lunedì 28 dicembre 2020

Tesori di Sicilia: vento di scirocco

 di Concetta Pulvino

Torremuzza, 28 dicembre 2020 - (foto di Pulvino Concetta)

Il vento di scirocco alza un velo di vapore acqueo impetuoso e leggero, oltre il bianco e l’azzurro le sagome delle isole Eolie, nascoste per un giorno o due da questa leggera nebbia marina, anche questo è un miracolo della natura, anche questo è un tesoro di Sicilia.

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Scirocco 

O rabido ventare di scirocco

che l'arsiccio terreno gialloverde bruci;

e su nel cielo pieno

di smorte luci

trapassa qualche biocco

di nuvola, e si perde.

Ore perplesse, brividi

d'una vita che fugge

come acqua tra le dita;

inafferrati eventi,

luci - ombre, commovimenti

delle cose malferme della terra;

oh alide ali dell'aria

ora son io

l'agave che s'abbarbica al crepaccio

dello scoglio

e sfugge al mare da le braccia d'alghe

che spalanca ampie gole e abbranca rocce;

e nel fermento

d'ogni essenza, coi miei racchiusi bocci

che non sanno più esplodere oggi sento

la mia immobilità come un tormento. 

di Eugenio Montale




giovedì 24 dicembre 2020

Istat: oltre 12 milioni di italiani sono a rischio povertà o esclusione sociale

Il Rapporto Istat 2019 sulle condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie conferma le disuguaglianze e il rischio di cadere in miseria per oltre il 20% degli italiani. Ma non avevamo abolito la povertà?

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da istat.it

Il 28 settembre del 2018 l’allora ministro dello Sviluppo economico e vicepremier Luigi Di Maio annunciò dal balcone di Palazzo Chigi l’abolizione della povertà. I dati pubblicati dall’Istat confermano invece che questa condizione è rimasta immutata per milioni di italiani e che tanti altri rischiano di caderci.

Il numero di individui a rischio di povertà o esclusione sociale è rimasto stabile. Nel 2019 erano circa 12 milioni e 60 mila individui, cioè il 20,1% del totale della popolazione italiana. A sostenerlo è il Rapporto Istat sulle condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie del 2019. Si tratta di persone che vivono con un reddito mensile di circa 858 euro, mentre il 7,4% si trovava in una ‘grave deprivazione materiale’.

La media nazionale rimane molto elevata, anche se è passata dal 27,3% del 2018 al 25,6% dello scorso anno. La percentuale più alta è stata registrata nel Mezzogiorno, dove le persone a rischio di povertà ed esclusione sociale sono passate dal 45% del 2018 al 42,25 del 2019. Mentre, il rischio di cadere in povertà è rimasto invariato o quasi, è passato cioè dal 34,4% al 34,7%.

La disuguaglianza tra i ceti sociali rimane stabile. Il reddito delle famiglie più povere resta sei volte inferiore rispetto a quello delle famiglie più abbienti. È cresciuto, sia pur di poco, il reddito da lavoro dipendente, mentre è diminuito quello da lavoro autonomo. Il reddito netto medio delle famiglie (31.641 euro annui) è aumentato in valore nominale, ma si è ridotto in termini reali (-0,4%).

Nel Meridione esso è stato di 29.876 euro (la media nazionale è stata di 36.416 euro), mentre nel Nord-est è stato di 40.355 euro, cioè il 25,96% in più rispetto al Sud del Paese.

Nel Mezzogiorno ‘la disuguaglianza reddituale è più accentuata’. Il 20% più ricco della popolazione aveva un reddito 5,8 volte superiore a quello della fascia più povera, mentre il rapporto più basso (3,9) è stato registrato nel Nord-est.

Fonte istat.it

sabato 19 dicembre 2020

Covid-19: avremmo dovuto saltare il 2020

La notte di Natale e il Cenone di fine anno del 2020 saranno diversi da tutti quelli che abbia vissuto finora, di certo saranno giorni di festa unici, alternativi

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Giotto, La Natività (foto da wikipedia.org)


Quando lo scorso anno la pandemia dovuta al Coronavirus è iniziata a manifestarsi, nessuno immaginava di dover vivere giorni così difficili. Sono stati dodici mesi complicati, ma non è detto che il peggio sia alle nostre spalle. Gli esperti ci dicono che la terza ondata ci sarà e potrebbe essere più virulenta delle precedenti. Tra pochi giorni sarà Natale, ma è certo, non sarà uguale a quello che abbiamo vissuto nel 2019.

Quello che sta per terminare è stato un ‘annus horribilis’. Decine di migliaia di morti, milioni di contagiati e sofferenze indicibili per malati ed operatori sanitari, i veri eroi di questa fase tragica della storia umana. Ed ancora. Limitazioni delle libertà personali, rinuncia forzata alla socializzazione, anche tra parenti ed amici, crollo dei consumi e degli investimenti, aumento della povertà e delle disuguaglianze.

Le privazioni di solito ci rendono ‘migliori’. Chissà se anche stavolta sarà così. Dubitare è più che lecito. Sentiamo che qualcosa ci manca. E non vediamo l’ora che ritorni la quotidianità perduta. Tutto nella consapevolezza che la vita fugge via, perché del domani non v’è certezza.

Oggi, siamo più soli, siamo più umani. Certo, non è così per tutti, c’è chi nega e si nasconde dietro al proprio egoismo. In questi giorni possiamo verificare senza possibilità di sbagliare chi è altruista e chi invece vive pensando solo a sé stesso, chi ritiene, cioè, di non aver bisogno di nessuno se non del proprio ego.

Sarà un Natale ‘alternativo’, qualcuno con tono sarcastico ha detto che sarà ‘al Covid’. E sarà un Cenone triste. Saranno giorni in cui sarà difficile non pensare a chi non c’è più. Sentiremo un vuoto ed una mancanza che non si possono colmare. Solo il tempo potrà scolorirli, ma non potrà rimuoverli, mai.

Se avessimo saputo e se fosse stato possibile farlo, avremmo dovuto saltare il 2020. Passare dal 2019 al 2021. Anche a costo di rinunciare ad un anno della nostra vita. Ponendo, però, una condizione: cancellare tutte le vittime e le sofferenze che questo anno ‘orribile’ ha provocato.

Sta per andarsene il 2020, ma deve rimanere la coscienza che è stato un anno di 'Resistenza' e che l’inizio del 2021 sarà altrettanto complicato. Con la differenza che dopo tanti sacrifici, ora vediamo la luce in fondo al tunnel. Chissà se sapremo essere 'migliori'. Di certo saremo più consapevoli della nostra fragilità e della nostra estemporaneità di essere umani, il resto è solo una tenue speranza.

sabato 12 dicembre 2020

Gregoretti: quella di Salvini fu responsabilità penale o politica?

Nella vicenda giudiziaria della nave Gregoretti l’errore politico fatto da Matteo Salvini è stato quello di prendere troppo sul serio e come solidissimo l’accordo di governo con il M5s, ma la sua fu responsabilità penale, politica o entrambe?

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Giuseppe Conte e Matteo Salvini
(foto da repubblica.it)

In questi giorni si sta svolgendo a Catania l’udienza preliminare del cosiddetto processo Gregoretti. L’accusa a carico di Matteo Salvini è sequestro di persona. Nel 2019 egli ritardò lo sbarco di 131 migranti nel porto militare di Augusta. Il leader della Lega rischia il rinvio a giudizio, ma prima il giudice vuole verificare se quella decisione sia stata condivisa da tutto il governo Conte 1.

L'ex ministro dell’Interno ha giustificato il suo operato sostenendo di ‘di aver salvato vite tutelando l’interesse nazionale italiano’ e di averlo fatto ’in compagnia di tutto il Governo’.

A parole faceva il duro, diceva che difendeva i confini ma negli atti giudiziari scarica su altri la responsabilità’. Questo è quanto ha dichiarato, invece, l’ex ministro dei Trasporti e suo collega di Governo, Danilo Toninelli.

È bene ricordare che la Gregoretti non è un’imbarcazione privata o di una Organizzazione non governativa, ma della Guardia costiera. E', cioè, una nave militare italiana. Chi ha studiato diritto costituzionale alle scuole superiori sa (nei Licei questa disciplina non si studia) che una nave militare battente bandiera italiana è territorio nazionale. Aver impedito lo sbarco dei migranti è per il nostro ordinamento giuridico un atto illegittimo, in quanto i migranti si trovavano già sotto la giurisdizione italiana. Dal punto di vista politico, il comportamento dell’ex ministro degli Interni non è stato ‘a tutela dell’interesse nazionale’, ma una forzatura ideologica per rimanere fedele alla propria linea politica, quella dei respingimenti, ‘confondendo’, però, i confini con la territorialità e la Gregoretti come una nave di una Ong.  

Matteo Salvini non ne era a conoscenza? È difficile da credere. Come è difficile ritenere che non ci fosse nei ministri che facevano parte di quel Governo la consapevolezza di infrangere l’ordinamento giuridico. Probabilmente il leader leghista ha forzato la situazione puntando sugli ‘ammiccamenti’ dei suoi allegati di maggioranza, cioè dei grillini. In quei mesi i vari ministri del Conte 1 e lo stesso Presidente del Consiglio hanno sostenuto più volte la linea dura del ministro degli Interni. Negarlo oggi, come fa Toninelli, non è plausibile.

Occorre solo capire se in quel caso specifico il successore di ‘Albert de Giussan’ fece di testa sua o se in qualche modo ebbe il sostegno formale o informale di tutto il Governo. Ipotesi quest’ultima non inverosimile.

Comunque andrà il procedimento giudiziario due fatti sono certi. Il leader leghista in quelle settimane agiva come se fosse Lui il presidente del Consiglio, come se tutto gli fosse concesso, anche di forzare un dettato normativo chiaro come quello previsto dal nostro ordinamento giuridico. Il secondo aspetto inconfutabile è che, al di là dei distinguo di oggi e della formalità o informalità degli atti, tutto questo è stato possibile perché il Governo Conte 1 era per una linea dura nei confronti degli sbarchi e dei respingimenti.

La responsabilità penale è personale’, sancisce l’articolo 27 della Costituzione italiana, ma quella politica è di certo di tutto il Governo ‘pentaleghista’. E quei fatti furono possibili perché erano il frutto di un preciso accordo politico tra la Lega e il M5s. L’unico errore fatto da Matteo Salvini è stato quello di prendere quel Patto troppo sul serio.

venerdì 11 dicembre 2020

‘Ed ora tutti allo scoglio’, gridò qualcuno

I ricordi vengono e poi, dopo un po', se ne vanno senza volere, chissà da cosa sono guidati. Una cosa è certa: una spiegazione non c’è e non ci potrà mai essere. Ora tornano indietro nel tempo, a quell’estate di tanti anni fa

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Lo scoglio -Torremuzza - Me (foto di Antonino Ciccia) 

Era una bellissima giornata di sole, il mare era piatto, come solo a luglio è possibile che sia. Ed ora tutti allo scoglio’, gridò qualcuno. Bastava un semplice richiamo buttato lì quasi senza volere perché la ciurma di ragazzini seduti sotto una vecchia e malandata barca di pescatori incominciasse a muoversi. A piedi nudi, con le infradito o con gli zoccoli, un po' in acqua un po' fuori, tra sabbia e sassolini, in fila indiana lungo la riva andavamo cento metri più in là. Un minuto, due, ed eri di fronte allo scoglio. Da lì alzando lo sguardo avresti potuto vedere in tutta la sua maestosità la Torre. Saranno una cinquantina di metri. Subito sotto ci sono la strada statale e la linea ferroviaria che, per la sporgenza, curvano proprio in quel punto. È una torre di avvistamento, come ce ne sono tante in Sicilia. Questa differisce dalle altre per la forma: sembra una poltrona senza braccioli. Probabilmente è proprio da questa stranezza che il Borgo marinaro ha preso il nome: Torre mozza, diventato Torremuzza. Che la torre fosse stata costruita in quel punto è comprensibile, ma che sulla stessa linea ci fosse anche lo scoglio è del tutto casuale.

Una pausa ed ecco che i pensieri tornano a muoversi, divagano, si accavallano, si allontanano. Occorre concentrarsi per evitare di subirli passivamente.

Ora è tempo di entrare in acqua. Il fondo è pietroso, raramente tra la riva e lo scoglio si è adagiata la sabbia. Quando questo succedeva si poteva arrivare su questa piattaforma naturale camminando nell’acqua, chiunque poteva salire in sicurezza anche chi non sapeva nuotare. Spensierati come eravamo raggiungere lo scoglio non era complicato, ma un po' di trepidazione c’era sempre. A volte non si toccava ed era necessario nuotare per arrivare sulla parte più vicina alla riva. Per salire c’era il timore di graffiarsi un piede sullo scalino creato dall’erosine dell’acqua o da qualche pescatore di buona volontà, comunque sia esso facilitava l’ascesa e non c’era nessuna paura ad utilizzarlo anche se era come fare un passo nel buio, speravi solo di non pungerti e di non trovarci un granchio o un altro crostaceo.

Un attimo di esitazione ed eri già sulla piattaforma ‘lipposa’, un po' bagnata un po' sconnessa, ma, facendo attenzione, non c’era pericolo di scivolare. Qualcuno andava a sedersi in una specie di conca che c'è al centro dello scoglio, ma anche qui non era esclusa la presenza di qualche granchietto. Qualcuno sosteneva che fosse stato il principe di Torremuzza ad aver fatto scavare quella specie di poltrona. E che dalla torre ci fosse un passaggio segreto per scendere fino al mare, ma non ho mai capito dove fosse. Verità o fantasie di ragazzini? Che importa. Anche quella storia era spensieratezza e felicità.

Una volta su' non potevamo evitare di guardare le fessure d’acqua che c’erano tra lo scoglio su cui eravamo saliti e quelli che c’erano tutt’intorno. Una era particolarmente pericolosa: c’era il ‘risucchio’. Chi ci finiva dentro rischiava di andare sotto e non riuscire più a riemergere. Mai nessuno di noi si è azzardato a farlo. Una volta un ragazzo vi morì annegato, ma non era del paese. Per esorcizzare il pericolo che quel dramma aveva ‘rivelato’ alla nostra coscienza di bambini ci dicevamo che era di Mistretta, un paesino di montagna e che di certo quel giovane non conosceva lo scoglio e probabilmente non sapeva nuotare. Il ricordo dell’ambulanza e della tragica notizia non è stato cancellato dalla memoria, ma è scolorito in pochi ore, come se dentro di noi ci fosse stato un interruttore pronto ad azionarsi automaticamente per spegnere i pensieri tristi. Quando si è giovani è così. Si inibiscono senza volere tutti i fatti che impediscono di vivere con leggerezza ed allegria. A quell’età questi frammenti di memoria scorrono come l’acqua sulle pietre, scivolano via e non gli dai quell’importanza che invece dovrebbero avere.

I pensieri corrono, sono infiniti e ritornano, senza volerlo, allo stesso punto.

No, non avevamo nessuna paura a salire sullo scoglio. Era un gioco, un divertimento come un altro. Andavamo per tuffarci. Per noi torremuzzari non era necessario andare in piscina. Del resto, chi ci era mai stato? Non ne esistevano nei paraggi. Erano sfizi da cittadini e da nordici. Noi avevamo il mare e questa piattaforma naturale, non ci serviva altro. Spensieratezza e vitalità. Si, ora ne sono certo era felicità. Per stare bene non avevamo bisogno di nient’altro. Il sole, l’estate, la giovinezza, i compagni, il mare, e, quel giorno, l’ebrezza dei tuffi. Certo c’era chi dava delle ‘panzate’ tremende e chi entrava in acqua con i piedi per paura di sbattere. Il timore era quello di arrivare sul fondo con le braccia o con la testa e farsi male, infatti l’acqua non era profonda e non era esclusa qualche pietra o qualche spuntone di scoglio su cui si poteva sbattere. Dall’altro lato della piattaforma l’acqua era sempre limpida e profonda, si vedeva il fondale e ci si poteva tuffare senza timore di toccare. Raramente lo facevamo, proprio perché non si toccava. Anche se sei un provetto nuotatore è sempre pericoloso andare dove non si possono poggiare i piedi in caso di necessità. In più, per risalire era necessario fare il giro a nuoto, mentre dal lato più basso erano solo pochi metri.

La sfida era sempre a chi faceva meglio l’entrata a delfino, anche se non c’era mai un vincitore. Il divertimento era la condivisione, non chi era più bravo. Tuffarsi, in successione, uno dietro l’altro era una prassi inevitabile. Naturalmente era necessario stare attenti per evitare di andare addosso a chi era saltato in acqua prima di te.

Dopo l’ultima ‘panzata’ si tornava a riva.

Un ultimo sguardo alla Torre, anche per la curiosità di vedere se c’era qualcuno.

Poi il ritorno, un altro momento di gioia se ne era andato, e così sarebbe stato per tutta l’estate, e per quelle successive, ora, a distanza di tanti anni, non restano che questi brevi ed inutili ricordi, nient’altro.

sabato 5 dicembre 2020

Covid-19, la terza ondata è quasi certa, ecco perchè

Non saranno un Natale ed un Capodanno sereni, almeno non per tutti. Continuare a rispettare in modo rigoroso le regole di contenimento del Covid-19 sarà dirimente per limitare la terza ondata della pandemia

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Giorgione - Adoration of the Shepherds
 National Gallery of Art,  Washington D. C. 
online collection ( foto da it-wikipedia.org)

Gli ultimi dati sull’epidemia dovuta al Coronavirus fanno ben sperare. Negli ultimi giorni sono calati i nuovi casi di contagio e, soprattutto, è in diminuzione il rapporto con i tamponi effettuati. Le misure adottate dal Governo sembrano funzionare, anche se resta molto alto il numero dei decessi. L'andamento della curva della pandemia torna a scendere in tutte le Regioni, ma il virus continua a circolare. La storia ci insegna che le epidemie si espandono per successive ondate. L’allentamento dell’attenzione durante l’estate è stata la principale causa dell’aumento dei contagi. Ora non bisogna ripetere lo stesso errore.

È il momento di mantenere alta l’attenzione, di continuare a rispettare con rigore le regole sul distanziamento. Un secondo ‘liberi tutti’ in occasione del Natale e del Capodanno potrebbe essere particolarmente grave.

L’arrivo della terza ondata è assai probabile. Le ragioni sono almeno tre. La prima è il rientro a scuola previsto per il 7 di gennaio. Coloro che insistono per un ripristino della didattica in presenza, prima tra tutti la ministra Lucia Azzolina, non tengono conto degli inevitabili assembramenti che questo comporterà nei mezzi di trasporti, nei locali pubblici e nelle aule scolastiche. Non vedere questi pericoli o fare finta di non vederli, non è comprensibile.

Un secondo motivo è il comportamento spesso 'infantile' dei negazionisti e non solo. Un allentamento delle misure per molti è interpretato come un ritorno alla 'normalità'. Gli italiani hanno bisogno di regole stringenti, altrimenti è l’anarchia. La stessa cosa succede a scuola. Quando i professori per un qualunque motivo allentano la tensione sulle regole di comportamento, il caos in classe e nei corridoi è assicurato. Purtroppo, quello degli adulti non è il ‘fanciullino’ che ritroviamo nelle poesie di Giovanni Pascoli, ma piuttosto una diffusa mancanza di cultura e di senso della comunità.

Infine, la motivazione più grave: l’arrivo dell’influenza stagionale. Tra la fine di dicembre e l’inizio di marzo milioni di italiani saranno costretti a stare a letto con la febbre. Per molti sarà complicato capire se si tratta di influenza o di Covid-19. La corsa a fare i tamponi sarà inevitabile. Questo comporterà un ulteriore intasamento degli ospedali. Ed ancora una volta capiremo quanto sia importante una medicina di base diffusa sul territorio e di come siano stati deleteri i tagli alla Sanità pubblica operati negli ultimi decenni.

Tra poche settimane dovremo affrontare la fase più complicata della pandemia e, ancora una volta, saranno i nostri comportamenti a fare la differenza. Di certo, con quasi mille morti al giorno per Coronavirus, parlare in questo momento di cena di Natale o del cenone di Capodanno è a dir poco paradossale.