sabato 30 settembre 2017

Rosatellum bis ovvero prove d’inciucio tra il Pd e Fi

La nuova proposta del Pd sembra fatta su misura per consentire un accordo post elettorale tra il partito di Matteo Renzi e quello di Silvio Berlusconi 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Silvio Berlusconi e Matteo Renzi - (foto da alganews.it)
Il Partito democratico ha presentato un disegno di legge per modificare l’attuale sistema elettorale. La proposta prevede un sistema misto, il 64% dei deputati e dei senatori sarebbe eletto con il sistema proporzionale ed  il restante 36% con il sistema uninominale. La soglia di sbarramento per le singole liste scenderebbe al 3%, mentre per le coalizione sarebbe del 10%. 
Fotot da affariitaliani.it
L’iniziativa dei democratici ha il consenso dei forzisti, della Lega e di Ap. Lo scopo è quello di evitare un impasse post elettorale che con la legge in vigore è quasi certo. Stando ai sondaggi il Pd e il M5s sono tra il 25% ed il 30% dei consensi, mentre nel Centrodestra Fi e la Lega sono intorno al 15% ciascuno e Fdi potrebbe raggiungere il 4%. Le forze di Sinistra, Mdp, Si, Campo progressista e Possibile tutte insieme potrebbero ottenere il 10% dei voti. Con questa situazione nessuna forza politica sarebbe in grado di superare la soglia del 40% necessaria per ottenere il premio di maggioranza. Inoltre, tutti i possibili accordi post elettorali non consentirebbero a nessuna forza politica o coalizione di raggiungere  la maggioranza in Parlamento, l’empasse sarebbe totale.  Inoltre, con la legge elettorale in vigore, per l’ex sindaco di Firenze sarebbe difficile tornare a Palazzo Chigi. Da qui la proposta di modifica con l’introduzione di una quota maggioritaria che consentirebbe alle colazioni di avere un maggior numero di parlamentari e di conseguenza la possibilità di formare un governo centrista con il Pd, Fi e quello che rimane degli altri 'cespugli' al centro dello schieramento politico. L’alternativa potrebbe essere solo un governo del Presidente con una maggioranza parlamentare di unità nazionale sostenuta oltre che dal Pd, anche da Fi e dalla nascente forza di Sinistra chiamata ancora una volta a rimediare ai malgoverni centristi o di destra. Il presidente del Consiglio potrebbe essere lo stesso Paolo Gentiloni o il ministro dell’Interno Marco Minniti. Lo scopo principale sarebbe quello di garantire la stabilità di governo necessaria per evitare le turbolenze finanziarie che si potrebbero scatenare sul nostro Paese come nel 2011. Tutto dipenderà dal risultato che uscirà dalle urne, in particolare da quanti consensi riuscirà ad ottenere la 'nuova' forza di Sinistra che ancora non esiste, ma che è già oggi l’ago della bilancia nel futuro panorama politico italiano.

sabato 23 settembre 2017

Al Nord si pagano più tasse, ma ad essere povero è il Sud dove è cresciuta anche la pressione tributaria

‘Il nostro sistema tributario grava maggiormente sulle regioni dove la concentrazione della ricchezza è più elevata’, a sostenerlo è Paolo Zabeo coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da cigiamestre.com
Nel 2015 ogni residente della Lombardia, compresi i neonati, ha pagato in media al fisco 11.898 euro. Ad affermarlo è l’Ufficio studi della Cgia di Mestre. Nella graduatoria seguono gli abitanti del Trentino Alto Adige con 11.029 euro, gli emiliano - romagnoli con 10.810 euro, i laziali con 10.452 euro ed i liguri con 10.121 euro. Nello stesso periodo il gettito medio è stato di 5.703 euro in Campania, 5.610 euro in Sicilia e 5.436 euro in Calabria. L’84% del gettito (7.390 euro pro-capite) è stato incassato dallo Stato centrale, il 9,3% dalle Regioni (825 euro pro-capite) e il restante 6,7% dagli Enti locali (585 euro pro-capite). Secondo la Cgia nel 2017 la pressione fiscale dovrebbe attestarsi al 42,7%, in calo dello 0,4%. Pertanto dovrebbe proseguire il trend positivo iniziato dopo il record storico registrato nel biennio 2012/2013 (43,6%). A livello europeo siamo al 7° posto, 2,8 punti in più rispetto alla media europea (40,1%) e 1,6 punti superiore rispetto al dato dell’area euro (41,3%). ‘Negli ultimi tempi la pressione tributaria sui contribuenti del Mezzogiorno ha subito degli aumenti decisamente superiori al resto d’Italia'. A precisarlo è il segretario della Cgia Renato Mason. Ed ancora: 'A seguito del disavanzo sanitario che ha contraddistinto in questi ultimi anni i bilanci di quasi tutte le Regioni meridionali, i Governatori di queste realtà sono stati costretti ad innalzare fino alla soglia massima sia l’aliquota dell’Irap sia quella dell’addizionale regionale Irpef con l’obbiettivo di riequilibrare il quadro finanziario’. ‘L’esito di quest’analisi – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo - dimostra come ci sia una correlazione tra le entrate fiscali versate, il reddito dichiarato e, in linea di massima, anche la qualità/quantità dei servizi erogati in un determinato territorio. Essendo basato sul criterio della progressività, il nostro sistema tributario grava maggiormente sulle regioni dove la concentrazione della ricchezza è più elevata e il numero di grandi aziende è maggiore, anche se i cittadini e le imprese di queste aree dispongono, nella stragrande maggioranza dei casi, di servizi pubblici migliori rispetto a quelli presenti in altre parti del Paese’.

martedì 19 settembre 2017

Il candidato Di Maio ed i 7 ‘nani’

La democrazia diretta del M5s fa flop ancora una volta, il candidato alle ‘primarie’ per le prossime elezioni politiche è, in sostanza, uno solo, Luigi Di Maio

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Luigi Di Maio (foto dal suo profilo facebook)
La mancata partecipazione alle ‘primarie’ per la candidatura alla Presidenza del consiglio ed a leader del M5s da parte di Alessandro Di Battista e di Roberto Fico rischia di trasformarsi in boomerang mediatico per tutto il MoVimento. Anziché una vera e democratica competizione, le ‘primarie' grilline sembrano un atto studiato a tavolino per incoronare in perfetto stile ‘bulgaro’ il leader in pectore Luigi Di Maio. Gli altri competitor sono degli sconosciuti e come sostiene ironicamente il democratico Gero Grassi: ‘Sono sette come i nani di Biancaneve’. Ecco chi sono. Elena Fattori, parlamentare, 51 anni, di Rimini, che così ha commentato la sua candidatura su facebook: ’Ho voluto metterci la faccia, come hanno fatto Luigi Di Maio e gli altri. Chi è nel M5s non usa queste votazioni per pesarsi e organizzarsi in correnti interne, come fanno gli altri partiti’. Vincenzo Cicchetti, 61 anni, di Riccione, è un imprenditore informatico. ‘Ho deciso di candidarmi per sfidare Grillo e il suo Movimento perché la coronazione di Di Maio è uno schiaffo al Paese e ai nostri giovani’. Ed ancora: ‘Sì all'esperienza, alla competenza, al merito, alla fatica, al lavoro serio e responsabile. No all'arrivismo, al pressappochismo, al parassitismo, all'inefficienza, al paraculismo, all'improvvisazione’.
I candidati alle primarie del M5s (foto da video.corriere.it)
Andrea Davide Frallicciardi, 39 anni, impiegato e musicista, ex capogruppo a Figline Valdarno, è un perito elettronico. Ho pubblicato costantemente il mio 730 anche se non ero obbligato a farlo, ma ne sentivo il dovere a dimostrazione del fatto di non aver mai ottenuto alcun beneficio dall’incarico che stavo svolgendo’. Ed ancora: ‘Ho creduto e credo fortemente negli ideali che Beppe Grillo ci ha dato modo di esprimere fin dalla prima ora e da quelli non mi sono spostato di una virgola’. Si candida "per un motivo fondamentale: riportare in prima fila i cittadini’. Domenico Ispirato, 54 anni, geometra, napoletano trasferitosi a Verona ha partecipato alle amministrative del 2012. Nella sua dichiarazione d’intenti afferma: Costretto a cambiare la mia professione, ho preso un diploma alberghiero per fare il cuoco’. Ed ancora: ‘Quanto esiste nei principi ed i valori del M5S espressi sia nel No-Statuto sia nel regolamento si configurano appieno con lo spirito della mia persona’. Gianmarco Novi, 40 anni, monzese, è stato consigliere del comune dal 2012 al 2017. Ecco come si descrive: ’Imprenditore nel settore delle energie rinnovabili, cintura nera di arti marziali tradizionali cinesi. Da 3 anni per motivi di salute etici ed ambientali seguo una dieta vegana e fruttariana’. Ha presentato la sua candidatura postando un video su youtube in cui propone: ‘L’istituzione di una moneta di proprietà dello Stato’ e ‘non più lo Stato italiano che si indebita con le banche private ma una banca di Stato proprietà dei cittadini’. Il suo obiettivo è ‘riportare in Italia la Sovranità Monetaria, istituire il Bilancio Partecipativo Statale, istituire i Referendum Dispositivi e Abrogativi sul modello Svizzero’. Nadia Piseddu, 28 anni, di Vignola, è un’ingegnere aerospaziale. In un video così si descrive: ’Nonostante i tanti sacrifici fatti dalla mia famiglia, ho avuto la fortuna di studiare e credo che questa fortuna debba essere restituita’. Ed ancora: ‘Come detto durante la mia campagna elettorale del 2014, la filosofia del M5S non può essere imparata e messa in pratica da coloro i quali fino ad ora hanno dimostrato di fare il contrario di quanto da noi sostenuto’. Marco Zordan, 43 anni, di Arzignano è un artigiano, ex assessore a Serego, si presenta ricordando i risultati raggiunti come amministratore: ’Abbiamo trovato un Comune dove le email venivano stampate e poi scansionate per essere protocollate. Tutti i documenti protocollati venivano stampati in doppia copia. Ora ‘fax, email si scaricano automaticamente nel protocollo; le delibere  e le determine comunali sono tutte firmate digitalmente’.

Fonte beppegrillo.it

sabato 16 settembre 2017

Fao, cresce la fame nel mondo

Se qualcuno ancora non avesse compreso il motivo per cui milioni di persone emigrano, il rapporto pubblicato dall’Onu lo spiega in modo chiaro ed inequivocabile

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da fao.org
La fame nel mondo è in aumento, essa colpisce l’11% della popolazione mondiale, cioè 815 milioni di individui, 38 milioni in più rispetto al 2015. Ad affermarlo è la relazione annuale delle Nazioni Unite sul mondo, la sicurezza alimentare e l’alimentazione pubblica. L’aumento è dovuto – sottolinea il rapporto - alla proliferazione dei conflitti ed ai cambiamenti climatici. Inoltre, diverse forme di malnutrizione minacciano la salute di milioni di persone in tutto il mondo. 155 milioni di bambini di età inferiore ai cinque anni sono sottosviluppati ed altri 52 milioni soffrono di deperimento cronico.
Le distribuzioni di seme della Fao aiutano gli abitanti della
Nigeria a recuperare i loro mezzi di sussistenza
(foto da fao.org)
La più alta percentuale di bambini insicuri e malnutriti sono concentrati nelle zone di conflitto. ‘Ciò ha spinto le campane di allarme che non possiamo permetterci di ignorare: non finiremo la fame e tutte le forme di malnutrizione entro il 2030 a meno che non affrontiamo tutti i fattori che minano la sicurezza alimentare e l'alimentazione. La protezione delle società pacifiche e inclusive è una condizione necessaria a tal fine’, hanno dichiarato nella loro prefazione comune alla relazione i capi dell'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e dell'agricoltura (FAO), il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (IFAD), il Fondo per i bambini delle Nazioni (UNICEF), il Programma alimentare mondiale (WFP) e l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS). 

Fonte fao.org

giovedì 14 settembre 2017

La generazione tradita

Altro che i bamboccioni nati negli anni Ottanta, la generazione che ha avuto meno di quello che ha dato è quella dei baby boom degli anni Cinquanta e Sessanta 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Anni Settanta - Manifestazione politica
(foto da it.wikipedia.org)
Tra la metà degli anni Cinquanta e la fine degli anni Sessanta c’è stato in Italia il boom economico che è coinciso con un notevole incremento demografico. Il picco c’è stato nel 1964 con oltre un milione di nuove nascite. L’incremento demografico, come sanno bene gli economisti, è una causa e, nello stesso tempo, una conseguenza dello sviluppo economico. Quegli anni sono stati caratterizzati dalla ricostruzione, dalle famiglie numerose, dalla diffusione degli elettrodomestici e delle utilitarie, dalle aule delle scuole elementari piene di bambini italiani, dagli adolescenti impegnati a conseguire un ‘pezzo di carta’ e dai giovani che, dopo aver fatto il servizio militare, hanno continuato gli studi per conseguire la laurea, unica condizione questa per poter accedere a ruoli sociali fino ad allora appannaggio solo della classi medio - alte.
Anni Settanta - Manifestazione femminista
(foto da milanoartexpo.com)
Una generazione combattiva che ha contribuito in modo determinante alla modernizzazione del Paese. Le lotte studentesche ed operaie degli anni Settanta hanno obbligato la classe dirigente di allora ad approvare importanti riforme come lo Statuto dei lavoratori, la legge sul divorzio, il nuovo diritto di famiglia, i decreti delegati sulla scuola, la scala mobile, ecc. Cambiamenti che hanno favorito il diffondersi di una condizione di benessere anche tra le classi medio - basse nonostante l’iperinflazione ed il terrorismo. Gli studenti, i contadini meridionali e gli operai delle fabbriche del Nord (in gran parte anch’essi del Sud) hanno cambiato l’Italia agricola e bigotta del secondo dopoguerra e, riducendo le distanze sociali tra le classi, hanno reso la società più giusta ed equa. Esaurita quella spinta ideale in politica e propulsiva nel sistema economico sono  iniziati i problemi. Il consumismo ha cristallizzato la società e le ingiustizie sono tornate ad aumentare. Per quelli che allora erano giovani sono iniziati gli anni delle incertezze e per molti di essi gli anni dei lavori precari. Il flusso migratorio dal Sud verso il Nord è tornato ad aumentare, ma stavolta i nuovi lavoratori non hanno le valige di cartone ma viaggiano in aereo e con il trolley. In gran parte sono laureati, in particolare sono insegnanti delle scuole superiori che pur di avere un’occupazione certa sono emigrati lasciando, nonostante siano in gran parte ultracinquantenni, famiglie ed amici. 
Anni Settanta - Manifestazione sindacale
(foto da lavocedinomas.org)
La condizione sociale delle classi meno abbienti è peggiorata con la crisi finanziaria ed economica iniziata nel 2007. Il rigore nei conti pubblici è stato una necessità ineludibile e la riforma del sistema pensionistico pur essendo ingiusta è stata inevitabile. L’obiettivo era ed è quello di rimediare ai privilegi concessi nei decenni precedenti. La legge Fornero ha allungato a sessantasei anni e sette mesi l’età minima per andare in pensione, una delle più alte in Europa. Con il passare degli anni questa soglia continuerà a crescere automaticamente. Inoltre, l’indennità sarà calcolata in base ai contributi versati in tutta la carriera lavorativa. In sostanza, in violazione dell’articolo 53 della Costituzione, quello sulla capacità contributiva, chi ha avuto un lavoro continuo ed un reddito adeguato percepirà una pensione altrettanto adeguata, chi invece avrà lavorato con discontinuità e con indennità misere continuerà a rimanere un ‘poveraccio’. Le distinzioni di classe non solo si accentueranno ma rimarranno fino all’ultimo giorno di vita. A pagare il conto della ‘cattiva politica’ degli anni Ottanta e Novanta e delle distorsioni del sistema capitalistico saranno soprattutto i baby boom che hanno fatto l’Italia moderna, quelli dello sviluppo economico, della lotta al terrorismo, delle buone riforme del sistema giuridico e sociale. Quelli che oggi stanno mantenendo in equilibrio il sistema previdenziale ma che in cambio avranno pensioni misere e per giunta ad un’età avanzata. Insomma, una generazione tradita ancora una volta per la sua generosità ed il suo impegno sociale.

venerdì 8 settembre 2017

CGIA: 'Negli ultimi otto anni è crollato il numero delle imprese artigiane'

Con la chiusura di 145.000 imprese artigiane e di 12.000 piccoli negozi di vicinato tra il 2009 ed il 2016 si sono persi circa 400.000 posti di lavoro. A sostenerlo è l’Ufficio studi della CGIA di Mestre

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da pulvino.blogspot.com (free advertising)
Negli ultimi otto anni il numero complessivo delle imprese attive nell’artigianato è sceso da 1.463.318 a 1.322.640, le attività del commercio al dettaglio, invece, sono diminuite in misura più contenuta. Se nel 2009 erano 805.147, nel giugno di quest’anno si sono attestate a quota 793.102. Le categorie artigiane che hanno subito le contrazioni più importanti sono quelle degli autotrasportatori (-30%), dei falegnami (-27,7%), degli edili (-27,6%), dei produttori di vetro e ceramica (-22,1%). Mentre in controtendenza ci sono parrucchieri ed estetisti (+2,4%), gelaterie, pasticcerie e take away (+16,6%), designer (+44,8%), riparatori, manutentori e installatori di macchine (+58%).
Foto da lentepubblica.it
A livello territoriale le regioni più colpite sono quelle del Sud, dove la diminuzione è stata del 12,4%. In particolare in Sardegna è stata del -17,1%, in Abruzzo del -14,5%, in Sicilia del -13,5%, in Molise del -13,2%, in Basilicata del -13,1%. Le chiusure, nonostante l’uscita dalla recessione, sono continuate anche nel 2016 (-1,2%). ‘La crisi, il calo dei consumi, le tasse, la burocrazia, la mancanza di credito e l’impennata del costo degli affitti - sostiene il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo - sono le principali cause che hanno costretto molti piccoli imprenditori ad abbassare definitivamente la saracinesca della propria bottega. Se, inoltre, teniamo conto che negli ultimi quindici anni le politiche commerciali della grande distribuzione si sono fatte sempre più mirate ed aggressive, per molti artigiani e piccoli negozianti non c’è stata via di scampo. L’unica soluzione è stata quella di gettare definitivamente la spugna’.
Per il rilancio dell’artigianato non sarà sufficiente l’uscita dalla crisi economica, ma sarà ‘necessario recuperare - rileva Renato Mason segretario della CGIA - la svalutazione culturale che ha subito in questi ultimi decenni il lavoro artigiano. Anche se bisogna evidenziare che attraverso le riforme della scuola avvenute in questi ultimi anni, il nuovo Testo unico sull’apprendistato del 2011 e le novità introdotte con il Jobs act, sono stati realizzati dei passi importanti verso la giusta direzione, ma tutto ciò non è stato ancora sufficiente per invertire la tendenza’.

lunedì 4 settembre 2017

La strage del rapido 904 e la ‘malagiustizia’

Il processo di appello per la strage del rapido 904, avvenuta il 23 dicembre del 1984, dovrà ricominciare

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

I rottami di uno dei vagoni del rapido 904 - Nel riquadro
Toto Riina - (Foto da meridionenews.it)
La notizia è di quelle che lasciano interdetti. Il processo per la strage del rapido 904 avvenuta il 23 dicembre del 1984 dovrà ricominciare perché il presidente della corte d’appello, Salvatore Giardina, tra poche settimane andrà in pensione. L’assurdità sta anche nel fatto che, oltre alle nuove testimonianze che si era deciso di ascoltare in appello, sarà necessario risentire tutti i testimoni ascoltati in primo grado. Inoltre, si tratta di un processo in cui l’unico imputato, Toto Riina, già condannato all’ergastolo in altri procedimenti, era stato assolto nel primo giudizio. Il rinvio a data da destinarsi è stato disposto in applicazione delle recenti modifiche apportate all’articolo 603 del codice di procedura penale (riforma Orlando) che obbliga il giudice, nel caso di appello richiesto dal pubblico ministero, a disporre la riapertura completa dell’istruttoria. Questa vicenda, oltre ad evidenziare l'incompetenza dei politici italianiè un esempio di ‘malagiustizia’ e di spreco di risorse pubbliche. Negli ultimi due decenni sono state fatte diverse riforme della giustizia, ma nessun ministro o tecnico ha mai proposto di inserire una norma che impedisca di rifare il processo ogni volta che cambia il giudice. I responsabili del dicastero della Giustizia che si sono susseguiti alla guida del ministero negli ultimi anni dovrebbero spiegare agli italiani, soprattutto ai familiari delle vittime, perché il procedimento non può proseguire con un altro giudice. Ad oggi l’unica cosa certa è che le 16 persone morte e le 260 che rimasero ferite nella strage avvenuta con una bomba esplosa sul treno che in quel momento si trovava in galleria sugli Appennini tra Firenze e Bologna rimangono, a distanza di 37 anni, senza giustizia.

CGIA: ‘Le entrate tributarie negli ultimi 20 anni sono cresciute di oltre l’80%’

Aumenta il prelievo fiscale, ma anche il debito pubblico continua a crescere ed i servizi sono di scarsa qualità, a sostenerlo è l’Ufficio studi della CGIA di Mestre

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da interiss.it
Le tasse che pagano gli italiani sono oltre un centinaio. Accise, addizionali, imposte, tributi ritenute ecc.. il sistema tributario è molto frammentato, solo le prime 10 imposte valgono per le casse dello Stato 421,1 miliardi di euro che costituiscono l’85,3% del gettito complessivo che nel 2015 è ammontato a 493,5 miliardi di euro. L’Irpef garantisce all’Erario un gettito di 155,3 miliardi di euro (33,7%) ossia un terzo del totale, mentre l’Iva ammonta a 101,2 miliardi di euro (20,5%). Nel 2015 l’Ires ha pesato sui bilanci delle imprese per 31,9 miliardi di euro e l’Irap per 28,1 miliardi di euro.
Foto da dire.it
La pressione tributaria in Italia è del 29,6%, al netto del bonus degli 80 euro è del 29,1%. La media dell’Unione Europea è del 26,7%, mentre nell’area Euro è del 25,9%. La più alta è in Danimarca (46,1%) ed in Svezia (41%).
‘Anche quest’anno – sottolinea Paolo Zabeo coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA – ciascun italiano pagherà mediamente 8 mila euro di imposte e tasse, importo che sale a quasi 12 mila euro considerando anche i contributi previdenziali. E la serie storica indica che negli ultimi 20 anni le entrate tributarie nelle casse dello Stato sono aumentate di oltre 80 punti percentuali, quasi il doppio dell’inflazione che, nello stesso periodo, è salita del 43 per cento’‘Si tratta di una posizione ancor più negativa se si considera l’altra faccia della medaglia, ovvero il livello dei servizi che nel nostro Paese deve migliorare moltissimo. Il percorso assunto dal Governo volto alla riduzione della pressione tributaria – dichiara il segretario della CGIA Renato Mason – è necessario e apprezzabile, ma dovrà procedere di pari passo con il miglioramento della qualità dei servizi e della loro qualità’.

sabato 2 settembre 2017

Il 'Sismabonus' non è accessibile a tutti, ecco un esempio concreto

La legge di Stabilità 2017 ha previsto il bonus per la messa in sicurezza degli edifici, ma c’è chi può usufruirne e chi invece, più bisognoso, è escluso   

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da cngeologi.it
Secondo i dati Istat relativi al 2015 in Italia vivono in uno stato di povertà assoluta 1 milione 582 mila famiglie, vale a dire 4,6 milioni di individui, il numero più alto dal 2005 ad oggi. Si tratta di disoccupati, precari, pensionati al minimo e lavoratori con nuclei famigliari numerosi che fanno fatica ad arrivare a fine mese. Nella maggior parte dei casi sono persone che vivono nel Sud dell’Italia, dove si registrano il maggior numero di costruzioni abusive. I costi che si devono sostenere per effettuare i lavori per la messa in sicurezza dell’abitazione di proprietà non sono una cosa da poco, almeno per alcune categorie di cittadini. La spesa oscilla tra i 300 ed i 700 euro al metro quadrato. Ed è evidente che gli edifici che hanno bisogno di questi lavori sono quelli più fatiscenti e/o costruiti nel secolo scorso. Chi è benestante di certo non vive in questi immobili. Le case da mettere a ‘posto’ sono soprattutto quelle della povera gente, che, probabilmente, ha ereditato la struttura o ha costruito in condizioni di necessità e che, per cultura o per furbizia, è stata 'poco attenta' al rispetto delle regole.
Foto da ancecatania.it
Per capire le difficoltà in cui si possono venire a trovare queste famiglie facciano un esempio concreto. Se ipotizziamo una spesa di 50mila euro la detrazione sarà di 35mila euro. Il credito si potrà detrarre dalle imposte con cinque rate annuali di pari importo. Nel nostro caso 7mila euro ciascuna. Chi vive con una pensione minima è un incapiente, cioè percepisce un reddito così basso che è esentato dal pagamento delle imposte dirette come l’Irpef per cui non potrà detrarre nulla. Per questi soggetti l’agevolazione non è fruibile a meno che non vivano in un condominio. In questi casi se l’assemblea dei proprietari decide di eseguire i lavori essi saranno obbligati a contribuire per la quota spettante indipendentemente dal fatto di disporre o meno delle risorse finanziare. Essi, tuttavia, potranno utilizzare la detrazione cedendola all’impresa che esegue i lavori. La procedura su come questo possa avvenire non è ancora chiara, sarà l’Agenzia delle entrate a dare le relative indicazioni.
Foto da avantionline.it
In tutte le ipotesi il nostro pensionato, ma potrebbe essere un disoccupato, un precario o un padre di famiglia con un reddito incapiente o medio basso, è comunque obbligato a far fronte al 30% o al 20% della spesa. Nel nostro esempio corrisponde a 15 mila euro, ma se il costruttore e l’ingegnere non sono disposti ad aspettare cinque anni per essere pagati dovrà affrontare l’intera spesa (50mila euro). Solo successivamente essa sarà restituita per il 70 o l’80% (35mila euro) dallo Stato come credito d’imposta, sempreché il contribuente disponga di un reddito adeguato. Nella nostra ipotesi il reddito annuo deve essere di almeno 36mila euro lordi, che corrispondono a circa 29mila euro netti l’anno. Secondo le ultime statistiche il reddito medio pro-capite nel Sud dell’Italia è di 17.984 euro, più basso di quello che abbiamo ipotizzato. Ora, se un padre di famiglia deve scegliere tra il garantire un’esistenza dignitosa ai suoi figli o investire le poche risorse di cui dispone per ristrutturare la propria casa, non c’è alcun dubbio su quale sarà la sua scelta. Insomma, il credito d’imposta per la messa in sicurezza degli edifici assomiglia molto al bonus degli 80 euro, c’è chi può usufruirne e chi invece, più bisognoso, è escluso. Ancora una volta quella che a prima vista può apparire come una buona legge in realtà realizza un’altra ingiustizia e, pertanto, finirà per allargare il divario economico tra le classi sociali benestanti e quelle più povere.