sabato 29 aprile 2023

La Fiat 127 non era un lusso

Negli anni Settanta per comprare un'utilitaria erano sufficienti circa cinque mensilità, oggi non ne bastano neanche 10. La perdita di potere d'acquisto dei lavoratori è evidente. Com’è stato possibile?

di Giovanni Pulvino

Fiat 127

Negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso la Sinistra era forte e non solo in Parlamento. La contestazione ed il conflitto sociale di quegli anni non avrebbero portato a nulla se non ci fosse stato il PCI.

Le riforme sociali approvate in quel ventennio hanno migliorato le condizioni di vita dei lavoratori.

Il nuovo Diritto di famiglia, il Divorzio, lo Statuto dei lavoratori, la scala mobile, ect.. Provvedimenti che hanno ridotto le diseguaglianze ed hanno gettato le basi per una società più giusta.

La strategia della tensione, le bombe sui treni e nelle piazze, gli attentati terroristici e, al Sud, il clientelismo e la non lotta alle mafie, avevano un solo scopo: fermare quell’ondata ‘rivoluzionaria’.

Nel 1985, la mancata abrogazione del decreto di San Valentino che limitava l'adeguamento salariale segnò l’inizio della ‘restaurazione’. La scala mobile fu soppressa definitivamente il 31 luglio del 1992. Il ‘Protocollo Ciampi’ del 23 luglio del 1993 pose fine all’iperinflazione, ma diede inizio all’ineguale distribuzione della ricchezza prodotta.

Negli ultimi trent’anni i salari monetari dei lavoratori sono rimasti invariati e gli adeguamenti contrattuali non hanno compensato l’aumento del costo della vita.

L’incremento dei poveri assoluti e di quelli relativi è una costante che nessun governo è riuscito a fermare dalla fine degli anni Ottanta ad oggi.

La globalizzazione ha accentuato questo fenomeno. Fino a quando l’offerta di lavoro sarà più alta della domanda il calo dei salari sarà inevitabile. Oggi anche chi lavora è povero.

Non sorprende quindi se nel 2023 occorrono rispetto agli anni Settanta più del doppio delle mensilità di un salario medio per acquistare un'utilitaria.

Quando si affievolisce il conflitto sociale, i proprietari dei mezzi di produzione ne approfittano e non solo in senso figurato.

Sognavamo la Serie A

Stavamo seduti a Sant’Antonino a fare la formazione del Torremuzza ed immaginavamo di vincere i campionati di calcio dilettantistici e quelli dei professionisti della Serie C, della Serie B ed andare in Serie A

di Giovanni Pulvino

La cappella di Sant'Antonino, Torremuzza (Me)
Nel corso della Seconda guerra mondiale i militari del Genio del Regio Esercito hanno costruito centinaia di bunker di avvistamento e di guardia. Tre di questi si trovano nella nostra frazione. Uno è Nzusu, un altro è di fronte alla spiaggia ed un terzo è stato posto sulla via Nazionale, all’inizio di via San Giuseppe e a pochi passi da via Sant’Antonio. Su quest'ultimo è stata eretta la cappella di Sant'Antonino.

Siamo cresciuti con questo struttura posta in un punto centrale del paese e da dove è impossibile non passare. Spesso stavamo seduti sui gradini costruiti per consentire l'acceso al santuario. Lo facevamo senza sapere il motivo per cui la cappella fosse lì, semplicemente l’abbiamo trovata lì. 

Di tanto in tanto vedevamo una coppia di signori maturi che venivano a portare dei fiori. Perché lo facevano? Era solo devozione oppure c'era un altro motivo? Accanto alla statua di Sant'Antonino su una mattonella in marmo c'è una scritta che spiega i motivi per cui fu realizzata. Nel 1955 un bambino di tre anni si perse nella campagna che circonda la frazione. Fu ritrovato tre giorni dopo. I genitori per adempiere al voto che avevano fatto e per ringraziare Sant'Antonino fecero costruire il santuario. 

Con il passare del tempo per noi torremuzzari questa struttura è diventata una presenza così familiare che non facevamo più caso al suo significato religioso. Questo lo davamo e lo diamo per scontato. Era ormai, ma forse lo è sempre stato, un simbolo del paese e, nello stesso tempo, un luogo di ritrovo. Per noi era una specie di ‘salotto’ all’aperto, cinque scalini in cemento armato che non hanno mai avuto bisogno di manutenzione. 

'Protetti dalla benevolenza' di Sant'Antonino stavamo lì a tutte le ore. Lo facevamo nelle giornate invernali o primaverili a prendere il sole, oppure d’estate per godere di un po' di frescura, quella procurata dal venticello di brezza che nel primo pomeriggio increspa il mare e lo colora di un azzurro intenso. Era un soffio leggero leggero quello che giungeva, sembrava spinto dalle isole Eolie che si trovano là in fondo, sulla linea quasi trasparente dell’orizzonte. Queste sagome a forma di vulcano erano una presenza costante ed anche quando nelle giornate nuvolose non erano visibili sapevamo che c’erano.


Stavamo seduti a chiacchierare in attesa del prossimo gioco da fare o da progettare per il giorno dopo o semplicemente a non fare nulla.

Stavamo li ad ascoltare la Hit parade che ogni settimana trasmetteva Rai Radio uno o ad indovinare i titoli delle canzoni che qualcuno accennava o a contare il numero di auto che passavano. Facevamo a gare su chi indovinava quante ne sarebbero transitate con la targa di Messina o di Palermo o di un’altra provincia. Allora tutti i mezzi di trasporto avevano la sigla della città di immatricolazione. Ed era facile intuire la provenienza di chi ci stava dentro, specie d’estate, anche se a volte non riuscivamo a decifrare la sigla. Chissà perché quel modo di identificare le auto è stato cambiato. Ora non si capisce neanche se sono italiane o di un altro paese.

Era un gioco semplice ed era inutile, ma cosa lo è? E non era importante vincere quello che contava era la condivisione di quei momenti, erano attimi di felicità, ma allora non lo sapevamo.

Stavamo seduti lì a sognare la Serie A. Si, la serie A. Per i giovani torremuzzari il calcio era tutto o quasi, nulla era impossibile. Non c’era giorno che non facessimo una partita o qualche altro gioco con il super Santos sgonfio o scoppio. Giocavamo tutti, anche coloro che non amavano il calcio. Del resto quello era l'unico modo che questi nostri coetanei e non solo avevano per sentirsi parte del gruppo, della comunità. 

Facevamo le partite in piazza Marina che allora era ancora in terra battuta. Poi, dopo che è stata pavimentata, giocavamo nella parte alta e successivamente in quella bassa. Sotto i ponti della ferrovia facevamo una specie di calcio-tennis, ma senza la rete, le due sponde dell’arco fungevano da porte.

Il cortile Marina
Giocavamo anche
nto bacchiu’, nel cortile Marina. Una volta pioveva a dirotto, ma non c’erano macchine, era stato appena rifatta, per un breve periodo divenne uno spazio tutto per noi e quel pomeriggio ci sentimmo come i campioni della Serie A. Un’altra volta ci sfidammo i ragazzi della colonia di Reitano che durante l’estate venivano a Torremuzza per trascorrere una giornata al mare. Vincemmo tra gli applausi di chi stava a guardare dai gradini delle scale delle case che hanno l’entrata proprio in quel cortile. Ricordo anche qualche azione di quella partita. Ci fu ad un certo punto uno scambio veloce e preciso ed il gol della vittoria.

Giocavamo spesso anche nel cortile delle scuole elementari

I primi tre anni della scuola primaria li abbiamo fatti in un locale attiguo al tabacchino, di proprietà da za R. e la nostra insegnante era sua figlia L.. Nella nuova struttura frequentammo la quarta e la quinta elementare ed i nostri insegnanti erano, oltre alla maestra L., a za P. e, per un breve periodo, l’altro figlio da za R., P.. Una mattina con quest’ultimo anziché stare in classe siamo usciti nel cortile a fare una partita con il super Santos. Lo facevamo spesso. Ad un certo punto il pallone mi passò sopra la testa, in un attimo mi girai e feci una rovesciata volante. Ancora oggi non so come non mi sia fatto male. 

La spensieratezza a quell’età è così tanta che ti senti invincibile e fai cose che poi ti appaiono inspiegabili.

Giocavamo quasi sempre nel cortile delle scuole elementari che era stato pavimentato solo dal lato dell’ingresso e la struttura posteriore ancora non c’era. Tutto attorno era in terra battuta. Allora lì si potevano fare diversi giochi. Facevamo i giri con la bici e memorabili partite a mini-tennis proprio dove c'è la porta d'ingresso della scuola. Ci giocavamo a guardia e ladri, a nascondino, lì facevamo le partite a pallavolo, a calcio individuale, a chi faceva più palleggi, ma sempre con il super Santos. Quest'ultimo gioco mi ritorna sempre in mente perché a vincere erano quelli che a calcio erano ‘scarsi’. Ancora oggi non capisco come questo sia stato possibile, ma è successo. Uno di noi ne fece mille senza far cadere il pallone per terra. Eppure, era un nostro compagno che non partecipava quasi mai alle partite, ma in quel gioco era imbattibile. 

È proprio vero nel calcio le abilità tecniche non sono sufficienti, occorre anche altro. Intelligenza, altruismo, spirito di gruppo, sacrificio e passione. Ed occorre tutto insieme, se hai una sola di queste qualità non sei un buon calciatore. E poi ci vuole anche una struttura fisica forte, ma questo lo capimmo dopo, quando da adulti i sogni svaniscono ed entri nella realtà della vita, che è diversa da quella che hai vissuto da piccolo. Ci fu un periodo, quello che precedette il grave infortunio che ha cambiato le mie aspettative, in cui andavo in quel cortile tutte le mattine per allenarmi. La passione era tale che ci andavo prima di andare a scuola.

Quando si è giovani le ambizioni sono così forti che fai cose che da grande non farai più. Poi è cambiato tutto. Per anni ho temuto di cadere dagli scalini alti pochi centimetri e non ho fatto sport e soprattutto calcio.

La nostra esistenza dipende da eventi non voluti, che ci condizionano e ci segnano senza volere, senza che possiamo impedirli.

Stavamo seduti a Sant’Antonino a fare la formazione del Torremuzza ed immaginavamo di vincere i campionati di calcio dilettantistici e quelli dei professionisti della Serie C, della Serie B ed andare in Serie A. Non avevamo limiti, anche se non avevamo mai giocato in un campo vero, eppure sognavamo la Serie A.

Si era immaginazione, ma quanto era bello fantasticare.

Cos’altro ci resta oggi se non quei ricordi? Pensieri che non puoi controllare. Sono loro che decidono quando venire, andare o sopirsi per un po', per poi tornare ancora e ancora. È un tormento, è una gioia, chissà, di certo è il tempo che passa, che diventa memoria inconsapevole ed inutile, come tutto, come tutti.


sabato 22 aprile 2023

Irma non parlò, resistette alle torture fino alla fine

La più ignominiosa disfatta della loro sanguinante professione si chiamava Irma Bandiera’. Questo è quanto ha detto Renata Viganò a proposito degli aguzzini della giovane partigiana ‘Mimma’, torturata e uccisisi dai fascisti il 14 agosto del 1944

di Giovanni Pulvino

Partigiani - Foto da @annapaolasanna

Figlia di una famiglia benestante bolognese, Irma Bandiera nasce l’otto aprile del 1915. Dopo l’armistizio, avvenuto l’otto settembre del 1943, inizia ad aiutare i soldati sbandati e ad interessarsi di politica aderendo al partito Comunista. Entra a far parte della VII brigata GAP Gianni Garibaldi di Bologna con il nome di battaglia ‘Mimma’.

Il 7 agosto del 1944 dopo aver trasportato delle armi alla base della sua formazione a Castel Maggiore viene arrestata a casa dello zio insieme ad altri partigiani. Separata dai compagni è richiusa nella scuola di San Giorgio e successivamente nel carcere di Bologna dove i suoi aguzzini sperano di ottenere da Lei informazioni sulla Resistenza.

Irma Bandiera - (foto da it.wikipedia.org)
‘Fu torturata per sei giorni e per sei notti dai fascisti della Compagnia Autonoma Speciale del Capitano Renato Tartarotti’. Le sevizie furono così atroci che i suoi carnefici arrivarono ad accecarla. Ma Irma non parlò. Resistette alle torture fino alla fine.

Il 14 agosto i repubblichini la fucilarono con alcuni di colpi di pistola nei pressi della casa dei genitori a Meloncello di Bologna. Il corpo fu lasciato sul selciato di una fabbrica per un intero giorno come monito per gli altri partigiani.

Nell’estate del 1944 una formazione dei SAP (Squadra di azione patriottica) di Bologna prese il nome di Prima Brigata Garibaldi ‘Irma Bandiera’.

Dopo la Liberazione, avvenuta il 25 aprile del 1945, fu insignita insieme ad altre 18 partigiane della medaglia al valor militare con la seguente motivazione: ‘Prima fra le donne bolognesi a impugnare le armi per la lotta nel nome della libertà, si batté sempre con leonino coraggio. Catturata in combattimento dalle SS. tedesche, sottoposta a feroci torture, non disse una parola che potesse compromettere i compagni. Dopo essere stata accecata fu barbaramente trucidata e il corpo lasciato sulla pubblica via. Eroina purissima degna delle virtù delle italiche donne, fu faro luminoso di tutti i patrioti bolognesi nella guerra di Liberazione.’

Fonte wikipedia.org

sabato 15 aprile 2023

Giorgia Meloni: ‘lo Stato di emergenza vi serve per consolidare il potere’

Lo Stato di emergenza vi serve per consolidare il potere, perché lo Stato di emergenza vi consente di fare quello che volete senza regole e controlli’, sosteneva Giorgia Meloni nel 2020

di Giovanni Pulvino

Giorgia Meloni

Io non posso credere che Lei lo pensi davvero. Quello che io devo credere è che non Le interessa e che è un prezzo che Lei è disposto a pagare, perché quella della quale vi state occupando non è la salute degli italiani ma è la salute del vostro Governo, perché lo Stato di emergenza vi serve per consolidare il potere, perché lo Stato di emergenza vi consente di fare quello che volete senza regole e controlli. Questo è quello che state chiedendo al Parlamento della Repubblica italiana e non si può fare finta che sia un’altra cosa ... Avete imparato la lezione. La lezione è che lo Stato di emergenza consolida il Governo ..’.

Questa dichiarazione è stata fatta alla Camera dei deputati il 29 luglio del 2020, cioè in piena pandemia da Covid-19 ed era rivolta al Presidente del Consiglio di allora, Giuseppe Conte, il Governo era sostenuto dal M5s e dal Pd. L’autore dell'invettiva non era un pericoloso rivoluzionario, ma la deputata Giorgia Meloni. Il tono aggressivo ed esacerbato che ha utilizzato è quello che la leader di FdI usava spesso quando era all’opposizione. Ora, invece, appare pacata ed ironica, almeno in apparenza.

Migliaia di morti e contagiati al giorno non erano una motivazione sufficiente per chiedere misure straordinarie. Oggi invece l’arrivo di poche migliaia di migranti giustificano lo Stato di emergenza. È l’ennesima incongruenza della Destra al Governo o come al solito è propaganda ed incapacità ad affrontare i problemi? 

Nei primi tre mesi del 2021 i migranti che sono arrivati sulle nostre coste sono stati 8.505, nel 2022 7.928, nel 2023 31.292, cioè quattro volte di più. 

L’incremento è notevole, ma giustifica lo Stato di emergenza? Per anni la Destra ed in particolare gli esponenti di FdI hanno denunciato l’inadeguatezza del Centrosinistra ad affrontare il ‘problema’ dei flussi migratori e che una volta al Governo loro lo avrebbero risolto. 

Il blocco navale, i respingimenti, i rimpatri, ma che fine hanno fatto? La risposta è semplice: erano e sono propaganda.

Nonostante questa incoerenza i consensi a FdI e alla Destra non scendono, perché? Anche in questo caso la risposta è ovvia: gli elettori non hanno votato FdI per fermare gli sbarchi, ma solo perché volevano essere rassicurati sulla ‘presunta invasione’.

Il fenomeno dell'emigrazione non si affronta con slogan ed invettive.

È nella natura dell’uomo spostarsi dove ritiene di poter vivere in modo dignitoso. E nessuno ha il diritto di impedirglielo. Noi italiani lo sappiamo bene. Ma lo sa anche la nostra presidente del Consiglio. Si inventano provvedimenti che servono solo a mantenere il consenso.

Anzi, vari ministri dell’attuale Esecutivo riconoscono la necessità dell’arrivo dei migranti per continuare a garantire la crescita economica e per assicurare le pensioni agli italiani. Poi, quest'ultimi, magari fanno finta di trasferirsi nei paradisi fiscali per non pagare le tasse, ma questo, come si sa, è lecito e permesso. 

Fonte cameradeideputati.it


martedì 4 aprile 2023

Le stragi e le sparatorie negli Usa non sono casuali

Il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non può essere infranto’, questo è quanto stabilisce il secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America

di Giovanni Pulvino

Il presidente degli Usa Joe Biden
Negli Usa le armi si possono comprare al ‘supermercato’. Ogni americano è armato. Non c'è da meravigliarsi, quindi, se qualcuno decide di farsi giustizia da solo o spera di diventare famoso facendo una strage. 
Le dichiarazioni fatte dai presidenti democratici sulla necessità di approvare una legge che limiti l’acquisto delle armi appaiono retoriche ed inutili. I buoni propositi durano un paio di giorni, poi più nulla fino alla strage successiva.

Dall’inizio del 2023 negli Stati Uniti d’America ci sono state 129 sparatorie, una al giorno. L’ultima in ordine di tempo quella nella Covenant School di Nashville, in Tennessee, dove una giovane ventottenne transgender imbracciando due fucili ed una pistola prima di essere uccisa dalla polizia ha assassinato tre piccoli alunni delle elementari e tre adulti.

È una storia che si ripete.

Dal 1999 ad oggi nelle scuole americane sono state uccise oltre 175 persone.

Il 25 maggio del 2022 un ragazzo di 18 anni, Salvador Ramos, ha ucciso a sangue freddo diciannove bambini e due adulti nella scuola elementare di Uvalde, in Texas.

Il 25 gennaio 2023 in California ci sono state tre sparatorie in meno di 72 ore. Un settantaduenne ha ucciso 11 persone che festeggiavano il capodanno cinese, un altro killer anziano di origine asiatica ha assassinato sette uomini in una fattoria ed una donna è stata gravemente ferita. Sempre in California ad Oakland un uomo ha ucciso una persona e ne ha ferite altre sette.

Le stragi e le sparatorie in America non sono casuali. E non hanno nulla a che fare con la criminalità organizzata. Sono opera di ‘normali’ cittadini. Per noi europei è incomprensibile, ma per la maggior parte degli americani andare in giro armati è 'legittimo' oltreché necessario.

Negli Usa circolano più armi che persone. Il secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America stabilisce: ‘Il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non può essere infranto’.

Non è solo un interesse economico dei fabbricanti di armi è anche e soprattutto un fatto culturale.

Gli Usa sono una superpotenza economica e militare e si ritengono una grande 'Democrazia', ma, nonostante ciò, restano uno dei Paesi dove i diritti civili e sociali non sono pienamente affermati. Non rappresentano cioè un valore primario. Prima viene la libertà di fare profitti, poi, dopo, tutto il resto. Il diritto alla salute, ad una retribuzione dignitosa, all’uguaglianza tra bianchi e neri e, persino, il diritto alla vita sono secondari rispetto al 'business' delle armi.

La cultura di un Paese si misura con la sua capacità a garantire i diritti fondamentali dei suoi cittadini ed in questo gli Usa hanno molto da imparare da altri popoli e non solo da quello europeo.