mercoledì 28 giugno 2017

Papa Francesco: ‘Le pensioni d’oro sono un’offesa al lavoro’

Le frasi pronunciate da Papa Francesco davanti ai delegati al congresso della Cisl sono un programma politico che la classe dirigente italiana dovrebbe prendere seriamente in considerazione. Ecco le più significative

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Papa Francesco - (foto da repubblica.it)
‘Le pensioni d`oro sono un`offesa al lavoro non meno grave delle pensioni troppo povere, perché fanno sì che le diseguaglianze del tempo del lavoro diventino perenni’.
‘E' una società stolta e miope quella che costringe gli anziani a lavorare troppo a lungo e obbliga un’intera generazione di giovani a non lavorare quando dovrebbero farlo per loro e per tutti’.
'Un nuovo patto sociale, che riduca le ore di lavoro di chi è nell'ultima stagione lavorativa, per permettere ai giovani, che ne hanno il diritto-dovere, di lavorare’.
‘Sindacato è una bella parola che proviene dal greco syn-dike, cioè giustizia insieme. Non c'è giustizia insieme se non è insieme agli esclusi. Il buon sindacato rinasce ogni giorno nelle periferie, trasforma le pietre scartate dell'economia in pietre angolari’. 
‘Il capitalismo del nostro tempo non comprende il valore del sindacato, perché ha dimenticato la natura sociale dell'economia, dell'impresa. Ma forse la nostra società non capisce il sindacato perché non lo vede abbastanza lottare nelle periferie esistenziali. Non lo vede lottare tra gli immigrati, i poveri, oppure perché la corruzione è entrata nel cuore di alcuni sindacalisti. Ma col passare del tempo ha finito per somigliare troppo ai partiti politici, al loro stile. E invece, se manca questa tipica e diversa dimensione, anche l'azione dentro le imprese perde forza ed efficacia’.
‘Dobbiamo pensare anche alla sana cultura dell'ozio, di saper riposare. Questo non è pigrizia, è un bisogno umano. Per questo, insieme con il lavoro deve andare anche l'altra cultura. Perché la persona non è solo lavoro. Da bambini non si lavora, e non si deve lavorare. Non lavoriamo quando siamo malati, non lavoriamo da vecchi’.

Neoassunti nel 2015, oggi perdenti posto, è questo l’ennesimo danno prodotto dalla #buonascuola di Matteo Renzi

Da potenziatori, a tappabuchi, a perdenti posto, è questa l’incredibile parabola dei docenti precari storici assunti due anni fa con la legge sulla riforma della scuola 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Matteo Renzi - (foto da lucamussari.it)
I precari storici sono i docenti che hanno superato il concorso indetto dal ministero della Pubblica Istruzione nel 1990. Da allora non fanno altro che girovagare da una scuola all’altra, cambiando continuamente alunni, colleghi e dirigenti scolastici. Le varie riforme dell’istruzione pubblica non hanno saputo o voluto affrontare il problema delle supplenze annuali, almeno fino al 2015, quando con la legge 107 il governo di Matteo Renzi, sotto la spada di Damocle della Corte di giustizia europea, ha attuato il piano di assunzione straordinario. Con questa procedura sono stati immessi in ruolo come potenziatori della formazione i docenti precari storici inseriti nelle Gae e insieme a loro, anche coloro che, nonostante fossero inseriti nella graduatoria, non aveva mai insegnato. La legge ha previsto anche una mobilità di massa senza precedenti. Quest’ultima, avvenuta nell’agosto scorso, anziché tenere conto del servizio pre - ruolo degli insegnanti, ormai ultracinquantenni, ha premiato i neolaureati risultati idonei al concorso del 2012, dandogli così la possibilità di rimanere in provincia e ‘deportando’ gli altri, più anziani e con più servizio, in tutta Italia con la cosiddetta chiamata diretta dei dirigenti scolastici adottata, peraltro, solo per loro.
Foto da lapoesiaelospirito.wordpress.com
Quel contratto che doveva durare tre anni oggi è carta straccia e gli insegnanti di potenziamento non esistono più, o per meglio dire, quel ruolo non è più di esclusiva spettanza dei precari storici, ma, a discrezione del dirigente, di tutti i docenti che così ne possono usufruire per salvaguardare il loro posto sotto casa. Insomma, dopo un anno a fare i tappabuchi, a fare cioè le sostituzioni giornaliere nelle varie classi anziché incrementare l’offerta formativa come stabiliva la legge 107, gli insegnanti abilitati 25 anni fa si sono visti scavalcare nelle graduatorie prima dai neoassunti del concorso del 2012, ed ora, nell’incarico, dagli stessi docenti di ruolo. Non solo, in tanti, in questo inizio d’estate 2017, essendo ultimi nelle graduatorie d’istituto, sono perdenti posto.
Insomma, la Scuola italiana di una parte dei precari neoassunti nel 2015 non sa che farsene e continua a spostarli da un istituto all’altro. Utilizzati per i compiti più complicati e difficili e nelle sedi più disagiate, sono visti con sufficienza, sono malpagati e, nello stesso tempo, nessuno li vuole nella propria scuola. Persiste per questi docenti, nonostante l’assunzione a tempo indeterminato, una condizione di precarietà lavorativa e reddituale. Non tutti sanno che un insegnante neoassunto percepisce 1400 euro al mese (bonus di 80 euro compreso), a cui occorre sottrarre tutte le spese fatte dai docenti per spostarsi o soggiornare nella località dove si trova la scuola. E’ bene precisare che la quasi totalità di questi insegnanti sono meridionali che, considerate le scarse opportunità di lavoro che ci sono al Sud, non sono docenti per vocazione ma per necessità e che, nonostante tutto, continuano a sperare di poter tornare ‘a casa’. Di certo avevano ragione i colleghi che, nel 2015, non hanno voluto aderire al piano di assunzione straordinaria previsto della legge 107. Quei docenti hanno preferito rimanere precari per poter decidere se accettare o rifiutare un incarico annuale o breve ed evitare, così, la ‘deportazione’, possibilità che è preclusa ai neoassunti a cui non resta che sperare in un’altra riforma della scuola per poter tornare a fare i docenti e non gironzolare da una città all’altra e da un istituto all’altro per fare, spesso, i 'badanti' a chi non ha nessuna voglia di studiare. 

sabato 24 giugno 2017

Nel Mezzogiorno una persona su due è a rischio povertà

Negli ultimi otto anni il divario economico e sociale tra Nord e Sud Italia è aumentato, a sostenerlo è l’Ufficio studi della Cgia di Mestre 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da firstonline.it
L’analisi fatta dell’associazione degli artigiani e delle piccole imprese venete ha messo a confronto quattro indicatori: il Pil pro-capite, il tasso di occupazione, il tasso di disoccupazione e il rischio povertà o esclusione sociale.
La differenza di reddito pro-capite tra il Nord ed il Sud era, nel 2007, di 14.255 euro, nel 2015 il divario è aumentato a 14.905 euro, cioè è cresciuto di 650 euro. Nel Settentrione il reddito medio pro-capite è stato di 32.889 euro, al Sud di 17.984 euro. In Sicilia è diminuito del 2,3%, in Campania del 5,6% ed in Molise dell’11,2%.
Il divario del tasso di disoccupazione era, nel 2007, del 20,1%, nel 2016 è salito a 22,5% (+2,4%). Nella provincia autonoma di Bolzano la percentuale di occupati era del 72,7%, in Calabria è stata del 39,6%.
Il differenziale più evidente è quello relativo al tasso di disoccupazione. Nel 2007 era del 7,5%, nel 2016 è salito al 12% (+4,5%). I senza lavoro sono cresciuti del 9,2% in Sicilia e del 12% in Calabria.
Nel 2007 il rischio di povertà al Sud era del 42,7%, nel 2015 è aumentato al 46,4%. Un meridionale su due è in gravi difficoltà economiche. Anche al Nord è aumentato, dal 16 al 17,4%, ma il divario con il Meridione è cresciuto di due punti percentuali.
Foto da cgiamestre.com
“Il Mezzogiorno – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo - ha delle potenzialità straordinarie ed è in grado di contribuire al rilancio dell’intera economia del Paese. Pensiamo solo al patrimonio culturale, alle bellezze paesaggistiche - naturali che contribuiscono a renderla una delle aree potenzialmente a più alta vocazione turistica d’Europa. Certo, bisogna tornare a investire per ammodernare questa parte del Paese che, purtroppo, presenta ancora oggi delle forti sacche di disagio sociale e di degrado ambientale che alimentano il potere e la presenza delle organizzazioni criminali di stampo mafioso’.
‘Il Sud si rilancia anche rendendo – sottolinea il Segretario della Cgia Renato Mason - più efficienti i servizi offerti dagli enti locali, in modo che siano sempre più centrali per il sostegno della crescita, perché migliorare i servizi vuol dire elevare il prodotto delle prestazioni pubbliche e quindi il contributo dell’attività amministrativa allo sviluppo del territorio in cui opera’.
L’analisi della Cgia è corretta, ma i suggerimenti indicati per superare il divario economico e sociale sono insufficienti. La condizione di sottosviluppo del Sud Italia è strutturale ed ha ragioni storiche precise, sottovalutarle con motivazione di carattere amministrativo o con il federalismo fiscale significa non affrontare il problema. I cittadini delle regioni meridionali hanno grandi responsabilità sul peggioramento delle condizioni economiche e sociali del Sud, ma maggiori sono quelle della classe dirigente nazionale. La ‘Questione meridionale’ non è stata risolta, anzi negli ultimi tre decenni si è aggravata perché è stata accantonata, ogni forma d’investimento pubblico al Sud è stato considerato dalle forze politiche e dalla classe dirigente uno spreco.
In queste settimane si parla dei contenuti su cui costruire un nuovo Centrosinistra. Lo studio pubblicato dalla Cgia è un ottimo punto di partenza ed è evidente che il tema della ‘Questione meridionale’ non può non stare al centro dell’analisi economica e sociale di una forza politica progressista. La prima battaglia che deve combattere un partito di Sinistra è la difesa dei diritti delle classi sociali più deboli e queste ancora oggi, nonostante siano passati oltre 150 anni dall’Unità d’Italia, sono soprattutto nel Sud del Paese.

giovedì 22 giugno 2017

Fuga di lavoratori all’estero, ma in gran parte sono laureati del Sud Italia

Dal 2008 al 2015 oltre 500mila italiani si sono trasferiti all’estero, a sostenerlo è il rapporto: ‘Il lavoro dove c’è’, realizzato dall’Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da corriereUniv.it
I lavoratori italiani che, dall’inizio della crisi economica, hanno deciso di emigrare si sono trasferiti soprattutto in Germania, Regno Unito e Francia.  Nello stesso periodo circa 300mila stranieri residenti in Italia, non trovando lavoro, hanno deciso ritornare nei loro paesi, in particolare il fenomeno riguarda gli immigrati provenienti dalla Romania.
Il flusso migratorio è diverso a seconda della zona geografica ed è un fenomeno che si sta verificando anche all’interno del territorio nazionale. Dal 2008 al 2015 oltre 380mila meridionali si sono trasferiti in una regione del Centro o del Nord Italia. Si tratta nella maggior parte dei casi di lavoratori qualificati. E’ bene ricordare che in questa indagine non sono inclusi i docenti, soprattutto meridionali, assunti nel 2015 ed in molti, trasferiti al settentrione con la mobilità predisposta dal ministero della Pubblica Istruzione nell’agosto del 2016.
Logo Rapporto - (foto da consulentidellavoro.it)
Inoltre, più di un occupato su dieci lavora in una provincia diversa da quella di residenza. Questa condizione incide molto sullo ‘stipendio, la soddisfazione dei lavoratori e la qualità della vita’. Dal rapporto emerge che Milano ‘per le brevi distanze, le occasioni di lavoro e i servizi di trasporto è l’epicentro degli spostamenti interprovinciali in Italia’.
Il fenomeno dei flussi è la diretta conseguenza dei livelli occupazionali che, come hanno rilevato diverse indagini statistiche, sono molto diversi tra le province del Nord e del Sud del Paese. Se, ad esempio, il tasso di occupazione nella provincia di Reggio Calabria è del 37%, in quella di Bolzano è del 72%.
Insomma, molti italiani emigrano all’estero, ma a farlo sono soprattutto i lavoratori meridionali, e questa non è una novità.

lunedì 19 giugno 2017

Nati e cresciuti in Italia, ma per la legge sono stranieri

‘Quando si avvicina uno straniero e noi lo confondiamo con un nostro fratello, poniamo fine a ogni conflitto. Ecco, questo è il momento in cui finisce la notte e comincia il giorno’, Paulo Coelho

di Pulvino Giovanni (@PulvinoGiovanni)

Foto da associazionecittadinidelmondo.it
Sono nati in Italia, frequentano le scuole italiane, parlano l’italiano, vivono regolarmente in Italia da almeno 5 anni, insomma sono italiani eppure per il nostro ordinamento giuridico sono stranieri. Hanno la pelle scura, gli occhi a mandorla, una religione diversa da quella cattolica ed i nonni all’estero, ma si sentono e sono a tutti gli effetti italiani anche se per la nostra legge sono solo immigrati con un regolare permesso di soggiorno. Nel secolo scorso anche noi, da stranieri, ci siamo sentiti americani, tedeschi, belgi, argentini, ed ancora oggi quando emigriamo ci sentiamo inglesi, francesi o spagnoli. Siamo cittadini del mondo, ma non accettiamo che ‘altri’ siano cittadini italiani, perché?
Foto da sestodailynews.net
La legge n. 91 del 5 febbraio 1992 prevede loius sanguinis’, la cittadinanza è trasmessa, cioè, solo dai genitori ai figli. Gli stranieri nati in Italia hanno diritto alla cittadinanza solo se, raggiunta la maggiore età, dichiarino entro un anno di volerla acquisire e se, nello stesso tempo, abbiano risieduto nel nostro Paese ininterrottamente e legalmente fino ad allora.
Il disegno di legge in discussione in Parlamento introduce due nuove modalità per ottenere la cittadinanza: lo ‘ius soli temperato’ (diritto legato al territorio) e lo ‘ius culturae’ (diritto legato all’istruzione). La prima procedura stabilisce che almeno uno dei genitori stranieri dei nati in Italia abbia un permesso di soggiorno Ue di lungo periodo e, in secondo luogo, che sia residente legalmente nel territorio nazionale da almeno 5 anni. Con lo ‘ius culturae’ possono ottenere la cittadinanza i minori stranieri nati in Italia o entrati nel nostro territorio entro il 12esimo anno di età e che abbiano ‘frequentato regolarmente per almeno cinque anni uno o più cicli presso istituti scolastici del sistema nazionale, o percorsi di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali’. Anche i ragazzi arrivati in Italia tra i 12 ed i 18 anni potranno ottenere la cittadinanza, ma solo dopo aver risieduto nel nostro Paese per almeno 6 anni e che, nello stesso tempo, abbiano frequentato un ‘ciclo scolastico, con il conseguimento del titolo conclusivo’. In entrambe le due nuove modalità deve essere fatta una dichiarazione di volontà del genitore o tutore del minore. In assenza potrà farlo il diretto interessato entro il suo 20esimo compleanno. Inoltre, è prevista la possibilità di rinunciare alla cittadinanza entro 20 anni.
In Italia ci sono attualmente un milione di minori stranieri, di questi 634.592 potrebbero avere la cittadinanza dopo l’approvazione del disegno di legge grazie allo ‘ius soli temperato’ e 166.008 grazie allo ‘ius culturae’. Ogni anno potrebbero beneficiarne circa 58.500, di questi circa 50mila nati in Italia ed altri 10mila nati all’estero.

sabato 17 giugno 2017

I più ricchi esercitano a Milano

I lavoratori autonomi con il reddito medio più alto svolgono la loro attività professionale nel Nord Italia, a sostenerlo è un'indagine condotta dall'Ufficio studi della Cgia di Mestre

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


(forto da cgiamestre.com)
Rispetto al 2013 il reddito medio è aumentato di 2.600 euro. L'incremento più alto ha riguardato soprattutto i liberi professionisti della Lombardia (3.577 euro). Secondo lo studio i lavoratori autonomi con il reddito medio più alto esercitano nel Nord Italia, in particolare a Milano (38.140 euro). Nella graduatoria seguono i liberi professionisti di Bolzano (con 35.294 euro), di Lecco (con 33.897 euro) di Bologna (con 33.584 euro), di Como (con 32.294 euro) e di Monza (32.897 euro).
La prima città meridionale è Bari che si trova al 64esimo posto della graduatoria con una media di 22.752 euro, seguita da Palermo con 22.684 euro, vale a dire oltre un terzo in meno rispetto alle città del Nord Italia. In fondo alla classifica ci sono i lavoratori autonomi della Calabria con un reddito medio due volte e mezzo in meno rispetto ai loro colleghi del capoluogo lombardo. In particolare i professionisti di Vibo Valentia hanno dichiarato 15.479 euro, di Crotone 15.645 euro e di Cosenza 16.318 euro.
(foto da today.it)
'Sebbene i dati riferiti al reddito medio siano abbastanza positivi - dichiara il coordinatore dell'Ufficio studi Paolo Zabeo - non dobbiamo dimenticare che la crisi ha fortemente polarizzato il mondo degli autonomi, condizionando questi risultati'. Ed ancora: 'Questa situazione, inoltre, ha divaricato la disparità territoriale: in particolare modo tra il Nord ed il Sud del Paese'.
I dati della Cgia dimostrano ancora una volta come l'Italia sia divisa in due: da un lato ci sono il Centro ed il Nord 'ricchi', dall'altro un Sud 'povero' ed abbandonato a se stesso. Anziché occuparsi di legge elettorale, riforme costituzionali, child adption, ecc., la classe dirigente nazionale dovrebbe preoccuparsi di chi non ha lavoro o ne ha uno precario, di chi non arriva a fine mese, di chi non riesce ad accedere al Servizio sanitario nazionale, di chi vive in condizioni di povertà assoluta o di disagio sociale. Ma forse non interessa perché questi problemi sono soprattutto al Sud. 'Cristo si è fermato ad Eboli' scriveva Carlo Levi nel 1945, e, purtroppo, è ancora così. E nessuno si illuda, questa condizione di sottosviluppo continuerà ancora, almeno fino a quando i meridionali non si 'adopereranno' per emanciparsi dalla condizione di sudditanza morale e culturale in cui vivono da sempre.


giovedì 15 giugno 2017

Prove di dialogo tra M5s e Lega, ma il vero inciucio avverrà tra il Pd di Renzi e FI

Dieci giorni fa si sarebbe svolto a Milano un faccia a faccia tra il leader del Carroccio, Matteo Salvini e il figlio del fondatore del M5s, Davide Casaleggio, a sostenerlo è il quotidiano la Repubblica

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Matteo Salvini e Davide Casaleggio (foto da rainews.it)
La notizia dell’incontro ‘segreto’ è stata diffusa dal quotidiano romano che, nonostante le smentite, ha confermato il colloquio avvenuto pochi giorni fa a Milano tra i massimi vertici dei due partiti. Il dialogo tra M5s e Lega è aperto, ma non c’è da stupirsi che questo avvenga e che nello stesso tempo esso sia smentito. Le due forze politiche hanno molto in comune. Entrambi i partiti sono populisti e sono acerrimi avversari del Pd, di Forza Italia, nonché della Sinistra cosiddetta radicale. Inoltre, sono movimenti politici anti-sistema, anti-Euro e, in generale, anti-Europa. Ed entrambi contestano le politiche adottate dal Governo sul fenomeno migratorio e sul mercato del lavoro.
La prima pagina di la Repubblica (foto da dire.it)
Con la bocciatura dell’Italicum e con il Consultellum, o comunque con un sistema elettorale non maggioritario, il M5s o la Lega non hanno alcuna possibilità di ottenere, da soli, i seggi necessari per avere la maggioranza in Parlamento. Le prove di dialogo sono, quindi, inevitabili. Escludendo a priori il Pd e FI, ai grillini non restano che il Carroccio o la sinistra di Articolo Uno. Nel primo caso si tratterebbe di un inciucio vero e proprio, ma è l’unica possibilità che hanno per non ‘passare’ un’altra legislatura senza governare. Per loro sarebbe una catastrofe politica. Il dialogo con la Sinistra, invece, è difficile ed esso, del resto, poteva avvenire all’inizio di questa legislatura, ma Roberta Lombardi, di fronte ai tentativi fatti in diretta streaming da Pier Luigi Bersani, liquidò quell’incontro con una sola frase: ’Mi sembra di essere a Ballarò’. Confrontarsi con questi presupposti è complicato anche per un mediatore e paziente uomo politico come l’ex leader del Pd.
Il rischio maggiore, se si andrà al voto con il sistema elettorale bocciato dalla Consulta, è che nessuna coalizione riesca a raggiungere la maggioranza in Parlamento. I risultati delle ultime elezioni amministrative dimostrano che solo un Centrodestra unito potrebbe raggiungere la metà più uno dei seggi oppure, in alternativa, sarebbe possibile un’alleanza tra PD, FI e, eventualmente, altre forze di centro o comunque moderate. L’inciucio quindi non avverrebbe tra il M5s e la Lega, ma tra il Pd di Renzi e Forza Italia.
Questa seconda ipotesi è confermata dalle parole pronunciate ieri sera ad Otto e mezzo dall'ex sindaco di Firenze. Alla domanda posta da Lilli Gruber, relativa all’invito di Giuliano Pisapia a partecipare alla kermesse per unire il Centrosinistra, il segretario del Pd ha risposto: ‘Il primo luglio se mi riesce vado al concerto di Vasco Rossi. Da Pisapia non sono stato invitato’. Non è un #giulianostaisereno, ma ci assomiglia molto.

sabato 3 giugno 2017

Non chiamatelo sistema elettorale tedesco

‘Questo è un tedesco col trucco, uno vince in un collegio ma passa il capolista bloccato. Ho persino dubbi di costituzionalità.’ Pier Luigi Bersani

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Pier Luigi Bersani - (foto da pescaranews.net)
Il Parlamento si accinge ad approvare un sistema elettorale proporzionale con il ‘trucco’, sostiene Pier Luigi Bersani in un’intervista rilasciata ieri a Repubblica.it. Inoltre, la soglia di sbarramento del 5% non consente ai piccoli partiti di essere rappresentati in Parlamento e, nello stesso tempo, essendo un sistema proporzionale, non garantisce la governabilità. Ma vediamo, in sintesi, come funzionerà la nuova legge elettorale.
Le schede che saranno consegnate agli elettori saranno due: una per la Camera e l’altra per il Senato. In ciascuna di esse, oltre ai simboli dei partiti, saranno indicati i nomi di tutti i candidati, anche se non potremo sceglierli con le preferenze. Il simbolo sarà posto al centro. Sulla sinistra saranno indicati i candidati in quel collegio uninominale. Sulla destra i nomi inseriti (da 2 a 6) nei vari listini circoscrizionali. Un candidato potrà presentarsi in un collegio uninominale e nelle liste circoscrizionali fino ad un massimo di tre. In ogni listino uno dei due sessi non potrà rappresentare più del 60% dei candidati ed in quelli uninominali non oltre il 60% di quel partito.
Con una sola crocetta l’elettore indicherà il partito, il candidato del collegio uninominale e quelli del ‘listino’. Non sarà possibile il cosiddetto voto ‘disgiunto’. Non sarà consentito, cioè, votare per un candidato del collegio uninominale ed uno, di un partito diverso, per le liste circoscrizionali. Chi non accetterà l’intero ‘pacchetto’ potrà solo cambiare partito o non votare.
Matteo Renzi, Beppe Grillo e Silvio Berlusconi
(foto da repubblica.it)
I seggi saranno attribuiti in proporzione alla percentuale di suffragi ottenuti. Il primo eletto sarà il candidato che otterrà oltre il 50 per cento dei voti nel proprio collegio. Questi saranno 303 alla Camera e 150 al Senato. Se nessuno raggiungerà la maggioranza assoluta nel collegio uninominale, sarà eletto il numero uno del ‘listino’ circoscrizionale. Inoltre, se quel partito avrà conquistato altri seggi nella circoscrizione scatteranno i vincitori del rispettivo collegio uninominale, a cui seguiranno gli altri nomi del ‘listino’. Infine, saranno eletti i perdenti dei collegi.
Non otterranno alcun seggio i partiti che non supereranno il 5 per cento sul totale dei voti espressi. Si tratta di almeno 1 milione e 700 mila suffragi. Questi voti saranno attribuiti in modo proporzionale ai vincitori. In tal modo i consensi delle liste più piccole che non raggiungeranno il quorum andranno ai partiti maggiori. Questo sistema crea un ‘premio’ nascosto, che sarà tanto maggiore quanto più elevato sarà il numero di liste che non supereranno la soglia minima del 5 per cento. In altre parole, si verificherà un paradosso: molti elettori finiranno per sostenere un partito che invece desiderano combattere. Per evitare questa eventualità l’elettore potrà optare per una lista che di certo supererà la soglia. E’ la logica del cosiddetto ’voto utile’, che, ovviamente, favorisce i partiti maggiori.
Il sistema proposto differisce da quello tedesco per due aspetti assai importanti. Innanzitutto, il voto disgiunto nel sistema elettorale tedesco è consentito. Inoltre, chi sarà eletto nei collegi uninominali otterrà il seggio, nel sistema in discussione invece, anche vincendo con la maggioranza assoluta, per ottenere il seggio la lista dovrà prima superare la soglia di sbarramento del 5%.
Insomma, questo sistema elettorale, essendo proporzionale, non garantirà la governabilità e, con una soglia di sbarramento così alta, non consentirà alle liste più piccole di essere rappresentate in Parlamento. Le uniche certezze saranno l’elezione delle élite dei partiti maggiori ed un governo di coalizione, proprio quello che Matteo Renzi sino a pochi mesi fa voleva impedire con l’Italicum.