lunedì 28 dicembre 2020

Tesori di Sicilia: vento di scirocco

 di Concetta Pulvino

Torremuzza, 28 dicembre 2020 - (foto di Pulvino Concetta)

Il vento di scirocco alza un velo di vapore acqueo impetuoso e leggero, oltre il bianco e l’azzurro le sagome delle isole Eolie, nascoste per un giorno o due da questa leggera nebbia marina, anche questo è un miracolo della natura, anche questo è un tesoro di Sicilia.

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Scirocco 

O rabido ventare di scirocco

che l'arsiccio terreno gialloverde bruci;

e su nel cielo pieno

di smorte luci

trapassa qualche biocco

di nuvola, e si perde.

Ore perplesse, brividi

d'una vita che fugge

come acqua tra le dita;

inafferrati eventi,

luci - ombre, commovimenti

delle cose malferme della terra;

oh alide ali dell'aria

ora son io

l'agave che s'abbarbica al crepaccio

dello scoglio

e sfugge al mare da le braccia d'alghe

che spalanca ampie gole e abbranca rocce;

e nel fermento

d'ogni essenza, coi miei racchiusi bocci

che non sanno più esplodere oggi sento

la mia immobilità come un tormento. 

di Eugenio Montale




giovedì 24 dicembre 2020

Istat: oltre 12 milioni di italiani sono a rischio povertà o esclusione sociale

Il Rapporto Istat 2019 sulle condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie conferma le disuguaglianze e il rischio di cadere in miseria per oltre il 20% degli italiani. Ma non avevamo abolito la povertà?

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da istat.it

Il 28 settembre del 2018 l’allora ministro dello Sviluppo economico e vicepremier Luigi Di Maio annunciò dal balcone di Palazzo Chigi l’abolizione della povertà. I dati pubblicati dall’Istat confermano invece che questa condizione è rimasta immutata per milioni di italiani e che tanti altri rischiano di caderci.

Il numero di individui a rischio di povertà o esclusione sociale è rimasto stabile. Nel 2019 erano circa 12 milioni e 60 mila individui, cioè il 20,1% del totale della popolazione italiana. A sostenerlo è il Rapporto Istat sulle condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie del 2019. Si tratta di persone che vivono con un reddito mensile di circa 858 euro, mentre il 7,4% si trovava in una ‘grave deprivazione materiale’.

La media nazionale rimane molto elevata, anche se è passata dal 27,3% del 2018 al 25,6% dello scorso anno. La percentuale più alta è stata registrata nel Mezzogiorno, dove le persone a rischio di povertà ed esclusione sociale sono passate dal 45% del 2018 al 42,25 del 2019. Mentre, il rischio di cadere in povertà è rimasto invariato o quasi, è passato cioè dal 34,4% al 34,7%.

La disuguaglianza tra i ceti sociali rimane stabile. Il reddito delle famiglie più povere resta sei volte inferiore rispetto a quello delle famiglie più abbienti. È cresciuto, sia pur di poco, il reddito da lavoro dipendente, mentre è diminuito quello da lavoro autonomo. Il reddito netto medio delle famiglie (31.641 euro annui) è aumentato in valore nominale, ma si è ridotto in termini reali (-0,4%).

Nel Meridione esso è stato di 29.876 euro (la media nazionale è stata di 36.416 euro), mentre nel Nord-est è stato di 40.355 euro, cioè il 25,96% in più rispetto al Sud del Paese.

Nel Mezzogiorno ‘la disuguaglianza reddituale è più accentuata’. Il 20% più ricco della popolazione aveva un reddito 5,8 volte superiore a quello della fascia più povera, mentre il rapporto più basso (3,9) è stato registrato nel Nord-est.

Fonte istat.it

sabato 19 dicembre 2020

Covid-19: avremmo dovuto saltare il 2020

La notte di Natale e il Cenone di fine anno del 2020 saranno diversi da tutti quelli che abbia vissuto finora, di certo saranno giorni di festa unici, alternativi

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Giotto, La Natività (foto da wikipedia.org)


Quando lo scorso anno la pandemia dovuta al Coronavirus è iniziata a manifestarsi, nessuno immaginava di dover vivere giorni così difficili. Sono stati dodici mesi complicati, ma non è detto che il peggio sia alle nostre spalle. Gli esperti ci dicono che la terza ondata ci sarà e potrebbe essere più virulenta delle precedenti. Tra pochi giorni sarà Natale, ma è certo, non sarà uguale a quello che abbiamo vissuto nel 2019.

Quello che sta per terminare è stato un ‘annus horribilis’. Decine di migliaia di morti, milioni di contagiati e sofferenze indicibili per malati ed operatori sanitari, i veri eroi di questa fase tragica della storia umana. Ed ancora. Limitazioni delle libertà personali, rinuncia forzata alla socializzazione, anche tra parenti ed amici, crollo dei consumi e degli investimenti, aumento della povertà e delle disuguaglianze.

Le privazioni di solito ci rendono ‘migliori’. Chissà se anche stavolta sarà così. Dubitare è più che lecito. Sentiamo che qualcosa ci manca. E non vediamo l’ora che ritorni la quotidianità perduta. Tutto nella consapevolezza che la vita fugge via, perché del domani non v’è certezza.

Oggi, siamo più soli, siamo più umani. Certo, non è così per tutti, c’è chi nega e si nasconde dietro al proprio egoismo. In questi giorni possiamo verificare senza possibilità di sbagliare chi è altruista e chi invece vive pensando solo a sé stesso, chi ritiene, cioè, di non aver bisogno di nessuno se non del proprio ego.

Sarà un Natale ‘alternativo’, qualcuno con tono sarcastico ha detto che sarà ‘al Covid’. E sarà un Cenone triste. Saranno giorni in cui sarà difficile non pensare a chi non c’è più. Sentiremo un vuoto ed una mancanza che non si possono colmare. Solo il tempo potrà scolorirli, ma non potrà rimuoverli, mai.

Se avessimo saputo e se fosse stato possibile farlo, avremmo dovuto saltare il 2020. Passare dal 2019 al 2021. Anche a costo di rinunciare ad un anno della nostra vita. Ponendo, però, una condizione: cancellare tutte le vittime e le sofferenze che questo anno ‘orribile’ ha provocato.

Sta per andarsene il 2020, ma deve rimanere la coscienza che è stato un anno di 'Resistenza' e che l’inizio del 2021 sarà altrettanto complicato. Con la differenza che dopo tanti sacrifici, ora vediamo la luce in fondo al tunnel. Chissà se sapremo essere 'migliori'. Di certo saremo più consapevoli della nostra fragilità e della nostra estemporaneità di essere umani, il resto è solo una tenue speranza.

sabato 12 dicembre 2020

Gregoretti: quella di Salvini fu responsabilità penale o politica?

Nella vicenda giudiziaria della nave Gregoretti l’errore politico fatto da Matteo Salvini è stato quello di prendere troppo sul serio e come solidissimo l’accordo di governo con il M5s, ma la sua fu responsabilità penale, politica o entrambe?

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Giuseppe Conte e Matteo Salvini
(foto da repubblica.it)

In questi giorni si sta svolgendo a Catania l’udienza preliminare del cosiddetto processo Gregoretti. L’accusa a carico di Matteo Salvini è sequestro di persona. Nel 2019 egli ritardò lo sbarco di 131 migranti nel porto militare di Augusta. Il leader della Lega rischia il rinvio a giudizio, ma prima il giudice vuole verificare se quella decisione sia stata condivisa da tutto il governo Conte 1.

L'ex ministro dell’Interno ha giustificato il suo operato sostenendo di ‘di aver salvato vite tutelando l’interesse nazionale italiano’ e di averlo fatto ’in compagnia di tutto il Governo’.

A parole faceva il duro, diceva che difendeva i confini ma negli atti giudiziari scarica su altri la responsabilità’. Questo è quanto ha dichiarato, invece, l’ex ministro dei Trasporti e suo collega di Governo, Danilo Toninelli.

È bene ricordare che la Gregoretti non è un’imbarcazione privata o di una Organizzazione non governativa, ma della Guardia costiera. E', cioè, una nave militare italiana. Chi ha studiato diritto costituzionale alle scuole superiori sa (nei Licei questa disciplina non si studia) che una nave militare battente bandiera italiana è territorio nazionale. Aver impedito lo sbarco dei migranti è per il nostro ordinamento giuridico un atto illegittimo, in quanto i migranti si trovavano già sotto la giurisdizione italiana. Dal punto di vista politico, il comportamento dell’ex ministro degli Interni non è stato ‘a tutela dell’interesse nazionale’, ma una forzatura ideologica per rimanere fedele alla propria linea politica, quella dei respingimenti, ‘confondendo’, però, i confini con la territorialità e la Gregoretti come una nave di una Ong.  

Matteo Salvini non ne era a conoscenza? È difficile da credere. Come è difficile ritenere che non ci fosse nei ministri che facevano parte di quel Governo la consapevolezza di infrangere l’ordinamento giuridico. Probabilmente il leader leghista ha forzato la situazione puntando sugli ‘ammiccamenti’ dei suoi allegati di maggioranza, cioè dei grillini. In quei mesi i vari ministri del Conte 1 e lo stesso Presidente del Consiglio hanno sostenuto più volte la linea dura del ministro degli Interni. Negarlo oggi, come fa Toninelli, non è plausibile.

Occorre solo capire se in quel caso specifico il successore di ‘Albert de Giussan’ fece di testa sua o se in qualche modo ebbe il sostegno formale o informale di tutto il Governo. Ipotesi quest’ultima non inverosimile.

Comunque andrà il procedimento giudiziario due fatti sono certi. Il leader leghista in quelle settimane agiva come se fosse Lui il presidente del Consiglio, come se tutto gli fosse concesso, anche di forzare un dettato normativo chiaro come quello previsto dal nostro ordinamento giuridico. Il secondo aspetto inconfutabile è che, al di là dei distinguo di oggi e della formalità o informalità degli atti, tutto questo è stato possibile perché il Governo Conte 1 era per una linea dura nei confronti degli sbarchi e dei respingimenti.

La responsabilità penale è personale’, sancisce l’articolo 27 della Costituzione italiana, ma quella politica è di certo di tutto il Governo ‘pentaleghista’. E quei fatti furono possibili perché erano il frutto di un preciso accordo politico tra la Lega e il M5s. L’unico errore fatto da Matteo Salvini è stato quello di prendere quel Patto troppo sul serio.

venerdì 11 dicembre 2020

‘Ed ora tutti allo scoglio’, gridò qualcuno

I ricordi vengono e poi, dopo un po', se ne vanno senza volere, chissà da cosa sono guidati. Una cosa è certa: una spiegazione non c’è e non ci potrà mai essere. Ora tornano indietro nel tempo, a quell’estate di tanti anni fa

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Lo scoglio -Torremuzza - Me (foto di Antonino Ciccia) 

Era una bellissima giornata di sole, il mare era piatto, come solo a luglio è possibile che sia. Ed ora tutti allo scoglio’, gridò qualcuno. Bastava un semplice richiamo buttato lì quasi senza volere perché la ciurma di ragazzini seduti sotto una vecchia e malandata barca di pescatori incominciasse a muoversi. A piedi nudi, con le infradito o con gli zoccoli, un po' in acqua un po' fuori, tra sabbia e sassolini, in fila indiana lungo la riva andavamo cento metri più in là. Un minuto, due, ed eri di fronte allo scoglio. Da lì alzando lo sguardo avresti potuto vedere in tutta la sua maestosità la Torre. Saranno una cinquantina di metri. Subito sotto ci sono la strada statale e la linea ferroviaria che, per la sporgenza, curvano proprio in quel punto. È una torre di avvistamento, come ce ne sono tante in Sicilia. Questa differisce dalle altre per la forma: sembra una poltrona senza braccioli. Probabilmente è proprio da questa stranezza che il Borgo marinaro ha preso il nome: Torre mozza, diventato Torremuzza. Che la torre fosse stata costruita in quel punto è comprensibile, ma che sulla stessa linea ci fosse anche lo scoglio è del tutto casuale.

Una pausa ed ecco che i pensieri tornano a muoversi, divagano, si accavallano, si allontanano. Occorre concentrarsi per evitare di subirli passivamente.

Ora è tempo di entrare in acqua. Il fondo è pietroso, raramente tra la riva e lo scoglio si è adagiata la sabbia. Quando questo succedeva si poteva arrivare su questa piattaforma naturale camminando nell’acqua, chiunque poteva salire in sicurezza anche chi non sapeva nuotare. Spensierati come eravamo raggiungere lo scoglio non era complicato, ma un po' di trepidazione c’era sempre. A volte non si toccava ed era necessario nuotare per arrivare sulla parte più vicina alla riva. Per salire c’era il timore di graffiarsi un piede sullo scalino creato dall’erosine dell’acqua o da qualche pescatore di buona volontà, comunque sia esso facilitava l’ascesa e non c’era nessuna paura ad utilizzarlo anche se era come fare un passo nel buio, speravi solo di non pungerti e di non trovarci un granchio o un altro crostaceo.

Un attimo di esitazione ed eri già sulla piattaforma ‘lipposa’, un po' bagnata un po' sconnessa, ma, facendo attenzione, non c’era pericolo di scivolare. Qualcuno andava a sedersi in una specie di conca che c'è al centro dello scoglio, ma anche qui non era esclusa la presenza di qualche granchietto. Qualcuno sosteneva che fosse stato il principe di Torremuzza ad aver fatto scavare quella specie di poltrona. E che dalla torre ci fosse un passaggio segreto per scendere fino al mare, ma non ho mai capito dove fosse. Verità o fantasie di ragazzini? Che importa. Anche quella storia era spensieratezza e felicità.

Una volta su' non potevamo evitare di guardare le fessure d’acqua che c’erano tra lo scoglio su cui eravamo saliti e quelli che c’erano tutt’intorno. Una era particolarmente pericolosa: c’era il ‘risucchio’. Chi ci finiva dentro rischiava di andare sotto e non riuscire più a riemergere. Mai nessuno di noi si è azzardato a farlo. Una volta un ragazzo vi morì annegato, ma non era del paese. Per esorcizzare il pericolo che quel dramma aveva ‘rivelato’ alla nostra coscienza di bambini ci dicevamo che era di Mistretta, un paesino di montagna e che di certo quel giovane non conosceva lo scoglio e probabilmente non sapeva nuotare. Il ricordo dell’ambulanza e della tragica notizia non è stato cancellato dalla memoria, ma è scolorito in pochi ore, come se dentro di noi ci fosse stato un interruttore pronto ad azionarsi automaticamente per spegnere i pensieri tristi. Quando si è giovani è così. Si inibiscono senza volere tutti i fatti che impediscono di vivere con leggerezza ed allegria. A quell’età questi frammenti di memoria scorrono come l’acqua sulle pietre, scivolano via e non gli dai quell’importanza che invece dovrebbero avere.

I pensieri corrono, sono infiniti e ritornano, senza volerlo, allo stesso punto.

No, non avevamo nessuna paura a salire sullo scoglio. Era un gioco, un divertimento come un altro. Andavamo per tuffarci. Per noi torremuzzari non era necessario andare in piscina. Del resto, chi ci era mai stato? Non ne esistevano nei paraggi. Erano sfizi da cittadini e da nordici. Noi avevamo il mare e questa piattaforma naturale, non ci serviva altro. Spensieratezza e vitalità. Si, ora ne sono certo era felicità. Per stare bene non avevamo bisogno di nient’altro. Il sole, l’estate, la giovinezza, i compagni, il mare, e, quel giorno, l’ebrezza dei tuffi. Certo c’era chi dava delle ‘panzate’ tremende e chi entrava in acqua con i piedi per paura di sbattere. Il timore era quello di arrivare sul fondo con le braccia o con la testa e farsi male, infatti l’acqua non era profonda e non era esclusa qualche pietra o qualche spuntone di scoglio su cui si poteva sbattere. Dall’altro lato della piattaforma l’acqua era sempre limpida e profonda, si vedeva il fondale e ci si poteva tuffare senza timore di toccare. Raramente lo facevamo, proprio perché non si toccava. Anche se sei un provetto nuotatore è sempre pericoloso andare dove non si possono poggiare i piedi in caso di necessità. In più, per risalire era necessario fare il giro a nuoto, mentre dal lato più basso erano solo pochi metri.

La sfida era sempre a chi faceva meglio l’entrata a delfino, anche se non c’era mai un vincitore. Il divertimento era la condivisione, non chi era più bravo. Tuffarsi, in successione, uno dietro l’altro era una prassi inevitabile. Naturalmente era necessario stare attenti per evitare di andare addosso a chi era saltato in acqua prima di te.

Dopo l’ultima ‘panzata’ si tornava a riva.

Un ultimo sguardo alla Torre, anche per la curiosità di vedere se c’era qualcuno.

Poi il ritorno, un altro momento di gioia se ne era andato, e così sarebbe stato per tutta l’estate, e per quelle successive, ora, a distanza di tanti anni, non restano che questi brevi ed inutili ricordi, nient’altro.

sabato 5 dicembre 2020

Covid-19, la terza ondata è quasi certa, ecco perchè

Non saranno un Natale ed un Capodanno sereni, almeno non per tutti. Continuare a rispettare in modo rigoroso le regole di contenimento del Covid-19 sarà dirimente per limitare la terza ondata della pandemia

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Giorgione - Adoration of the Shepherds
 National Gallery of Art,  Washington D. C. 
online collection ( foto da it-wikipedia.org)

Gli ultimi dati sull’epidemia dovuta al Coronavirus fanno ben sperare. Negli ultimi giorni sono calati i nuovi casi di contagio e, soprattutto, è in diminuzione il rapporto con i tamponi effettuati. Le misure adottate dal Governo sembrano funzionare, anche se resta molto alto il numero dei decessi. L'andamento della curva della pandemia torna a scendere in tutte le Regioni, ma il virus continua a circolare. La storia ci insegna che le epidemie si espandono per successive ondate. L’allentamento dell’attenzione durante l’estate è stata la principale causa dell’aumento dei contagi. Ora non bisogna ripetere lo stesso errore.

È il momento di mantenere alta l’attenzione, di continuare a rispettare con rigore le regole sul distanziamento. Un secondo ‘liberi tutti’ in occasione del Natale e del Capodanno potrebbe essere particolarmente grave.

L’arrivo della terza ondata è assai probabile. Le ragioni sono almeno tre. La prima è il rientro a scuola previsto per il 7 di gennaio. Coloro che insistono per un ripristino della didattica in presenza, prima tra tutti la ministra Lucia Azzolina, non tengono conto degli inevitabili assembramenti che questo comporterà nei mezzi di trasporti, nei locali pubblici e nelle aule scolastiche. Non vedere questi pericoli o fare finta di non vederli, non è comprensibile.

Un secondo motivo è il comportamento spesso 'infantile' dei negazionisti e non solo. Un allentamento delle misure per molti è interpretato come un ritorno alla 'normalità'. Gli italiani hanno bisogno di regole stringenti, altrimenti è l’anarchia. La stessa cosa succede a scuola. Quando i professori per un qualunque motivo allentano la tensione sulle regole di comportamento, il caos in classe e nei corridoi è assicurato. Purtroppo, quello degli adulti non è il ‘fanciullino’ che ritroviamo nelle poesie di Giovanni Pascoli, ma piuttosto una diffusa mancanza di cultura e di senso della comunità.

Infine, la motivazione più grave: l’arrivo dell’influenza stagionale. Tra la fine di dicembre e l’inizio di marzo milioni di italiani saranno costretti a stare a letto con la febbre. Per molti sarà complicato capire se si tratta di influenza o di Covid-19. La corsa a fare i tamponi sarà inevitabile. Questo comporterà un ulteriore intasamento degli ospedali. Ed ancora una volta capiremo quanto sia importante una medicina di base diffusa sul territorio e di come siano stati deleteri i tagli alla Sanità pubblica operati negli ultimi decenni.

Tra poche settimane dovremo affrontare la fase più complicata della pandemia e, ancora una volta, saranno i nostri comportamenti a fare la differenza. Di certo, con quasi mille morti al giorno per Coronavirus, parlare in questo momento di cena di Natale o del cenone di Capodanno è a dir poco paradossale.

giovedì 26 novembre 2020

La parabola impossibile della ‘Mano de Dios’

‘Non si può fare’, pensarono i tifosi presenti allo stadio quel giorno, ma quello che per tutti era impossibile, per Diego Armando Maradona era realizzabile

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


Napoli - Juventus del 3/11/1985 - Video da youtube.com

Era il 3 novembre del 1985 quando Diego Armando Maradona realizzo un gol impossibile. Quel pomeriggio al San Paolo di Napoli c’era la Juventus, lo stadio era stracolmo di tifosi nonostante piovesse a dirotto. Ad un quarto d’ora dalla fine l’arbitro concesse una punizione a due in area. Diego era ad undici metri dalla porta, la barriera era a quattro metri. ‘No, non si può fare’ pensarono i tifosi, i compagni e gli avversari.

Invece è bastato un attimo. Il piccolo tocco dato alla palla dal compagno, Eraldo Pecci, il calcio di collo pieno ed ecco la parabola perfetta, quella che non ti aspetti. Il pallone scavalca la barriera, vola in cielo, poi ricade dall’alto verso il basso, proprio lì, nell’angolo più lontano, all’incrocio dei pali, dove nulla poteva fare Stefano Tacconi, estremo difensore della Juve di Giovanni Trapattoni che in quel campionato avrebbe vinto l’ennesimo scudetto, e nulla avrebbe potuto fare qualunque altro portiere.

Un gol impossibile, fuori dalla logica calcistica, ma non per Lui, ‘El Pibe de Oro’, il più grande calciatore dell’epoca moderna.

Il 22 giugno del 1986 allo stadio Azteca di Città del Messico, nel quarto di finale del Mondiale contro l’Inghilterra, Maradona ha realizzo un'altra rete che è passata alla storia. Per quel gesto fu soprannominato ‘La mano de Dios’. Quattro anni prima, tra i due Paesi, era scoppiata la Guerra delle Falkland. Quel gol non solo permise all’Argentina di passare il turno e, successivamente, di laurearsi campione del Mondo, ma rappresentò anche una rivincita morale del popolo sudamericano nei confronti di quello anglosassone.

Nella conferenza stampa che segui quella partita, Maradona dichiarò:’ “Un poco con la cabeza de Maradona y otro poco con la mano de Dios” (un po' con la testa di Maradona ed un altro po' con la mano di Dio). Ecco, il campione argentino era così, capace anche di inventarsi un gol fantasma ed a farlo diventare un capolavoro di maestria calcistica. Era pieno di eccessi e capace di provocare emozioni e sentimenti contrastanti. Era un metro e sessantacinque di genialità e sregolatezza. 

Anche la sua vita è stata come una parabola, fatta di alti e bassi, di cadute e di momenti di apoteosi. Cresciuto in un paesino povero del nord dell’Argentina, apparteneva ad una famiglia di umili origini. Aveva due fratelli e cinque sorelle. Spesso, ha raccontato in un celebre documentario sulla sua vita girato del regista Emir Kusturica, non avevamo nulla da mangiare se non quel poco che i genitori, con enormi sacrifici, riuscivano a procurarci. Fin da piccolo erano evidenti le sue doti calcistiche. La sua bravura è emersa subito, quando aveva appena dieci anni. Alla fine degli anni Settanta era già considerato un campione. Il passaggio dalla miseria alla ricchezza ed alla fama è stato rapido. Nel 1982, l’ingaggio record con il quale il Barcellona lo convinse a lasciare il Boca Juniores. Due anni dopo il grave infortunio alla caviglia ed il trasferimento al Napoli. Le sette stagioni vissute nella città del Vesuvio lo hanno consacrato come campione indiscusso del calcio mondiale. Poi, lenta, ma inesorabile, la caduta. La cocaina, il figlio illegittimo, la separazione, le cattive compagnie, le esagerazioni verbali e non solo ed eccessi di ogni genere.

Ma, nonostante una vita 'spericolata', Maradona non ha mai dimenticato le sue umili origini e non ha mai nascosto le sue idee politiche, l’amicizia con Fidel Castro, la sua ammirazione per Che Guevara, il suo risentimento per gli Stati Uniti d’America.

Ha tentato di essere protagonista anche come allenatore. Ma il momento magico era già trascorso. Infine, i problemi di salute ed ora la morte prematura.

Diego Armando Maradona se n’è andato così come è vissuto, con un altro eccesso, ma stavolta è stato l’ultimo, quello che di certo non avrebbe voluto vivere.

Fonte wikipedia.org


sabato 21 novembre 2020

Le vite salvate dalla Dad

Quantificare quante vite si stanno salvando con le misure prese dal Governo è difficile. Di certo aver ridotto gli affollamenti nei mezzi di trasporto con la chiusura momentanea della didattica in presenza è stato dirimente

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto di Giovanni Pulvino

Nelle ultime 24 ore sono stati registrati 34.767 nuovi casi di Covid-19 e 692 decessi. Sono stati effettuati 237.225 tamponi, il rapporto con i positivi è diminuito al 14,66%. I decessi totali sono aumentati a 49.261. In terapia intensiva ci sono attualmente 3.758 pazienti ed i contagiati sono 791.746. Particolarmente grave rimane la situazione in Lombardia (+8.853 casi), in Campania (+3.354 casi) e in Veneto (+3.367 casi). Diminuiscono i nuovi ricoveri in terapia intensiva e l’indice Rt è in calo da alcuni giorni. In quattro regioni è sotto 1.

Questi sono gli ultimi dati sull’andamento della pandemia nel nostro Paese. La situazione sta migliorando anche se è ancora molto grave. Le misure prese nelle ultime settimane dal Governo sembrano funzionare. Le chiusure di ristoranti, bar e, in genere, dei luoghi di assembramento stanno producendo i loro effetti. In particolare, aver limitato l’affollamento nei mezzi pubblici con la riattivazione della Didattica a distanza per le scuole superiori si sta dimostrando particolarmente efficace.

E' bene precisare a tale proposito che l’attività delle scuole, a differenza di quanto sostiene la ministra Lucia Azzolina, non si è mai fermata. La Dad è un impegno notevole per alunni e docenti. Certo bisogna fare i conti con le carenze strutturali della Rete e dei mezzi tecnologici a disposizione delle famiglie, soprattutto nel Sud del Paese, ma, nonostante ciò, la formazione continua senza soste. Anzi, l’attività è triplicata rispetto alla didattica in presenza. Gli studenti stanno imparando ad usare strumenti informatici fondamentali per il loro futuro, soprattutto per quello lavorativo. 

L’aspetto negativo è che i ragazzi non possono socializzare, ma si tratta di avere pazienza ancora per pochi mesi, poi torneranno ad affollare in sicurezza bus ed aule. Intanto, essi stanno constatando in prima persona cosa vuol dire far parte di una comunità e di quanto sia importante la condivisione ed il rispetto delle regole anche se questo comporta una limitazione momentanea delle libertà personali. 

E spiace vedere in televisione e sui giornali alunni e docenti, pochi per la verità, che protestano davanti alle scuole simulando una lezione in cortile. Alcuni mesi di attenzione e di limitazioni nei comportamenti individuali non sono nulla rispetto ad una vita, non dimentichiamolo mai.

lunedì 9 novembre 2020

CGIA di Mestre: ‘Il Pil del Sud torna indietro al 1989’

Secondo l’ufficio studi della CGIA di Mestre con la pandemiaogni italiano perde quasi 2.500 euro ed il Prodotto Interno Lordo del Meridione torna indietro di 31 anni’

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da teleborsa.it

La pandemia causata dal Coronavirus farà perdere ad ogni italiano in media 2.484 euro. A Milano saranno 5.575, a Bolzano 4.058, a Modena 3.645 e a Firenze 3.603.

Il dato più allarmante riguarda il Sud. Secondo l’Ufficio studi della CGIA di Mestre la ricchezza prodotta nel Mezzogiorno diminuirà meno delle altre aree del Paese, cioè -9%, ma, nonostante ciò, ‘il Pil del Sud tornerà allo stesso livello del 1989’. Molise, Campania e Calabria torneranno al 1988, la Sicilia addirittura al 1986.

Con meno soldi in tasca, più disoccupati e tante attività che entro la fine dell’anno chiuderanno definitivamente i battenti – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo - rischiamo che la gravissima difficoltà economica che stiamo vivendo in questo momento sfoci in una pericolosa crisi sociale. Soprattutto nel Mezzogiorno, che è l’area del Paese più in difficoltà, c’è il pericolo che le organizzazioni criminali di stampo mafioso cavalchino questo disagio traendone un grande vantaggio in termini di consenso.

Ed ancora: ‘solo se riusciremo a mantenere in vita le aziende potremo difendere i posti di lavoro, altrimenti saremo chiamati ad affrontare mesi molto difficili’.

Nonostante il blocco dei licenziamenti, sottolinea il rapporto, ‘gli occupati scenderanno di circa 500 mila unità’. A subire il calo maggiore sarà ancora una volta il Mezzogiorno (-180 mila addetti). La Sicilia farà registrare un -2,9%, la Campania -3,5% e la Calabria -5,1%.

Piove sul bagnato. La crisi dovuta alla pandemia sta mettendo in ginocchio l’economia delle regioni del Sud. La perdita di posti di lavoro causerà un incremento della migrazione verso il Nord Italia o verso l’estero ed un ulteriore impoverimento del tessuto sociale ed economico del Meridione.

Una seria politica di investimenti nel Mezzogiorno non è più rinviabile. E se a sostenerlo sono anche gli artigiani del profondo Nord c’è da crederci.

Fonte CGIA di Mestre

lunedì 2 novembre 2020

La meglio gioventù e non solo

Tutti quelli che c’erano ricordano quel giorno, tutti sanno i nomi di chi c’era, tutti si riconoscono come parte di quella comunità. Eppure, è un’immagine che esiste solo per puro caso. Fino ad un minuto prima nessuno avrebbe pensato ad una foto di gruppo dei Torremuzzari

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

 I Torremuzzari, fine anni Settanta - (foto di Petronio)

Era un giorno come tanti nel piccolo borgo marinaro di Torremuzza. Una domenica come un’altra. Spensierata, a giocare a bocce e, in diversi, a guardare. Si, perché allora otto bocce ed un pallino erano comunità e condivisione. Non serviva altro. Segnava le domeniche invernali dei Torremuzzari di tutte le età. Nelle piccole comunità è così: le generazioni si contaminano a vicenda, non c’è l’anziano ed il giovane, ma una ‘umanità’ senza tempo, senza età.   

Le squadre si formavano al momento, tenendo conto di chi c’era o più semplicemente di chi arrivava per primo in piazzetta. Il campo era la strada con le mattonelle un po’ sconnesse ed i marciapiedi bassi, dritti o ad angolo.

Quella mattina è stata diversa dalle altre. Nessuno di noi lo sapeva, ma è sempre così, le cose succedono senza volerlo, nel bene o nel male accadono. Durante la partita, ecco che arriva Petronio, stava semplicemente passando. Di certo non sapeva di quella piccola ‘folla’ di Torremuzzari. Un attimo ed uno di loro ha un’idea brillante. ‘Petronio perché non ci fai una foto?’. Sì, perché Petronio era un fotografo, non ho mai saputo se fosse un dilettante o un professionista e se quella foto, poi, sia stata pagata e da chi, e soprattutto non ho mai saputo chi ha l’originale. Ma che importa, c’è, questo solo conta. Anzi, tutti noi dobbiamo ringraziare chi ebbe quella brillante idea, di certo è o era qualcuno particolarmente affezionato a quel luogo ed a quella comunità.

È bastato poco per chiamare chi si trovava in quel momento in piazza Marina. Anche le ragazze si sono avvicinate. Tutti in posa sul muretto, quello dove ci sedevamo per guardare le partite di bocce. Dietro a pochi metri dalla ferrovia c’era il filo per stendere i panni, a destra la fontanella, a sinistra i ponti che caratterizzano il piccolo borgo marinaro.

Uno scatto, uno solo ed ecco che un momento di vita vissuta resterà immortalato per sempre. Rivedersi giovani, con i capelli lunghi, con espressioni spensierate è struggente, ti ricorda che il tempo passa, che non lo puoi fermare. Eppure, quella foto racchiude una comunità, un’entità precisa, unica, come, del resto, lo sono tante altre.  

Quel giorno nessuno di noi avrebbe mai pensato di vivere un momento di vita che sarebbe stato possibile ricordare e tramandare a chi verrà dopo noi. E non voglio scrivere i nomi di chi c’era, non ora, non più, adesso non potrei.

Gli sguardi dei giovani e degli anziani in posa esprimono l’animo di una comunità, meglio di come possa fare qualunque parola o pensiero. Diversi per età, spesso antagonisti e polemici, divisi dalla politica, dal calcio, ma pur sempre appartenenti agli stessi luoghi ... alle stesse strade ... al rumore del mare ... ai ponti della ferrovia ... allo stabilimento che produceva olio di sansa ... alla Torre ... allo scoglio ... al tabacchino ... alla piazzetta ... alle bocce di quel giorno ... a Petronio ... a quel muretto ... a quel momento, triste e bello nello stesso tempo.

Tutti, anche quelli che quel giorno non c’erano, anche quelli che non ci sono più, appartenevamo ed apparteniamo allo stesso borgo marinaro, alla stessa famiglia, a quella dei Torremuzzari.

Si, perché non siamo nient’altro. Solo pensieri ed immagini di chi ci sta di fronte, di chi abbiamo incontrato nella nostra strada, di chi anche senza volere ci tiene in un angolino della sua memoria.

sabato 31 ottobre 2020

Whirpool, prendi i soldi e scappa

La vicenda Whirpool di Napoli è emblematica. La delocalizzazione delle fabbriche italiane non è una novità. È solo l’ultimo episodio di una lunga serie

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da startmag.it

I dipendenti della Whirpool di Napoli sono stati ‘esentati dal rendere la propria prestazione lavorativa presso il sito e qualsiasi accesso non autorizzato sarà perseguito a termini di legge’. Per questo motivo i lavoratori hanno deciso di iniziare da subito il presidio dei locali dell’azienda. La vicenda per loro non è conclusa, e come potrebbe esserlo.

Dopo 18 mesi di lotte e di scioperi, con un messaggio telefonico, sono stati licenziati 400 addetti, ma il numero raddoppia se consideriamo anche l’indotto. A nulla sono valsi i tentativi di mediazione del Governo. La multinazionale statunitense negli ultimi anni ha ricevuto circa cento milioni di euro di aiuti pubblici per continuare a produrre nella città campana. Ed altri poteva riceverne, ma nulla è riuscito a far cambiare opinione agli amministratori dell’azienda produttrice di elettrodomestici.

La vicenda della fabbrica della Whirpool di Napoli è solo l’ultima di una lunga serie. Le imprese italiane ed estere acquisiscono i marchi più famosi del Made in Italy, approfittano degli aiuti statali e, infine, delocalizzano. Spesso si tratta di aziende che producono utili e lavoro, ma, nonostante ciò, si trasferiscono all’estero, perché? La risposta è ovvia: tutto è fatto in funzione della produttività. È la logica del capitalismo, è, cioè, la logica del profitto a tutti i costi. L’obiettivo degli imprenditori non è il benessere dei lavoratori e delle comunità dove le aziende hanno la sede e gli stabilimenti, ma l’arricchimento dei proprietari.

Con la globalizzazione le opportunità di accumulazione del capitale hanno varcato i confini nazionali, per cui spesso è più conveniente produrre nei paesi dove il costo del lavoro e delle materie prime sono più bassi.

Intanto, un’altra fabbrica del Sud chiude i battenti. E centinaia di lavoratori si ritrovano senza un’occupazione stabile. È una sconfitta della politica e degli imprenditori italiani. È la sconfessione dell’efficacia del Decreto Dignità introdotto dal Governo ‘pentaleghista’ e, voluto, in particolare da Luigi Di Maio. È la disfatta dell’operato del ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli e dell’azione dei sindacati.

Ed è la dimostrazione dell’inutilità delle politiche di incentivi statali alle imprese private. I finanziamenti e le agevolazioni concesse per garantire i posti di lavoro non bastano, occorrono politiche industriali e piani di investimento pubblico nel medio-lungo periodo. Fino a quando la logica sarà solo quella del profitto, le delocalizzazioni continueranno, specie nel Sud Italia, ed a pagarne le conseguenze saranno sempre e solo i lavoratori.

Fonte televideo.rai.it

giovedì 29 ottobre 2020

Siamo proprio sicuri che a vincere sarà Joe Biden?

I sondaggi per l'elezione del Presidente degli Stati Uniti d'America danno Donald Trump indietro rispetto all’altro candidato, Joe Biden. Nonostante ciò, ci sono alcune circostanze che potrebbero smentire le previsioni, ecco quali

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Donald Trump e Joe Biden

Di solito il Presidente uscente viene riconfermato. La circostanza si ripete dal 1993 e Donald Trump è al termine del primo mandato. Una sua rielezione, quindi, non è da escludere.

Tutti ricordano come andò quattro anni fa quando la candidata democratica, Hillary Clinton, era data per favorita. L’ex first lady pur avendo ottenuto, in valori assoluti, più voti del suo avversario non venne eletta. Sarebbe stata la prima donna a capo della Casa Bianca.

La sorpresa dell’indipendente e miliardario Donald Trump fu determinata da una campagna elettorale aggressiva, in perfetto stile sovranista, lo stesso che sta caratterizzando molti governi in tutto il mondo. Allora il popolo americano, soprattutto quello della provincia, votò in massa per l’attuale Presidente. Quello è stato un voto contro l’establishment democratico. Un rifiuto della élite di potere che da otto anni stavano guidando il Paese a stelle e strisce.

Del resto, la Sinistra non fa più la Sinistra da tempo, anche quella super soft degli Usa. Joe Biden, l’avversario di Trump è la sublimazione di questo decadimento ideologico. Rappresenta una classe dirigente autoreferenziale, lontana dai bisogni ‘reali’ di milioni di persone, soprattutto lavoratori.

I cambiamenti sociali ed economici che i 'liberal' d'oltreoceano propongono non sono adeguati a limitare le disuguaglianze e le ingiustizie provocate dal sistema economico capitalista. La riforma sanitaria approvata durante la presidenza di Barak Obama (Biden era il suo vice) è parsa agli elettori progressisti ‘poca cosa’ rispetto ai bisogni dei ceti sociali più deboli. Nessun presidente democratico è mai riuscito ad imporre delle limitazioni alla vendita di armi o ad introdurre un sistema di welfare degno di questo nome. È sempre prevalsa la logica del profitto, che è il mantra ideologico della maggioranza degli americani.

Il Partito democratico non ha saputo proporre neanche un candidato nuovo, lontano dai vecchi schemi di palazzo. La Sinistra americana non riesce ad imporsi e quella democratica non sa rinnovarsi. I vecchi ed i nuovi leader non si impegnano ad attuare un cambiamento radicale della società americana, ma si limitano ad opporsi alle bizzarrie del Presidente uscente. Troppo poco. Un partito senza ambizioni, senza un seguito popolare non può fare molta strada.

Tuttavia, come già avvenne nel 2016, a pochi giorni dal voto sembra che l’esponente democratico possa farcela. Sembra, appunto. Non possiamo affermare con certezza chi sarà eletto, ma se dovesse prevalere Joe Biden a vincere non sarebbe il candidato democratico, ma la certificazione di una sconfitta: quella dell’arroganza e della presunzione di Donald Trump. 


giovedì 22 ottobre 2020

144 milioni di bambini soffrono di malnutrizione cronica

Il rapporto 'La Malnutrizione infantile e l’impatto del Covid-19pubblicato da Save the Children conferma la crescita delle disuguaglianze causata dalla pandemia 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Campo profughi- (foto da facebook.it)
'La malnutrizione cronica colpisce nel mondo 144 milioni (circa il 21% del totale) di bambini sotto i cinque anni. A sostenerlo è Save the Children. Uno su due (78,2 milioni) vive in Asia, quattro su dieci (57,5 milioni) in Africa’. Di questi 47 milioni sono affetti damalnutrizione acuta’. 

La crisi causata dal Covid-19 potrebbe far cadere 27 Paesi ‘nella peggiore crisi alimentare di sempre, per l’impatto congiunto di crisi economica, insicurezza e instabilità politica, condizioni climatiche e malattie di origine animale’.

Secondo il rapporto ‘circa 6,7 milioni di bambini sotto i 5 anni potrebbero soffrire di malnutrizione acuta entro la fine di quest’anno’ ed il numero di quelli che vivono in famiglie povere potrebbe aumentare di 117 milioni.

Il Coronavirus sta aggravando anche le condizioni ‘socioeconomiche’ delle popolazioni che vivono in alcune aree. 1,6 milioni di bambini, a causa della pandemia non sono potuti andare a scuola e molti non hanno potuto usufruire della didattica a distanza. Con la conseguenza che, sottolinea il Report, ‘368,5 milioni di bambini non hanno potuto accedere neanche ad un pasto completo al giorno’.

Ed ancora. Un bambino su sei vive in paesi ‘fragili o flagellati da conflitti e guerre civili. Questo li espone a gravi forme di malnutrizione. Nel mondo ‘160 milioni di bambini crescono in aree soggette a siccità, mentre un altro mezzo miliardo si concentri in aree ad alto rischio di alluvioni e di tempeste’.

La pandemia, le guerre, i cambiamenti climatici, sono un mix micidiale per milioni di individui, soprattutto bambini. Con il Covid-19 aumentano le disuguaglianze. I ricchi continuano ad accrescere i loro patrimoni, mentre milioni di bambini si aggiungeranno a quelli che già oggi soffrono di fame e di malnutrizione. 

Le crisi economiche e sanitarie non sono uguali per tutti, ma sono un’ulteriore occasione per creare nuove ingiustizie ed il Rapporto di Save the Children ne è la conferma.

Fonte savethechildren.it

domenica 18 ottobre 2020

Pensionati: i 'furbetti' dei paradisi fiscali

Mentre si cerca di attrarre nel nostro Paese i pensionati stranieri, la fuga di quelli italiani continua

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da lindro.it
Non solo imprese e facoltosi imprenditori si trasferiscono all’estero per pagare meno tasse, adesso a farlo sono anche i pensionati italiani. Nel 2019 secondo i dati Inps erano 388 mila. La maggior parte lo fa per ragioni familiari e gli assegni sono mediamente bassi, circa 259 euro. Ma ci sono anche pensionati che percepiscono assegni più consistenti e che hanno deciso di andare ad abitare all’estero per pagare meno tasse. I paradisi fiscali sono in diversi paesi, alcuni fanno parte dell’Unione europea. La metà preferita dagli italiani è il Portogallo. Clima mite e comunità accoglienti dove i redditi dei pensionati ‘non abituali’ sono esentati dal pagamento delle tasse per dieci anni. Unica condizione richiesta dal governo portoghese è la dimora per sei mesi all’anno. I nostri connazionali che nel 2019 hanno usufruito di questa agevolazione fiscale erano 2.897 ed hanno ricevuto mediamente dall’Inps 2.719,99 euro al mese.

Altra meta degli italiani è Cipro. Qui i ‘furbetti’ residenti sono circa 200. Essi godono di una no tax area fino a 19.500 euro all’anno. Questo significa che chi ha una pensione di 1.500 euro al mese non paga nulla, fino a 2.500 euro versa il 2,5%, che diventa il 3% fino a 3.500 euro. Chi ha una pensione superiora paga il 3,5% di tasse.

Malta è stata scelta da circa cento italiani. Il sistema fiscale prevede un’aliquota fissa del 15%.

Infine, la Tunisia, dove l’80% del reddito imponibile è esente. La tassazione, cioè, è solo sul restante 20%. L’aliquota è progressiva, quella massima è del 35% ma riguarda solo i redditi sopra i 50.000 euro.

Per frenare questo fenomeno il Parlamento ha introdotta con la Legge di Bilancio del 2019 (corretta con il Decreto crescita) un’imposta sostitutiva del 7%. I pensionati italiani o stranieri residenti all’estero ne possono usufruire per dieci anni se si trasferiscono in un piccolo Comune del Sud che ha meno di 20 mila abitanti.

I furbetti della pensione si aggiungono alle grandi e medio-piccole imprese che hanno delocalizzano o trasferito le loro sedi nel paradisi fiscali. Quello che è paradossale è che alcuni di questi paesi fanno parte dell’Unione europea. Abbiamo un mercato economico comune, la libera circolazione di merci e persone, la stessa moneta e la stessa Banca centrale, ma sistemi fiscali diversi. Fino a quando dovremo assistere a queste 'furberie' degli Stati, delle imprese ed ora anche dei pensionati?

Fonte inps.it