sabato 11 settembre 2021

Gli zii e le zie di Torremuzza (parte terza)

Per una questione di privacy i nomi ed i soprannomi sono indicati con le iniziali. Chi li ha conosciuti o li conosce certamente capirà di chi si tratta

di Giovanni Pulvino

Torremuzza, l'arco centrale del ponte della ferrovia

Il super Santos bucato o sgonfio a noi bastava.

Quante partite a tennis o qualcosa di simile abbiamo fatto sotto i ponti della ferrovia, da un lato il mare dall’altro le case del Borgo, in mezzo noi al riparo dal sole o dalla pioggia. Lì giocavamo spensierati con un pallone di plastica che per noi era tutto, non avevamo bisogno d’altro.

Piazza Marina era ancora in terra battuta e, nonostante le pietre e la polvere, ci giocavamo sempre, sembrava un campo di calcetto. Nella parte alta c’era pure una fontanella, lì vicino caddi e mi spaccai la testa, non fu l'unica volta che successe. Un giorno ero con la bici, vidi un pezzetto di legno o qualcosa del genere, pensai, è un rialzo perfetto per fare impennare la ruota davanti, ma esagerai e finì per terra. Per fortuna quelle botte sulla nuca non mi provocarono molti danni, almeno così ricordo. Quegli episodi si limitarono ad un pò di paura e qualche goccia di sangue. Non fu così tanti anni dopo.

Il tempo passa, gli ambienti si modificano, ma i pensieri restano, non puoi evitarli, stanno lì che aspettano, inesorabili anche se non vuoi

Avevamo l’abitudine di fare le partite nella parte alta di piazza Marina. Era stata pavimentata da poco, si sentiva ancora ‘l’odore’ delle mattonelle, non c’era una crepa o un avvallamento. Era adatta per correre con la bici, noi ne avevamo una, ma bastava per tutti. 

Un dolce pensiero torna sempre

E' l'immagine di un'amica, nostra coetanea. Spesso La vedevo girare con la sua graziella tra i ponti e lo spiazzo davanti alle case, non correva, pedalava leggera, scivolava inconsapevole negli anni più belli della sua esistenza, probabilmente ha goduto di quei momenti, di quell'adolescenza che non tornerà più, mai più. Chissà se anche Lei ricorda quella felicità e quella spensieratezza che ora restano 'fissate' per sempre nella mia memoria.

Ed era perfetto per giocare a calcetto, allora non c'erano macchine

Le porte erano delimitate da due pietre. Le linee laterali erano il marciapiede che divideva la parte alta da quella bassa della piazza e quello che correva lungo gli ingressi delle case. L’uscio di una di queste veniva aperto ‘apposta’ ogni volta che iniziavamo una partita. Era la casetta da za P.. Di solito stava seduta, in compagnie delle sorelle a za C. e za A., di fronte al forno per fare il pane che c’era all’inizio della piazza e che tutti quelli che abitavano in quella parte del Borgo usavano a turno. Una specie di bene ad uso comune. Allora era possibile anche questo.

Nella porta accanto a quella da za P. ci abitava a za V.. Anche Lei non gradiva molto la nostra presenza, ma i suoi sguardi di rimprovero erano bonari, in fondo, in fondo Le faceva piacere vederci giocare vicino all’uscio di casa sua.

Ancora oggi non capisco il perché di quel comportamento, eravamo bambini buoni che rincorrevano un pallone di plastica, subivamo quell’astio senza reagire, era rispetto ed educazione.

Quando iniziavamo a giocare a za P. si alzava e quasi di corsa andava ad aprire la porta di casa. Il suo intento era quello di sequestrarci il super Santos nel caso in cui questo fosse entrato nella sua abitazione. Difficilmente questo avveniva, eppure quella zia non sopportava che giocassimo su quel lato della piazza. Alla fine, decidemmo di spostarci nella parte bassa.

Ci sono ricordi sbiaditi che vorresti cancellare, ma anch’essi ritornano sempre senza volere 

Le illusioni ed i sogni adolescenziali andarono via quel giorno

Qui il rettangolo era più piccolo ed era delimitato dai ponti della ferrovia, ci giocammo fino a quando non fui vittima di due gravi infortuni. Causai e mi causai un enorme dolore, ma quando si è giovani non si è cauti e non si pensa alle conseguenze degli atti che si compiono. Oltre ai sacrifici che già dovevano sopportare gliene arrecai un altro. Non c’era nulla di male nel desiderio di giocare a pallone, ma a volte anche i gesti più innocenti segnano la nostra vita e quella degli altri. Per anni salì i gradini, anche quelli bassi, con il timore di cadere e di farmi male di nuovo. Poi ricominciai a giocare, ma, nonostante facessi attenzione, ho rischiato tante volte un altro infortunio grave. 

Ricordo con precisone quell’anno perché il professore di Educazione fisica, allora si chiamava così, mi fece fare il salto in alto con il gesso all’avanbraccio sinistro, erano gli esami di terza Media.

Una volta, durante l’anno scolastico, lo stesso insegnante ci propose una corsa di resistenza. Ben presto rimanemmo in due. Il mio compagno, ad un giro dalla fine, mi propose di tagliare il traguardo insieme. Accettai. Quando arrivammo all’ultima curva tentò di distanziarmi tradendo il nostro piccolo patto, ma ero più forte e più bravo, lo passai di nuovo prima dell’arrivo. In seguito, non mostrai rancore per quel gesto, a cosa sarebbe servito?

La gentilezza e la tolleranza sono sempre importanti, anche quando ritieni di avere ragione o pensi di aver subito un torto

Lo stesso compagno, anche lui gemello, ma quante differenze di carattere e di ideali tra noi, era bravissimo nella pallavolo. Quando qualche settimana dopo partecipammo alle gare dei giochi della Gioventù che si svolserò a Messina il professore per impedirci di vincere ed andare alle finali a Roma lo tolse di squadre facendoci perdere.

Continua …

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