sabato 30 aprile 2016

Matteo Renzi ed il Patto per il Sud

Il presidente del Consiglio dei Ministri oggi si è recato nelle città del Sud, dove ha firmato Patti di sviluppo e promesso investimenti, ma tutto questo sarà sufficiente per ridare vigore all’economia meridionale? 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Stamane il presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, ha partecipato all’inaugurazione del Museo Archeologico di Reggio Calabria, dove sono esposti i Bronzi di Riace. Poi ha firmato i Patti per la Calabria e per Reggio ed ha annunciato 2,5 miliardi per la ricerca e 1 miliardo per la cultura.  
‘Ci vuole un’Italia che dice sì, non una che dice solo ma, boh, bah’, ha dichiarato il premier. Ed ancora ‘Il museo è il simbolo di un Paese che chiude i canteri, termina le opere e riparte. Le polemiche lasciamole ai professionisti del no. La battaglia contro la criminalità non è vinta per questo siamo in prima fila con giudici e forze dell’ordine’.
Nel pomeriggio è stato in Sicilia per tre diversi appuntamenti. Al teatro ‘Massimo Bellini’ per la firma del Patto per Catania con il sindaco Enzo Bianco, sull’autostrada A19 per la riapertura di una corsia del viadotto Himera e nell’ex deposito locomotive di Brancaccio per la firma del Patto per Palermo con il sindaco Leoluca Orlando.
L’intesa per la città etnea prevede lo sblocco di oltre mezzo miliardo di euro d’investimenti. Lo scopo è di far ripartire l’edilizia per rimettere in moto l’economia dell’area. I finanziamenti riguardano, tra l'altro, la metropolitana leggera, il potenziamento della banda larga, la riqualificazione della zona industriale e quella di Librino.
I fondi in arrivo per Palermo sono oltre 300 milioni di euro. Numerosi gli interventi previsti, tra questi la chiusura dell’Anello ferroviario, il potenziamento delle reti telematiche, nuove opere sulla Circonvallazione, il restauro del Teatro Massimo, la riqualificazione di spazi urbani ed interventi di edilizia scolastica.
‘Prendiamo l’impegno: mai più scandali come quelli a cui abbiamo assistito, mai più viadotti che crollano’, ha dichiarato il presidente del Consiglio inaugurando la riapertura dell’A19 che ha diviso la Sicilia per mesi. Ed ha concluso: ‘Non ci sono cittadini di Serie A al Nord e di Serie B al Sud, c’è l’Italia tutta intera’.

sabato 23 aprile 2016

Placido Rizzotto: ‘il partigiano che morì di mafia’

Dopo la seconda guerra mondiale numerosi sindacalisti siciliani furono assassinati dalla mafia, tra loro Placido Rizzotto, ma non tutti sanno che il giovane corleonese fece parte della Resistenza e che è stato insignito della medaglia d’oro al merito civile

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

25 aprile 1945 – I partigiani sfilano per le strade 
di Milano (foto da wikipedia.org)
Primo di sette figli, Placido Rizzotto nasce a Corleone il 2 gennaio del 1914. Perde la madre quando era ancora bambino, dopo l’arresto del padre, accusato di mafia, fu costretto ad abbandonare la scuola per occuparsi della famiglia. Durante la Seconda guerra mondiale prese servizio presso il Regio esercito sui monti della Carnia, in Friuli Venezia Giulia.
L’8 settembre del 1943 si trova nel Nord Italia. Da tesserato clandestino del Psi si unì ai partigiani delle Brigate Garibaldi. L’esperienza nella Resistenza lo cambiò. Matura nel giovane contadino corleonese una coscienza sociale che lo fa riflettere sulle ingiustizie sociali che i siciliani devono subire quotidianamente.
Alla fine della guerra torna in Sicilia, dove ricopre la carica di presidente dell’Anpi di Palermo e quella di segretario della Camera del lavoro di Corleone. Milita nel Partito socialista italiano diventando segretario della sezione locale.
Occupazione delle terre a Corleone – 1949/1950  
(foto da medea.provincia.venezia.it)
Si batte per l’applicazione dei ‘Decreti Gullo’ che prevedevano di assegnare in affitto alle cooperative dei contadini le terre incolte dei proprietari agrari. Insieme con loro occupa le terre ed inizia a distribuire quelle tenute incolte dalla mafia.
La sera del 10 marzo del 1948, mentre si recava da alcuni compagni di partito venne rapito ed ucciso dalla mafia (tra loro c’era Luciano Liggio). Aveva appena trentaquattro anni. Il giovane pastore Giuseppe Letizia assistette all’omicidio e vide in faccia gli assassini. Per questo motivo fu ucciso anch’egli con un’iniezione letale dal boss e medico Michele Navarra.
Il corpo di Rizzotto è stato ritrovato solo il 7 settembre del 2009 nelle foibe di Rocca Busambra, presso Corleone, ed identificato con l’esame del Dna il 9 marzo del 2012. Le esequie solenni si sono svolte ben sessantaquattro anni dopo la sua morte, il 15 maggio del 2012.
Scrisse Antonio Gramsci: ‘odio chi non parteggia, odio gli indifferenti’. Il giovane segretario della Camera del lavoro di Corleone è stato assassinato proprio perché era un partigiano, ‘un esempio di rettitudine e coraggio’, un uomo libero che ha dedicato la sua breve vita a difendere i più deboli e gli ultimi.

martedì 19 aprile 2016

L’anno horribilis del Palermo, ma per Zamparini ‘c’è il paracadute’

Dopo la sconfitta di Torino e le contemporanee vittorie del Frosinone e del Carpi per il Palermo la retrocessione in Serie B è diventata un’eventualità assai probabile, ma per il presidente, Maurizio Zamparini, ‘non è la fine del mondo’

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Dall’inizio della stagione sulla panchina del Palermo si sono susseguiti nove allenatori. Alla 13ª giornata a Giuseppe Iachini è subentrato Davide Ballardini, a sua volta cacciato due settimane dopo e sostituito prima con Fabio Viviani e dopo con Giovanni Tedesco e Guillermo Schelotto. L’esperienza italiana del commissario tecnico argentino dura fino alla 24ª giornata, ma prima del ritorno di Iachini a guidare la squadra per una partita è Giovanni Bosi. Alla 29ª giornata l’allenatore di Ascoli Piceno dà le dimissioni, al suo posto Zamparini chiama Walter Novellino.
Il ritorno di Davide Ballardini è l’ultimo colpo di scena di una stagione horribilis. Il presidente si è giustificato sostenendo che ‘Il Palermo è inguardabile. Non è facile, voglio bene a Novellino perché mi ha portato in Serie A 25 anni fa. Ma è un attempato. Dicono che sono impazzito ma non è vero. Ho esonerato solo Iachini, ma allontanandone uno ne ho cambiati cinque. Sono una vittima di certe situazioni. Tre allenatori vanno via e non per colpa mia. Non li ho mandati via io’.
Maurizio Zamparini e Davide Ballardini
Nessuna autocritica, la responsabilità è sempre di qualcun altro, e comunque se il Palermo va in Serie B per la società ci sono un mucchio di soldi.
‘Non abbiamo la mentalità per salvarci – ha detto  Zamparini - sono retrocesso anche con Dybala e Ilicic. Non siamo abituati a combattere come Carpi e Frosinone. Andare in Serie B comunque non è la fine del mondo. L’altra volta ci ho rimesso 30 milioni, ora c’è un paracadute importante’.
Per chi retrocede dalla Serie A è prevista infatti un’indennità, derivante dai diritti televisivi, di 60 milioni di euro. Il ‘paracadute’ è così distribuito: 25 milioni di euro alle squadre che sono da 3 anni in Serie A, 15 milioni a quelle che sono nella massima divisione da 2 anni e 10 milioni a quelle che sono in Serie A da un solo anno. Eventuali residui saranno assegnati alle squadre retrocesse che non saranno riuscite a risalire subito in Serie A. Quest'ultima indennità sarà data solo ai club che hanno almeno 3 anni di ‘anzianità’ nella massima divisione.
Se il Palermo retrocederà per i tifosi sarà l’ennesima delusione, ma per il presidente, Maurizio Zamparini, non sarà un dramma e, considerato il 'paracadute' finanziario garantito dalla Lega calcio, si capisce anche il perché.

venerdì 15 aprile 2016

Referendum sulle trivellazioni, le ragioni del Si e del No

Ecco un breve vademecum sul referendum abrogativo di domenica 17 aprile

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto ilgiunco.net
‘Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?'
E’ questo il quesito a cui gli elettori dovranno rispondere tracciando, domenica 17 aprile 2016 dalle ore sette fino alle ventitre, una crocetta sul Si o sul No. Si tratta, come stabilisce l’art. 75 della Costituzione, di un referendum abrogativo, gli elettori possono cioè decidere di abolire o meno una norma.  Il quesito può riguardare una legge, un articolo, un comma o addirittura, come in questo caso, un periodo di un comma.  Per la validità della consultazione è necessario il ‘Quorum’, cioè devono partecipare al voto almeno la metà più uno degli aventi diritto.
Foto blastingnews.com
Il quesito non riguarda le nuove trivellazioni ma solo i giacimenti già esistenti. Il decreto legislativo 152, al comma 17 stabilisce, infatti, che sono vietate nuove ‘attività di ricerca, di prospezione nonché di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi’ entro le 12 miglia marine, ma, nello stesso tempo, dispone che gli impianti esistenti possano continuare l’estrazione fino alla scadenza della concessione che può essere prorogata fino all’esaurimento del giacimento.
La consultazione è stata richiesta da 9 regioni: Basilicata, Calabria, Campania, Marche, Molise, Liguria, Puglia, Veneto e Sardegna. E’ bene ricordare che lo scorso anno una raccolta di firme era fallita e che questa è la prima volta nella storia della Repubblica che un quesito referendario è richiesto dalle regioni.
I numeri. Con il referendum si vuole impedire alle società petrolifere di continuare ad estrarre petrolio o gas fino ad esaurimento del giacimento e di imporre per legge la cessazione dell'attività produttiva alla scadenza della concessione indipendentemente dal fatto che esso sia esaurito o meno. Le licenze interessate dal referendum sono quarantaquattro, su cui sorgono quarantotto piattaforme. Nove, già scadute, è assai probabile che non saranno rinnovate se vince il Si. Le altre saranno chiuse nei prossimi 20 anni. Pertanto, una vittoria dei promotori del referendum non impedirà lo sfruttamento dei giacimenti già esistenti, ma solo di quelli che hanno una concessione scaduta.
Foto welfarenetwork.it
La legge stabilisce una durata delle autorizzazioni di trent’anni, dilazionabile tre volte, la prima per dieci e le altre due per cinque anni ciascuna, al termine le aziende possono chiedere un'ulteriore proroga fino all’esaurimento del giacimento. Oggi, entro le 12 miglia marine si estrae il 17,6% di tutto il gas italiano e il 9,1% di tutto il petrolio.
Le ragioni del Si. I comitati ‘No-Triv’, sostenuti da diverse associazioni ambientaliste, come il WWF e Greenpeace, non solo intendono ‘fermare’ le trivellazioni per evitare i rischi ambientali e sanitari, ma si pongono come obiettivo anche quello di dare un segnale ‘politico’ contro lo sfruttamento dei fossili per favorire un maggior utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili.
Le ragioni del No. Il comitato ‘Ottimisti e razionali’ sostiene, invece, che continuare ad estrarre gas e petrolio è un modo sicuro per ridurre l’inquinamento. Il 10% di energia derivante dai fossili, che il nostro Paese utilizza ogni anno, evita il transito per i porti italiani di centinaia di petroliere. Inoltre una vittoria dei Si avrebbe conseguenze rilevanti sull’occupazione. Si calcola che solo nella provincia di Ravenna si perderebbero quasi settemila posti di lavoro. Ma ci sarebbe anche una ragione ‘politica’. Con il referendum i promotori intenderebbero fare pressioni sul Governo e sul Parlamento. La riforma costituzionale appena approvata modifica, tra l'altro, l’articolo 117, quello che indica le materie di competenza legislativa delle Regioni e tra queste quella energetica. Insomma, per i sostenitori del No la difesa dell'ambiente sarebbe solo un pretesto, lo scopo principale sarebbe quello di evitare una riduzione dei poteri e dell'autonomia politica delle Regioni.


giovedì 7 aprile 2016

Tito Boeri e la battaglia ‘persa’ contro i privilegi previdenziali

Gli ultimi dati pubblicati dall’Inps sulle pensioni liquidate prima del 1980 evidenziano un sistema previdenziale squilibrato a cui Tito Boeri, attuale presidente dell’Ente, sta tentando, inutilmente, di porre rimedio

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Tito Boeri
In Italia ci sono oltre 474.000 pensioni liquidate prima del 1980, ci sono cioè cittadini che percepiscono l’indennità da oltre 36 anni. Il dato comunicato dall’Inps riguarda gli assegni di vecchiaia, compresi quelli di anzianità, e ai superstiti del settore privato. Non contiene le pensioni d’invalidità civile, quelle sociali ed i trattamenti degli ex dipendenti pubblici.
Gli assegni corrisposti per invalidità previdenziale sono 439.718 (44,5 l’età di decorrenza), per le pensioni sociali 24.308 (33 anni l’età media alla decorrenza) e 96.973 per le pensioni agli invalidi civili (23,21 anni l’età alla decorrenza). Non sono comprese in questi dati le cosiddette ‘pensioni baby’ del pubblico impiego, di coloro, cioè, che sono usciti dal lavoro prima del 1992 con almeno 14 anni, sei mesi e un giorno di contributi se donne sposate con figli.
Nel settore privato le pensioni di vecchiaia con decorrenza antecedente al 1986 sono oltre 800.000, mentre quelle ai superstiti sono 527.000. L’età media era rispettivamente di 55 anni per le donne e di 60 per gli uomini. Nel 2015, invece, le pensioni liquidate per anzianità sono state 238.400 con un’età media alla decorrenza di 62,55 anni, mentre per quelle ai superstiti sono state 173.378 con un’età media alla decorrenza di 73,89 anni.
Di fronte a questi dati è intervenuto il presidente dell’Inps, Tito Boeri, che ha dichiarato: ‘Siccome son state fatte delle concessioni eccessive in passato e queste concessioni eccessive oggi pesano sulle spalle dei contribuenti credo che sarebbe opportuno andare per importi elevati a chiedere un contributo di solidarietà per i più giovani e anche per rendere più facile a livello europeo questa uscita flessibile’.
La risposta del ministro del lavoro, Giuliano Poletti non si è fatta attendere:’ Il contributo di solidarietà oggi sulle pensioni alte c’è già, dovrà essere valutato se confermarlo in quella maniera o diversamente, ma non credo che ci sia nulla allo studio. Vedremo cosa fare sulla flessibilità’.
Insomma, la battaglia intrapresa da Tito Boeri sembra ‘persa’ in partenza, come tutte quelle combattute in Italia quando si toccano i privilegi della ‘Casta’ o di quei cittadini che in passato hanno potuto usufruire di diritti che oggi sono finanziariamente insostenibili. 

sabato 2 aprile 2016

La PA del Sud Italia è tra le più inefficienti d’Europa

L’indagine condotta dall’UE sulla qualità della Pubblica Amministrazione ed esaminata dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre ha delineato una classifica impietosa per le regioni del Sud Italia

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Lo studio dell'UE sulla qualità della PA nel vecchio continente ha preso in considerazione diversi servizi pubblici come la formazione, la sanità, la sicurezza, la giustizia ed il modo in cui essi sono stati assegnati e gli eventuali fenomeni di corruzione.
Rispetto ai 206 territori presi in considerazione la Campania si trova al 202° posto, mentre le altre regioni meridionali compaiono 7 volte tra le peggiori trenta della classifica. Al primo posto in Europa c’è, con un indicatore di +2.781, la regione finlandese di Åland, mentre all’ultimo c’è, con -2.658 punti, Bati Anadolu, regione che si trova in Turchia.
In Italia i servizi pubblici migliori sono quelli erogati nelle due province autonome del Trentino Alto Adige e nelle due regioni a statuto speciale del Nord e cioè la Valle d’Aosta ed il Friuli Venezia Giulia che presentano indici superiori alla media dell’UE.
Tutte le altre regioni italiane sono in terreno negativo, ma con valori accettabili nel Centro Italia e nel Nord Ovest. Invece è disastrosa la situazione nelle regioni del Mezzogiorno. In particolare in Sicilia, Puglia, Molise e Calabria con indici che variano da -1588 a -1687, con la Campania addirittura a -2.242 punti.
‘Il quadro dipinto da questo indice europeo – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, Paolo Zabeo – evidenzia come l’Italia sia il Paese che presenta, al suo interno, la più ampia variabilità in termini di qualità della PA, tra le prime regioni del Nord e le ultime del Sud. Si pensi che, secondo quanto indicato dal Fondo Monetario Internazionale, se l’efficienza del settore pubblico si attestasse sui livelli ottenuti dai primi territori, come le province di Trento e di Bolzano, la produttività di un’impresa media potrebbe crescere del 5-10 per cento e il Pil di due punti percentuali, ovvero di 30 miliardi di euro’.