sabato 29 dicembre 2018

A Motta d’Affermo la politica è al servizio dei cittadini

L'Assegno civico posto in essere dagli amministratori comunali di Motta d'Affermo con l'indennità di carica è una modalità di sostegno al reddito da imitare per il Reddito di cittadinanza

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Torremuzza, frazione del comune di Motta d'Affermo
In Italia, come ha certificato l’Istat, i poveri, quelli ‘veri’, sono tanti, soprattutto al Sud. Anche se essi dispongono di un reddito ‘insufficiente’ vivono, nella maggioranza dei casi, con dignità e quando svolgono un'attività lo fanno con serietà e senso del dovere.
Nella passata legislatura il governo di Paolo Gentiloni ha introdotto il Rei stanziando circa 2,9 miliardi di euro. Il provvedimento si è dimostrato insufficiente per risolvere il problema della povertà e dell’esclusione sociale, ma esso è comunque l’inizio di un percorso che potrà essere continuato ed integrato proficuamente con il Reddito di cittadinanza. Molto dipenderà dalle modalità di applicazione della nuova legge e se essa avrà come obiettivo la dignità del lavoro. A tale scopo può aiutare l’azione di sostegno al reddito avviata in un piccolo comune del profondo Sud: Motta d’Affermo.
Torremuzza, frazione di Motta d'Affermo
In questo paese dei Nebrodi gli amministratori hanno rinunciato all’indennità di carica, ripetendo quanto avevano già fatto in altre due precedenti legislature. Le risorse risparmiate dalle casse comunali sono ora utilizzate per coprire alcuni servizi erogati dall’Ente, tra questi la spesa relativa all’Assegno civico. All’inizio dell’anno l’Amministrazione comunale ha elaborato un piano di lavoro da affidare ai disoccupati. I lavoratori individuati con un’apposita graduatoria sono stati assegnati alla pulizia delle strade e alla sistemazione del verde. In tutto sono stati impiegati quattordici addetti. Ebbene da quando questi ‘precari’ sono stati assegnati a questo compito le strade sono pulite ed il verde pubblico è curato come non mai. La cifra che essi percepiscono non è nemmeno un quinto di quanto incassa un dipendente a tempo indeterminato ed il contratto che hanno sottoscritto è di breve durata, eppure svolgono il loro lavoro con serietà.
Qui, in questa piccola comunità (al Sud è assai più frequente di quanto si pensi), la politica è al servizio dei cittadini e questa storia è la migliore risposta a coloro che in modo superficiale ritengono che i meridionali non vogliono lavorare. I disoccupati, gli esclusi ed i precari del Sud non hanno bisogno di ‘assistenzialismo’, ma della dignità del lavoro e l’azione di politica sociale posta in essere a Motta d’Affermo ne è un esempio. Il governo Conte ed i due vice premier, Di Maio e Salvini, sapranno fare altrettanto con il Reddito di cittadinanza?

Fonte: comune.mottadaffermo.me.it


sabato 22 dicembre 2018

Vittorio Sgarbi, pensionato a sua insaputa

‘I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria’, art. 38 della Costituzione italiana 


di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


Vittorio Sgarbi - (Foto dal profilo facebook)

‘La pensione è un’obbligazione che consiste in una rendita vitalizia o temporanea corrisposta ad una persona in base ad un rapporto giuridico con l’ente o la società che è obbligata a corrispondere per la tutela del rischio di longevità o di altri rischi (invalidità, inabilità, superstiti, ecc.)’. Essa è stata istituita verso la fine dell’Ottocento per garantire una vita dignitosa a chi non era più in grado di lavorare. Ma, negli ultimi cinquant’anni, è diventata un coacervo di ingiustizie e, in alcuni casi, è un modo per accrescere l’arricchimento personale.

Il primo intervento legislativo che in Europa ha introdotto il sistema pensionistico è del 1889 su iniziativa del cancelliere tedesco Otto Von Bismarck. Negli Usa il ‘primo assegno‘ per quiescenza è stato pagato solo ‘il 1 giugno del 1940 a Ida May Fuller’. Nel 1898, nasce in Italia la ‘fondazione della Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai’. L’iscrizione diventerà obbligatoria solo nel 1919. Nel 1933 l’Istituto prenderà il nome di Inps. La prima pensione sociale è stata erogata nel 1969.

Da allora è stato un susseguirsi di norme emanate per favorire l’accesso alla pensione. La legge più eclatante è stata quella relativa alle cosiddette pensioni baby che consentivano di andare in quiescenza dopo solo 14 anni, sei mesi ed un giorno di lavoro. Le riforme introdotte a partire dagli anni ’90 sono state approvate, invece, per ridurre la spesa pensionistica e per eliminare le storture esistenti, ma esse hanno finito per crearne di nuove. 

Oggi, la spesa complessiva per garantire le pensioni agli italiani ammonta a circa 270 miliardi di euro l’anno, vale a dire il 15% del Pil. Per gli uomini l’età minima per andare in quiescenza è di 66 anni e sette mesi. La pensione sociale è di circa 448 euro al mese che sale a circa 542 euro per coloro che hanno versato almeno 25 anni di contributi. Poi ci sono coloro che, invece, godono di un’indennità previdenziale ‘d’oro’, che va dai 5.000 ai 90.000 euro al mese.

E’ un sistema iniquo che nessuno riesce a riequilibrare. Di pochi giorni fa la notizia, passata quasi sotto silenzio, del pensionamento di Vittorio Sgarbi (66 anni). L’assurdità sta nel fatto che il deputato di Forza Italia e Sindaco di Sutri è in aspettativa dal 1985. La maggior parte dei suoi contributi previdenziali sono ‘figurativi’, cioè non versati, anche se valgono ai fini pensionistici. Ora percepirà un’indennità di quiescenza tra i 2.500 ed i 3.500 euro al mese. Sgarbi, che è stato condannato per assenteismo dal suo ufficio alla Sovrintendenza di Venezia, ha dichiarato al ilfattoquotidiano.it: ‘Ero sempre in aspettativa gratuita, non mi pagavano’. Ed ancora: ‘In effetti è incredibile. Primo: non l’ho chiesto, me l’hanno comunicato. Secondo: vado in pensione con la legge Fornero, ovvero le regole più severe per limite anagrafico’.

Il nostro è il Paese dove chi fa il furbo è premiato ed il sistema previdenziale è l’emblema delle ingiustizie. Con l'introduzione del calcolo contributivo e la prossima reintroduzione  delle pensioni di anzianità (quota 100), che consentiranno a tanti ma non a tutti di anticipare l’età pensionabile, le differenze e le iniquità tra i pensionati cresceranno.

Continueremo così ad avere pensionati con un’indennità di mezzo milione di euro lordi l’anno, pensionati baby (sono circa 800 mila coloro che percepiscono l’indennità da oltre 40 anni), pensionati con circa 448 euro al mese, pensioni di reversibilità anche a chi non ne ha bisogno, pensionati con due o più assegni previdenziali al mese, pensionati d’oro e pensionati che la pensione non la vedranno mai perché l’aspettativa di vita è una media ed è una probabilità statistica, e che, pertanto, questo è certo, non tutti arriveranno a 66 anni e sette mesi e comunque godranno dell’assegno di quiescenza per un periodo di anni inferiore rispetto a coloro che oggi sono in pensione.  

 

Fonte wikipedia.org

venerdì 14 dicembre 2018

Parco delle Madonie, ‘U Pagghiaru’ di Piano dei Cervi

Lungo il cammino di Piano dei Cervi, nel cuore delle Madonie, è possibile visitare ‘U Pagghiaru’, modesto ricovero utilizzato dai contadini e dai pastori ed ancora oggi da escursionisti ed amanti della natura

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


Foto di Salvina Farinella
Il lavoro dei contadini e dei pastori inizia all’alba e termina al tramonto, vale a dire da ‘suli a suli’. Fino a pochi decenni fa per recarsi sul posto di lavoro spesso essi dovevano percorrere diversi chilometri, pertanto erano costretti a mettersi in cammino prima dell’alba e rientrare con il buio. 
Per evitare quei lunghi tragitti i madoniti si sono ingegnati. Nelle valli e nei boschi delle Madonie furono edificati i ‘pagghiari’, modesti ricoveri per la notte eretti con una struttura semplice. Quattro mura in pietra coperti con del pagliericcio. Essi erano utilizzati per brevi soggiorni dai contadini e dai pastori. Oggi sono adoperati dagli escursionisti che visitano il Parco e le valli delle Madonie.
Queste costruzioni ricordano le capanne costruite dai nostri antenati del paleolitico. A Piano dei Cervi è possibile vedere come esse venivano costruite. La memoria qui, tra questi monti, è ancora rievocabile, è ancora presente.
Ecco come descrive questo luogo incantato Matilde Caruso in palermoprime.it: ‘Nel cuore del Parco delle Madonie si nasconde, da una fitta vegetazione boschiva, Piano Cervi, un ambiente selvaggio, incontaminato, la foresta dell’ Abies Nebrodensis, abete in via d’estinzione e presente solo nelle Madonie. Di notte un tappeto di lucciole illumina la vegetazione, le volpi bussano alla porta della tenda degli escursionisti per rubare qualcosa da magiare e i cinghiali – suino nero siciliano – vagano per i boschi in cerca di ghiande prelibate. I cervi, animali che diedero origine al toponimo, si sono estinti, ma per fortuna il loro posto è stato occupato dai daini, che sono stati reintrodotti nella foresta negli anni ’80.  Per provare ad avvistare i daini è consigliato seguire il tragitto che va da  Portella Colla – vicino Piano Battaglia –  verso Piano dei Cervi’.

martedì 11 dicembre 2018

Tutto ebbe inizio il 12 dicembre 1969 con ‘la madre di tutte le stragi’

Il Sessantotto, l’Autunno caldo, poi l’attentato di Piazza Fontana, ’la madre di tutte le stragi’. Tra il 1968 ed il 1974 in Italia furono compiuti oltre 140 attentati, lo scopo fu quello di impedire al Pci l’accesso al governo del Paese

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

L'interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura, luogo della 
strage di piazza Fontana, dopo l'esplosione della bomba 
(12 dicembre 1969) – (Foto da wikipedia.org)
Il 12 dicembre 1969 l’attentato di piazza Fontana a Milano è considerato la ‘madre di tutte le stragi’. Quel giorno all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura esplose una bomba ad alto potenziale che provocò 17 morti e 88 feriti. Nel giugno del 2005 la Corte di Cassazione ha stabilito che l’atto terroristico fu opera di ‘un gruppo eversivo costituito a Padova nell’alveo di Ordine  Nuovo e capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura’, non più perseguibili in quanto in precedenza assolti con giudizio definitivo dalla Corte d’Assise d’Appello di Bari. Gli esecutori materiali sono rimasti ignoti.  
Il 22 luglio 1970 la strage di Gioia Tauro provocò 6 morti e 66 feriti. L’atto terroristico determinò il deragliamento del treno direttissimo Palermo –Torino. Le cause non vennero accertate, ma secondo il giudice istruttore del tribunale di Palmi l’attentato dinamitardo fu l’ipotesi più plausibile.
Il 31 maggio 1972 la strage di Peteano a Gorizia causò 3 morti e 52 feriti. I tre carabinieri, vittime dell’attentato, furono chiamati a fare un sopralluogo a Sagrado, frazione di Peteano, dove c’era un auto sospetta che invece si rivelò un’autobomba che espose quando gli agenti tentarono di aprire lo sportello a cui era collegato l’innesco esplosivo. I responsabili Vicenzo Vinciguerra, Carlo Cicuttini (latitante fino al 1998) e Ivano Boccaccio, tutti e tre appartenenti al gruppo neofascista di Ordine Nuovo, furono identificati e condannati nonostante i tentativi di depistaggio compiuti da esponenti delle forze armate e dell’ordine.
Il 17 maggio 1973 la strage della Questura di Milano provocò 4 morti e 52 feriti. Mentre era in corso la cerimonia in memoria del commissario Luigi Calabresi alla presenza del ministro degli Interni Mariano Rumor un ordigno esplose in mezzo alla folla riunita per la celebrazione. L’attentatore, Gianfranco Bertoli, venne fermato ed arrestato. Nel 2002 il generale Nicolò Pollari (ex direttore del SISME) sentito dai giudici della terza Corte d’appello di Milano ha confermato che 'Bertoli è stato un informatore del SIFAR prima e del SID in seguito (servizi segreti italiani)
Il 28 maggio 1974 la strage di piazza della Loggia a Brescia provocò 8 morti e 102 feriti. Una bomba nascosta in un cestino portarifiuti fu fatta esplodere mentre si stava svolgendo una manifestazione antifascista indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista. Dopo decenni di depistaggi e processi sono stati condannati i membri del gruppo neofascista di Ordine Nuovo Ermanno Buzzi, Maurizio Tramonte, Carlo Digilio e Marcello Soffiati. Come mandante fu condannato il dirigente fascista Carlo Maria Maggi. Altri furono assolti, tra di loro Pino Rauti ex segretario del Msi e fondatore del centro studi Ordine Nuovo.
Il 4 agosto 1974 la strage dell’Italicus (sull’espresso Roma – Brennero) provocò 12 morti e 105 feriti. Alle ore 1:23, quando il treno si trovava presso San Benedetto Val di Sambro, una bomba ad alto potenziale esplose nella quinta vettura del treno espresso 1486, proveniente da Roma e diretto a Monaco di Baviera. Secondo quanto affermato dalla figlia Maria Fida, su quel treno doveva esserci l’allora ministro degli Esteri Aldo Moro. Ma ‘pochi minuti prima della partenza del treno venne raggiunto da alcuni funzionari che lo fecero scendere per firmare alcuni documenti’
La strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 provocò 85 morti e 200 feriti. Gli esecutori materiali, appartenenti al gruppo neofascista dei Nuclei Armati Rivoluzionari, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini sono stati individuati e condannati (1995), mentre i mandanti sono ancora sconosciuti.
Gli anni Settanta sono stati un’occasione mancata. La spinta al cambiamento che venne dagli studenti (1968), dalla classe operaia (autunno caldo 1969) e dal movimento femminista produsse numerose riforme che ancora oggi costituiscono i pilastri della nostra società. Lo Statuto dei lavoratori, il Diritto di famiglia, la legge sul Divorzio, la riforma della scuola e dell’università, l’introduzione dell’Iva, la modernizzazione del sistema televisivo, l’introduzione delle regioni a statuto ordinario e numerosi altri provvedimenti hanno determinato un profondo cambiamento nella società italiana. Tuttavia, le forze ‘oscure’ dei servizi segreti deviati ed i gruppuscoli di neofascisti riuscirono, con la strategia della tensione, a limitare il fervore ideologico e programmatico che caratterizzò un'intera generazione. Ed è per questo che quella fu una ‘rivoluzione incompiuta. Oggi è il tempo di riprendere e completare quel percorso.

giovedì 6 dicembre 2018

Nel Mezzogiorno una persona su due è a rischio povertà o esclusione sociale

Il 44,4% delle persone residenti nel Sud Italia è a rischio povertà o esclusione sociale. A sostenerlo è l’indagine condotta dall’Istat sulle ‘condizioni di vita, reddito e carico fiscale delle famiglie’ relative al 2017

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da virgilio.it
Secondo l’indagine condotta dall’Istat nel Mezzogiorno quasi una persona su due è a rischio povertà o esclusione sociale. Più del doppio rispetto alle altre aree geografiche del Paese. Il rischio nel Nord-est è del 16,1%, in diminuzione rispetto al 2016, quando era al 17,1%, nel Nord- ovest è del 20,7% (nel 2016 era al 21,0%), mentre nel Centro è stabile al 25,3%. Tra i nuclei famigliari quelli con un maggior numero di componenti si confermano come i più esposti (42,7%, era 43,7% nel 2016). La media nazionale del 28,9% è, comunque, in miglioramento rispetto al 30,4% del 2016.
Il reddito netto medio per famiglia è di 30.590 euro l’anno, circa 2.550 euro al mese, con un incremento del potere di acquisto rispetto al 2015 del +2,1%. Il rapporto tra il reddito equivalente totale del 20% più ricco, a cui va il 39,3% del reddito totale, e quello del 20% più povero, a cui va solo il 6,7% del reddito totale, si è ridotto dal 6,3 a 5,9, ma rimane superiore rispetto ai livelli pre-crisi, nel 2007 era al 5,2. Per metà delle famiglie residenti in Italia il reddito netto non supera 25.091 euro l’anno. Circa 2.090 euro al mese.
Il costo del lavoro dipendente è in media di 32.154 euro annui, con un cuneo fiscale e contributivo del 45,7%, in lieve calo rispetto al 2015 (-0,3%) e al 2014 (-0,5%).
La fonte di reddito più elevata nel 2016 è quella dipendente con 17.370 euro circa, contro una media di 15.460 per il lavoro autonomo e 14.665 euro per i redditi di natura pensionistica. Insomma, non c’è una grande differenza tra chi lavora e chi è in quiescenza. Sarà questo il motivo per cui tutti vogliono andare in pensione?

Fonte istat.it

sabato 1 dicembre 2018

Spread, Btp e debito pubblico, ma chi pagherà il conto?

Gli italiani, come si sa, hanno la memoria corta, pertanto è necessario, di tanto in tanto, ricordare quanto è avvenuto nel recente passato. Ecco alcuni dati sul debito pubblico italiano e sul suo andamento negli ultimi 10 anni

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da vigevano24.it
Il 4 maggio l’indice principale della borsa italiana ha toccato i massimi degli ultimi 10 anni, cioè 24.335 punti. Il 20 novembre scorso è sceso fino a 18.471 punti, il 24,10% in meno. E’ tornato così ai livelli del 9 dicembre 2016, quando era a 18.292 punti. Per le principali aziende italiane questo ha comportato una perdita di circa 140 miliardi di capitalizzazione. 
L’ultima asta dei Btp Italia, i titoli di Stato destinati ai piccoli risparmiatori, ha fatto registrare 2,16 miliardi di euro di richieste. Di questi solo 863,34 milioni sono andati ad investitori retail (privati o investitori non qualificati), il resto è stato sottoscritto da operatori istituzionali. E’ il secondo peggior risultato della storia per questo tipo  titoli. Nel 2012, infatti, si attestò a 1,73 miliardi di euro. L’emissione del maggio scorso aveva raggiunto richiese per 7,7 miliardi di euro, cioè il 71,95% in più. Il record positivo è stato nel novembre del 2013 quando la richiesta ha toccato 22,2 miliardi. La sfiducia manifestata dai risparmiatori dimostra che i primi a diffidare sulla capacità dello Stato ad essere solvibile siamo noi italiani.
La repentina caduta di credibilità del Governo ‘pentaleghista’ è ancora più evidente se guardiamo l’andamento dello spread. L’indice esprime la differenza di rendimento tra i Btp italiani e quelli tedeschi, cioè i Bund, vale a dire quanti interessi deve corrispondere lo Stato italiano per il debito pubblico e quanti ne paga per lo stesso motivo lo Stato tedesco. L’indice, dai massimi raggiunti alla fine del 2011, quando il tasso d’interesse superò il 7% e lo spread i 500 punti, fino ai minimi di fine 2016, quando il tasso era sceso intorno all’1%, si è attestato, successivamente e fino al marzo del 2018, intorno all’1,50%. Dopo sette mesi di ‘governo del cambiamento’ è risalito ad oltre il 3,50% (oggi è 3,19%), cioè è raddoppiato, con uno spread superiore a 330 punti (oggi è a 289 punti), cioè ai massimi degli ultimi cinque anni. Il rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato rischia di vanificare la crescita del Pil prevista dall’Esecutivo con la manovra finanziaria. Se i tassi rimarranno a questi livelli lo Stato sarà costretto ad un maggiore esborso per interessi, gli esperti calcolano circa 5 miliardi di euro l’anno.
Nel 2017 il ministero del Tesoro ha pagato 65,6 miliardi di euro d’interessi. Ora questo costo per le casse pubbliche rischia di aumentare. A settembre il debito sovrano era di 2.331 miliardi di euro. Con il deficit di bilancio del 2,4% previsto nella legge di Stabilità che sta per essere approvata dal Parlamento esso è destinato a crescere sia in termini assoluti (circa 45 miliardi di euro) che in rapporto al Pil.
Il paradosso di questa situazione è che la fibrillazione dei mercati è dovuta in massima parte ad annunci. Ad oggi, infatti, non c’è nessun provvedimento concreto tra quelli prospettati con enfasi dai leghisti e dai grillini. 
Ne vale la pena? Per gli italiani sicuramente no, ma per i sovranisti, soprattutto per la Lega, è tutto ‘oro che cola’ in vista delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo che si terranno nella primavera del 2019.