SCUOLA

lunedì 4 marzo 2024

Valditara e le ‘classi separate per gli alunni stranieri’

Apriamo classi di potenziamento separate per gli alunni stranieri’, è l’ultima iniziativa del ministro dell’Istruzione, Giuseppe Valditara

di Giovanni Pulvino

La proposta del ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara di aprire classi separate non è una novità per la scuola italiana.

Le classi differenziate esistevano già negli anni Sessanta.

La legge n. 1859 del 31 dicembre 1962 stabiliva all'articolo 12 che ‘possono essere istituite classi differenziali per gli alunni disadattati scolastici’. Esse potevano avere un calendario speciale con appositi programmi e orari di insegnamento.

Cinque anni dopo, il DPR n. 1518 del 22 dicembre 1967, stabilì che ‘soggetti che presentano anomalie o anormalità somato-psichiche che non consentono la regolare frequenza nelle scuole comuni e che abbisognano di particolare trattamento e assistenza medico-didattica sono indirizzati alle scuole speciali’.

Con l’introduzione della figura dell'insegnante di sostegno queste classi sono state abolite nel 1977.

Oggi la didattica integrativa prevede diversi strumenti per l’inclusione e il potenziamento degli alunni che hanno difficoltà di apprendimento. La Legge 104 del 1992 e la 42 del 28 marzo 2003 regolano la personalizzazione dei piani educativi. I cosiddetti BES (Bisogni Educativi Speciali) prevedono tre sottocategorie: quella della disabilità; quella dei disturbi evolutivi e quella dello svantaggio socioeconomico, linguistico e culturale

Gli strumenti per il superamento delle difficoltà di apprendimento degli alunni stranieri già esistono. Le classi separate non servono. La proposta del ministro è solo propaganda politica e nostalgia per un’epoca buia a cui qualcuno pensa di poter tornare.

Le parole pronunciate da Primo Levi nel 1974 delineano in modo chiaro un periodo della storia che non vorremmo vivere più, eppure ancora oggi c un'Italia che non si rassegna alla cultura della democrazia e della tolleranza.

Ogni tempo ha il suo fascismo: se ne notano i segni premonitori dovunque la concentrazione di potere nega al cittadino la possibilità e la capacità di esprimere ed attuare la sua volontà. A questo si arriva in molti modi, non necessariamente col terrore dell’intimidazione poliziesca, ma anche negando o distorcendo l’informazione, inquinando la giustizia, paralizzando la scuoladiffondendo in molti modi sottili la nostalgia per un mondo in cui regnava sovrano l’ordine, ed in cui la sicurezza dei pochi privilegiati riposava sul lavoro forzato e sul silenzio forzato dei molti’Primo Levi, 1974.


domenica 14 maggio 2023

I libri di testo ed il paradosso dei tetti di spesa

I 'politici' non adeguano i limiti di spesa, le case editrici aumentano i prezzi dei libri a causa dell’inflazione ed i professori sono costretti a depennare. Se non fosse tutto vero ci sarebbe da ridere

di Giovanni Pulvino

Libri scolastici

In questi giorni i docenti delle scuole italiane sono chiamati a predisporre l’elenco dei libri di testo per il prossimo anno scolastico. Una delle tante incombenze a cui sono chiamati gli insegnanti. Quest’anno esso presenta difficoltà insuperabili.

I tetti di spesa previsti dalla normativa sono fermi da oltre un decennio. Il D.M. 43 del 2012, distinguendo per anno ed indirizzo scolastico, prevede limiti precisi. Quest’anno tutti i libri hanno subito un notevole incremento di prezzo. Negli ultimi dieci anni l’inflazione è stata mediamente del 2%. Negi ultimi dodici mesi del 10%. Dal 2012 ad oggi il prezzo dei libri è cresciuto di almeno il trenta per cento, ma i limiti previsti dalla normativa sono rimasti invariati.

Non solo. Se i nuovi libri sono tutti nel formato cartaceo e digitale, i suddetti limiti devono essere ridotti del 10%. Se sono in versione digitale la riduzione deve essere del 30%. Finora le scuole hanno risolto il problema utilizzando l'incremento del 10% che è consentito dalla stessa normativa, ma solo previa delibera motivata del Collegio dei docenti e del Consiglio di istituto. 

Prima si impone un limite, poi si consente di sforarlo. E' un paradosso, ma tanto è. Ora, con l'adozione di testi digitali rientrare nel tetto di spesa è diventato impossibileGli insegnanti sono costretti a depennare alcuni libri, che, secondo la disposizione, non possono essere indicati neanche come consigliati. Vanno cancellati.

A settembre i ragazzi e le famiglie negli elenchi predisposti dalle scuole potrebbero non trovare il libro di Storia, di Italiano, di Geografia,  ect.. 

Non è una battuta o una invenzione dei docenti, è proprio così.

Facciamo finta di mantenere bassi i tetti di spesa dei testi scolastici, mentre in realtà priviamo gli studenti di strumenti fondamentali per la loro formazione o costringiamo le famiglie a comprare libri non adottati. Ovviamente potranno farlo solo coloro che hanno una condizione reddituale adeguata. Gli altri dovranno accontentarsi delle dispense o degli appunti che i professori dovranno predisporre e somministrare ai loro alunni. 

I libri diventano così uno strumento per accrescere le diseguaglianze.

La soluzione a questo paradosso non sta nell’aumentare i tetti di spesa, anche se andrebbero adeguati all’inflazione, ma nell’incrementare i fondi per i buoni libro. Stanziamo miliardi ed ora sembra pure quelli del PNRR per acquistare armi, ma non abbiamo risorse per comprare i testi scolastici a chi non può permetterseli.

Ancora una volta la 'politica' scarica sulla scuola un problema che non sa risolvere. Anzi, in questo caso non l’ho affronta proprio.

sabato 26 marzo 2022

Prof no vax pagati per non lavorare

Gli insegnanti ed il personale Ata non vaccinati hanno raggiunto il loro scopo: prendere lo stipendio senza fare nulla o quasi

di Giovanni Pulvino

Pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto che consente il rientro a scuola dei docenti non vaccinati. Saranno adibiti a mansioni diverse dall’insegnamento e che comunque non prevedano contatto con gli alunni. E quelli con gli altri professori? Ed il personale che ha fatto tre dosi di vaccino ora si potrà contagiare?

Siamo al paradosso.

Ancora una volta si favoriscono coloro che non rispettano le regole a danno di chi, invece, ha il senso del dovere e del bene comune. È assurdo, ma, in questo paese spesso chi non vuole rispettare le regole alla fine l’ha vinta.

Ma, poi, quali sarebbero queste mansioni che non prevedono contatti con gli alunni? Il legislatore ancora una volta scarica sulla scuola un problema che non sa affrontare e risolvere.  

Lo stesso vale per il personale Ata, bidelli ed impiegati di segreteria. Come faranno questi ad 'evitare' gli studenti ed i professori vaccinati? Qualcuno che è a Roma nei palazzi della ‘politica’ è pregato di spiegarlo ai Dirigenti, ai ragazzi ed ai loro familiari, oltreché al resto del personale scolastico.

Siamo il paese dei balocchi, ma non per tutti, solo per i soliti furbetti. Questi lavoratori no vax hanno raggiunto il loro scopo: prendere lo stipendio senza fare nulla o quasi. Non solo, i Dirigenti scolastici saranno costretti a sottrarre risorse al Fondo da dividere tra tutti e che dovrebbe servire ad aumentare, si fa per dire, gli stipendi dei docenti. Ancora una volta i più ligi al loro dovere professionale sono penalizzati, sono, come si dice in Sicilia, ‘curnuti e vastuniati, cornuti e bastonati.

Anche i tempi del provvedimento non sembrano quelli giusti. In questo momento l’incidenza dei contagi è altissima tra i giovani in età scolare, tanti, a turno, tra alunni e docenti sono in quarantena o positivi.

Perché allora questa fretta? Non si dice, ma il fatto è che pur di rientrare nella cosiddetta 'normalità' si sta lasciando correre il virus. Insomma, abbiamo perso la battaglia contro il Covid-19. Dopo due anni di lockdown, precauzioni, vaccini e centinaia di miliardi di euro spesi a debito, ci siamo arresi.

Ora ci si può ammalare di Coronavirus, con buona pace di chi si è fatto tre dosi di vaccino, di cui due con il ‘famigerato' AstraZeneca, che continua a portare le mascherine e che ora, come un buon soldatino, è pronto a farsi anche la quarta.

Fonte gazzettaufficiale.it

martedì 4 gennaio 2022

I docenti e le Ffp2

I docenti ed i collaboratori Ata al rientro a scuola dopo le vacanze di fine anno dovranno affrontare il periodo più rischioso dall'inizio della pandemia

di Giovanni Pulvino

Con l’ultimo provvedimento preso dal Governo sulla lotta al Covid-19 arriva per i lavoratori della scuola l’ennesima beffa. Mascherine Ffp2 obbligatorie negli istituti e sui mezzi di trasporto, ma allora quelle chirurgiche messe a disposizione dal ministero non erano adeguate?

In prima linea nella lotta alla pandemia, i docenti ed i collaboratori Ata dovranno affrontare al rientro a scuola dopo le vacanze di fine anno il periodo più rischioso da gennaio 2020.

Agli istituti scolastici non è permesso conoscere lo stato vaccinale degli alunni sia del primo che del secondo grado di istruzione, né può essere richiesta la relativa certificazione verde per accedere a scuola.

Per l’Autorità sulla privacy devono essere individuate le modalità che non rendano identificabili gli studenti non immunizzati. Lo scopo è quello di prevenire effetti discriminatori per coloro che non possono o non intendono vaccinarsi.

È la salute dei lavoratori?

I docenti non possono avere informazioni sulla immunizzazione dei loro alunni. Devono vigilare su eventuali discriminazioni e devono imporre l’uso della mascherina in classe scontrandosi spesso con i ragazzi più riottosi ed indisciplinati. Inoltre, sono obbligati a vaccinarsi o a fare la terza dose ed ora ad utilizzare le mascherine Ffp2. Questi ultimi provvedimenti non sono casuali. Il rischio di contagiarsi nelle aule scolastiche è aumentato notevolmente con l’arrivo dell’inverno e della variante Omicron. Il rientro a scuola dopo le vacanze di fine anno è ad alto rischio per alunni e personale scolastico. Anche perché i problemi strutturali come aule piccole e classi pollaio non sono stati risolti. Tutti i provvedimenti diversi dalla Dad sono palliativi. Tra la salute dei docenti e degli alunni da un lato e le esigenze dell’economia dall’altro, il Governo sta privilegiando quest’ultima.

La scuola italiana è sulle spalle dei singoli docenti e sulla loro professionalità. Sono loro che entrano in classe, sono loro che devono far rispettare le regole, in particolare quelle determinate dalla pandemia.

Devono formare ed educare le nuove generazioni, ma, nelle stesso tempo, devono assicurarsi della loro incolumità contro il Covid-19 anche a rischio di subire gravi conseguenze per la loro salute oltreché per le eventuali denunce penali sulla mancata vigilanza.

domenica 12 settembre 2021

Scuola: la Dad non è uno strumento da depennare

Riapre la scuola e come ogni anno si moltiplicano le dichiarazione di politici ed opinionisti. In particolare, essi ribadiscono l’impegno a non tornare più alla Dad, come se si trattasse del ‘male assoluto‘ per l’istruzione pubblica italiana

di Giovanni Pulvino 

La Didattica a distanza
Foto da corriereetrusco.it
 è stata uno strumento fondamentale per continuare a fare formazione anche quando tutto era in lockdown a causa della pandemia dovuta al Covid-19. I dipendenti della scuola hanno continuato a lavorare con impegno e dedizione. I ragazzi hanno dovuto svolgere più attività di quando erano in classe. Eppure, c’è chi continua a sostenere che la Dad sia stata un disastro, perché?

È il giudizio di chi non è mai entrato in un'aula e non ha mai fatto un’ora di lezione. Con la Didattica a distanza docenti ed allievi hanno dovuto acquisire abilità informatiche che in presenza non avrebbero mai assimilato. Lo smart working è oggi una competenza consolidata per insegnanti, collaboratori e studenti. 

L’utilizzo delle piattaforme e la condivisione di file e programmi in cloud sono entrati nell’utilizzo quotidiano e sono uno strumento didattico fondamentale non più accantonabile. La comunicazione di conoscenze e programmi è diventata immediata ed ha reso l’attività formativa più semplice ed efficace.

Ansia e stress tipici del lavoro degli insegnanti si sono ridotti notevolmente, tutto a vantaggio della didattica e del lavoro svolto con gli alunni. Non solo. I docenti pendolari hanno eliminato i costi ed i tempi di trasporto necessari per recarsi sui luoghi di lavoro. Non tutti sanno che i dipendenti della scuola non residenti sono costretti a spostarsi con i propri mezzi ed a spese proprie. Gli impegni lavorativi spesso iniziano alle otto del mattino e finisco nel tardo pomeriggio o di sera. Tanti docenti lavorano contemporaneamente in più scuole che si trovano in località diverse da quella di titolarità. Per loro non è previsto nessun incentivo o indennità, come avviene invece per tanti dipendenti pubblici che per ragioni di lavoro sono costretti a sposarsi.

I lavoratori della scuola dopo due anni di pandemia hanno acquisito tecniche informatiche  che sono di grande importanza per il futuro del Paese.

La Dad si è dimostrata uno strumento formativo efficace. Chi dice il contrario lo fa per interesse o peggio per ignoranza. Le scuole sono un luogo di acquisizione di conoscenze e abilità, non un posto sicuro dove parcheggiare i ragazzi durante la giornata.

Ci sono molte attività didattiche in presenza che si svolgono online o comunque con l’uso dei mezzi informatici. Perché non continuare a farlo anche in smart working? Strumento questo che permette anche la condivisone del lavoro e la sua elaborazione in contemporanea con decine di alunni o docenti, attività che non è possibile realizzare con la stessa efficacia e rapidità in presenza.

Allora, perché rinunciare alla Dad? Perché non continuare a sfruttare le competenze acquisite?

venerdì 25 giugno 2021

Scuola, una volta c’erano gli esami di Stato

In questi giorni si stanno per concludere, per decine di migliaia di docenti ed alunni i colloqui degli esami di Stato, ma hanno ancora un senso?

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da istruzione.it

E’ ora di adempiere alle ultime formalità, inserire le schede dei candidati ed i verbali nel plico, sigillarlo con i bolli di ceralacca, compilare i registri riepilogativi, gli attestati e le certificazioni, preparare tutto il materiale da consegnare o riconsegnare alla scuola dove si sono svolti gli esami di Stato.

E’ una calda ed afosa giornata di giugno e decine di migliaia di professori, candidati e collaboratori della scuola stanno svolgendo la loro mansione con particolare attenzione, quella tipica di chi sa che sta eseguendo un compito delicato, che inciderà per sempre nella vita e nella memoria di esaminatori ed esaminati. Chi non ricorda i professori degli esami di Stato, l’elaborazione delle prove, il voto finale e le presunte o reali ingiustizie fatte dagli esaminatori?

Di questi giorni, oltre al voto finale rimarranno le titubanze e le gaffe fatte dai ragazzi e le facili ed inopportune ironie di chi, ormai adulto, non rammenta o fa finta di non rammentare gli errori commessi quando si è trovato nella medesima situazione.

Una volta c’erano le discussioni sulle valutazioni tra docenti ‘interni’, i professori cioè che hanno seguito i ragazzi per tutto l’anno ed in alcuni casi per tutto il percorso formativo della scuola superiore, e quelli ‘esterni’che invece giudicavano solo le prove dell’esame. L’opinione dei primi difficilmente coincideva con quella dei secondi ma una sintesi, anche se a volte era preceduta da estenuanti e spesso inutili discussioni, si trovava quasi sempre. Quest’anno questi contrasti non si ripeteranno e potrebbero non ripetersi mai più.

C’è chi ritiene, tra i docenti, che l’esame di Stato sia un inutile tour de force, un ‘rituale’ a cui si devono sottoporre alunni ed insegnanti delle scuole medie e di quelle superiori. Per altri invece è un importante passaggio verso il mondo degli adulti, verso la maturità.

I cambiamenti legislativi sulle sue modalità di svolgimento della prova lo hanno reso ancora più semplice. Qualcuno ritiene sia giunto il tempo di eliminare le prove scritte e di mantenere le commissioni composte esclusivamente da docenti interni. Niente più errori di ortografia o di grammatica, ne strafalcioni negli elaborati, resterebbe solo un’interrogazione con tutti i professori, nient’altro. Vedremo.

Intanto, migliaia di giovani stanno per conseguire il diploma di scuola superiore, quello che una volta era considerato un importante ‘pezzo di carta’, ma prima dovranno rispondere all’ultima fatidica domanda: cosa farai dopo aver conseguito il diploma? Questo quesito è posto per soddisfare la curiosità dei professori, ma non è un 'obbligo' imposto dal ministero ed i docenti, in questi tempi difficili in cui proseguire negli studi costa troppo e trovare un lavoro è quasi un terno al lotto, farebbero bene a porlo sottovoce e senza insistere troppo di fronte alle eventuali titubanze dei ragazzi.   

Fonte REDNEWS

sabato 9 gennaio 2021

Educazione civica, ossia ‘armiamoci e partite’

L’introduzione dell’educazione civica è un altro provvedimento imposto alla scuola italiana da politici incompetenti e da dirigenti ministeriali accondiscendenti

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da miur.gov.it
La legge numero 92 del 20 agosto 2019 ha introdotto una nuova disciplina: l’Educazione civica. Il presupposto è l’introduzione di una materia che si occupa di Costituzione, Economia e Cittadinanza digitale. L’obiettivo formativo sarebbe quello di educare i giovani alla legalità. Sono previste 33 ore curriculari in tutte le classi della scuola primaria e secondaria. A prima vista sembrerebbe un ottimo provvedimento, ma così non è.

I ‘nuovi’ obiettivi didattici indicati dalle linee guida del ministero sono già previsti come attività trasversali nelle programmazioni di tutte le discipline curriculari. Inoltre, i contenuti sono unità di apprendimento previste nella didattica di Scienze giuridiche ed economiche. E tanti progetti elaborati dagli insegnanti si occupano di legalità, ambiente e cittadinanza. Allora, perché al Miur hanno deciso di aggiungere una nuova disciplina i cui contenuti sono già previsti dal percorso formativo?

In realtà, l’esigenza curriculare della riforma è fondata solo per i Licei, cioè per gli indirizzi dove questa disciplina non si studia. Nel 2009 l’allora ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini tagliò le ore di Diritto ed Economia politica. Ma, consapevole dell’incongruenza didattica causata dal provvedimento, introdusse Cittadinanza e Costituzione. Lo fece sottraendo un’ora all’insegnamento di Storia. Lo scopo era ridurre i finanziamenti alla scuola pubblica senza intaccare i percorsi formativi.

Nel 2019, il governo ‘Pentaleghista’ ha fatto lo stesso ragionamento. Al ministero dell’Istruzione si rendono conto di questo ‘vuoto’ curriculare, soprattutto nei Licei. Per porvi rimedio hanno introdotto l’Educazione civica. Tutto bene allora? Per niente. La nuova disciplina è stata introdotta per tutte le classi, anche in quelle dove questi argomenti già sono previsti nei programmi delle discipline giuridiche ed economiche. Non solo. Le 33 ore di attività verranno sottratte alle discipline che già fanno parte del percorso formativo, in particole proprio alle materie di Diritto ed Economia. 

Insomma, è stata introdotta una nuova disciplina togliendo ore di attività alle altre, è progettata dai docenti ed è a costo zero. Come dire: ‘armiamoci e partite’.

Inoltre, a coordinare l’Uda saranno soprattutto gli insegnanti di Scienze giuridiche ed economiche, i docenti cioè che il Miur dovrebbe assumere per colmare la lacuna curriculare dei Licei. Ovviamente questo costa, quindi meglio farlo ‘a gratis’ con l’Educazione civica. Ancora una volta il problema è economico. Lo Stato italiano finanzia le scuole private violando il dettato costituzionale, mentre continua a risparmiare su quella pubblica.

Un’altra incongruenza della riforma riguarda l’insegnamento di Religione. Non si comprende se i docenti di questa disciplina possano contribuire oppure no a quest’attività. Le linee guida non specificano nulla. Quindi l’insegnante di una materia che sostanzialmente non incide sulla valutazione degli alunni teoricamente può farlo con l’Educazione civica. Poi c’è la questione di coloro che hanno chiesto l’esonero o un’ora alternativa, cosa faranno?

L’unico aspetto positivo del provvedimento è la trasversalità dell’insegnamento. I professori sono costretti a lavorare insieme, cioè ad elaborare in condivisione una unità didattica che è parte integrante del processo formativo. Certo si poteva fare in un altro modo, ma a Roma spesso non si pensa a tutta la scuola italiane, ma solo ai Licei e alle necessità educative delle élite.

Ora, i docenti si stanno adoperando per trovare una soluzione alle incongruenze ‘pratiche’ che il nuovo insegnamento impone. Ed è certo che la maggior parte di essi si comporterà come un buon ‘soldatino’, cioè lavorerà come sempre con professionalità e porrà rimedio all’ennesima improvvisazione legislativa posta in essere da politici incompetenti e non solo.

Fonte miur.gov.it

sabato 21 novembre 2020

Le vite salvate dalla Dad

Quantificare quante vite si stanno salvando con le misure prese dal Governo è difficile. Di certo aver ridotto gli affollamenti nei mezzi di trasporto con la chiusura momentanea della didattica in presenza è stato dirimente

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto di Giovanni Pulvino

Nelle ultime 24 ore sono stati registrati 37.242 nuovi casi di Covid-19 e 699 decessi. Sono stati effettuati 238.077 tamponi, il rapporto con i positivi è risalito al 15,64%. I decessi totali sono aumentati a 48.569. In terapia intensiva ci sono attualmente 3.748 pazienti ed i contagiati sono 777.176. Particolarmente grave rimane la situazione in Lombardia (+9.221 casi), in Campania (+4.226 casi) e in Piemonte (+3.861 casi). Diminuiscono i nuovi ricoveri in terapia intensiva e l’indice Rt è in calo da alcuni giorni. In quattro regioni è sotto 1.

Questi sono gli ultimi dati sull’andamento della pandemia nel nostro Paese. La situazione sta migliorando anche se è ancora molto grave. Le misure prese nelle ultime settimane dal Governo sembrano funzionare. La chiusura di ristoranti, bar e, in genere, dei luoghi di assembramento stanno producendo i loro effetti. In particolare, aver limitato l’affollamento nei mezzi pubblici con la riattivazione della Didattica a distanza per le scuole superiori si sta dimostrando particolarmente efficace.

E' bene precisare a tale proposito che l’attività delle scuole, a differenza di quanto sostiene la ministra Lucia Azzolina, non si è mai fermata. La Dad è un impegno notevole per alunni e docenti. Certo bisogna fare i conti con le carenze strutturali della Rete e dei mezzi tecnologici a disposizione delle famiglie, soprattutto nel Sud del Paese, ma, nonostante ciò, la formazione continua senza soste. Anzi, l’attività è triplicata rispetto alla didattica in presenza. Gli studenti stanno imparando ad usare strumenti informatici fondamentali per il loro futuro, soprattutto per quello lavorativo. 

L’aspetto negativo è che i ragazzi non possono socializzare, ma si tratta di avere pazienza ancora per pochi mesi, poi torneranno ad affollare in sicurezza bus ed aule. Questa è, in ogni caso, una fase della loro vita altamente formativa. Essi stanno constatando in prima persona cosa vuol dire far parte di una comunità e di quanto sia importante la condivisione ed il rispetto delle regole anche se questo comporta una limitazione delle libertà personali. E lo è ancora di più se il fine è l’interesse collettivo.

E spiace vedere in televisione e sui giornali alunni e docenti, pochi per la verità, che protestano davanti alle scuole simulando una lezione in cortile. Alcuni mesi di attenzione e di limitazioni nei comportamenti individuali non sono nulla rispetto ad una vita, non dimentichiamolo mai.

mercoledì 9 settembre 2020

Lucia Azzolina: ’Il rischio zero non esiste’

Tra studenti asintomatici e flop dei test sierologici, il rientro a scuola non sarà senza rischi, a dirlo è la ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

La Ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina - ( foto dal profilo facebook)

Oltre il 40% dei docenti e del personale Ata sono ultracinquantacinquenni. A quell’età soffrire di qualche patologia è naturale. Sono quasi tutti soggetti a rischio. Il ministero dell’Istruzione per evitare defezioni di massa ha previsto regole stringenti per chi farà richiesta di esonero. Quello che è certo è che tutto il personale della scuola sarà costretto ad operare in un ambiente di lavoro non sicuro ed in condizioni precarie. Ma la tutela della salute dei lavoratori non era prevista nei contratti collettivi? Questo diritto non è sancito, tra l’altro, dall’art. 32 della Costituzione? Facciamo finta che non ci sia? I sindacati cosa ne pensano?

Il virologo Andrea Crisanti pochi giorni fa ha affermato: Su 8 milioni di studenti, il 2-3% potrebbe essere positivo. Questo significa che circa 240 mila giovani studenti potrebbero essere asintomatici, cioè portatori inconsapevoli del virus. Evitare i focolai sarà impossibile o quasi. Inoltre, nell’immediato è inutile sperare nel vaccino, a sostenerlo è sempre Crisanti: 'Vaccino anti-Covid entro fine anno? Impossibile. Scorciatoie aumentano rischi effetti indesiderati'. La notizia dello stop alla sperimentazione del vaccino AstraZeneca-Oxford ne è la conferma.

I docenti che hanno fatto il test sierologico sono uno su quattro. Pochi. Nessuno degli otto milioni di ragazzi che tra poco riempiranno autobus ed aule scolastiche è stato sottoposto alla stessa analisi, perché? Ora Lucia Azzolina ha annunciato che saranno fatti a campione. Ed ancora, per cautelarsi, l’esponente grillina ha sottolineato: ‘Il rischio zero non esiste’. Se lo dice la Ministra noi chi siamo per non crederci? Tutti sanno che la riapertura della scuola potrebbe provocare una seconda ondata pandemica, ma non si deve dire, anzi occorre sottolineare che si sta facendo di tutto perché avvenga in sicurezza.

Dal 14 settembre circa dieci milioni di persone, tra studenti e lavoratori della scuola, usciranno da casa senza avere il Covid-19 e poi vi faranno ritorno pensando di non averlo contratto, ma non sarà così, non per tutti almeno.

I docenti, non è superfluo ricordarlo, sono stati assunti per fare gli insegnanti ed i formatori, non certo per fare gli ‘eroi’. 


mercoledì 2 settembre 2020

Covid-19, a scuola arrivano i ‘mostri’ con le mascherine trasparenti

Le mascherine trasparenti per i docenti sono l’ultima ‘brillante idea’ degli esperti per il rientro a scuola, ma anche questa misura di prevenzione, come tutte le altre, sarà solo un palliativo che non impedirà i focolai di Covid-19

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Mascherine trasparenti - (foto da quotidianodipuglia.it)

Le stanno pensando tutte. I banchi monoposto innanzitutto. Tutti li aspettano come se fossero la soluzione del problema. Lo scopo è quello di garantire il distanziamento di un metro. Questa misura non eviterà i contatti. La distanza deve essere calcolata tra sedia e banco, e non tra banco e banco, altrimenti il metro sarà solo virtuale. Non solo, ma qualcuno pensa veramente che i ragazzi staranno 5 o 6 ore nella stessa aula evitando i contatti fisici?

Obbligo di mettere le mascherine nei corridoi e durante l’intervallo. Come dovrà comportarsi un docente o un collaboratore Ata se un ragazzo non metterà la mascherina? Farà un richiamo verbale? Farà un rapporto disciplinare? Chiamerà i genitori? Lo denuncerà alle forze dell’ordine?

Se un alunno manifesterà i sintomi influenzali verrà isolato? Si chiameranno i genitori? L’ambulanza? Il medico competente? Come ritornerà a casa? Di chi sarà la responsabilità civile e penale di eventuali contagi?

I ragazzi una volta fuori dalla scuola torneranno ad affollare i bar, i mezzi di trasporto e poi torneranno a casa, da genitori e nonni, chi garantirà loro che non contrarranno il virus? Chi glielo andrà a dire a papà e mamma che il figlio è stato contagiato a scuola?

Ora spuntano le mascherine trasparenti per i docenti. Ci mancavano solo queste per farla completa. Sembrano delle ‘bautte’ di Carnevale, quelle che si usano a Venezia, quelle dei 'mostri'. Lo scopo è di non coprire la bocca per permettere ai non udenti di leggere le labbra. Il fine è meritorio, ma farne un uso generalizzato fa un pò impressione. Ricordano quelle pubblicità che spesso ci sono in Rete e che riguardano la cura dei denti e dell’alitosi.

I contagi non si potranno evitare. Le misure previste sono solo palliativi che non impediranno il propagarsi del Covid-19. Tutti lo sanno o lo pensano, ma non si deve dire. I responsabili al ministero della Salute, di certo, sono consapevoli dei rischi che si stanno correndo. Il rientro a scuola è comunque un azzardo. L’ipotesi migliore è che ci siano pochi focolai. In tempi di guerra si parla di effetti collaterali, la differenza, non irrilevante, è che siamo in tempo di pace. Il profitto, prima di tutto, poi la salute.  

I lavoratori della scuola possono solo sperare nella ‘Provvidenza, ma occorre essere credenti ed avere fede, ma, è quasi certo, che neanche questo eviterà i contagi.


domenica 23 agosto 2020

La riapertura delle scuole è da irresponsabili

Le scuole stanno per riaprire, ma dopo poche settimane potrebbero richiudere per Covid-19, allora perché non continuare con la Dad?

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

ITCG di Polizzi Generosa (Pa) - (foto di Giovanni Pulvino)

È stata l’estate del ‘liberi tutti’ o quasi. Nelle ultime settimane gli italiani si sono comportati come se due mesi di lockdown non ci fossero stati. I giovani sono andati in vacanza, hanno ballato nelle discoteche, fatto falò in spiaggia, affollato le vie della 'movida' ed ora ritornano nelle loro case e tra poco affolleranno autobus, treni, aule scolastiche e palestre. Ci sono tutti i presupposti per un aumento dei contagi e per una seconda ondata dell’epidemia

La memoria degli italiani è sempre corta, ma il virus non fa sconti.

La riapertura della scuola sarà uno stress-test fondamentale per capire l’andamento pandemico del Covid-19. Ad affermarlo è il virologo Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’istituto Galeazzi di Milano. Le aule scolastiche, si sa, sono luoghi dove ogni anno si diffonde con più rapidità l’influenza stagionale. Con il Coronavirus sarà la stessa cosa. Allora perché non posticipare la riapertura degli istituti ed evitare i pericoli dello stress-test? Perché non continuare con la Didattica a distanza fino a dicembre? Perché non aspettare l’arrivo del vaccino ed evitare una possibile, anzi probabile, seconda ondata pandemica?

Il Governo finora si è comportato con prudenza ed ha evitato il peggio, perché non continuare così anche adesso? Certo l’opposizione sovranista non aspetterebbe altro per fare polemica, ma un buon politico deve saper guardare al futuro, non all’immediato e alla pancia del Paese.

 


sabato 22 agosto 2020

Coronavirus: la scuola sarà utilizzata come ‘stress-test’ pandemico

Avremo uno stress test con la riapertura delle scuole, a sostenerlo è il virologo Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario dell’istituto Galeazzi di Milano

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Itet 'G. Tomasi di Lampedusa' - Sant'Agata Militello (Me)
(foto da it-it.facebook.com)

Nell’intervista rilasciata pochi giorni fa a Sky Tg24 il virologo milanese, Fabrizio Pregliasco, considera la riapertura delle scuole come uno stress-test fondamentale per capire l’andamento pandemico del Covid-19. Questo per due motivi. Il primo perché coinvolgerà oltre dieci milioni di persona di tutte le età. Ed in secondo luogo perché coinciderà con l’arrivo dell’influenza stagionale.

Dopo il 14 settembre si potranno verificare tre situazioni. La prima è quella auspicata dai negazionisti. Secondo queste opinioni la riapertura della scuola dimostrerà che il virus sta perdendo la sua carica virale. Quindi non si tratterebbe più di pandemia, ma di influenza stagionale o quasi.

La seconda, quella attesa con ottimismo dai virologi e dalla ministra Lucia Azzolina, ipotizza una riapertura in tutta sicurezza e che gli eventuali focolai saranno circoscritti rapidamente. Tutto sarebbe sotto controllo.  

La terza opzione è la più pessimistica. Lo stress-test potrebbe favorire una seconda e più virulenta fase della pandemia. I ragazzi a settembre torneranno ad occupare treni, autobus, aule scolastiche e poi faranno ritorno a casa dove riabbracceranno genitori e nonni. Perché, dopo un'estate passata senza mascherine e senza distanziamento nei resort, nelle discoteche, nelle zone di villeggiatura, ora dovrebbero rispettare le regole antivirus previste per il rientro a scuola? La maggioranza di certo lo farà, ma ci sarà sempre il bulletto di turno che sfiderà la sorte, gli insegnanti, i conducenti di autobus e quanti protesteranno, inutilmente, per il mancato rispetto delle norme di prevenzione sanitaria.

I banchi monoposto con o senza rotelle, le mascherine, il gel per le mani e il distanziamento potranno limitare la diffusione del virus, ma non lo impediranno. Se qualcuno ritiene che tutto avverrà in sicurezza mente sapendo di mentire o più semplicemente auspica una seconda ondata pandemica gestibile e, comunque, con conseguenze sanitarie ‘accettabili’. Ma cosa vuol dire ‘accettabili’?

Stando così le cose la riapertura della scuola è da irresponsabili. In poche settimane gli istituti potrebbero richiudere per Covid-19. Allora, perché non continuare con la Dad fino a dicembre? Sono solo tre mesi. Finora il Governo ha agito con prudenza e senso di responsabilità, perché non continuare a farlo anche adesso?

lunedì 10 agosto 2020

Ai docenti non resta che incrociare le dita e pregare

Le linee guida pubblicate dal ministero dell'Istruzione per il rientro a scuola sono ‘acqua fresca’. La verità è che alla Didattica a distanza non c’è un’alternativa valida ed efficace per evitare eventuali focolai di Covid-19


di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da primocanale.it

Le linee guida pubblicate dal ministero dell’Istruzione sulla riaperture della scuola non impediranno i focolai pandemici dovuti al Coronavirus. Ecco le ‘indicazioni’ più significative.

Innanzitutto, è prevista la sanificazione prima dell’inizio dell’anno scolastico, ma non comporterà l’obbligo di incaricare ditte specializzate.

I ragazzi in classe dovranno rispettare tra loro ‘la distanza di un metro lineare e di due metri lineari nella zona interattiva della cattedra’. Quando si muoveranno nei corridoi dovranno indossare la mascherina.

Nel caso di un contagio ‘la persona interessata dovrà essere immediatamente isolata e dotata di mascherina chirurgica, e si dovrà provvedere al ritorno, quanto prima possibile, al proprio domicilio, per poi seguire il percorso già previsto dalla norma vigente per la gestione di qualsiasi caso sospetto. Per i casi confermati le azioni successive saranno definite dal Dipartimento di prevenzione territoriale competente, sia per le misure quarantenarie da adottare, sia per la riammissione a scuola secondo l'iter procedurale normato’.

Chi ha pensato e scritto queste regole non conosce o fa finta di non conoscere il mondo della scuola. Per i docenti degli istituti tecnici e professionali sarà un ‘incubo’. Non solo essi dovranno far rispettare queste indicazioni, ma saranno i primi a pagare le conseguenze giuridiche e sanitarie determinate da eventuali focolai.

I ragazzi affolleranno treni ed autobus, aule e palestre, ma qualcuno pensa veramente che sia possibile evitare i contatti usando il distanziamento e le mascherine? Chi lo sostiene mente sapendo di mentire. Si dica chiaramente che il sistema produttivo del Nord Italia e non solo non può permettersi un altro periodo di Dad.

I ragazzi per negligenza, per vanteria, per insolenza o semplicemente perché sono spensierati, difficilmente rispetteranno queste o altre regole. Allora cosa potranno fare i docenti ed i dirigenti scolastici in caso mancato rispetto? Faranno rapporti disciplinari? Si rivolgeranno ai genitori? Faranno sospensioni a raffica? No, non avverrà nulla di tutto questo. Si richiamerà, si solleciterà o si farà finta di non vedere. Intanto, nell’attesa del vaccino, ai docenti ed ai collaboratori Ata, non resterà che incrociare le dita e, per chi è credente, pregare. 

lunedì 22 giugno 2020

Gli Esami di Stato al tempo del Coronavirus

Gli Esami di Stato 2020, quelli svolti con la mascherina saranno ricordati da tutti, anche da coloro che non li hanno sostenuti. Ora per questi ragazzi e non solo  sarà tutto diverso, sarà tutto più difficile

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da ravennaedintorni.it
Tutti ricordano gli Esami di Stato. L'ansia provata in attesa del fatidico giorno. Il ripasso veloce prima di entrare in aula. Le titubanze dei primi momenti del colloquio. La preoccupazione di dover rispondere ad un quesito difficile e il desiderio di esporre quanto studiato. Poi la visione degli scritti, l’ultima domanda ed una risposta breve con la consapevolezza di non aver detto tutto quello che nei mesi precedenti si era imparato con ore ed ore di studio. Infine, la stretta di mano dell’ultimo commissario che con un sorriso anticipava il buon esito dell’Esame e, liberatorio, l’abbraccio e gli auguri dei compagni, degli amici e dei famigliari.
No. Quest’anno non è così. Stavolta c’è la mascherina e il distanziamento ad accompagnare la solitudine del candidato. Di fronte la Commissione composta quasi esclusivamente dai docenti della propria classe. Niente scritti, solo un colloquio orale. L’ambiente predisposto per l’Esame sembra un luogo surreale, tanta è la differenza con il passato. Eppure, sono gli stessi corridoi e le stesse aule frequentate per quasi cinque anni. La stanza è spoglia, i banchi distanziati, i professori seduti ordinatamente, tutti con la mascherina.
Non una stretta di mano, non un sorriso di incoraggiamento. Soli, con il viso nascosto dalla protezione sanitaria. Conciati così si potrebbero digrignare i denti, fare una boccaccia, ridere, mandare un bacino, nessuno vedrebbe nulla. Soli, con i propri timori e le proprie incertezze. Con un tono della voce inverosimile, quasi irriconoscibile.  Ascoltare le parole dei commissari senza poter guardare il movimento delle labbra è come udire un suono in lontananza o al buio. Quello che pensavamo di quel docente, ora, con questa strana tonalità di suoni, prende un altro senso. E' un altro o un'altra, chissà se è proprio il mio prof o la mia prof. E chissà se i miei insegnanti riconosceranno, dietro il suono ovattato della voce, il loro alunno: è quello timido o quello sbruffone, chissà se è sempre lo stesso, se si confondono. Inizia il colloquio, finalmente si può abbassare la mascherina, la voce torna normale, la respirazione è comunque affannata e la tensione non va via, rimane a rendere infinito il tempo di una conversazione di pochi minuti.
Ma proprio quando si vorrebbe continuare a parlare, l’Esame finisce. È giunto il momento del congedo ed occorre rimettere la protesi che rende difficile la respirazione ed impedisce la comunicazione facciale. Non c’è la stretta di mano consueta, ma un saluto fatto con gli occhi, con il tono della voce, con un gesto del braccio o della mano. Il sorriso che esprime la soddisfazione o il sollievo c'è, ma è celato dalla mascherina.
Non importa, con o senza protesi il giovane studente è già un'altra persona, un po' più matura, un po' più sola. Non è più il ragazzo o la ragazza che pochi mesi prima stava seduta o seduto distrattamente sul suo banco, che ormai sarà per sempre di un altro o di un'altra. Eppure, è stato un Esame unico, che tutti ricorderanno, anche quelli che non lo hanno sostenuto. Ora comincia una vita nuova, quella degli adulti e con o senza mascherina sarà tutto diverso, sarà tutto più difficile.

venerdì 27 marzo 2020

Coronavirus: la didattica a distanza è una grande opportunità per la scuola italiana


Scuole ed università sono chiuse, ma l’attività formativa non si è fermata, anzi la cosiddetta didattica a distanza rappresenta una grande opportunità per la scuola italiana

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Una classe dell'Itcat di Polizzi Generosa (Pa)
Scuole ed università sono chiuse in tutto il Paese dal 5 marzo. Il Governo aveva previsto la riapertura per il 15 dello stesso mese, ma considerata la gravità della situazione sanitaria, ha deciso di prorogarla al 3 aprile. Ora si pensa al prolungamento fino alla fine del mese e nell’ipotesi più drastica fino a giugno. Ma l’attività delle scuole e delle università non si è fermata.
Il ‘mostro’ vorrebbe impedire ai nostri ragazzi di studiare, ma questa per il Coronavirus è una battaglia persa in partenza. I docenti e gli studenti della scuola italiana stanno continuando a svolgere l’attività di formazione ed apprendimento. Su indicazione del ministero della Pubblica Istruzione gli istituti e le facoltà si sono attrezzati con la cosiddetta didattica a distanza. Del resto sono diversi anni che nelle scuole si fa uso del registro elettronico, delle aule informatiche, delle Lim, dei gruppi di lavoro su WhatsApp e di tanti altri strumenti che consentono un approccio ‘tecnologico’ nell’attività didattica e nella condivisione delle informazioni tra scuola e famiglie.
Il proficuo utilizzo delle ‘piattaforme’ virtuali dipende dalle abilità e dalle conoscenze acquisite negli ultimi anni dai docenti e dai collaboratori della scuola. La didattica a distanza è una sfida, ma nello stesso tempo è un’occasione ed un’opportunità per accrescere le competenze digitali di docenti ed alunni. È una prova difficile, ma sarà superata con la professionalità degli insegnanti, dei collaboratori scolastici e con l’impegno dei ragazzi
Certo, non tutto è semplice. Per tanti è una sfida difficile da affrontare. Anche in questa fase contano gli ‘strumenti’ e le disponibilità economiche. Nelle aree dove la Rete è adeguata, in particolare nelle città dove è disponibile la fibra ottica, l’uso delle video-lezione sarà più semplice. Come più facile sarà l’approccio delle famiglie che dispongono di ‘mezzi’ informatici adeguati. Non è raro il caso in cui esse non dispongano di computer o tablet oppure non hanno (più) la linea telefonica fissa, per cui dovranno utilizzare i cellulari ed i supporti di telefonia mobile. Insomma, anche nella didattica a distanza la differenza la faranno il reddito disponibile e la predisposizione a formarsi, ma questa non è una novità.
Il Governo ha stanziato le risorse per garantire a tutti i mezzi informatici necessari, ma, come sempre, la loro assegnazione non sarà semplice, né immediata come invece richiederebbe la situazione. A tale proposito, perché non consentire ai diciottenni che usufruiscono del bonus cultura di poter acquistare anche supporti informatici?



domenica 14 gennaio 2018

I bulli e la #malascuola


Gli atti di violenza subite negli ultimi mesi dai docenti rappresentano il fallimento della scuola italiana e dei politici che negli ultimi decenni hanno tentato, inutilmente, di riformarla

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


Salvo Busà l'insegnante malmenato ad Avola e la ministra
Valeria Fedeli - (foto da secoloditalia.it)
‘Invito il ragazzo a chiudere una finestra prima di andare in palestra per gli esercizi. E lui mi manda a quel paese, senza chiuderla. Insisto e alzo la voce. La risposta è il lancio di un libro. Un lancio contro di me. Il libro finisce per terra. Lo prendo e lo poggio su un banco.Rimprovero ancora quell’insolente che afferra il telefonino. Mezz’ora dopo l’arrivo di padre e madre...’. Questa è la dichiarazione fatta al quotidiano la Repubblica dal professore di Educazione fisica di Avola picchiato pochi giorni fa dai genitori di un suo alunno. La dinamica della vicenda non è nuova. Negli ultimi anni sempre più spesso gli insegnanti delle scuole medie e soprattutto di quelle superiori sono stati oggetto di atti di violenza da parte dei genitori dei loro alunni.
Foto da news.leonardo.it
Una volta la figura del docente era ‘vista’ con rispetto, oggi una parte sempre più numerosa di ragazzi non solo non si impegna nello studio ma si comporta in modo ‘aggressivo’ nei confronti dei compagni ed in alcuni casi anche degli insegnanti. E, quel che è peggio, questi atteggiamenti da ‘bulli’ trovano, spesso, la copertura e talvolta il sostegno delle famiglieche, anziché fare autocritica e richiamare i figli a tenere un comportamento ‘civile’, li difendono accusando i docenti di incapacità o, come in questo caso, di essere la causa scatenante del fatto. Negli ultimi due decenni sono state approvate diverse riforme della scuola, ma nessuna ha tenuto conto del clima d’intimidazione di cui spesso sono vittime i professori. Gli obiettivi degli ultimi governi sono stati quelli di tagliare le risorse finanziarie (riforma Gelmini) o di adeguare la scuola alle esigenze produttive e di mercato delle imprese (#buonascuola con l’alternanza scuola/lavoro). Inoltre, sono stati modificati i programmi ministeriali, ma non sono state incrementate le ore d’insegnamento delle discipline giuridiche ed economiche che, è bene ricordarlo, non sono previste nei licei (fanno eccezione quelli con indirizzo psichico - pedagogico, cioè gli ex istituti magistrali ed il biennio degli istituti tecnici e professionali). 
Foto da tg24com.mediaset.it
Oltre a ciò, l’aumento del numero minimo di alunni per formare le classi (le cosiddette classi pollaio) ha spinto gli Istituti ad una spietata concorrenza e ad evitare, nei limiti del possibile, le bocciature o gli abbandoni. Per non parlare delle iscrizioni ‘fasulle’. Situazioni di cui sono consapevoli i ragazzi e le loro famiglie. Il risultato è stato un crollo dei livelli di apprendimento e la crescita di comportamenti 'scorretti' da parte degli alunni. In questo clima di sfiducia gli insegnanti, che spesso sono impegnati in inutili corsi di formazione o nella realizzazione di progetti (che hanno come scopo anche quello di incentivare gli stipendi dei presidi), sono senza difese, sono costretti, cioè, a subire le angherie dei ‘bulli’ ed i ‘richiami’ dei dirigenti che non intendono intervenire con provvedimenti disciplinari o con bocciature proprio per non perdere alunni e cattedre o comunque per non assumersi responsabilità dirette con le famiglie. Non devono stupire quindi i crescenti atti di vandalismo. La scelta fatta dall'èlite politica sull’istruzione pubblica è evidente. Si vogliono buoni consumatori, anziché buoni cittadini. L’obiettivo è un ritorno al modello d’istruzione degli anni Sessanta, quando c’erano due tipi scuola pubblica, una di eccellenza per i benestanti ed un’altra di base per i ceti medio - bassi. Ed il risultato finale di questo processo sarà quello di incrementare, ancora una volta, l’individualismo e l’ingiustizia anziché il progresso civile e culturale di tutta la società.

Fonte: repubblica.it


domenica 6 agosto 2017

Dovrebbe andare in pensione invece sarà assunta dal Miur, in Italia succede anche questo


La speranza è proprio l’ultima a morire, avrà pensato Bernarda Di Miceli quando ha ricevuto la notizia che sarebbe stata immessa in ruolo con l’inizio del nuovo anno scolastico

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Bernarda Di Miceli - (foto da repubblica.it)
La docente palermitana è una dei pochi precari della Sicilia (5% del totale), sui cinquantuno mila previsti dal ministero, che quest’anno saranno immessi in ruolo. L’insegnante di scuola primaria firmerà, la prossima settimana, presso la sede dell’Ufficio scolastico provinciale, il contratto a tempo determinato come docente dell’istituto Pio la Torre di Palermo. La particolarità della notizia sta nel fatto che Bernarda Di Miceli pur avendo l’età (69 anni e sei mesi) per andare in pensione (l’età minima è 66 anni e 7 mesi) non può farlo in quanto non ha ancora maturato i requisiti minimi previsti dalla legge cioè non ha ancora versato 20 anni di contributi previdenziali. Nella sua carriera lavorativa, iniziata negli anni Settanta, la neo assunta a tempo indeterminato, come tanti altri suoi colleghi, ha sempre lavorato con incarichi annuali o supplenze brevi. Nel 2014 depennata per limiti di età dalla graduatoria provinciale, ha vinto il ricorso fatto su insistenza della figlia che svolge la professione di avvocato, ora reinserita ha diritto all’assunzione. Tuttavia, Bernarda Di Miceli per raggiungere i requisiti minimi contributivi per la pensione di vecchiaia sarà costretta a lavorare fino all’età di 70 anni e 7 mesi, cioè fino al febbraio del 2018.
Foto da palermo.repubblica.it
La vicenda dimostra, oltre alle ‘astrusità’ delle modalità di reclutamento della scuola italiana, l’inadeguatezza del sistema economico e produttivo del nostro Paese.Nelle regioni meridionali il lavoro è una chimera per molti e spesso ci si accontenta anche di occupazioni precarie e superflessibili come sono diventate quelle dei docenti e dei collaboratori Ata della scuola. In particolare i laureati, non potendo sfruttare le competenze acquisite, sono costretti ad emigrare, lasciando al Sud i meno istruiti, in particolare i cosiddetti Neet, cioè coloro che non lavorano e non studiano. A segnalare questa ‘novità sociale’ sono quasi tutte le indagine statistiche pubblicate negli ultimi anni. Il Mezzogiorno è entrato in un circolo vizioso, nel senso che con le risorse umane migliori costrette ad emigrare le inefficienze nell’apparato politico ed istituzionale inevitabilmente si accentueranno e di conseguenza aumenteranno i ritardi nello sviluppo della struttura economica e produttiva. Il sistema Italia continuerà così a creare ingiustizie e privilegi, soprattutto territoriali tra il Nord e il Sud del paese. Cosa aspettano i responsabili della classe dirigente e politica nazionale ad affrontare la questione occupazionale ed in particolare la Questione meridionale? 



sabato 15 luglio 2017

A che cosa servono gli esami di Stato?


di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

E’ ora di adempiere le ultime formalità, inserire gli elaborati, le schede dei candidati ed i verbali delle prove nel plico, sigillarlo con i bolli di ceralacca, compilare i registri riepilogativi, gli attestati e le certificazioni, preparare tutto il materiale da consegnare o riconsegnare alla scuola dove si sono svolti gli esami di Stato.
E’ una calda ed afosa giornata di luglio e decine di migliaia di professori, candidati e collaboratori della scuola stanno svolgendo la loro mansione con particolare attenzione, quella tipica di chi sa che sta eseguendo un compito delicato, che inciderà per sempre nella vita e nella memoria di esaminatori ed esaminati. Chi non ricorda i professori degli esami di Stato, l’elaborazione delle prove, il voto finale e le presunte o reali ingiustizie fatte dagli esaminatori?
Si sa, la discussione sulle valutazioni tra docenti ‘interni’, i professori cioè che hanno seguito i ragazzi per tutto l’anno ed in alcuni casi per tutto il percorso formativo della scuola superiore, e quelli ‘esterni’, che invece giudicano solo le prove dell’esame, è una circostanza che si ripete ogni volta. L’opinione dei primi difficilmente coincide con quelle dei secondi ma una sintesi, anche se a volte è preceduta da estenuanti e spesso inutili discussioni, si trova quasi sempre. Di certo, di quel giorno, oltre al voto finale rimarranno le titubanze e le gaffe fatte dai ragazzi e le facili ed inopportune ironie di chi, ormai adulto, non rammenta o fa finta di non rammentare gli errori commessi quando si è trovato nella medesima situazione.
C’è chi ritiene, tra i docenti, che questo sia un inutile tour de force, un ‘rituale’ a cui si devono sottoporre alunni ed insegnanti delle scuole medie e di quelle superiori. Per altri invece è un importante passaggio verso il mondo degli adulti, verso la maturità. I cambiamenti intervenuti negli ultimi decenni sulle sue modalità di svolgimento di certo lo hanno reso più complicato e faticoso per i ragazzi ma nello stesso tempo non sempre consente di evidenziare chi ha capacità e competenze superiori alla media. E’ il risultato delle ultime riforme. Ed è la dimostrazione che i politici ed i tecnici che si sono susseguiti al ministero della Pubblica istruzione non conoscono il ‘mondo della scuola’.La loro è stata un visione ragionieristica, hanno solo operato per ridurre la spesa pubblica licenziando una parte dei docenti, ovviamente quelli precari, cioè quei lavoratori che in un altro post ho definito ‘esodati invisibili’, vale a dire gli unici precari che dopo decenni di lavoro sono diventati disoccupati nell’indifferenza di sindacati e politici. Si è ritenuto e si continua a ritenere, infatti, che i problemi dl deficit del bilancio statale si possano risolvere lasciando a casa decine di migliaia di docenti e collaboratori della scuola. E’ una visione miope ma chi ci governa non sembra comprenderlo.
Intanto migliaia di giovani stanno per conseguire il diploma di scuola superiore,quello che una volta era considerato un importante ‘pezzo di carta’ ma prima dovranno rispondere all’ultima fatidica domanda: cosa farai dopo aver conseguito il diploma? Questo quesito non è posto per soddisfare la curiosità dei professori ma è un 'obbligo' imposto dal ministero ed i docenti, in questi tempi difficili in cui proseguire negli studi costa troppo e trovare un lavoro è quasi un terno al lotto, farebbero bene a porlo sottovoce e senza insistere troppo di fronte alle eventuali titubanze dei ragazzi.  


mercoledì 28 giugno 2017

Neoassunti nel 2015, oggi perdenti posto, è questo l’ennesimo danno prodotto dalla #buonascuola di Matteo Renzi


Da potenziatori, a tappabuchi, a perdenti posto, è questa l’incredibile parabola dei docenti precari storici assunti due anni fa con la legge sulla riforma della scuola 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Pier Luigi Bersani incontra i precari della scuola
(foto da nonciclopedia.wikia.com - novembre 2010)
I precari storici sono i docenti che hanno superato il concorso indetto dal ministero della Pubblica Istruzione nel 1990. Da allora non fanno altro che girovagare da una scuola all’altra, cambiando continuamente alunni, colleghi e dirigenti scolastici. Le varie riforme dell’istruzione pubblica non hanno saputo o voluto affrontare il problema delle supplenze annuali, almeno fino al 2015, quando con la legge 107 il governo di Matteo Renzi, sotto la spada di Damocle della Corte di giustizia europea, ha attuato il piano di assunzione straordinario. Con questa procedura sono stati immessi in ruolo come potenziatori della formazione i docenti precari storici inseriti nelle Gae e insieme a loro, anche coloro che, nonostante fossero inseriti nella graduatoria, non aveva mai insegnato. La legge ha previsto anche una mobilità di massa senza precedenti. Quest’ultima, avvenuta nell’agosto scorso, anziché tenere conto del servizio pre - ruolo degli insegnanti, ormai ultracinquantenni, ha premiato i neolaureati risultati idonei al concorso del 2012, dandogli così la possibilità di rimanere in provincia e ‘deportando’ gli altri, più anziani e con più servizio, in tutta Italia con la cosiddetta chiamata diretta dei dirigenti scolastici adottata, peraltro, solo per loro.
Foto da lapoesiaelospirito.wordpress.com
Quel contratto che doveva durare tre anni oggi è carta straccia e gli insegnanti di potenziamento non esistono più, o per meglio dire, quel ruolo non è più di esclusiva spettanza dei precari storici, ma, a discrezione del dirigente, di tutti i docenti che così ne possono usufruire per salvaguardare il loro posto sotto casa. Insomma, dopo un anno a fare i tappabuchi, a fare cioè le sostituzioni giornaliere nelle varie classi anziché incrementare l’offerta formativa come stabiliva la legge 107, gli insegnanti abilitati 27 anni fa si sono visti scavalcare nelle graduatorie prima dai neoassunti del concorso del 2012, ed ora, nell’incarico, dagli stessi docenti di ruolo. Non solo, in tanti, in questo inizio d’estate 2017, essendo ultimi nelle graduatorie d’istituto, sono perdenti posto.
Matteo Renzi - (foto da lucamussari.it)
Insomma, la Scuola italiana di una parte dei precari neoassunti nel 2015 non sa che farsene e continua a spostarli da un istituto all’altro. Utilizzati per i compiti più complicati e difficili e nelle sedi più disagiate, sono visti con sufficienza, sono malpagati e, nello stesso tempo, nessuno li vuole nella propria scuola. Persiste per questi docenti, nonostante l’assunzione a tempo indeterminato, una condizione di precarietà lavorativa e reddituale. Non tutti sanno che un insegnante neoassunto percepisce 1400 euro al mese (bonus di 80 euro compreso), a cui occorre sottrarre tutte le spese fatte dai docenti per spostarsi o soggiornare nella località dove si trova la scuola. E’ bene precisare che la quasi totalità di questi insegnanti sono meridionali che, considerate le scarse opportunità di lavoro che ci sono al Sud, non sono docenti per vocazione ma per necessità e che, nonostante tutto, continuano a sperare di poter tornare ‘a casa’. Di certo avevano ragione i colleghi che, nel 2015, non hanno voluto aderire al piano di assunzione straordinaria previsto della legge 107. Quei docenti hanno preferito rimanere precari per poter decidere se accettare o rifiutare un incarico annuale o breve ed evitare, così, la ‘deportazione’, possibilità che è preclusa ai neoassunti a cui non resta che sperare in un’altra riforma della scuola per poter tornare a fare i docenti e non gironzolare da una città all’altra e da un istituto all’altro per fare, spesso, i badanti a chi non ha nessuna voglia di studiare. 


martedì 22 novembre 2016

SPID necessario anche per il bonus dei docenti, ecco come funziona


Per usufruire del bonus di 500 euro i docenti dovranno accedere all’applicazione web cartadeldocente.istruzione.it, ma prima dovranno ottenere l’identità digitale SPID

di Giovanni Pulvino (PulvinoGiovanni)

Foto da bloglavoro.com
Lo scorso anno oltre 740.000 docenti di ruolo hanno usufruito per l’aggiornamento professionale del bonus di 500 euro. L’importo è stato accreditato direttamente nello stipendio. L’incentivo è stato rinnovato anche per quest’anno, ma è cambiato il sistema di erogazione.
Per spendere l’incentivo i docenti dovranno accedere all’applicazione web cartadeldocente.istruzione.it che sarà disponibile entro il 30 novembre. I buoni spesa generati daranno il diritto ad ottenere il bene o il servizio presso gli esercenti autorizzati.
Foto da blastingnews.com
I docenti potranno acquistareriviste e pubblicazioni per l’aggiornamento professionale, hardware e software da utilizzare per la formazione, iscriversi a corsi di laurea o di specializzazione, acquistare biglietti per rappresentazioni teatrali, cinematografiche, per visitare musei e mostre, per partecipare ad eventi culturali e spettacoli, nonché usufruire delle attività individuate dal piano triennale dell’offerta formativa  della scuola o del Piano nazionale di formazione.
Presupposto indispensabile per accedere all’applicazione è ottenere lo SPID. La procedura è uguale a quella prevista per il bonus cultura di 500 euro dei giovani nati nel 1998. Per ottenere la carta di identità digitale è necessario registrarsi ad uno dei provider (Poste italiane, Tim, Sielte o Infocert) indicati sul sito: http://www.spid.gov.it/richiedi-spid. Con le credenziali ottenute ci si potrà registrare su http://www.cartadeldocente.istruzione.it/ ed iniziare con gli acquisti. Il nuovo sistema ha lo scopo di alleggerire le procedure di rendicontazione e, nello stesso tempo, è uno strumento elettronico per tenere sotto controllo tutti i pagamenti effettuati con il bonus.
I docenti che hanno iniziato a spendere il bonus all’inizio dell’anno scolastico (1° settembre) saranno rimborsati. Gli insegnanti che per qualunque motivo non hanno utilizzato l’incentivo 2015/2016 potranno spenderlo entro il 31 agosto 2017, in questo caso la rendicontazione dovrà avvenire secondo le ‘vecchie modalità’.
Inoltre, lo SPID è un codice unico che consente, oltre ad usufruire del bonus, di accedere con un’unica username e un’unica password a tutti i servizi della Pubblica Amministrazione (http://www.spid.gov.it/servizi).

sabato 8 ottobre 2016

AAA docenti cercasi


I docenti assunti con il piano straordinario previsto dalla Buona scuola e con il concorso non saranno sufficienti a coprire le cattedre disponibili. Eliminare il precariato è una missione impossibile

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da professionistiscuola.it
La riforma voluta dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, non ha risolto i problemi della scuola italiana. L’obiettivo principale della Legge 107/2015 era quello di eliminare il precariato. I 48mila insegnanti (precari storici) immessi in ruolo con il piano di assunzione straordinaria e quelli assunti  con il concorso (previsti 60mila ma saranno molti di meno) che, ancora oggi, non è stato espletato, non saranno sufficienti a coprire le cattedre disponibili. Le scuole saranno costrette a nominare, con contratti a tempo determinato, decine di migliaia di docenti dalle graduatorie ad esaurimento (quelle che si volevano cancellare). 
Foto da linkedin.com
Aver ipotizzare una scuola senza docenti precari è stato un errore, perché ci sarà sempre la necessità di sostituire un insegnante che si ammala, che chiede il part-time o l’aspettativa, che ottiene l’assegnazione provvisoria o l’utilizzazione, ecc.. Queste esigenze, tipiche della scuola, diventano un problema solo quando la condizione di incertezza e precarietà dei docenti supplenti diviene stabile e definitiva. Negli ultimi due decenni oltre 150mila insegnanti si sono trovati in questa situazione.
Negli anni Settanta ed Ottanta i ‘precari’ che avevano maturato un certo numero di anni di servizio venivano immessi in ruolo. Era il cosiddetto‘doppio canale’. A richiamare questa semplice regola è stata una sentenza della Corte di giustizia europea, ma in Italia si continuano a creare aspettative che regolarmente vengono disattese.

domenica 11 settembre 2016

La #buonascuola che non c’è


La legge 107/2015 con il piano di assunzioni straordinario ha posto rimedio al ‘vulnus’ che durava da vent’anni, ma nello stesso tempo ha creato i presupposti per perpetrare nuove ingiustizie e prevaricazioni 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

(foto da clashcityworkers.org)
L’ingiustizia più grande causata dalla legge 107/2015 sta nel fatto che la procedura di mobilità, iniziata dopo Ferragosto, ha previsto la precedenza nell’assegnazione delle cattedre ai docenti ‘idonei’ (non vincitori) del concorso del 2012, quello voluto dal ministro Francesco Profumo. In questo modo i giovani neoassunti sono rimasti nella loro provincia di residenza, mentre i precari storici pur avendo fatto tanti anni di supplenze sono stati inseriti nella graduatoria nazionale. Ed è per questo che molti hanno dovuto rinunciare o sono dovuti emigrare. Ed è bene sottolineare che nella maggior parte dei casi si tratta di insegnanti meridionali ultracinquantenni che, pur di avere un reddito certo, 'appena' 1.400 euro al mese (un usciere di Montecitorio guadagna dieci volte di più), hanno dovuto separarsi dalla famiglia. Ora a questi lavoratori non resta che ‘sperare’ nelle assegnazioni provvisorie, dove non conta il servizio ma la ‘necessità’ del ricongiungimento famigliare (Legge 104, figli, coniuge, precedenze). 
Stefania Giannini - (foto da skuola.net)
Un altro obiettivo della riforma era la ‘chiamata diretta’.Ebbene questa procedura è stata sperimentata con gli insegnanti assunti con la cosiddetta fase C, in massima parte si tratta dei precari storici. Insomma, questi docenti non solo sono stati costretti al trasferimento ‘coatto’, ma hanno dovuto sottostare anche alla selezione ‘meritocratica’ dei Dirigenti scolastici. Nelle valutazioni i ‘Presidi’ spesso non hanno tenuto conto del servizio pregresso, ma hanno utilizzato criteri stabiliti ad hoc da ogni singola scuola. Inoltre, i relativi avvisi sono stati pubblicati dopo la designazione dei neoassunti nei singoli ambiti scolastici territoriali. Pertanto, i Dirigenti, prima di stabilire i criteri, conoscevano i nomi ed i cognomi dei docenti da selezionare.
La ‘chiamata diretta’ si è così trasformata nell’ennesimo escamotage per favorire gli insegnanti che hanno meno punti in graduatoria. Per la #buonascuola ed in generale per la scuola italiana non contano più l’esperienza lavorativa ed i sacrifici fatti, ma le presunte abilità acquisite con i titoli conseguiti partecipando a corsi di specializzazione organizzati da associazioni (sindacali), dalle scuole o dalle università. 
Insomma, la scuola è appena iniziata, ma il caos e le ingiustizie continuano, come sempre.

venerdì 5 agosto 2016

Per molti insegnanti del Sud la #buonascuola si sta trasformando in una tragedia greca


Il Miur sta comunicando l’esito dei trasferimenti degli insegnanti assunti lo scorso anno con la Buona scuola e molti insegnanti del Sud dovranno trasferirsi al Nord 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da professionistiscuola.it
Quanto si temeva si sta verificando. Molti insegnanti del Sud Italia per continuare a lavorare dovranno trasferirsi al Nord. La novità non è il flusso migratorio verso il Settentrione, è sempre stato così. Il problema è che si tratta, in molti casi, di docenti che hanno da uno a due decenni di precariato e che spesso sono ultracinquantenni, mentre, nello stesso tempo, molti giovani, idonei al concorso del 2012 (quello voluto dal ministro Francesco Profumo) od a quello che si sta svolgendo in queste settimane, resteranno nella provincia di residenza, anche se non hanno neanche un giorno di servizio. La ripartizione cioè non tiene conto del punteggio acquisito con gli anni di precariato nelle scuole e con  gli alunni più problematici.
Stefania Giannini, ministro dell'Istruzione, dell'università
e della ricerca - (foto da repubblica.it)
Sono i misteri della scuola pubblica italiana. Negli ultimi vent’anni sono state approvate diverse riforme della scuola. Il risultato è stato una continua modifica delle regole che, di volta in volta, hanno favorito questa o quella categoria d’insegnanti, ma a pagare per tutti sono stati sempre i precari storici. Questi docenti hanno lavorato per anni con contratti a tempo determinato ma non sono mai stati stabilizzati, come invece avveniva negli anni Settanta ed Ottanta e come stabilisce una recente sentenza della Corte di giustizia europea. Il cosiddetto ‘doppio canale’ rimane, infatti, il sistema di reclutamento degli insegnanti più corretto ed equo, ma non si sa bene perché non viene più preso in considerazione.
Ora il ‘vulnus’ è stato sanato con la Buona scuola, ma gli ex precari storici continuano ad essere considerati l’ultima ruota del carro e sono trattati quasi con ‘fastidio’ dai Sindacati e dai funzionari del ministero. Il risultato è a dir poco paradossale. Un giovane insegnante potrà lavorare nella sua città, mentre molti ultracinquantenni neoassunti nel 2015, se non vorranno diventare definitivamente degli esodati invisibili, dovranno emigrare. Lo faranno con il trolley, con una laurea in tasca e tanta esperienza lavorativa, ma come tutti i migranti dovranno lasciare famiglia ed affetti per assicurarsi uno stipendio da 1400 euro al mese che, di certo, non sarà sufficiente per garantirsi una vita dignitosa e senza, per questo, avere il diritto a lamentarsi, visto l’alto tasso di disoccupazione che c’è nel Meridione.

sabato 16 luglio 2016

#Buonascuola: sanato vulnus durato 23 anni, ma che 'tristezza'

Oggi, 16 luglio 2016, è stato sanato un vulnus che durava da tanto, troppo tempo, ma per tanti professori e professoresse il futuro sarà ancora precario ed incerto

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da blastingnews.com
Era il 1993 quando per la prima volta varcai come docente l’ingresso di una scuola pubblica. Davanti all’entrata, affollata dai ragazzi che attendevano, c’era una collega che vedendomi arrivare si sorprese e mi fece accedere all’interno della scuola con una certa riluttanza e curiosità. Aveva ragione, tutto sembravo tranne un insegnante di discipline giuridiche ed economiche. La mia ritrosia ad indossare indumenti diversi da una ‘polo’ e dai jeans mi è rimasta sino ad oggi, ma alla collega devo essere sembrato un giovane fuori posto e fuori luogo.
Era il giorno della prima prova degli esami di Stato, allora si chiamavano di maturità, di un Istituto tecnico per geometri. Il docente nominato aveva rinunciato ed il Provveditore dovette scorrere la graduatoria dei supplenti per nominare un sostituto. Mi ritrovai cosi a pochi mesi dall’esame di abilitazione (superato senza tante difficoltà, allora si faceva sulla disciplina di competenza) a giudicare dei ragazzi che in alcuni casi conoscevano gli argomenti delle mie materie quasi meglio di me.
Foto da cobastorino.it
Allora la prova orale dell’esame si svolgeva su due discipline, una scelta dal candidato e l’altra dalla Commissione. Dovevamo esaminare gli alunni di una scuola pubblica e di una privata. Questo complicò il mio lavoro perché quelli della scuola privata avevano svolto il programma di quarta. Per la ‘superficialità’ con cui aveva lavorato il collega di ruolo dovetti districarmi con questa grave ‘incongruenza’ didattica e con i programmi di tre discipline: Diritto civile, Diritto pubblico e Scienza delle finanze.
Inoltre, i commissari interni ed altri due esterni erano piuttosto diffidenti con i giovani docenti che facevano parte della Commissione, uno di questi ero io. Ed avevano ragione ad esserlo, non ci misero troppo a capire che non avrei accettato ‘compromessi’ o ‘raccomandazioni’. E così fu, molti ragazzi superarono brillantemente l’esame ma cinque della scuola privata furono ’bocciati’, fu doloroso ma non fu possibile fare diversamente.
Il Presidente della Commissione apprezzò molto la meticolosità e la serietà con cui svolsi il mio lavoro al punto che mi propose di chiedere il trasferimento nella sua scuola a Varese. Non ebbi dubbi, non volevo lasciare la famiglia e gli affetti e dissi di no. Oggi quella situazione potrebbe verificarsi di nuovo e, stavolta, non potrei dare la stessa risposta. Allora c’erano delle prospettive, ora non più.
Foto da blastingnews.com
Dopo 23 anni passati nelle scuole più disagiate e, spesso, nelle classi e con gli alunni più ‘problematici’, ho un lavoro certo. Viene sanato un vulnus che durava da tanto, troppo tempo.Ed è stato emozionante vedere la felicità negli occhi di tanti colleghi precari, anche loro con tanti anni di contratti a tempo determinato. E non capisco i tanti insegnanti di ruolo che criticano la legge sulla ‘Buona scuola’ che ha posto rimedio ad una situazione paradossale e senza sbocchi certi per decine di migliaia di colleghi. Certo il legislatore poteva intervenire prima e meglio, ma quel provvedimento ha fatto tanto.
In questa calda ed afosa giornata di luglio passo di ruolo eppure in me c’è un po’ di 'tristezza'. Sì, ora ho la certezza di percepire lo stipendio il 23 di ogni mese, ma è stata comunque una sconfitta, troppo tempo è trascorso da quel giorno del 1993. E, poi, non riesco a gioire sapendo che tanti professori e professoresse che conosco da anni non possano farlo. Sono colleghi precari (tanti, alcuni lo sono da due decenni) che hanno deciso di non accettare l’immissione in ruolo per non separarsi dalla famiglia e dagli amici e, quindi, di rimanere nel limbo dell’incertezza che tra qualche giorno diventerà ansia nell’attesa di un nuovo incarico che non è detto ci sarà. 

martedì 2 febbraio 2016


La mafia è ‘qualcosa da combattere, da disprezzare o evitare con attenzione’

Presentati nell’aula magna del liceo classico ‘Giovanni Meli’ di Palermo i risultati dell’indagine svolta tra gli studenti siciliani dal Centro studi Pio La Torre sul tema ‘Giovani cittadini consapevoli, attivi e responsabili’ 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

L’indagine ha coinvolto circa 400 alunni tra i 16 ed i 21 anni di 14 scuole siciliane. Il 39% di essi ritiene che ‘Cosa nostra’ sia più forte dello Stato, mentre per il 34% sono sullo stesso piano e solo per il 16% è lo Stato ad essere più forte. Per il 76% degli studenti siciliani la mafia è ‘qualcosa da combattere, da disprezzare o evitare con attenzione”.
Secondo Laura Borino, membro del gruppo di lavoro del progetto, “quasi tutti i ragazzi sanno chi sono i giudici Falcone e Borsellino, padre Puglisi, Pio La Torre o, sul fronte opposto, Totò Riina. Più della metà, però, prima dell’avvio del progetto, ha ammesso di non conoscere figure come Antonino Caponnetto, Emanuela Loi, Placido Rizzotto e quasi la metà ignorava chi fosse Rocco Chinnici”.
Alla domanda: ‘Ti è mai capitato di avvertire concretamente la presenza della mafia?’, il 34% degli intervistati ha risposto ‘abbastanza’, il 25% ‘poco’, il 21% ‘molto’. La maggior parte degli studenti ha, poi, dichiarato di avere fiducia negli insegnanti, nei magistrati e nelle forze dell’ordine, rispettivamente con 137, 95 e 57 preferenze. Mentre negli ultimi posti della classifica ci sono i sindacalisti (26), i parroci (10), i politici nazionali (8) e quelli locali (3).
Alla presentazione dei risultati del progetto ha partecipato l’assessore regionale all’Istruzione, Bruno Marziano, che ha dichiarato: ‘Per La mia generazione Pio La Torre è stato un maestro di vita. Egli aveva il rigore di chi credeva in una missione, come la lotta alla mafia. La scuola è il primo presidio di legalità ed è il luogo dove si forma la classe dirigente. Investire nella qualità dell’istruzione è fondamentale’. Ed ha annunciato l’avvio in Sicilia di progetti di ‘alternanza scuola – lavoro anche nei licei, si tratta – ha concluso l’assessore – di una vera rivoluzione nel mondo dell’istruzione’.

sabato 30 gennaio 2016


Università: crollo di iscritti al Sud

Fuga dalle università meridionali, Catania maglia nera con una riduzione del numero di matricole dell’81%

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Università di Catania
In dieci anni 65mila matricole in meno, con un calo del 20% dei diplomati che decidono di continuare gli studi. Di questi, 35mila sono negli atenei del Mezzogiorno. Il numero dei docenti è anch’esso diminuito di 11mila unità, il personale tecnico di 13mila unità ed i corsi di studio sono passati da 5.634 a 4.628. Il finanziamento ordinario delle università è diminuito del 22,5%. Tra le città, Catania è maglia nera con una riduzione del numero di matricole dell’81%. Questi dati emergono da uno studio condotto da ‘Fondazione Res’, Istituto di ricerca su economia e società in Sicilia.
Secondo Giancarlo Viesti, che ha curato il rapporto, ‘l’università delle regioni più deboli va rafforzata al massimo e non progressivamente indebolita, come purtroppo si sta facendo negli ultimi anni’. Essa ‘forma le classi dirigenti, trasferisce tecnologie e saperi. Inoltre, specie nelle aree difficili, è anche un presidio di civiltà’.
‘L’Italia - si legge nel rapporto - ha compiuto, nel giro di pochi anni, un disinvestimento molto forte nella sua università’. Ed ancora: ‘la riduzione della spesa e del personale universitario è stata molto maggiore che negli altri comparti dell’intervento pubblico’.
‘Se continuiamo a perdere capitale umano rischiamo la desertificazione assoluta’, ha dichiarato Ivanhoe Lo Bello, vicepresidente di Confindustria e delegato alle politiche sull’Istruzione, ed ha aggiunto: ’Perdere 65mila immatricolati in dieci anni è un segnale preoccupante, soprattutto al Sud. Abbiamo ragazzi scoraggiati, che non hanno le risorse per sostenersi negli studi. Occorrono un investimento serio e luoghi dove i ragazzi possano risiedere e garantire in questo modo la mobilità a basso costo degli studenti.’

 

giovedì 12 novembre 2015


Renzi scrive ai prof neo-assunti per augurargli buon lavoro, ecco il testo dell’email

Con la conclusione della cosiddetta fase C del piano di assunzione dei precari storici è stato sanato un ‘vulnus’ giuridico che si protraeva dal 1993, ora migliaia di docenti potranno lavorare con più serenità

Matteo Renzi
Completato il piano di assunzioni dei docenti previsto dalla legge sulla ‘Buona Scuola’. Circa 48mila insegnanti precari sono stati immessi in ruolo con la cosiddetta fase C, questi docenti si aggiungono agli altri (circa 40mila) che sono stati assunti nei mesi precedenti, i restanti 15mila posti vacanti previsti dal Piano saranno coperti con il concorso che sarà indetto nei prossimi mesi. Si chiude così un periodo difficile della scuola pubblica italiana, dopo decenni di precariato decine di migliaia di professori ora potranno lavorare con maggiore serenità. A tutti i docenti assunti con l’ultima fase il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha inviato un’email di auguri. Nella lettera il Capo del governo riassume fedelmente le vicissitudini professionali dei precari storici ed il ruolo decisivo degli insegnanti sul futuro dei nostri ragazzi e, quindi, del nostro Paese. Ecco il testo integrale.
“Gentile Professoressa, gentile Professore,
La ringrazio per aver accettato la proposta che il Ministero Le ha formulato ieri.
Benvenuta nella comunità delle donne e degli uomini che lavorano a tempo indeterminato per lo Stato.
Le faccio i migliori auguri, a nome mio personale e a nome di tutto il Governo.
Per anni le Istituzioni hanno permesso che si creasse un ingiustificato e odioso precariato tra i docenti. Conosco bene la rabbia e la frustrazione che tutto ciò ha provocato in molti suoi colleghi. Non poter assicurare continuità educativa ai ragazzi, dover cambiare istituto ogni anno senza una progettualità, ricevere la lettera di licenziamento alla fine dell'anno scolastico anziché gli auguri di buone vacanze. Essere considerati pacchi postali da spedire in varie zone della provincia e attendere le convocazioni di fine agosto come un rito umiliante e angoscioso. So quanto per molti di voi tutto ciò sia stato vissuto come una profonda ingiustizia: impossibile del resto apprezzare uno Stato che rende precario il lavoro più importante, quello di insegnante.
Le cose sono cambiate. Con la Buona Scuola abbiamo innanzitutto messo più soldi nell'educazione, più soldi per i professori, più professori per i nostri figli contro l'insopportabile filosofia delle classi pollaio. E con la Buona Scuola abbiamo anche messo la parola fine al modo scandaloso con cui vi hanno trattato in questi anni. Vorrei essere chiaro: abbiamo solo fatto il nostro dovere, niente di più. Lo Stato, infatti, aveva formato Lei e i suoi colleghi per diventare professori. Vi aveva attribuito il diritto di diventarlo. E poi vi ha lasciato per anni nel limbo. Non abbiamo fatto niente di speciale, solo il nostro dovere. Ma ci abbiamo messo passione, impegno, determinazione. Senza la Buona Scuola gli insegnanti sarebbero restati per anni, qualcuno per più di un decennio, precari, ostaggi di convocazioni, graduatorie, punti da conquistare con discutibili procedure.
Ci siamo presi critiche, insulti, offese, ma adesso ci siamo. Ci hanno chiesto di fermarci, raccontando tante falsità come quella di chi diceva che le assunzioni ci sarebbero state comunque in nome di una presunta sentenza europea. Non è così, naturalmente. Se avessimo bloccato il cammino della Buona Scuola oggi saremmo tornati all'anno zero. Abbiamo fatto tesoro delle tante critiche ricevute, ma abbiamo mantenuto la parola data: Lei adesso è a tutti gli effetti un insegnante a tempo indeterminato. È finalmente “entrato di ruolo”. Auguri!
Spero che possa festeggiare con la Sua famiglia, con i Suoi cari, con i Suoi amici. Brindo metaforicamente al Suo lavoro. E mi permetto di chiederLe una cosa.
Il Suo lavoro è persino più importante del mio. Lei si occupa di educazione e non c'è priorità più grande per l'Italia dei prossimi anni. Lei lavorerà nella scuola più tempo di quanto io starò al Governo. Lei ha la possibilità di tutti i giorni di valorizzare i sogni e le passioni dei nostri ragazzi che sono il bene più prezioso che abbiamo. La prego, dal profondo del cuore: non ceda mai al vittimismo, alla rassegnazione, alla stanchezza. Sia sempre capace di affascinare i suoi studenti, di spronarli a dare il meglio, di invitarli a non cedere al cinismo e alla meschinità.
Lei ha studiato, ha sicuramente un'ottima preparazione, conosce bene la materia che insegna. E noi siamo orgogliosi della scuola italiana che con tutti i suoi limiti ha punti di forza straordinari. Abbiamo bisogno che indipendentemente dalle differenze religiose, politiche, culturali, civili, economiche la scuola dia ai nostri ragazzi l'opportunità di credere nei loro mezzi. Di valorizzare i propri talenti. La scuola è la più grande opportunità per dare a tutti – nessuno escluso – la possibilità di trovare la propria strada per la felicità. Lei ha una responsabilità meravigliosa e difficilissima, non si stanchi mai di crederci, anche quando Le sembrerà difficilissimo. L'Italia di domani sarà come la faranno i professori di oggi.
Noi faremo di tutto per aiutare questo lavoro, cercando di fare sempre di più per la scuola di questo affascinante e struggente Paese.
Il mio saluto più cordiale, congratulazioni e buon lavoro.   
Matteo Renzi”



venerdì 28 agosto 2015

‘Deportati o esodati’? È questo il dilemma per i docenti precari del Sud


Per decine di migliaia di docenti precari storici del Sud è il tempo delle decisioni ‘irreversibili’: trasferirsi al Nord pur di essere immessi in ruolo o rinunciare è diventare esodati invisibili?

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Flash mob dei docenti della Sardegna
Il piano di assunzioni straordinario previsto dalla riforma della scuola entrata in vigore il sedici luglio scorso è arrivato alla fase B a cui seguirà la fase C.
Tra l’1 ed il 2 settembre il sistema informativo del Miur comunicherà a migliaia di docenti la provincia dove saranno immessi in ruolo. L’incrocio tra le preferenze espresse dagli insegnanti con la domanda inviata online poche settimane fa ed i posti disponibili in tutta Italia sarà elaborata del ‘cervellone’ elettronico del Ministero.
Il sistema individuerà tra 71mila precari coloro a cui verrà assegnata una delle 19mlia cattedre rimaste libere dopo la prima fase di assunzioni. Successivamente, pochi giorni prima dell’inizio dell’anno scolastico, i singoli provveditorati assegneranno la scuola di destinazione a coloro che, entro dieci giorni, avranno accettato la proposta di assunzione. 
Ad essere obbligati al trasferimento saranno solo i docenti del Sud. Tuttavia coloro che otterranno prima dell’inizio dell’anno scolastico una supplenza nella propria provincia potranno evitare per un anno quella che tanti insegnanti considerano una ‘deportazione’, vale a dire un vero e proprio trasferimento ‘forzato’. Anche nella fase C, quella che servirà a creare il cosiddetto ‘organico funzionale’, molti docenti meridionali dovranno accettare il trasferimento al Nord.
Intanto, in quest’ultima settimana di agosto, molti professori precari sono stati riassunti per uno o due giorni, quelli necessari per svolgere gli esami di riparazione dei debiti scolastici e per partecipare agli scrutini.
Poi sarà il tempo dell’attesa e delle decisioni irreversibili. Il dilemma a cui dovranno rispondere migliaia di docenti meridionali sarà: accettare la ‘deportazione’ o rinunciare e rimanere esodati invisibili? Rifiutare la nomina significherà, infatti, restare senza lavoro e senza aver ancora maturato i requisiti per andare in pensione. 
Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso a partire con la valigia di cartone erano i giovani contadini semianalfabeti, oggi, a distanza di cinquant’anni, ad emigrare, con tanti titoli di studio nel trolley, saranno circa 20mila professori ultracinquantenni. Lo faranno tutti o quasi per coronare l’immissione in ruolo dopo decenni di precariato nelle sedi più disagiate e con gli alunni più problematici della scuola italiana. Saranno costretti a lasciare famiglie ed affetti, ma per i lavoratori del Sud questa non è una novità.


mercoledì 8 luglio 2015


#labuonascuola di Matteo Renzi creerà 52.483 esodati ‘invisibili’

Con la riforma della scuola il Governo sta immettendo in ruolo una parte dei precari storici ma nello stesso tempo sta cancellando le Gae e ‘licenziando’ in modo definitivo decine di migliaia di docenti 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Il piano di assunzioni straordinario previsto dalla riforma della scuola prevede l’immissione in ruolo di 102.734 nuovi insegnanti, mentre altri 52.483 inseriti nelle Graduatorie ad esaurimento verranno ‘licenziati’ in modo definitivo. Si tratta di docenti ultracinquantenni che hanno vinto il concorso nel 1990, nel 1999, nel 2012 o che hanno fatto le Ssis o le Tfa e che insegnano da decenni nelle scuole e nelle classi più disagiate.
L’obiettivo del Governo è di cancellare le Gae e di eliminare così il precariato storico e nello stesso tempo applicare la sentenza della Corte di giustizia europea che impone all’Italia l’assunzione dei docenti che hanno avuto il rinnovo dell’incarico per oltre trentasei mesi.
Il piano di assunzioni avverrà in tre fasi. Entro il 31 agosto riceveranno la proposta di contratto a tempo indeterminato 36.627 insegnanti, compresi quelli di sostegno. E’ il ‘normale’ turn over che avviene all’inizio di ogni anno scolastico tra chi va in pensione ed i nuovi assunti. Il 50% degli insegnanti sarà individuato nelle graduatorie dei concorsi a cattedra e l’altra metà in quelle della Gae. L’inserimento avverrà nella provincia in cui il docente è inserito in graduatoria.Dopo questa fase cesseranno di avere efficacia giuridica i concorsi del 1990 e del 1999.
I posti rimasti vacanti, più altri 10.849, saranno assegnati entro il 15 settembre, il 50% andrà ai docenti vincitori del concorso del 2012 e la restante metà sempre dalla Gae. L’assunzione avverrà nella provincia dove l’insegnante è inserito o nella regione in cui si è svolto il concorso.
A questo punto coloro che non hanno ricevuto la proposta di assunzione dovranno presentare una domanda online, dove dovranno indicare cinque province, mettendole in ordine di preferenza. I fortunati che successivamente riceveranno una proposta di contratto dovranno entro dieci giorni accettare la nomina, in caso contrario saranno fuori dal piano straordinario di assunzioni. Le nomine saranno fatte durante l’anno scolastico ma avranno, comunque, decorrenza giuridica dal primo settembre. I posti disponibili sono 48.812, più 6.446 per gli insegnanti di sostegno. In questa terza fase il ministero potrà collocare i nuovi assunti nelle province italiane dove è disponibile una cattedra.
Coloro che non saranno chiamati o che avranno rifiutato un incarico fuori provincia per continuare ad insegnare dovranno sostenere l’ennesimo concorso che sarà bandito entro il mese di novembre.
Dal piano di assunzioni straordinario previsto con riforma della scuola di Matteo Renzi sono quindi esclusi circa 52.483 docenti precari storici.
I nuovi esodati, considerati troppo vecchi per insegnare e troppo giovani per andare in pensioni, saranno ‘invisibili’ perché ad essi, nonostante tanti anni di sacrifici, non sarà riconosciuto nessun diritto e nessuna tutela giuridica ed economica.

Nessun commento:

Posta un commento