sabato 1 dicembre 2018

Spread, Btp e debito pubblico, ma chi pagherà il conto?

Gli italiani, come si sa, hanno la memoria corta, pertanto è necessario, di tanto in tanto, ricordare quanto è avvenuto nel recente passato. Ecco alcuni dati sul debito pubblico italiano e sul suo andamento negli ultimi 10 anni

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da vigevano24.it
Il 4 maggio l’indice principale della borsa italiana ha toccato i massimi degli ultimi 10 anni, cioè 24.335 punti. Il 20 novembre scorso è sceso fino a 18.471 punti, il 24,10% in meno. E’ tornato così ai livelli del 9 dicembre 2016, quando era a 18.292 punti. Per le principali aziende italiane questo ha comportato una perdita di circa 140 miliardi di capitalizzazione. 
L’ultima asta dei Btp Italia, i titoli di Stato destinati ai piccoli risparmiatori, ha fatto registrare 2,16 miliardi di euro di richieste. Di questi solo 863,34 milioni sono andati ad investitori retail (privati o investitori non qualificati), il resto è stato sottoscritto da operatori istituzionali. E’ il secondo peggior risultato della storia per questo tipo  titoli. Nel 2012, infatti, si attestò a 1,73 miliardi di euro. L’emissione del maggio scorso aveva raggiunto richiese per 7,7 miliardi di euro, cioè il 71,95% in più. Il record positivo è stato nel novembre del 2013 quando la richiesta ha toccato 22,2 miliardi. La sfiducia manifestata dai risparmiatori dimostra che i primi a diffidare sulla capacità dello Stato ad essere solvibile siamo noi italiani.
La repentina caduta di credibilità del Governo ‘pentaleghista’ è ancora più evidente se guardiamo l’andamento dello spread. L’indice esprime la differenza di rendimento tra i Btp italiani e quelli tedeschi, cioè i Bund, vale a dire quanti interessi deve corrispondere lo Stato italiano per il debito pubblico e quanti ne paga per lo stesso motivo lo Stato tedesco. L’indice, dai massimi raggiunti alla fine del 2011, quando il tasso d’interesse superò il 7% e lo spread i 500 punti, fino ai minimi di fine 2016, quando il tasso era sceso intorno all’1%, si è attestato, successivamente e fino al marzo del 2018, intorno all’1,50%. Dopo sette mesi di ‘governo del cambiamento’ è risalito ad oltre il 3,50% (oggi è 3,19%), cioè è raddoppiato, con uno spread superiore a 330 punti (oggi è a 289 punti), cioè ai massimi degli ultimi cinque anni. Il rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato rischia di vanificare la crescita del Pil prevista dall’Esecutivo con la manovra finanziaria. Se i tassi rimarranno a questi livelli lo Stato sarà costretto ad un maggiore esborso per interessi, gli esperti calcolano circa 5 miliardi di euro l’anno.
Nel 2017 il ministero del Tesoro ha pagato 65,6 miliardi di euro d’interessi. Ora questo costo per le casse pubbliche rischia di aumentare. A settembre il debito sovrano era di 2.331 miliardi di euro. Con il deficit di bilancio del 2,4% previsto nella legge di Stabilità che sta per essere approvata dal Parlamento esso è destinato a crescere sia in termini assoluti (circa 45 miliardi di euro) che in rapporto al Pil.
Il paradosso di questa situazione è che la fibrillazione dei mercati è dovuta in massima parte ad annunci. Ad oggi, infatti, non c’è nessun provvedimento concreto tra quelli prospettati con enfasi dai leghisti e dai grillini. 
Ne vale la pena? Per gli italiani sicuramente no, ma per i sovranisti, soprattutto per la Lega, è tutto ‘oro che cola’ in vista delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo che si terranno nella primavera del 2019.

Nessun commento:

Posta un commento