Caduti da un’impalcatura,
schiacciati da un muletto o da un trattore, carbonizzati nel tentativo di
spegnere un incendio o avvelenati all’interno di una cisterna, i morti sul
lavoro sono centinaia ogni anno, in media sono quasi tre al giorno. Morire ‘per
un pezzo di pane’ è intollerabile
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
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'Carusi' (bambini) all'imbocco di una zolfatara, Sicilia 1899 (foto da it.wikipedia.org) |
Dal
2008 le denunce d’infortuni sul lavoro con esito mortale sono progressivamente
diminuite. Dieci
anni fa i decessi accertati dall’Inail sono stati 1.624, nel 2017 sono calati a 1.029. Dall’inizio
del 2018 invece sono cresciuti del 12%, cioè sono saliti a 154 rispetto allo
stesso periodo del 2017 quando i morti sul lavoro sono stati 133. Di oggi l’ultimo
episodio. A Crotone due operai sono morti ed un terzo è in
gravi condizioni dopo essere stati travolti dal crollo di un muro di contenimento
che si accingevano a mettere in sicurezza.
Le
leggi esistono e le prescrizioni previste sono stringenti, ma tutto questo non
basta. Gli incidenti
sul lavoro sembrano un fatto ineludibile, soprattutto se si tratta di attività precarie
ed occasionali. Ed a pagare il prezzo più alto sono i lavoratori impiegati nelle
mansioni più rischiose, ruoli occupati quasi sempre dai lavoratori appartenenti
alle classi sociali medio – basse.
Tra i decessi di cui
spesso non si sa nulla ci sono anche quelli di chi svolge un lavoro irregolare
o in nero. Queste morti bianche, che non
rientrano nelle statistiche, sono simili a quelle dei zolfatari rievocati nei
versi di ‘Vitti 'na Crozza’,
popolare canzone siciliana che esprime il lamento dei minatori deceduti nelle viscere
della terra e non ritenuti degni dalla Chiese di ricevere una sepoltura
cristiana (‘senza un tocco di campani’) solo perché i loro corpi non erano stati riesumati. Prassi, questa, praticata in
Sicilia fino alla metà del secolo scorso.
Oggi
viviamo in una società tecnologica, eppure si continua a morire per ‘un pezzo
di pane’. Negli
ultimi dieci anni i decessi sono stati oltre 14.000. Tutto questo è eticamente insopportabile.
Non possiamo continuare ad assistere passivamente a queste tragedie. Un cambiamento radicale nella cultura del
lavoro è indispensabile. Continuiamo a rincorrere il profitto dimenticando che
il bene più prezioso che abbiamo è la vita. ‘Perché - come ha detto l’ex presidente dell’Uruguay, Josè Pepe
Mujca - noi non siamo nati solo per
svilupparci. Siamo nati per essere felici’.
Fonti: Inail.it e
Osservatorio indipendente morti sul lavoro di Bologna
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