più) la linea telefonica fissa, per cui dovranno utilizzare i cellulari ed i supporti di telefonia mobile. Insomma, anche nella didattica a distanza la differenza la faranno il reddito disponibile e la predisposizione a formarsi, ma questa non è una novità.
Il Governo ha stanziato le risorse per garantire a tutti i mezzi informatici necessari, ma, come sempre, la loro assegnazione non sarà semplice, né immediata come invece richiederebbe la situazione. A tale proposito, perché non consentire ai diciottenni che usufruiscono del bonus cultura di poter acquistare anche supporti informatici?



lunedì 23 marzo 2020

Coronavirus: tutto chiuso, ora il Pil potrebbe calare dell'8%

Gli effetti economici del Coronavirus potrebbero essere catastrofici, persino più gravi di quelli provocati dalla crisi del 1929

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da repubblica.it
Preoccuparsi oggi delle conseguenze che sta causando la chiusura delle principali attività produttive potrebbe apparire poco opportuno, eppure quando la pandemia dovuta al Coronavirus sarà passata dovremo fare i conti con la recessione e con l’incremento del debito pubblico. La borsa di Milano ha già perso il 40% del suo valore, segnando un record negativo peggiore di quello registrato nel crack di Lehman Brothers ed in quello dell’11 settembre. In poche sedute il Ftse Mib è precipitato da oltre 25.000 punti a circa 15.000 ed il calo probabilmente continuerà.
Alla crisi sanitaria ed a quella finanziaria seguirà quella dell’economia reale. Ed è per questo che le autorità monetarie e politiche di tutto il mondo si stanno attivando. La Bce ha annunciato un incremento degli acquisti già previsti del Quantitative easing, il presidente del Consiglio italiano invoca i Coronavirus bond, la presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen ha annunciato di essere favorevole ad uno stop al Patto di stabilità, la Federal Reserve ha abbassato i tassi d’interesse e Donald Trump, dopo le iniziali titubanze, ha annunciato stanziamenti per centinaia di milioni di dollari.
Questi ed altri interventi, seppur necessari, non impediranno la recessione, che sarà pesante e globale. Il ‘mostro’, secondo l’Organizzazione mondiale del Lavoro, provocherà 25 milioni di disoccupati. Alcune stime prevedono un calo del Prodotto interno lordo italiano dell’8%. Nello stesso tempo, per il 2020, sarà inevitabile un notevole incremento del disavanzo di bilancio. Il rapporto tra debito pubblico e Pil raggiungerà valori record che il nostro Paese potrebbe non riuscire a sostenere.
Quindi, limitare il propagarsi dell’epidemia serve anche ad impedire una crisi prolungata e profonda del ‘sistema Italia’. Più a lungo durerà l’emergenza sanitaria, più ardua sarà la ripresa della produzione e dell’economia. Un ulteriore motivo, questo, per rispettare le indicazioni del Governo e per restare a casa.


lunedì 16 marzo 2020

Coronavirus: è il momento della paura

Paura, non c’è un altro termine che possa definire meglio lo stato d’animo degli italiani. Ci sono voluti 46 giorni di epidemia, 1.809 morti e 24.747 contagiati per capire che la situazione era grave, ora in giro c’è tanto smarrimento e timore per il futuro

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Disegno di Giulio Ciccia
I flash mob organizzati per ringraziare chi in queste settimane ha messo la propria vita a disposizione dei malati (ma tanti medici lo fanno tutti i giorni) sono soprattutto un timido tentativo per scacciare il ‘mostro’: il CoronavirusUn'epidemia che sta cambiando le nostre abitudini e la nostra vita. Tutti mutamenti indotti per paura del contagio.
Figli e nipoti che evitano di andare a trovare i genitori o i nonni anziani. Amici che non vedi da settimane e con i quali prendevi il caffè al bar o con cui passavi le serate o il weekend. Per ultimo la rinuncia al pranzo domenicale con i familiari.  
Per strada non c’è nessuno. Di tanto in tanto si sente, amplificato dal silenzio, lo strepitare del motore di un’auto che sfreccia a tutta velocità. Di certo, il conducente sta correndo a casa o al lavoro. Poi torna il silenzio. Nessuno alle finestre. Nessuno affacciato ai balconi. Solo nei momenti condivisi in Rete i palazzi si rianimano, ma sono solo episodi estemporanei, poi di nuovo tutti chiusi in casa. A chattare, a cercare in Rete o in televisione le ultimi informazioni sul ‘mostro’. A stare lì, seduti in poltrona, a riempirsi la testa su come difendersi, su come fare per sottrarsi ai contatti, su come evitare il contagio. Certo tutto serve per allontanare i cattivi pensieri e soprattutto per cacciare nel profondo del nostro inconscio il rimorso per non aver agito per il bene comune quando si poteva.
È la paura. È la speranza che non tocchi a noi. Una volta si facevano i ‘voti’ religiosi per evitare il peggio, oggi si fanno gli esorcismi con i flash mob, ma il senso è sempre lo stesso. In questi momenti di difficoltà si prendono impegni ‘buonisti’. Se tutto andrà bene sarò più onesto, non penserò solo a me stesso, terrò un comportamento più altruista.
Intanto, il virus si sta diffondendo in tutte le regioni e, se continua così, dopo la paura ci sarà il panico. Lo stesso che la settimana scorsa ha caratterizzato il comportamento di tanti piccoli risparmiatori, che con le loro insicurezze hanno fatto la felicità dei soliti noti, gli speculatori e gli affaristi.
Ma tutto questo non durerà. Tra poco, tutto tornerà come prima. Allora vorrà dire che la paura sarà passata, che il panico non ci sarà stato e che ognuno potrà tornare a farsi i fatti suoi.


giovedì 12 marzo 2020

Andrea Agnelli e l’arroganza del capitalismo italiano

‘I bergamaschi con una grande prestazione sportiva hanno avuto accesso diretto alla Champions. Giusto o meno, penso poi alla Roma, che ha contribuito negli ultimi anni a mantenere il ranking dell'Italia, ha avuto una brutta stagione ed è fuori. Bisogna proteggere gli investimenti’, questo è quanto ha dichiarato nei giorni scorsi Andrea Agnelli

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da tuttosport.com
Per il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, nel calcio non contano i meriti, ma i soldi. Il suo ragionamento è semplice ed arrogante nello stesso tempo: i ‘poveracci’ non devono scalfire il ‘suo potere’ economico e di decisione. Quest’argomentazione è tipica di un individuo che deve la sua ricchezza ad altri. In particolare, al capitale accumulato durante il fascismo da uno dei fondatori della Fiat: Giovanni Agnelli, bisnonno di Andrea. L’azienda automobilistica torinese ha fatto ‘fortuna’ in quegli anni. Successivamente, nel dopoguerra, essa si è affermata in Italia con gli aiuti di Stato che governi di ogni colore politico gli hanno garantito. Situazione che è continuata con l’inizio del nuovo secolo. L’accordo siglato con il presidente degli Usa Barak Obama ha consentito alla famiglia Agnelli l’acquisizione della Chrysler. Oggi è una multinazionale in grado di condizionare le scelte di politica economica di diversi governi nazionali.
Altro che libera iniziativa privata, la Fca è un impero economico creato e cresciuto grazie agli aiuti di Stato. Il principio fondante del sistema economico capitalistico dovrebbe essere la meritocrazia, almeno a parole. Tutti sanno, invece, che il sistema non funziona così. Le idee di Andrea Agnelli sul calcio lo dimostrano. La creazione di una Superlega che comprenda solo le squadre che dispongono di maggiori risorse finanziarie, non sorprende. Per il presidente della Juventus non contano le abilità di chi riesce a vincere e primeggiare anche se dispone di risorse limitate. I ‘poveracci’ devono stare al loro posto. Il potere nel calcio e non solo spetta a chi ha i soldi, anche se questi sono stati ereditati e sui quali i ‘fortunati’ non possono vantare alcun merito.



giovedì 5 marzo 2020

Coronavirus all’italiana: bene il Governo, male gli italiani

Tutto il buon lavoro fatto finora dal Governo sull’epidemia del Coronavirus potrebbe essere insufficiente a limitare il diffondersi dell'epidemia, ma stavolta la responsabilità non è dei ‘politici’, ma dell’egoismo e dell’ignoranza di una parte degli italiani

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Mappa aggiornata della diffusione del Coronavirus
(da youtg.net)
Per una volta le decisioni prese dal Governo sull’epidemia dovuta al Coronavirus sembrano di buon senso ed idonee alla situazione di pericolo per la salute pubblica degli italiani e non. Provvedimenti presi con oculatezza, senza allarmare la popolazione. I vari ministri e responsabili del SSN, nonostante la gravità della situazione, hanno agito con cautela, senza anticipare inutilmente i rimedi e le precauzioni necessarie a limitare e, comunque, a rallentare il propagarsi del virus. Certo alcune interviste e richieste fatte dai governatori della Lombardia e del Veneto sono apparse pretestuose e non idonee alla situazione, ma si sa i leghisti sono così, come il loro elettorato, un po' ‘alla buona’.
Una parte degli italiani è poco abituata al rispetto delle regole ed al senso del dovere. Siamo un popolo individualista che fatica ad agire nel solo ed esclusivo interesse del bene comune. Il comportamento tenuto in questi giorni dai lavoratori emigrati nelle città settentrionali, ne è un esempio. In molti, appena hanno potuto, non hanno esitato e sono ‘scappati’ per tornare, anche se solo per pochi giorni, nelle loro città di origine. Chi ha potuto allontanarsi dai luoghi dove si sono sviluppati i primi focolai del virus lo ha fatto senza pensare alle possibili conseguenze, dimostrando di non avere alcun senso di responsabilità verso gli altri. Nei giorni scorsi, dopo la chiusura provvisoria delle scuole della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia-Romagna, molti insegnanti del Sud, che lavorano in quegli istituti, hanno approfittato dei giorni di interruzione delle lezioni per scendere nelle loro città, così come se fosse una vacanza qualsiasi.
A questo punto è evidente che un rapido sviluppo del virus anche nelle regioni meridionali diventa assai probabile. La leggerezza e la superficialità di questi lavoratori pendolari potrebbe costare cara a parenti ed amici, ma si sa gli italiani siamo così, pensiamo e riteniamo, con convinzione, che le responsabilità non sono mai nostre, ma sempre degli altri.
Ed ora tutto il buon lavoro fatto dal Governo potrebbe essere insufficiente a limitare la diffusione dell'epidemia, ma stavolta non sarà ‘colpa’ dei ‘politici’, ma dell’egoismo e dell’ignoranza di una parte degli italiani.