Per una questione di privacy i nomi ed i soprannomi sono indicati con le iniziali. Chi li ha conosciuti o li conosce certamente capirà di chi si tratta
Torremuzza, l'arco centrale del ponte della ferrovia |
Il super Santos bucato o sgonfio a noi bastava.
Quante
partite a tennis o qualcosa di simile abbiamo fatto sotto i ponti della
ferrovia, da un lato il mare dall’altro le case del Borgo, in mezzo noi al
riparo dal sole o dalla pioggia. Lì giocavamo spensierati con un pallone di
plastica che per noi era tutto, non avevamo bisogno d’altro.
Piazza Marina era ancora in terra battuta e, nonostante le pietre e la polvere, ci giocavamo sempre, sembrava un campo di calcetto. Nella parte alta c’era pure una fontanella, lì vicino caddi e mi spaccai la testa, non fu l'unica volta che successe. Un giorno ero con la bici, vidi un pezzetto di legno o qualcosa del genere, pensai, è un rialzo perfetto per fare impennare la ruota davanti, ma esagerai e finì per terra. Per fortuna quelle botte sulla nuca non mi provocarono molti danni, almeno così ricordo. Quegli episodi si limitarono ad un pò di paura e qualche goccia di sangue. Non fu così tanti anni dopo.
Il tempo passa, gli ambienti si modificano, ma i pensieri restano, non puoi evitarli, stanno lì che aspettano, inesorabili anche se non vuoi
Avevamo l’abitudine di fare le partite nella parte alta di piazza Marina. Era stata pavimentata da poco, si sentiva ancora ‘l’odore’ delle mattonelle, non c’era una crepa o un avvallamento. Era adatta per correre con la bici, noi ne avevamo una, ma bastava per tutti.
Un dolce pensiero torna sempre
E' l'immagine di un'amica, nostra coetanea. Spesso La vedevo girare con la sua graziella tra i ponti e lo spiazzo davanti alle case, non correva, pedalava leggera, scivolava inconsapevole negli anni più belli della sua esistenza, probabilmente ha goduto di quei momenti, di quell'adolescenza che non tornerà più, mai più. Chissà se anche Lei ricorda quella felicità e quella spensieratezza che ora restano 'fissate' per sempre nella mia memoria.
Ed
era perfetto per giocare a calcetto, allora non c'erano macchine
Le
porte erano delimitate da due pietre. Le linee laterali erano il marciapiede
che divideva la parte alta da quella bassa della piazza e quello che correva
lungo gli ingressi delle case. L’uscio di una di queste veniva aperto ‘apposta’
ogni volta che iniziavamo una partita. Era la casetta da za P..
Di solito stava seduta, in compagnie delle sorelle a za C. e za A., di fronte al forno per fare il pane che c’era all’inizio della piazza e
che tutti quelli che abitavano in quella parte del Borgo usavano a turno. Una specie di bene ad uso comune. Allora era possibile anche questo.
Nella
porta accanto a quella da za P. ci abitava a za V.. Anche
Lei non gradiva molto la nostra presenza, ma i suoi sguardi di rimprovero erano
bonari, in fondo, in fondo Le faceva piacere vederci giocare vicino all’uscio
di casa sua.
Ancora
oggi non capisco il perché di quel comportamento, eravamo bambini buoni che
rincorrevano un pallone di plastica, subivamo quell’astio senza reagire, era
rispetto ed educazione.
Quando
iniziavamo a giocare a za P. si alzava e quasi di corsa
andava ad aprire la porta di casa. Il suo intento era quello di sequestrarci il super Santos nel caso in cui questo fosse entrato nella sua abitazione.
Difficilmente questo avveniva, eppure quella zia non sopportava che
giocassimo su quel lato della piazza. Alla fine, decidemmo di spostarci nella
parte bassa.
Ci sono ricordi sbiaditi che vorresti cancellare, ma anch’essi ritornano sempre senza volere
Qui il rettangolo era più piccolo ed era delimitato dai ponti della ferrovia, ci giocammo fino a quando non fui vittima di due gravi infortuni. Causai e mi causai un enorme dolore, ma quando si è giovani non si è cauti e non si pensa alle conseguenze degli atti che si compiono. Oltre ai sacrifici che già dovevano sopportare gliene arrecai un altro. Non c’era nulla di male nel desiderio di giocare a pallone, ma a volte anche i gesti più innocenti segnano la nostra vita e quella degli altri. Per anni salì i gradini, anche quelli bassi, con il timore di cadere e di farmi male di nuovo. Poi ricominciai a giocare, ma, nonostante facessi attenzione, ho rischiato tante volte un altro infortunio grave.
Ricordo
con precisone quell’anno perché il professore di Educazione fisica, allora si
chiamava così, mi fece fare il salto in alto con il gesso all’avanbraccio
sinistro, erano gli esami di terza Media.
Una
volta, durante l’anno scolastico, lo stesso insegnante ci propose una corsa di
resistenza. Ben presto rimanemmo in due. Il mio compagno, ad un giro dalla
fine, mi propose di tagliare il traguardo insieme. Accettai. Quando arrivammo
all’ultima curva tentò di distanziarmi tradendo il nostro piccolo patto, ma ero
più forte e più bravo, lo passai di nuovo prima dell’arrivo. In seguito, non
mostrai rancore per quel gesto, a cosa sarebbe servito?
La gentilezza e la tolleranza sono sempre importanti, anche quando ritieni di
avere ragione o pensi di aver subito un torto
Lo
stesso compagno, anche lui gemello, ma quante differenze di carattere e di ideali tra noi, era bravissimo nella pallavolo. Quando qualche settimana dopo
partecipammo alle gare dei giochi della Gioventù che si svolserò a Messina il professore per impedirci di vincere ed andare alle finali a Roma lo tolse di
squadre facendoci perdere.
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