lunedì 27 agosto 2018

Renzi, Di Maio e Salvini, i professionisti dell’antipolitica

Matteo Renzi, Luigi Di Maio e Matteo Salvini sono i protagonisti dell’antipolitica italiana. I tre leader, pur appartenendo a partiti con radici ideologiche diverse, hanno numerosi tratti caratteriali e politici in comune: sono populisti, egocentrici e presenzialisti

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni) 


Matteo Renzi, Matteo Salvini e Luigi Di Maio 
Le storie personali e politiche di Matteo Renzi, Luigi Di Maio e Matteo Salvini evidenziano una naturale propensione al protagonismo e all’esibizionismo. Non hanno mai lavorato o quasi. Dicono di combattere la vecchia politica, ma loro stessi sono dei veri e propri professionisti della politica, anzi dell’antipolitica.
La voglia di emergere del ministro dell’Interno e Vicepremier Matteo Salvini matura fin da giovanissimo. Partecipa, ad appena 12 anni, alla trasmissione di Canale 5 ‘Doppio slalom’ condotto da Corrado Tedeschi e nel 1993 a 20 anni a ‘Il pranzo è servito’ presentato da Davide Mengacci su Rete 4.
Inizia l’attività politica frequentando il centro sociale Leoncavallo di Milano. Nel 1990 si iscrive alla Lega Nord di Umberto Bossi, aveva 17 anni e faceva parte dei ‘comunisti padani’. 
Ricopre numerose cariche elettive. E’ stato consigliere nel comune di Milano (1993 e nel 2006), parlamentare europeo per 12 anni (dal 2004 al 2018), eletto alla Camera dei deputati per due mandati (2008 e 2013) vi ha rinunciato per mantenere il seggio al parlamento europeo, il 4 marzo scorso è stato eletto senatore.
Nel 2012 diventa segretario della Lega lombarda, l’anno dopo assume la carica di segretario della Lega Nord. Nel 2014 propone una consultazione referendaria in Lombardia per chiedere l’indipendenza della regione dalla Repubblica Italiana. Poi la svolta nazional-popolare. Stringe l’alleanza con il Front National di Marine Le Pen. Fonda ‘Noi con Salvini’, lista leghista creata per ottenere consensi elettorali nel Centro e Sud Italia. L’anno dopo organizza una manifestazione insieme a Fratelli d’Italia e Casa Pound. Da comunista padano e propugnatore della secessione a leader nazional-populista, Matteo Salvini ha realizzato in pochi mesi una vera e propria metamorfosi kafkiana.
Anche Matteo Renzi manifesta le sue ambizioni da giovanissimo. Nel 1994, all’età di 19 anni, partecipa alla ‘Ruota della fortuna’, vincendo 48,3 milioni di lire (circa 24 mila euro). Figlio di democristiani, si laurea in Giurisprudenza nel 1999. ‘Lavora’ per la CHIL Srl, società di marketing di proprietà della famiglia.
Inizia l’attività politica negli anni del Liceo. E’ un democristiano doc ed ha una naturale repulsione per i partiti e le idee della Sinistra italiana. Nel 1994 contribuisce ai Comitati per l’Italia, nati per sostenere Romano Prodi. Nel 1996 si iscrive al Partito Popolare Italiano. Nel 2001 confluisce nella Margherita. Nel 2004 è eletto presidente della Provincia di Firenze nelle file del Centrosinistra. Nel 2009 è eletto sindaco di Firenze.
Nel 2010 lancia insieme a Giuseppe Civati, l’dea della cosiddetta rottamazione’ che lo porterà alla segreteria del Pd (2013/2017) e alla Presidenza del Consiglio (2014/2016). Nel 2018 è eletto senatore, ma dopo l’ennesima sconfitta elettorale, l’ultima di una lunga serie iniziata nel 2015, si dimette da segretario del Pd. Oggi medita un nuovo ritorno ai vertici del Partito democratico.
Luigi Di Maio, figlio di un dirigente del Movimento Sociale Italiano e successivamente di Alleanza Nazionale, ha fatto una carriera fulminante, una specie di Speedy Gonzales della politica italiana. E' giovane ed è un 'volto nuovo', ma nei modi e nei contenuti ricorda i vecchi politici democristiani, quelli della corrente dorotea che negli Sessanta e Settanta dettavano la linea politica del partito.
Si iscrive all’Università di Napoli Federico II, prima ad Ingegneria, poi passa a Giurisprudenza, ma senza completare gli studi. Pubblicista, ha ‘lavorato’ per un breve periodo come webmaster e come steward allo stadio San Paolo.
Nel 2007 aderisce alle iniziative di Beppe Grillo (Meetup di Pomigliano). Nel 2010 non riesce ad essere eletto nel consiglio comunale di Pomigliano (ottiene 59 voti), ma, nel 2013, con 189 preferenze alle ‘parlamentarie’ del M5s viene candidato edeletto alla Camera dei deputati. A ventisette anni assume la carica di Vicepresidente dalla Camera dei deputati. Alle elezioni del 2018 è il candidato premier del M5s, ed è rieletto deputato. Oggi è Vicepresidente del Consiglio e Ministro del lavoro, delle politiche sociali e dello sviluppo economico. 
Nella Prima Repubblica la politica era intesa e praticata come un servizio pubblico, oggi è un mezzo per fare carriera ed i professionisti dell'antipolitica lo sanno benissimo.



lunedì 20 agosto 2018

Noureddine Adnane ed il 'Manifesto antirazzista'

‘Fino a quando il colore della pelle sarà più importante del colore degli occhi sarà sempre guerra’, Bob Dylan

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da ondarossa.info
Noureddine Adnane era un giovane migrante giunto nel nostro Paese nel 2002. Ormai perfettamente integrato, faceva parte della comunità marocchina del capoluogo siciliano. Venditore ambulante con licenza e permesso di soggiorno in regola, si è suicidato dandosi fuoco il 10 febbraio del 2011 dopo aver subito l’ennesima multa da parte dei vigili urbani di Palermo. Gli agenti della polizia municipale gli avevano contestato il fatto che era fermo nella stessa strada da troppo tempo. Ha lasciato la compagna di ventuno anni ed una figlia di due anni.
Negli ultimi mesi gli atti di razzismo che si sono verificati nell’isola sono stati oltre 45. A certificarlo è l’Osservatorio contro le discriminazioni razziali Noureddine Adnane che, per sensibilizzare l’opinione pubblica, ha lanciato un 'Manifesto antirazzista'. All’iniziativa hanno già aderito numerose associazioni. Ecco i sei punti della proposta:
1. La vigilanza. Chiediamo che la politica, le istituzioni, le forze dell’ordine riconoscano che in Italia c’è un incalzante e diffuso fenomeno di razzismo e che mettano in atto azioni conseguenti che vigilino sui discorsi e atti razzisti e non li consentano per la sicurezza di tutte e tutti coloro che ne sono vittime e per la coesione sociale della nostra comunità.
2. La libertà di movimento. Riconosciamo la libertà di chiunque di muoversi, spostarsi, cercare la felicità, salvare la propria vita o cercare di averne una migliore. Non possiamo non interrogarci sulle cause che portano uomini, donne, anziani e giovani a lasciare le proprie case, i propri affetti e i propri Paesi. Non possiamo non interrogarci su leggi che non esistono o non permettono una mobilità regolare e minori rischi per chi cerca di spostarsi affrontando, nella maggior parte dei casi, viaggi a rischio della propria vita.
3. La cultura e l’educazione. Mobilitiamoci attraverso l’educazione, il diritto e la cultura: tutte e tutti dobbiamo sentire il richiamo di questa responsabilità perché quella verso cui andiamo è una società afflitta da una grave crisi di relazioni e rapporti, che non sarà più capace di interagire al suo interno, figuriamoci mostrare solidarietà all’altro, chiunque esso sia.
4. La politica sull’immigrazione. Denunciamo con decisione le modalità di fare politica che questo governo, irresponsabilmente, sta adottando come tutte le politiche precedentemente messe in atto relative all’immigrazione: direttive, circolari, dispositivi fuori da qualsiasi disegno e immagine di società e governo democratico e civile.
5. Le bufale sui numeri. Smantelliamo questa falsa narrazione su un’invasione che non esiste, sfatiamo il mito — falso — che certe politiche di costruzione di muri portino a una diminuzione degli arrivi perché, guardiamo in faccia la realtà, servono solo a “clandestinizzare”, a rendere più pericolosi i percorsi migratori, servono solo a rendere ancora più forte quel fantasma del nemico che non è nel migrante ma è in un sistema sociale ed economico iniquo. I dati ce lo dicono forte e chiaro: non esiste un’invasione, esiste una cattiva gestione dei flussi migratori, una cattiva gestione della distribuzione di coloro che arrivano, e aumentare il livello di scontro politico in Europa non sta facendo altro che porre l’Italia in una situazione di stallo e di “imbuto”.
6. I diritti di cittadinanza. Lo diciamo dalla Sicilia, dai nostri quartieri che contengono insieme il centro e la periferia: non vogliamo una guerra tra poveri, riprendiamoci il discorso sui diritti e doveri di cittadinanza di tutte e tutti, perché è l’ambiguità sui diritti di cittadinanza che sta spianando la strada alle peggiori pulsioni xenofobe e razziste. La nostra multietnicità è un fatto e soprattutto è una ricchezza per tutta la nostra società e da tutti i punti di vista.
Non saremo complici della stigmatizzazione delle diversità, identificate strumentalmente come fattori di alterazione dell’ordine collettivo.
Non saremo complici di una formulazione razziale delle questioni geopolitiche e di un’economia di rapina.
Non saremo complici del disfacimento della società civile italiana, per questo diciamo e invitiamo tutte a tutti a dire: no al razzismo.

giovedì 16 agosto 2018

Decreto ‘dignità’: la rivoluzione di Luigi Di Maio è una ‘fakenews’

Con il Decreto ‘dignità’ non cambia la condizione di precarietà in cui vivono i lavoratori italiani e non. Tornano i voucher, non è stato reintrodotto l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori ed i contratti a tempo determinato rimangono senza sostanziali modifiche, ma allora in che cosa consiste la rivoluzione? 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Luigi Di Maio
Ascoltando le dichiarazioni del ministro del Lavoro e vicepremier, Luigi Di Maio, sembra che le norme previste dal cosiddetto Decreto ‘dignità’, approvato pochi giorni fa dal Parlamento, siano rivoluzionarie, ma così non è. Probabilmente il leader grillino fa affidamento sul fatto che la stragrande maggioranza degli italiani non legge e non si informa adeguatamente, ma si limita ad ascoltare gli slogan propagandistici dei leader politici ed i commenti dei cosiddetti ‘opinionisti televisivi’. La lettura del Decreto è per molti un’incombenza un po’ noiosa, ma per costatarne la ‘straordinarietà’ occorre leggerlo. Ecco le novità più significative.
I principali contratti a termine non sono stati modificati, l’unico limite imposto dal decreto è il divieto di rinnovo oltre i 24 mesi, in precedenza era di 36 mesi. Inoltre, si richiedono le causali che potrebbero portare a numerosi contenziosi davanti al giudice del lavoro. Senza le dovute motivazioni, dopo 12 mesi, scatta automaticamente l’assunzione a tempo indeterminato.
La nuova norma non si applica ai dipendenti della scuola. Anzi è stato abolito il limite di 36 mesi per i contratti a termine dei docenti e del personale della scuola a partire dal 2016. Per questi lavoratori la precarietà torna ad essere la regola. Perché due pesi e due misure?
Non è stato reintrodotto l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, una delle modifiche sul mercato del lavoro più importanti introdotta dal governo di Matteo Renzi.
Il bonus dei contributi per le assunzioni di under 35 (prima riguardava gli under 30) sarà esteso di un altro anno, cioè fino al 2020. L’esonero dei contributi previdenziali è del 50% ed è riconosciuto per tre anni con un  tetto di 3.000 euro. La copertura è garantita dall’aumento del prelievo erariale sugli apparecchi da gioco.
Il decreto reintroduce i voucher che sono la sublimazione della flessibilità. Potranno essere utilizzati dagli alberghi e dalle strutture ricettive fino a 8 dipendenti e non potranno essere utilizzati per periodi superiori a dieci giorni.
I contratti a termine posti in essere da un’azienda non possono superare il limite del 30% dei contratti a tempo indeterminato.
L’indennità conciliativa per i licenziamenti illegittimi massima passa da 18 a 27 mensilità. 
Prorogato di un anno il contratto a tempo indeterminato delle maestre diplomate prima del 2001-2002, ma sarà trasformato in contratto a termine, in attesa di svolgere il concorso per l’immissione in ruolo che prevede il 50% dalle graduatorie e l’altra metà dal concorso che è riservato ai diplomati magistrali ed ai laureati in Scienza della formazione primaria. Questo significa che in migliaia, dopo decenni d’insegnamento precario o di ruolo, resteranno senza lavoro.
Su slot e gratta e vinci sarà apposto il messaggio ‘nuoce gravemente alla salute’. Inoltre per accedere alle slot e agli apparecchi da gioco sarà obbligatoria la tessera sanitaria. Gli esercizi pubblici, i bar ed i circoli privati che elimineranno gli apparecchi da gioco potranno esibire il logo di Stato ‘no slot’.
‘Le imprese italiane ed estere, operanti nel territorio nazionale, che abbiano beneficiato di un aiuto di Stato … decadono dal beneficio medesimo qualora l'attività economica interessata dallo stesso o una sua parte venga delocalizzata in Stati non appartenenti all'Unione europea entro cinque anni dalla data di conclusione dell'iniziativa agevolata … In caso di decadenza’ sono soggette ad ‘una sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma in misura da due a quattro volte l'importo dell'aiuto fruito’.
Lo Split payment (scissione dei pagamenti) introdotto dal precedente governo per evitare frodi ai danni dello Stato non si applicherà più ai liberi professionisti.
Tutto qua. La rivoluzione di Luigi Di Maio è’ una ‘fakenews’, nient’altro. Con queste poche e limitate innovazioni è certo che i precari rimarranno flessibili, malpagati e senza tutele adeguate, i disoccupati continueranno a cercare, spesso inutilmente, un’occupazione ed il mercato del lavoro rimarrà tale e quale: ingiusto e diseguale. Ma dov’è la rivoluzione?