venerdì 30 agosto 2019

I tassi d’interesse sui Btp sono scesi ai minimi storici, perchè?

Il debito pubblico italiano continua ad aumentare, il Pil non cresce ed il nuovo Governo dovrà predisporre per il 2020 una manovra finanziaria complicata, eppure i rendimenti sui titoli di Stato scendono, perché?

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da twitter.com
La prospettiva delle economie mondiali non è buona. La guerra dei dazi, la stagnazione dell’economia tedesca e la Brexit non sembrano, almeno per ora, preoccupare gli investitori. La situazione italiana è altrettanto allarmante. Il Pil non cresce, il debito pubblico continua ad aumentare e le indicazioni per i prossimi trimestri non sono buone. Tutto farebbe supporre una fibrillazione dei mercati con un aumento dello spread e dei tassi d’interesse sul debito pubblico italiano e non solo. Invece, non è così’, perché? 
I rendimenti dei debiti sovrani stanno crollando dappertutto. Di certo sta influendo l’acquisto dei titoli di Stato da parte delle banche centrali. In particolare, il Quantitative easing posto in essere dalla Bce di Mario Draghi ha abbassato il rischio di insolvenza dei Paesi con il debito pubblico più elevato. Nello stesso tempo esso ha aumentato la quantità di moneta in circolazione ed ha ridotto le opportunità di profitto dei risparmiatori. Inoltre, l'incremento delle disuguaglianze e la concentrazione della ricchezza prodotta con la globalizzazione sta accentuando il fenomeno. Gli speculatori fanno fatica a trovare nuovi strumenti per far fruttare i loro patrimoni finanziari.
I titoli di Stato decennali della maggior parte dei paesi dell'Unione europea non rendono nulla o quasi, anzi in alcuni casi gli investitori ci rimettono. I tassi sui titoli decennali emessi dalla Germania, dai Paesi Bassi, dalla Slovacchia, dall’Austria, dalla Finlandia, dalla Francia, dal Belgio, dalla Slovenia, dall’Irlanda (paesi area Euro), dalla Danimarca e dalla Svezia (paesi Ue) sono tutti negativi. Chi acquista oggi Bund tedeschi lo fa con una perdita dello 0,68% del capitale investito. La sicurezza sulla solvibilità della Germania vale di più del profitto prodotto dai suoi titoli.
L’Italia, insieme a Spagna, Portogallo e Grecia, è, invece, uno dei paesi membri dell’Ue che ancora garantisce un rendimento positivo, quindi appetibile per i risparmiatori. Negli ultimi mesi la loro discesa è stata rapida ed inaspettata. Da un tasso del 3,60% (spread sopra i 350 punti) del dicembre scorso allo 0,93% (spread a 162 punti) di ieri. L’andamento è ai minimi storici, ma garantisce comunque un profitto. Questo spiega perché molti investitori stanno acquistando i Btp italiani nonostante la stagnazione economica e le condizioni difficili della nostra finanza pubblica. Il calo dei tassi dei titoli italiani registrato negli ultimi mesi quindi non è dovuto alle politiche adottate dal governo, ma da ragioni strettamente finanziarie e speculative. Il punto ora è, fino a quando godremo di questa inaspettata fiducia?



domenica 25 agosto 2019

Zingaretti e Di Maio costretti a dialogare

Il leader del M5s non voleva la crisi di governo e quello del Pd voleva le elezioni anticipate, ora sono costretti ad accordarsi o, quantomeno, a dialogare loro malgrado

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Luigi Di Maio e Nicola Zingaretti
La crisi del governo ‘Pentaleghista’ voluta dal segretario della Lega sta evidenziando tutte le contraddizioni del nostro sistema politico. L’intenzione di Matteo Salvini era quella di andare subito ad elezioni anticipate. Il raddoppio dei parlamentari ed i ‘pieni poteri’ erano e sono i suoi obiettivi. Quello che non ha considerato è che la nostra è una Repubblica parlamentare. L’articolo 88 della Costituzione stabilisce: ‘Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura’. Ovviamente il Capo dello Stato prima di emanare il relativo decreto deve verificare se c’è una maggioranza parlamentare in grado di dare la ‘fiducia‘ al Governo. I desideri dei leghisti non sono legge, almeno fino a quando il loro leader non acquisirà ‘i pieni poteri’.
Ora che il ‘capo’ delle Lega si è reso conto di aver fatto il passo più lungo della gamba sta facendo marcia indietro ed è disposto a riprendere il dialogo con il M5s ed a concedere la leadership dell’Esecutivo a Luigi Di Maio, almeno così sembra. Insomma, Matteo Salvini è passato da leader indiscusso del governo ‘Pentaleghista’, alla richiesta di ‘pieni poteri’, alla marcia indietro, il tutto in pochi giorni, alla faccia della coerenza politica.
Matteo Renzi, senatore del Pd, non è da meno. È passato dai popcorn al Governo istituzionale, dal mai con il M5s ad un'intesa a qualunque costo. Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, non controllando i suoi gruppi parlamentari, è costretto a seguire le indicazioni dell’ex sindaco di Firenze. Il presidente della regione Lazio avrebbe voluto prima un passaggio elettorale, invece ora è obbligato a questa difficile trattativa.
Luigi Di Maio, a sua volta, non vuole le elezioni, ma è riluttante ad un Esecutivo con il Pd. Un ritorno con la Lega è il suo pensiero fisso, nonostante la crisi di Governo voluta inopinatamente dal leader leghista.
Nicola Zingarerti e Luigi Di Maio sono costretti ad accordarsi o, quantomeno, a dialogare. Nessuno dei due segretari di partito vuole un governo ‘giallorosso’, almeno in questa fase politica. Sono obbligati a confrontarsi per volontà altrui, a loro insaputa, e non sono sicuri di fare la cosa giusta. Da qui i paletti che impediscono un accordo rapido e di legislatura. Riuscirà il presidente Sergio Mattarella ad evitare le elezioni anticipate ed a convincere i leader a fare un passo avanti o, nel caso di nuova intesa tra Lega e M5s, un passo indietro? 'La paura fa novanta', ma un’intesa a tutti i costi non è detto che sia la soluzione migliore, almeno per gli italiani.


venerdì 23 agosto 2019

I porti chiusi e quelli aperti, ma perché ad accogliere devono essere solo Italia e Malta?

‘Dopo 14 giorni di inutili sofferenze, i 356 sopravvissuti a bordo di #OceanViking sbarcheranno a #Malta. Alcuni paesi #UE si sono finalmente fatti avanti con una risposta umana a questo disastro umanitario in mare ma serve subito un meccanismo di sbarco predeterminato, @MSF_ITALIA

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da twitter.com
Con questo messaggio postato su twitter da Medici senza frontiere termina l’odissea dei migranti a bordo della Open Viking. Dopo quella vissuta dai naufraghi della Open Arms si sta avviando a conclusione anche quella dell’imbarcazione norvegese. Ancora una volta i porti aperti sono solo e sempre quelli italiani o maltesi, perché? La Francia nei giorni scorsi aveva dato la sua disponibilità ad accogliere una parte dei migranti, ma aveva negato l’accesso della nave nei suoi porti. Essa, secondo le autorità francesi, doveva attraccare nel ‘porto più vicino’, cioè in Italia o a Malta. Sono anni che i leader dei Paesi membri dell’Unione Europea fanno questo tipo di affermazione. Si continua a scaricare il problema dell’emigrazione sul nostro Paese o su un’altro ancora più piccolo: Malta. Non si capisce perché gli altri porti del Mediterraneo non debbano essere disponibili. Queste imbarcazioni, pur non essendo di grandi dimensioni, possono navigare fino alle coste della Spagna, della Francia o della Grecia.
La politica dell’accoglienza dei migranti seguita finora dai leader dei principali Paesi dell’Ue è servita solo ad aumentare i consensi elettorali dei sovranisti. La disponibilità alla redistribuzione, seppur positiva, non è più sufficiente. I nostri confini sul Mediterraneo sono anche quelli dell’Europa, il problema non può essere solo italiano o maltese, ma di tutta l’Unione Europea. Continuare a ripetere che devono ‘sbarcare nel porto più vicino’ non solo è miope dal punto di vista politico, ma è anche disumano. E non devono essere le Ong ad intervenire, ma l’Unione Europea con le sue navi militari. Il soccorso, l’accoglienza o il rimpatrio deve coinvolgere tutti gli Stati membri.
Soccorrere i migranti è urgente, perché nel Mediterraneo si continua a morire. Il monito lanciato su Twitter dalle due Ong, Sos Mediterranèe e Medici senza frontiere, è senza se e senza ma: ‘Mentre noi stiamo fermi la metà delle barche che parte della Libia naufraga senza che nessuno intervenga e lo si sappia’.

Fonte twitter.com


lunedì 19 agosto 2019

Bang bang e ‘American first’

Bang bang non è solo il titolo di una popolare canzone degli anni Sessanta, è anche il rumore che fanno le armi quando vengono utilizzate e negli Usa questo avviene spesso, troppo spesso

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Donald Trump - (foto da globalproject.info)
Il tre agosto scorso diciotto persone sono morte e dieci sono rimaste ferite nella sparatoria al Walmart a El Paso, in Texas. Tra le vittime sei bambini. Arrestati tre sospetti. Due giorni prima sono stati uccisi due impiegati di Walmart nel Mississippi. Il sabato precedente un 19enne italo-iraniano, con simpatie suprematiste, ha sparato sulla folla a un festival in California: morti un bimbo di 6 anni, una 13enna ed un 25enne. A Dayton in Ohio ancora una sparatoria a poche ore dalla strage a El Paso.
Quasi tutti i giorni negli Usa si verifica un conflitto a fuoco. Non si tratta di atti compiuti dalla criminalità organizzata o da delinquenti comuni, ma di vere e proprie azioni di tipo militare. I motivi sono, spesso, religiosi o per la difesa della razza. Questi eventi si sono moltiplicati negli ultimi mesi. Le ragioni sono diverse. La prima è la facilità con cui negli Usa è possibile procurarsi le armi. Per compare fucili, pistole, mitragliatori e qualsiasi tipo di arma da guerra, basta entrare in uno dei tanti negozi che sono autorizzati alla loro vendita. È possibile farsi un arsenale senza essere soggetti ad alcun controllo. È la logica dei ‘Cowboy’ e del ‘Far west’. È la logica del capitalismo, del profitto comunque e prima di tutto. Inoltre, per i politici sostenere il libero accesso alle armi è il modo più semplice per ottenere consensi elettorali e, magari, essere eletti alla Presidenza degli USA.
Non è un caso che ‘Americans first’ è stato ed è lo slogan principale di Donald Trump. Questo status quo sta bene a tutti. Gli americani vogliono armarsi, i produttori vogliono continuare ad arricchirsi vendendo oggetti di morte ed i politici vogliono fare carriera facendo finta di nulla e se poi qualcuno viene ucciso senza un vero motivo non importa, peggio per lui che non era armato e non ha saputo difendersi.
Ma perchè negli Usa non ci sono i controlli che potrebbero limitare l’acquisto di questi strumenti di morte così come ci sono in Europa? Il secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America entrata in vigore nel 1791 sancisce: ’Essendo necessaria, alla sicurezza di uno Stato libero, una milizia ben regolamentata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto’. Nel luglio del 2008 ‘la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha riconosciuto il diritto dei cittadini di possedere armi, stabilendo l’incostituzionalità della legge del Distretto di Columbia che ne vietava il possesso’. Con questa sentenza il diritto all’acquisto delle armi è equiparato ai diritti inviolabili come il diritto di voto e quello di espressione.
Gli Stati Uniti d’America sono, da oltre un secolo, una potenza economica, ma dal punto di vista della civiltà giuridica e culturale sono lontani anni luce rispetto al Vecchio Continente e non solo. Ed è incomprensibile che anche nel nostro Paese ci sia qualcuno che intende imitare quelle politiche con ‘Prima gli italiani’ e con la legalizzazione dell’uso delle armi per la legittima difesa. Ma noi siamo italiani e, probabilmente, si tratta solo di un copia ed incolla fatto per guadagnare voti e che nel concreto ci sia, come sempre, solo poco o nulla.


mercoledì 14 agosto 2019

Il Tar del Lazio sospende il divieto d'ingresso alla Open Arms

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha accolto il ricorso della Open Arms ed ha disposto la sospensione del divieto d’ingresso nelle acque territoriali italiane 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da openarms.es/it
Sulla base della decisione del Tribunale amministrativo del Lazio la nave della Open Arms può fare rotta verso Lampedusa, cioè ‘verso il porto sicuro più vicino in modo che i diritti delle 147 persone, da 13 giorni sul ponte della nostra nave, vengano garantiti’.
I migranti che negli ultimi giorni sono stati soccorsi nel Mediterraneo dalle Ong sono 501. Finora gli appelli dei comandanti delle navi e di noti personaggi dello spettacolo come Richard Gere e Chef Rubio sono stati ignorati dalle autorità italiane e da quelle maltesi. Il tutto sta avvenendo nel ‘silenzio dell’Europa’ e dei Paesi di bandiera delle navi, Spagna e Norvegia, che ancora non hanno fatto nessuna richiesta di intervento all’Unione Europea. L’unico ad aver sollecitato la Commissione è stato il presidente del Parlamento europeo David Sassoli. La sua richiesta ad oggi non ha prodotto nessun risultato.
Ora rimangono in mezzo al Mediterraneo i 350 migranti soccorsi dalla Ocean Viking. La situazione rischia di diventare insostenibile anche per il peggioramento delle condizioni meteorologiche. Nel Canale di Sicilia stanno arrivando forti venti di maestrale e moto ondoso in aumento, si prevedono onde alte due metri.
Nello stesso momento, continuano gli sbarchi fantasma. In Sardegna, in Sicilia, in Calabria e in Puglia proseguono gli arrivi di barchini con a bordo decine di profughi. I migranti sbarcano sulle nostre coste, ma si deve fare finta che non sia così, mentre quelli salvati in mare dalle Ong non possono farlo, perché?
‘Se non finanziassimo le guerre e non stringessimo accordi con i Paesi di provenienza di queste persone - posta su Twitter Chef Rubio - le Ong che tanto demonizzate non esisterebbero. Invece di abbaiare chiedete ai vostri padroni di riformare tutto, non chiedete alle Ong di lasciarli morire 


venerdì 9 agosto 2019

‘Un uomo solo al comando’

‘Chiedo agli italiani di darmi pieni poteri’, Matteo Salvini

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Matteo Salvini - (foto da affaritaliani.it)
Chiediamo i pieni poteri perché vogliamo assumere le piene responsabilità. Senza i pieni poteri voi sapete benissimo che non si farebbe una lira – dico una lira – di economia. Con ciò non intendiamo escludere la possibilità di volonterose collaborazioni che accetteremo cordialmente, partano esse da deputati, da senatori o da singoli cittadini competenti. Abbiamo ognuno di noi il senso religioso del nostro difficile compito. Il paese ci conforta ed attende’. Questa frase è stata pronunciata alla Camera dei Deputati da Benito Mussolini in occasione di un suo discorso passato alla storia come Discorso del Bivacco il 16 novembre 1922. Nel 1933 anche Adolf Hitler, emulando il Duce, pretese i 'pieni poteri'.
Sono passati 97 anni è la stessa richiesta è stata fatta dal nostro ministro degli Interni, nonché vicepremier, Matteo Salvini. Sembra un innocente copia ed incolla, invece non è così. L’intento oggi come allora è sempre lo stesso: l’insofferenza per ogni forma di controllo democratico sulle decisioni che il ‘Capo’ prende in nome del popolo. La separazione dei poteri, lo Stato di diritto, la libertà di espressione ed i principi di giustizia sociale conquistati con secoli di lotte e sanciti nella Costituzione antifascista del 1948 sono per il leader leghista un intralcio da cancellare o quantomeno limitare. La Democrazia è troppo faticosa, occorrono mani libere, occorre un ‘Capo’ che possa decidere senza se e senza ma.
Il fan di Albert De Giussan non sopporta i compromessi e le critiche. Lui è l’uomo del fare e risponde solo al popolo, almeno a quella parte che corrisponde ai suoi elettori. Si sente un Re Mida e purtroppo non è il primo ad essersi affermato sulla scena politica italiana con gli stessi intendimenti. Silvio Berlusconi è stato il maestro, a cui sono seguiti i suoi emuli: Matteo Renzi e Luigi Di Maio, che però non hanno avuto il consenso parlamentare che Matteo Salvini potrebbe acquisire nelle prossime elezioni politiche.
Siamo tornati indietro di quasi un secolo, ma gli italiani, si sa, sono così: smemorati e volubili, pur di non prendersi responsabilità sono sempre disposti a rinunciare alla loro libertà. Un uomo solo al comando’ è una frase che è entrata nel lessico nazionale, ma, purtroppo, non sempre si riferisce alle splendide fughe sulle montagne del Giro o del Tour di Fausto Coppi, bensì al ‘Capo’ di turno. Oggi è il Dj del Papeete Beach, Matteo Salvini, ma potrebbe chiamarsi in un altro modo, non cambierebbe nulla. Una parte degli italiani da sempre apprezza i politici che non si intromettono nei loro affari. Il ‘Premier’ faccia come vuole, basta che non rompa 'i cabbasisi' come direbbe Andrea Camilleri e se combina guai chi se ne frega.



mercoledì 7 agosto 2019

Marcinelle, ‘Je reviens de l’enfer’

Era la mattina dell’8 agosto 1956 quando scoppiò un incendio nella miniera di carbone di Bois du Cazier di Marcinelle, in Belgio, che provocò la morte di 262 minatori su 275 presenti, 136 erano immigrati italiani

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

L'incendio nella miniera di Marcunelle, 8 agosto 1956
(foto da wikipedia.org)
Il 23 giugno del 1946 il Governo italiano stipulò con quello belga un protocollo che prevedeva l’invio di 50.000 lavoratori (2.000 a settimana) in cambio di 2.500 tonnellate di carbone al mese ogni 1.000 immigrati. Braccia umane in cambio di carbone, questa era la sostanza dell’accordo. L’allora presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, considerava l’emigrazione di lavoratori italiani come funzionale alla ricostruzione del Paese. Nel giugno del 1949 al III° Congresso della Democrazia Cristiana ‘auspicava a questo fine una collaborazione internazionale che aprisse ai lavoratori italiani i mercati del lavoro esteri’ (Morandi 2011). Quell’accordo equiparava i lavoratori italiani alle merci, veri e propri ‘deportati economici’, venduti dall’Italia per qualche sacco di carbone (Franzina 2002). Nel 1956 dei 142 mila lavoratori impiegati nelle miniere del Belgio 44 mila erano italiani. Decine di migliaia di contadini, soprattutto meridionali, emigrarono nella speranza di vivere una vita dignitosa, ma per molti di loro non fu così. Alloggiavano nelle misere baracche che erano state utilizzate come lager dai nazisti e successivamente come campo di prigionia per gli stessi tedeschi. Li chiamavano ‘musi neri’ o ‘sporchi maccaroni’. Lavoravano a più di 1.000 metri di profondità in cunicoli alti appena mezzo metro. Spesso erano vittime di esplosioni di grisù e di malattie gravi come la silicosi.
Alle ore 8:11 dell’8 agosto 1956 uno dei due ascensori della miniera di Marcinelle per una manovra errata dovuta ad un disguido tra gli operatori ‘risalì bruscamente con due vagoncini sporgenti che urtarono una putrella del sistema di invio. A sua volta questa tranciò una condotta d’olio, i fili telefonici e due cavi in tensione (525 Volt)’. Il fumo provocato dall’incendio ‘raggiunse ogni angolo della miniera causando la morte dei minatori’. Il caposquadra Bohen prima di morire annotò sul suo taccuino: ’je reviens de l’enfer’ (ritorno dall’inferno). L’allarme fu dato alle ore 8:25. Tutti i tentavi di soccorso furono vani. Il 22 agosto alle ore 3:00 uno dei soccorritori, che da due settimane tentavano il salvataggio, disse in italiano: tutti cadaveri. Persero la vita 262 minatori, di cui 136 italiani e 95 belgi. Si salvarono solo in 13.
Erano partiti dalle campagne e dalla miseria, avevano le valigie di cartone e nel cuore la speranza di vivere una vita dignitosa. Trattati come una merce di scambio, sono stati mandati in quell’inferno per un sacco di carbone, per assicurare al Bel Paese la ricostruzione ed il boom economico. Vissero il disagio e la sofferenza degli ultimi, quelle dei migranti che sono disposti a tutto pur di fuggire dalla povertà e dalla guerra. Ora sono per sempre nella nostra memoria, ma con il rimpianto per averli traditi due volte, prima per averli illusi e, poi, per averli lasciati morire nelle viscere di una terra sconosciuta e lontana.



venerdì 2 agosto 2019

Svimez, Sud ‘doppio divario rispetto ai principali paesi europei’

‘Se l’Italia rallenta, il Sud subisce una brusca frenata’, a dirlo è lo Svimez nelle anticipazioni del suo Rapporto 2019

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da partitodemocratico.it
‘Dopo un triennio 2015-2017 di (pur debole) ripresa del Mezzogiorno, si riallarga la forbice con il Centro-Nord. Tengono solo gli investimenti in costruzioni, crollano quelli in macchinari e attrezzature. Prosegue il declino dei consumi della P.A. e degli investimenti pubblici. Al Mezzogiorno mancano quasi 3 milioni di posti di lavoro per colmare il gap occupazionale col Centro-Nord. Il dramma maggiore è l’emigrazione verso il Centro-Nord e l’estero. I diritti di cittadinanza limitati al Sud. Forte disomogeneità tra le regioni meridionali: nel 2018 Abruzzo, Puglia e Sardegna registrano il più alto tasso di sviluppo’. Questo è quanto sostiene lo Svimez nelle anticipazioni al suo Rapporto 2019.Un doppio divario, se l’Italia cresce meno dell’Ue, il Sud nel 2018 cresce meno del Centro-Nord. Sul Mezzogiorno ‘grava ora lo spettro della recessione’.
Nel decennio post-crisi (2008/2018) il livello dei consumi nel Centro-Nord ha superato quello pre-crisi, mentre al Sud siamo ancora al -9%. A pesare è ‘soprattutto il mancato apporto del settore pubblico’. Secondo la stima Svimez, nel 2018, ‘sono stati investiti in opere pubbliche nel Mezzogiorno 102 euro pro-capite rispetto a 278 del Centro-Nord (nel 1970 erano rispettivamente 677 euro e 452 euro pro capite)’.
Neanche i migranti vogliono vivere al Sud. I cittadini stranieri iscritti nel Mezzogiorno sono stati tra il 2015 ed il 2017 204.348, mentre al Centro-Nord sono stati 387.871. Dal Mezzogiorno sono emigrate oltre 2 milioni di persone tra il 2002 ed il 2017. Il saldo netto tra arrivi e partenze è negativo per 852 mila unità. Nel solo 2017 ‘sono andati via 132 mila meridionali, con un saldo negativo di circa 70 mila unità’. I dati dimostrano che l’emigrazione dal Sud non è compensata dall’arrivo dei migranti. La maggior parte di coloro che sbarcano sulle coste della Sicilia o della Calabria si trasferiscono in altre regioni o all’estero. Lo spopolamento riguarda soprattutto ‘i piccoli centri sotto i 5 mila abitanti’.
‘L’indebolimento delle politiche pubbliche nel Sud incide significativamente sulla qualità dei servizi erogati ai cittadini’. In particolare, i servizi sanitari e l’istruzione pubblica. I posti letto di degenza ospedaliera sono 28,2 ogni 10 mila abitanti al Sud, contro il 33,7 del Centro-Nord. Particolarmente ampio il divario socio-assistenziale. Al Nord 88 anziani sopra i 65 anni ogni 10 mila usufruiscono di assistenza domiciliare, al Centro sono 42, al Sud appena 18 ‘di cui 4 in Basilicata, 8 in Molise, 11 in Sardegna e 15 in Sicilia’.
Nel Meridione per la prima volta nella storia repubblicana tornano ad aumentare gli abbandoni scolastici. Il 50% dei plessi al Nord hanno il certificato di agibilità o di abitabilità, al Sud sono appena il 28,4%. Il tempo pieno al Nord è al 48,1%, mentre al Sud è al 15,9%.
Questi dati per lo Svimez dimostrano ‘l’urgenza di un piano straordinario di investimenti sulle infrastrutture sociali del Mezzogiorno: scuole, ospedali, presidi socio-sanitari, asili nido. Occorre mettere in campo, da subito, un insieme di strumenti incisivi per il rilancio degli investimenti pubblici in un’ottica di integrazione e reciproci vantaggi tra le aree del Paese. La sfida è portare il Sud che (r)esiste a competere sulle catene globali del valore, sfruttando al meglio i suoi vantaggi competitivi, in una strategia nazionale ed europea’.

Fonte svimez.it