L’ex
sindaco di Firenze ‘trionfa’ nelle primarie del Partito democratico, ma la sua
leadership ne esce notevolmente indebolita
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
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Foto da tuttoggi.info |
La
rapida ascesa politica di Matteo Renzi aveva suscitato, nel 2013, molte aspettative
sulla possibilità di rinnovare la classe dirigente italiana. Dopo i disastri del ventennio
berlusconiano un cambiamento era inevitabile. Inoltre, il parziale risanamento
del bilancio pubblico operato con ‘rigore’ dal governo di unità nazionale di
Mario Monti esigeva un cambio di marcia. Renzi ha rappresentato questa speranza
di cambiamento.
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Pier Luigi Bersani - (foto da il sussidiario.net) |
Il
successivo processo di ‘rottamazione’ non ha prodotto i frutti che gli elettori
del Centrosinistra si aspettavano,
anzi esso è risultato parziale e, per certi aspetti, controproducente. Per i
‘renziani’ il principale problema dell’Italia non era la Destra berlusconiana,
leghista o grillina, ma la Sinistra radicale rappresentata da Massimo D’Alema,
Enrico Letta, Pier Luigi Bersani, Stefano Fassina, Roberto Speranza, Pippo
Civati, oltre che da milioni di cittadini che hanno creduto nel cambiamento. La
confusione tra la naturale e legittima esigenza di rinnovamento della
leadership con il ribaltamento delle politiche economiche e sociali è stato un
errore grave. Il Pd sta realizzando il
programma elettorale di Forza Italia. Le leggi sul mercato del lavoro,
sulla buona scuola e la sconfitta al referendum costituzionale, hanno disilluso
molti elettori progressisti. Da qui il
calo di consensi e le continue defezioni alla sinistra del partito.
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Matteo Renzi |
Le
primarie ‘azzoppate’
sono un altro segnale del calo di popolarità
dell’ex premier. Il maldestro tentativo di apparire diverso dagli ‘altri’
politici (‘quelli che restano attaccati alla poltrona’) fatto con le dimissioni
da segretario e successivamente da premier è apparso strumentale. La
‘trionfale’ affermazione nelle primarie del Pd potrebbe trasformasi in una
rivincita estemporanea, la classica vittoria di Pirro. La Democrazia cristiana 2.0 di Matteo Renzi deve,
infatti, fare i conti con le elezioni politiche del prossimo anno. Molto dipenderà dalla
legge elettorale che, per inciso, ancora non è stata discussa dal Parlamento.
Gli impedimenti ad un ritorno a Palazzo Chigi sono sostanzialmente due. Una ‘consistente’
vittoria del M5s o un ricompattamento del Centrodestra. Matteo Renzi opererà
affinché queste ipotesi non si realizzino. L’obiettivo finale è un accordo post
elettorale con Forza Italia o di quello che ne rimarrà. Le ambizioni politiche del neo segretario passano, quindi, per una
sconfitta elettorale della Sinistra con la concomitante mantenuta del Pd e dei
centristi. A quel punto un ritorno al patto del Nazareno sarebbe
inevitabile, anche se, stavolta, il prezzo da pagare sarebbe più alto, almeno
per gli italiani.
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