sabato 10 novembre 2018

La Pernigotti delocalizza ed i gianduiotti diventano ‘turchi’

Il trasferimento dello stabilimento della Pernigotti in Turchia è solo l’ultimo episodio di una lunga serie di delocalizzazione avvenute nel nostro Paese negli ultimi due decenni 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Lo stabilimento di Novi Ligure della Pernigotti
(foto da pernigotti.it archivio storico)
L’azienda piemontese della Pernigotti è stata acquistata nel 2014 dal gruppo turco Toksoz che, allora, s’impegnò a rilanciare la sede di Novi Ligure e di mantenere la produzione in Italia. Ora l’annuncio del trasferimento in Turchia e il conseguente licenziamento di 100 operai e di 80 addetti interinali. I lavoratori hanno chiesto l’intervento del ministro dello sviluppo economico, Luigi Di Maio. Ma ad oggi nulla è stato fatto anche se la nuova legislazione introdotta dal governo ‘pentaleghista’ con il decreto dignità prevede, tra l’altro, sanzioni pecuniarie nei confronti delle aziende che delocalizzano. La normativa penalizza le imprese che trasferiscono gli stabilimenti fuori dall’Ue e se lo fanno entro i cinque anni dall’aver usufruito di incentivi pubblici. Nelle prossime settimane vedremo se la legge è adeguata e se sarà applicata. Intanto, un’azienda del made in Italy che ha 158 anni di storia rischia il trasferimento in Turchia.
La vicenda della Pernigotti è solo l’ultimo caso di una lunga serie di delocalizzazioni. Si tratta spesso d’imprese che producono utili e lavoro, ma nonostante ciò si trasferiscono all’estero, perché? La risposta è ovvia: tutto è fatto in funzione della produttività. E’ la logica del capitalismo, è, cioè, la logica del profitto a tutti i costi. L’obiettivo degli imprenditori non è il benessere dei lavoratori e delle comunità dove le aziende hanno la sede e gli stabilimenti, ma l’arricchimento dei proprietari.
Con la globalizzazione le opportunità di accumulazione del capitale hanno varcato i confini nazionali, per cui spesso è più conveniente produrre nei paesi dove il costo del lavoro e delle materie prime sono più bassi. La storia della Fiat è, da questo punto di vista, emblematica. Per quasi un secolo l’azienda torinese ha usufruito degli incentivi e dei finanziamenti dallo Stato italiano. Quando questi sono finiti o non erano sufficienti a garantire gli utili i proprietari hanno deciso di trasferire all’estero una parte degli stabilimenti, la sede legale e quella operativa. E se questo ha significato chiudere la fabbrica di Termini Imerese e lasciare senza lavoro oltre 1.800 operai poco importa, per i ‘padroni’ la priorità è sempre e solo il profitto.

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