martedì 25 marzo 2025
Tesori di Sicilia: Cefalù
martedì 25 febbraio 2025
Tesori di Sicilia: veliero sulle coste di Castel di Tusa
mercoledì 5 febbraio 2025
Tesori di Sicilia: Luna calante sulla Rocca di Cefalù

La Rocca di Cefalù, 16 gennaio 2025 - (Foto di Giovanni Pulvino)
E' una fredda mattina di gennaio e la Luna è calante sulla Rocca di Cefalù, il mare è piatto e là in fondo l'orizzonte fa un tutt'uno con il cielo, nient'altro, ma questo basta per non pensare, per dimenticarsi.
È un attimo, solo un attimo. Poi il nulla, ecco cosa resterà, il nulla. Vorresti tornare indietro, ma non puoi, sei inchiodato al presente. Ed anche quando vorresti afferrare la realtà non puoi, è già oltre, è già passato. Rimane solo il ricordo, ma solo di chi c’era e c’è ancora. E tra poco neanche quello. Siamo memoria effimera. Solo un mucchio di pensieri a termine. Nient’altro.
La Rocca di Cefalù, 16 gennaio 2025 - (Foto di Giovanni Pulvino) |
E' una fredda mattina di gennaio e la Luna è calante sulla Rocca di Cefalù, il mare è piatto e là in fondo l'orizzonte fa un tutt'uno con il cielo, nient'altro, ma questo basta per non pensare, per dimenticarsi.
È un attimo, solo un attimo. Poi il nulla, ecco cosa resterà, il nulla. Vorresti tornare indietro, ma non puoi, sei inchiodato al presente. Ed anche quando vorresti afferrare la realtà non puoi, è già oltre, è già passato. Rimane solo il ricordo, ma solo di chi c’era e c’è ancora. E tra poco neanche quello. Siamo memoria effimera. Solo un mucchio di pensieri a termine. Nient’altro.
giovedì 23 gennaio 2025
Tesori di Sicilia: Alicudi, Filicudi e Salina
venerdì 17 gennaio 2025
Tesori di Sicilia: Cefalù, arcobaleno
martedì 20 agosto 2024
Tesori di Sicilia: tramonti di agosto

Foto di Erina Barbera
Non solo i colori del cielo e del mare ma anche uno scorrere lento ed inconsapevole del tempo e della vita che in esso si manifesta e si dilegua
per un momento sta là, in fondo, sospeso, in attesa per diventare qualcosa
pigro ed indolente si muove verso occidente, verso l'infinito
è bianco, giallo, arancione, rosso, chissà, ma cosa importa
è un sogno che diventa realtà, è un fuoco che si accende ogni sera, eterno, sempre diverso
no, non è un'illusione, è un tramonto di agosto, è un tesoro di Sicilia
Foto di Erina Barbera |
Non solo i colori del cielo e del mare ma anche uno scorrere lento ed inconsapevole del tempo e della vita che in esso si manifesta e si dilegua
per un momento sta là, in fondo, sospeso, in attesa per diventare qualcosa
pigro ed indolente si muove verso occidente, verso l'infinito
è bianco, giallo, arancione, rosso, chissà, ma cosa importa
è un sogno che diventa realtà, è un fuoco che si accende ogni sera, eterno, sempre diverso
no, non è un'illusione, è un tramonto di agosto, è un tesoro di Sicilia
lunedì 3 agosto 2020
C’è sempre una prima volta che non avresti voluto
Anche quando non vorresti che fosse, c’è sempre una prima volta, persino vivere un’estate che non avresti voluto, non così almeno
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Torremuzza, Sicilia, 31 luglio 2020
(Foto di Erina Barbera)
I giorni trascorrono lenti, inesorabili, e non puoi farci nulla. L’afa ed il caldo sono sempre gli stessi. Sono giorni che non avresti voluto vivere, non così, almeno. Ora sono già memoria.
Che bello il mare di luglio. L’acqua è limpida e liscia, sembra di essere in piscina. Il colore è difficile da definire: blu, celeste, verde. Non importa, per chi lo ha vissuto è un’immagine indelebile che riemerge ogni volta, come il pane con la nutella che tua madre ti forzava a mangiare da bambino, o come i giochi inventati al momento, o quelli semplici semplici come dare quattro calci ad un pallone.
I piedi sono immersi nell’acqua trasparente come solo in queste giorni è possibile che sia. Si vedono le pietre ed i ‘mulietti’, così, da ragazzi, chiamavamo i pesciolini intenti a morderti le caviglie. Tutto avveniva naturalmente, appena sotto il livello dell’acqua. Non sentivi nulla se non un leggero pizzico, sai che questo era un loro modo di cibarsi. Chissà qual è il loro nome vero, è una curiosità mai appagata, ma che importa, è l’estate dei ricordi che vorresti. Non come questa, uguale per tanti, ma non per tutti.
Il tempo non si può fermare. Trascorre. Non puoi impedirlo, lo subisci soltanto. Puoi non pensarci, ma intanto trascorre ancora.
Ora sono i giorni di agosto, quelli delle feste e delle sagre, di Ferragosto. Già si avverte la fine della stagione. Le ore hanno un colore diverso, non si riescono a vivere senza il pensiero dell’imminente arrivo di settembre. E’ la fine delle ferie, del rientro a scuola o al lavoro. Non c’è più la leggerezza del tempo appena trascorso in riva la mare o immersi nell’acqua tiepida e trasparente di luglio.
Ma anche questa è vita, e tra poco sarà anch'essa memoria che non avresti voluto.
C’è sempre una prima volta che non avresti voluto vivere.
Anche quando non vorresti che fosse, c’è sempre una prima volta, persino vivere un’estate che non avresti voluto, non così almeno
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
Torremuzza, Sicilia, 31 luglio 2020 (Foto di Erina Barbera) |
I giorni trascorrono lenti, inesorabili, e non puoi farci nulla. L’afa ed il caldo sono sempre gli stessi. Sono giorni che non avresti voluto vivere, non così, almeno. Ora sono già memoria.
Che bello il mare di luglio. L’acqua è limpida e liscia, sembra di essere in piscina. Il colore è difficile da definire: blu, celeste, verde. Non importa, per chi lo ha vissuto è un’immagine indelebile che riemerge ogni volta, come il pane con la nutella che tua madre ti forzava a mangiare da bambino, o come i giochi inventati al momento, o quelli semplici semplici come dare quattro calci ad un pallone.
I piedi sono immersi nell’acqua trasparente come solo in queste giorni è possibile che sia. Si vedono le pietre ed i ‘mulietti’, così, da ragazzi, chiamavamo i pesciolini intenti a morderti le caviglie. Tutto avveniva naturalmente, appena sotto il livello dell’acqua. Non sentivi nulla se non un leggero pizzico, sai che questo era un loro modo di cibarsi. Chissà qual è il loro nome vero, è una curiosità mai appagata, ma che importa, è l’estate dei ricordi che vorresti. Non come questa, uguale per tanti, ma non per tutti.
Il tempo non si può fermare. Trascorre. Non puoi impedirlo, lo subisci soltanto. Puoi non pensarci, ma intanto trascorre ancora.
Ora sono i giorni di agosto, quelli delle feste e delle sagre, di Ferragosto. Già si avverte la fine della stagione. Le ore hanno un colore diverso, non si riescono a vivere senza il pensiero dell’imminente arrivo di settembre. E’ la fine delle ferie, del rientro a scuola o al lavoro. Non c’è più la leggerezza del tempo appena trascorso in riva la mare o immersi nell’acqua tiepida e trasparente di luglio.
Ma anche questa è vita, e tra poco sarà anch'essa memoria che non avresti voluto.
C’è sempre una prima volta che non avresti voluto vivere.
mercoledì 29 luglio 2020
Banchi con le rotelle? La scuola non è un Luna park
No, ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina, i banchi con le rotelle non sono una buona idea
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

La ministra Lucia Azzolina prova il banco con le rotelle durante
la trasmissione InOnda su La7 - (foto da liberoquotidiano.it)
L’attuale ministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina, è, dal 2008, insegnante delle scuole superiori, responsabile sindacale dell’Anief e nel 2019 ha superato il concorso per Dirigente scolastico. Quindi, si può supporre che conosca bene il settore della Pubblica amministrazione di cui è ministro. Eppure, sui cosiddetti ‘banchi con le rotelle’ non ha le idee molto chiare. Lo ha provato, pochi giorni fa, in diretta televisiva nelle studio di InOnda su La7. 'È comodo, ci sta anche il vocabolario per le versioni di greco’, ha sostenuto.
Occorre precisare che questo tipo di banco già c’è in molte scuole italiane anche se spesso è senza rotelle. Quello che è certo è che la forma e le dimensioni non sono adeguati alle esigenze didattiche a cui sono chiamati gli alunni. I ragazzi dove metteranno lo zaino, i libri e tutte le altre attrezzature necessarie per l’attività didattica? È scomodo e non è funzionale.
Poi ci sono le rotelle. La ministra Lucia Azzolina sicuramente conosce la riforma della scuola di Maria Stella Gelmini, quella che nel 2009 ha introdotto le cosiddette ‘classi pollaio’. Da allora non è raro che oltre trenta ragazzi siano stipati in pochi metri quadrati. Di certo sa anche che non tutti gli alunni si comportano correttamente e di come, a volte, sia difficile far rispettare le regole più elementari di convivenza civile. I fenomeni di bullismo e non solo sono talmente gravi che si parla di introdurre l’Educazione civica. Per affrontare questo problema basterebbe introdurre le discipline giuridiche ed economiche nei Licei, negli altri Istituti sono già previste, ma finora nessun governo o ministro lo ha proposto, perché?
Gli adolescenti, come si sa, spesso sono irrequieti e, talvolta, indisciplinati o svogliati. Per i ragazzi più vivaci le misure di distanziamento, le mascherine ed i banchi con le rotelle potrebbero diventare ulteriori occasioni per fare ‘cagnara’ e per impedire alla maggior parte degli studenti di seguire la lezione. Probabilmente essi vanno bene nelle classi poco numerose e nei Licei del centro di Roma o di Milano, ma di certo non sono adatti per gli Istituti tecnici e professionali delle nostre periferie. Appena l’insegnate volgerà lo sguardo o, semplicemente, è meno rigoroso dei suoi colleghi, non sono da escludere con questo tipo di banco fenomeni da Luna park come l’autoscontro o cose simili. No, ministra Lucia Azzolina, questa non è una buona idea.
Fonte miur.gov.it
No, ministra dell'Istruzione Lucia Azzolina, i banchi con le rotelle non sono una buona idea
L’attuale ministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina, è, dal 2008, insegnante delle scuole superiori, responsabile sindacale dell’Anief e nel 2019 ha superato il concorso per Dirigente scolastico. Quindi, si può supporre che conosca bene il settore della Pubblica amministrazione di cui è ministro. Eppure, sui cosiddetti ‘banchi con le rotelle’ non ha le idee molto chiare. Lo ha provato, pochi giorni fa, in diretta televisiva nelle studio di InOnda su La7. 'È comodo, ci sta anche il vocabolario per le versioni di greco’, ha sostenuto.
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
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La ministra Lucia Azzolina prova il banco con le rotelle durante la trasmissione InOnda su La7 - (foto da liberoquotidiano.it) |
Occorre precisare che questo tipo di banco già c’è in molte scuole italiane anche se spesso è senza rotelle. Quello che è certo è che la forma e le dimensioni non sono adeguati alle esigenze didattiche a cui sono chiamati gli alunni. I ragazzi dove metteranno lo zaino, i libri e tutte le altre attrezzature necessarie per l’attività didattica? È scomodo e non è funzionale.
Poi ci sono le rotelle. La ministra Lucia Azzolina sicuramente conosce la riforma della scuola di Maria Stella Gelmini, quella che nel 2009 ha introdotto le cosiddette ‘classi pollaio’. Da allora non è raro che oltre trenta ragazzi siano stipati in pochi metri quadrati. Di certo sa anche che non tutti gli alunni si comportano correttamente e di come, a volte, sia difficile far rispettare le regole più elementari di convivenza civile. I fenomeni di bullismo e non solo sono talmente gravi che si parla di introdurre l’Educazione civica. Per affrontare questo problema basterebbe introdurre le discipline giuridiche ed economiche nei Licei, negli altri Istituti sono già previste, ma finora nessun governo o ministro lo ha proposto, perché?
Gli adolescenti, come si sa, spesso sono irrequieti e, talvolta, indisciplinati o svogliati. Per i ragazzi più vivaci le misure di distanziamento, le mascherine ed i banchi con le rotelle potrebbero diventare ulteriori occasioni per fare ‘cagnara’ e per impedire alla maggior parte degli studenti di seguire la lezione. Probabilmente essi vanno bene nelle classi poco numerose e nei Licei del centro di Roma o di Milano, ma di certo non sono adatti per gli Istituti tecnici e professionali delle nostre periferie. Appena l’insegnate volgerà lo sguardo o, semplicemente, è meno rigoroso dei suoi colleghi, non sono da escludere con questo tipo di banco fenomeni da Luna park come l’autoscontro o cose simili. No, ministra Lucia Azzolina, questa non è una buona idea.
Fonte miur.gov.it
sabato 18 luglio 2020
La sigaretta quasi sempre accesa …
Un giudice perspicace e con un alto senso del dovere, questo era Paolo Borsellino, una persona normale, ma tenace e senza tentennamenti, la sigaretta quasi sempre accesa, unico vizio a cui non riusciva a rinunciare
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
Riguardando l’ultima intervista rilasciata da Paolo Borsellino ad un giornalista della Rai nulla faceva presagire che da lì a poche ore sarebbe stato vittima di un attentato mafioso. Stava seduto sul divano, sembrava un po' imbarazzato, forse perché si era impegnato a non fumare, forse perché indossava una semplice polo verde o forse perché era così, riluttante e restio come lo sono spesso i siciliani quando devono parlare in pubblico. Non c’erano tensione o timore nelle sue parole, nei suoi sguardi e nel sorriso accennato dopo un’ultima battuta. L’esposizione era lineare e chiara, essenziale, senza affettazione, quella di un uomo delle istituzioni, che non si fa remore ad usare gli appunti quando non ricorda con precisione una data o un nome. L’accento è quello tipicamente palermitano, la voce è rauca, una diretta conseguenza della nicotina. Alle domande più ‘allusive’ risponde con la diffidenza tipica dei siciliani quando qualcuno vuole indurti a fare affermazioni avventate e comunque non confermate dai fatti. In quell’intervista, pur sapendo di essere nel mirino della Mafia e che l’irreparabile sarebbe potuto succedere in qualunque momento, avrebbe potuto rilasciare affermazioni ‘imprudenti’, ma non lo fece, anzi ha pesato le parole prima di pronunciarle ed ha fatto brevi pause che a volte dicono di più di qualunque discorso o teoria.
Un giudice perspicace e con un alto senso del dovere, questo era Paolo Borsellino. Una persona normale. Umile, ma tenace e senza tentennamenti, così com’era nel suo lavoro. La sigaretta quasi sempre accesa. ‘La morte di Falcone mi ha lasciato in uno stato di grave situazione psicologia perché non si tratta solo di un collega o di un compagno di lavoro ma del più vecchio dei mie amici che è venuto meno … Ho temuto nell’immediatezza in una drastica perdita di entusiasmo nel lavoro che faccio, fortunatamente ho ritrovata la rabbia per poterlo fare … Ricordo Ninni Cassarà che mi disse… convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano, l’espressione … io vorrei ripeterla ora, ma vorrei farlo in modo più ottimistico ho sempre accettato le conseguenze del mio lavoro ... perché ho scelto ad un certo punto della mia vita di farlo e sapevo fin dall’inizio che dovevo correre questi pericoli … La sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in estremo pericolo è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio … e so che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuare a fare senza lasciarci condizionare dalla sensazione o financo dalla certezza che tutto questo può costarci caro’.
Non ha detto tutto, non avrebbe potuto, quello che sapeva lo avrebbe riferito prima ai giudici, ma inutilmente aspetterà di essere convocato, la Mafia e chissà chi altro glielo hanno impedito.
Fonte yuotube.com
Un giudice perspicace e con un alto senso del dovere, questo era Paolo Borsellino, una persona normale, ma tenace e senza tentennamenti, la sigaretta quasi sempre accesa, unico vizio a cui non riusciva a rinunciare
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
Riguardando l’ultima intervista rilasciata da Paolo Borsellino ad un giornalista della Rai nulla faceva presagire che da lì a poche ore sarebbe stato vittima di un attentato mafioso. Stava seduto sul divano, sembrava un po' imbarazzato, forse perché si era impegnato a non fumare, forse perché indossava una semplice polo verde o forse perché era così, riluttante e restio come lo sono spesso i siciliani quando devono parlare in pubblico. Non c’erano tensione o timore nelle sue parole, nei suoi sguardi e nel sorriso accennato dopo un’ultima battuta. L’esposizione era lineare e chiara, essenziale, senza affettazione, quella di un uomo delle istituzioni, che non si fa remore ad usare gli appunti quando non ricorda con precisione una data o un nome. L’accento è quello tipicamente palermitano, la voce è rauca, una diretta conseguenza della nicotina. Alle domande più ‘allusive’ risponde con la diffidenza tipica dei siciliani quando qualcuno vuole indurti a fare affermazioni avventate e comunque non confermate dai fatti. In quell’intervista, pur sapendo di essere nel mirino della Mafia e che l’irreparabile sarebbe potuto succedere in qualunque momento, avrebbe potuto rilasciare affermazioni ‘imprudenti’, ma non lo fece, anzi ha pesato le parole prima di pronunciarle ed ha fatto brevi pause che a volte dicono di più di qualunque discorso o teoria.
Un giudice perspicace e con un alto senso del dovere, questo era Paolo Borsellino. Una persona normale. Umile, ma tenace e senza tentennamenti, così com’era nel suo lavoro. La sigaretta quasi sempre accesa. ‘La morte di Falcone mi ha lasciato in uno stato di grave situazione psicologia perché non si tratta solo di un collega o di un compagno di lavoro ma del più vecchio dei mie amici che è venuto meno … Ho temuto nell’immediatezza in una drastica perdita di entusiasmo nel lavoro che faccio, fortunatamente ho ritrovata la rabbia per poterlo fare … Ricordo Ninni Cassarà che mi disse… convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano, l’espressione … io vorrei ripeterla ora, ma vorrei farlo in modo più ottimistico ho sempre accettato le conseguenze del mio lavoro ... perché ho scelto ad un certo punto della mia vita di farlo e sapevo fin dall’inizio che dovevo correre questi pericoli … La sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in estremo pericolo è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio … e so che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuare a fare senza lasciarci condizionare dalla sensazione o financo dalla certezza che tutto questo può costarci caro’.
Non ha detto tutto, non avrebbe potuto, quello che sapeva lo avrebbe riferito prima ai giudici, ma inutilmente aspetterà di essere convocato, la Mafia e chissà chi altro glielo hanno impedito.
Fonte yuotube.com
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Giovanni Falcone e Paolo Borsellino |
Un giudice perspicace e con un alto senso del dovere, questo era Paolo Borsellino. Una persona normale. Umile, ma tenace e senza tentennamenti, così com’era nel suo lavoro. La sigaretta quasi sempre accesa. ‘La morte di Falcone mi ha lasciato in uno stato di grave situazione psicologia perché non si tratta solo di un collega o di un compagno di lavoro ma del più vecchio dei mie amici che è venuto meno … Ho temuto nell’immediatezza in una drastica perdita di entusiasmo nel lavoro che faccio, fortunatamente ho ritrovata la rabbia per poterlo fare … Ricordo Ninni Cassarà che mi disse… convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano, l’espressione … io vorrei ripeterla ora, ma vorrei farlo in modo più ottimistico ho sempre accettato le conseguenze del mio lavoro ... perché ho scelto ad un certo punto della mia vita di farlo e sapevo fin dall’inizio che dovevo correre questi pericoli … La sensazione di essere un sopravvissuto e di trovarmi in estremo pericolo è una sensazione che non si disgiunge dal fatto che io credo ancora profondamente nel lavoro che faccio … e so che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuare a fare senza lasciarci condizionare dalla sensazione o financo dalla certezza che tutto questo può costarci caro’.
Non ha detto tutto, non avrebbe potuto, quello che sapeva lo avrebbe riferito prima ai giudici, ma inutilmente aspetterà di essere convocato, la Mafia e chissà chi altro glielo hanno impedito.
Fonte yuotube.com
sabato 11 luglio 2020
Sala e la fake news sul costo della vita
‘È chiaro che se un dipendente pubblico, a parità di ruolo, guadagna gli stessi soldi a Milano e a Reggio Calabria, è intrinsecamente sbagliato, perché il costo della vita in quelle due realtà è diverso’, questo è quanto ha detto in diretta Facebook il sindaco di Milano, Giuseppe Sala
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Giuseppe Sala (foto da wikipedia.org)
Per il Sindaco del capoluogo lombardo, Giuseppe Sala, il problema dell'Italia non è il divario economico e sociale tra il Nord ed il Sud del Paese, ma il tenore di vita dei dipendenti del Comune che amministra. Se il ragionamento dell'esponente del Partito democratico è questo tutto diventa possibile, anche il fatto che Matteo Salvini si consideri l’erede del Pci di Enrico Berlinguer.
Il Primo cittadino meneghino in quella dichiarazione fa riferimento a quelle che una volta si chiamavano gabbie salariali. Erano il risultato di un accordo stipulato dopo la fine della Seconda guerra mondiale tra gli industriali ed i rappresentanti del lavoratori. Secondo quell’intesa i salari erano calcolati ‘sulla base del costo della vita nei diversi luoghi’. Rimarranno in vigore fino al 1969. Poi, sotto la spinta delle proteste studentesche ed operaie furono abolite definitivamente nel 1972.
La proposta di Giuseppe Sala, quindi, non è una novità, ma un ritorno al capitalismo italiano degli anni Cinquanta. La sua preoccupazione non è quella di favorire l’occupazione al Sud, ma quella di pagare di più i dipendenti pubblici delle regioni settentrionali dove il costo della vita sarebbe più alto. Tutto legittimo se quest’affermazione fosse vera.
Lo scorso anno Altroconsumo ha pubblicato un’indagine che smentisce un luogo comune assai diffuso tra i ‘padani’ e non solo. Secondo questa ‘credenza’ il costo dei beni e dei servizi sarebbe più basso al Sud. I dati della ricerca condotta da Altroconsumo, che ha preso in esame i prodotti di 1.017 negozi di 67 città, rilevando 1,2 milioni di prezzi, sono emblematici. Il Veneto è risultata la regione dove fare la spesa è più conveniente, ad essa segue il Friuli-Venezia Giulia, mentre quelle più care sono la Sicilia (Messina è la città più cara) e la Calabria.
Insomma, nelle regioni del Sud i prezzi dei beni alimentari sono più alti della media nazionale. La ragione è semplice: la maggior parte dei prodotti che i meridionali trovano sugli scaffali dei supermercati provengono dalle aziende che hanno sede nelle regioni del Nord. La conseguenza economica è che sul prezzo finale oltre al costo di produzione grava anche quello del trasporto. Pertanto, comprare il latte o le merendine in un supermercato di Cosenza è più ‘salato’ che comprarlo nel centro di Milano.
Nel dialetto siciliano si dice: ‘Curnuti e vastuniati’, cioè cornuti e bastonati. È un modo di dire per indicare una persona che non solo è vittima di un atto compiuto a sua insaputa, ma che, nello stesso tempo, è il solo a pagarne le conseguenze. Qui è la stessa cosa. Non solo le opportunità di lavoro nel Mezzogiorno sono inferiori rispetto al Centro-nord, ma anche il costo complessivo dei beni di prima necessità e non solo è mediamente più alto.
Il Mezzogiorno è ultimo per numero di occupati, per il livello del reddito medio pro-capite, per la qualità della vita, per lo sviluppo economico, invece è primo per numero di disoccupati, per il calo dei residenti, per il basso il tenore di vita ed ora si apprende anche per il costo dei beni prima necessità.
Piove sul bagnato, ma non è una novità. Quello che stupisce è che queste affermazioni sono state fatte da un importante esponente del Pd, un partito che ‘rappresenta’ o intende ‘rappresentare’ la Sinistra e che si ritiene erede e continuatore delle lotte operaie e studentesche degli anni Sessanta e Settanta. Purtroppo, dopo tre decenni di berlusconismo tutto si tiene e tutto diventa possibile, anche che la cosiddetta Sinistra faccia la Destra e viceversa.
Fonti: wikipedia.org, facebook.com, REDNEWS
‘È chiaro che se un dipendente pubblico, a parità di ruolo, guadagna gli stessi soldi a Milano e a Reggio Calabria, è intrinsecamente sbagliato, perché il costo della vita in quelle due realtà è diverso’, questo è quanto ha detto in diretta Facebook il sindaco di Milano, Giuseppe Sala
Per il Sindaco del capoluogo lombardo, Giuseppe Sala, il problema dell'Italia non è il divario economico e sociale tra il Nord ed il Sud del Paese, ma il tenore di vita dei dipendenti del Comune che amministra. Se il ragionamento dell'esponente del Partito democratico è questo tutto diventa possibile, anche il fatto che Matteo Salvini si consideri l’erede del Pci di Enrico Berlinguer.
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
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Giuseppe Sala (foto da wikipedia.org) |
Il Primo cittadino meneghino in quella dichiarazione fa riferimento a quelle che una volta si chiamavano gabbie salariali. Erano il risultato di un accordo stipulato dopo la fine della Seconda guerra mondiale tra gli industriali ed i rappresentanti del lavoratori. Secondo quell’intesa i salari erano calcolati ‘sulla base del costo della vita nei diversi luoghi’. Rimarranno in vigore fino al 1969. Poi, sotto la spinta delle proteste studentesche ed operaie furono abolite definitivamente nel 1972.
La proposta di Giuseppe Sala, quindi, non è una novità, ma un ritorno al capitalismo italiano degli anni Cinquanta. La sua preoccupazione non è quella di favorire l’occupazione al Sud, ma quella di pagare di più i dipendenti pubblici delle regioni settentrionali dove il costo della vita sarebbe più alto. Tutto legittimo se quest’affermazione fosse vera.
Lo scorso anno Altroconsumo ha pubblicato un’indagine che smentisce un luogo comune assai diffuso tra i ‘padani’ e non solo. Secondo questa ‘credenza’ il costo dei beni e dei servizi sarebbe più basso al Sud. I dati della ricerca condotta da Altroconsumo, che ha preso in esame i prodotti di 1.017 negozi di 67 città, rilevando 1,2 milioni di prezzi, sono emblematici. Il Veneto è risultata la regione dove fare la spesa è più conveniente, ad essa segue il Friuli-Venezia Giulia, mentre quelle più care sono la Sicilia (Messina è la città più cara) e la Calabria.
Insomma, nelle regioni del Sud i prezzi dei beni alimentari sono più alti della media nazionale. La ragione è semplice: la maggior parte dei prodotti che i meridionali trovano sugli scaffali dei supermercati provengono dalle aziende che hanno sede nelle regioni del Nord. La conseguenza economica è che sul prezzo finale oltre al costo di produzione grava anche quello del trasporto. Pertanto, comprare il latte o le merendine in un supermercato di Cosenza è più ‘salato’ che comprarlo nel centro di Milano.
Nel dialetto siciliano si dice: ‘Curnuti e vastuniati’, cioè cornuti e bastonati. È un modo di dire per indicare una persona che non solo è vittima di un atto compiuto a sua insaputa, ma che, nello stesso tempo, è il solo a pagarne le conseguenze. Qui è la stessa cosa. Non solo le opportunità di lavoro nel Mezzogiorno sono inferiori rispetto al Centro-nord, ma anche il costo complessivo dei beni di prima necessità e non solo è mediamente più alto.
Il Mezzogiorno è ultimo per numero di occupati, per il livello del reddito medio pro-capite, per la qualità della vita, per lo sviluppo economico, invece è primo per numero di disoccupati, per il calo dei residenti, per il basso il tenore di vita ed ora si apprende anche per il costo dei beni prima necessità.
Piove sul bagnato, ma non è una novità. Quello che stupisce è che queste affermazioni sono state fatte da un importante esponente del Pd, un partito che ‘rappresenta’ o intende ‘rappresentare’ la Sinistra e che si ritiene erede e continuatore delle lotte operaie e studentesche degli anni Sessanta e Settanta. Purtroppo, dopo tre decenni di berlusconismo tutto si tiene e tutto diventa possibile, anche che la cosiddetta Sinistra faccia la Destra e viceversa.
Fonti: wikipedia.org, facebook.com, REDNEWS
martedì 7 luglio 2020
Ecco come ridurre le disuguaglianze
I contribuenti che presentano il 730 online possono verificare come sono state utilizzate le imposte che hanno pagato nel 2019
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGovanni)

Foto da agenziaentrate.gov.it
Per sapere come l’Erario ha impiegato le imposte versate lo scorso anno con il modello 730 è sufficiente entrare nel sito delle Agenzia delle Entrate utilizzando lo Spid o con una delle altre modalità di accesso previste dall’Ente. È una lettura interessante. Ad ogni voce di spesa corrisponde l’ammontare della somma utilizzata tra quelle trattenute ogni mese nella busta paga dal datore di lavoro. Ogni singolo contribuente può appurare con quanto ha contribuito ai diversi servizi erogati dallo Stato come Sanità, Istruzione, Difesa, etc...
Ecco un esempio concreto. La dichiarazione si riferisce al 2019. Il reddito lordo indicato nel 730 è stato di circa 23 mila euro, a cui corrisponde una retribuzione netta di circa 1.500 euro al mese. Le imposte trattenute dal datore di lavoro sono state circa 4.600 euro. Di queste oltre 1800 euro (40%) sono state impiegate per garantire i servizi di Protezione sociale (assistenza) e per il Servizio Sanitario Nazionale. Circa 500 euro ciascuno (10,80%) sono stati utilizzati per l’Istruzione, gli interessi sul debito pubblico, per la Pubblica amministrazione, per la Difesa e l’ordine pubblico. La spesa per lo Sviluppo economico ed i Trasporti è stata poco più di 400 euro (8,70%). Circa 100 euro (2,17%) sono serviti per contribuire al bilancio dell’Unione europea ed altrettanti per l’Ambiente e lo Sport. Poco più di 50 euro (1,08%) sono stati utilizzati per il Territorio.
Tra questi dati due sono particolarmente significativi: la spesa per gli interessi e quelli per la Sanità. È bene ricordare che il rinnovo periodico di Bot e Btp non avviene gratis, costa alle casse dell’Erario decine di miliardi di euro ogni anno. Nel 2019 sono stati spesi circa 63,9 miliardi di euro per corrispondere a creditori gli interessi sul debito pubblico. Una somma simile a quella che lo Stato spende per pagare insegnanti, docenti universitari, strutture scolastiche, etc... Nel nostro Paese Rendite finanziarie e Istruzione hanno lo stesso 'peso', almeno in relazione ai costi sostenuti.
La maggior parte delle risorse, circa il 40% del totale, è stata utilizzata per l’Assistenza e per il sistema Sanitario. Tutti hanno potuto constatare con la pandemia dovuta al Coronavirus come sia importante un sistema sanitario e di assistenza sociale efficiente. Per ridurre le disuguaglianze è fondamentale investire in questi due settori. Un sistema di sicurezza sociale funzionante è indispensabile per tutelare i più deboli e le classi sociali che sono a rischio di povertà o di esclusione sociale. Il miglior modo per redistribuire la ricchezza è quello di incrementare gli investimenti pubblici nei servizi di base essenziali, come sono, appunto, Sanità e Assistenza, il resto sono solo chiacchiere.
Fonte agenziaentrate.gov.it
I contribuenti che presentano il 730 online possono verificare come sono state utilizzate le imposte che hanno pagato nel 2019
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGovanni)
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Foto da agenziaentrate.gov.it |
Per sapere come l’Erario ha impiegato le imposte versate lo scorso anno con il modello 730 è sufficiente entrare nel sito delle Agenzia delle Entrate utilizzando lo Spid o con una delle altre modalità di accesso previste dall’Ente. È una lettura interessante. Ad ogni voce di spesa corrisponde l’ammontare della somma utilizzata tra quelle trattenute ogni mese nella busta paga dal datore di lavoro. Ogni singolo contribuente può appurare con quanto ha contribuito ai diversi servizi erogati dallo Stato come Sanità, Istruzione, Difesa, etc...
Ecco un esempio concreto. La dichiarazione si riferisce al 2019. Il reddito lordo indicato nel 730 è stato di circa 23 mila euro, a cui corrisponde una retribuzione netta di circa 1.500 euro al mese. Le imposte trattenute dal datore di lavoro sono state circa 4.600 euro. Di queste oltre 1800 euro (40%) sono state impiegate per garantire i servizi di Protezione sociale (assistenza) e per il Servizio Sanitario Nazionale. Circa 500 euro ciascuno (10,80%) sono stati utilizzati per l’Istruzione, gli interessi sul debito pubblico, per la Pubblica amministrazione, per la Difesa e l’ordine pubblico. La spesa per lo Sviluppo economico ed i Trasporti è stata poco più di 400 euro (8,70%). Circa 100 euro (2,17%) sono serviti per contribuire al bilancio dell’Unione europea ed altrettanti per l’Ambiente e lo Sport. Poco più di 50 euro (1,08%) sono stati utilizzati per il Territorio.
Tra questi dati due sono particolarmente significativi: la spesa per gli interessi e quelli per la Sanità. È bene ricordare che il rinnovo periodico di Bot e Btp non avviene gratis, costa alle casse dell’Erario decine di miliardi di euro ogni anno. Nel 2019 sono stati spesi circa 63,9 miliardi di euro per corrispondere a creditori gli interessi sul debito pubblico. Una somma simile a quella che lo Stato spende per pagare insegnanti, docenti universitari, strutture scolastiche, etc... Nel nostro Paese Rendite finanziarie e Istruzione hanno lo stesso 'peso', almeno in relazione ai costi sostenuti.
La maggior parte delle risorse, circa il 40% del totale, è stata utilizzata per l’Assistenza e per il sistema Sanitario. Tutti hanno potuto constatare con la pandemia dovuta al Coronavirus come sia importante un sistema sanitario e di assistenza sociale efficiente. Per ridurre le disuguaglianze è fondamentale investire in questi due settori. Un sistema di sicurezza sociale funzionante è indispensabile per tutelare i più deboli e le classi sociali che sono a rischio di povertà o di esclusione sociale. Il miglior modo per redistribuire la ricchezza è quello di incrementare gli investimenti pubblici nei servizi di base essenziali, come sono, appunto, Sanità e Assistenza, il resto sono solo chiacchiere.
Fonte agenziaentrate.gov.it
venerdì 3 luglio 2020
Istat: crescono le disuguaglianze
Il Rapporto Annuale pubblicato dall’Istat evidenzia l’incremento nel 2019 delle disuguaglianze tra le categorie sociali e le aree territoriali ed un loro ampliamento nel 2020 dovuto all’emergenza Covid 19
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da istat.it
‘Sul fronte del mercato del lavoro la fotografia al 2019 indica crescita di diseguaglianze territoriali, generazionali e per titolo di studio rispetto al 2008’. Questo è in sintesi il contenuto del Rapporto Annuale 2020 pubblicato dall’Istat. Con l'emergenza sanitaria l’elevato tasso di precarietà dell’occupazione ‘tra le donne, nel Mezzogiorno, tra i lavoratori molto giovani e tra quelli anziani è una fonte di fragilità aggiuntiva’. La chiusura delle scuole e l’impossibilità di affidarsi ‘alla rete famigliare’ rischiano di amplificare le disuguaglianze.
Il digital divide e la carezza di attrezzature informatiche accentuano le differenze sociali. In particolare, nel Mezzogiorno dove ci sono carenze strutturali negli asili nido e nell’affidabilità della Rete. L’utilizzo dello smartworking, reso necessario dal lockdown, ha evidenziato le grandi potenzialità di questo strumento, ma ha mostrato anche le criticità legate agli ‘squilibri tra lavoro e spazi privati’ ed il divario digitale che caratterizza il nostro Paese.
Il ‘mercato del lavoro pre-pandemia mostra diseguaglianze crescenti’. Nel 2019 gli occupati nel Centro-nord erano 519 mila in più rispetto al 2008, mentre nel Sud il saldo è ancora negativo per 249 mila unità. Gran parte dell’occupazione tra le donne, i giovani ed i lavoratori del Mezzogiorno è a ‘tempo determinato ed a tempo parziale’ ed è ad alto rischio ‘di marginalità e di perdita del lavoro’.
Le misure di confinamento adottate nei mesi scorsi dal Governo stanno causando ‘un aumento delle disuguaglianze’. Al divario strutturale nelle infrastrutture e nello sviluppo produttivo ora si aggiunge quello digitale. Nel Sud il 19% dei giovani tra i 6 ed i 17 anni non ha nè un computer né un tablet, mentre nel Nord la percentuale scende al 7,5% e nel Centro al 10,9%. La situazione è aggravata dalla condizione di disagio socio-economico delle famiglie.
Il Rapporto pubblicato dall’Istituto di statistica conferma il crescente divario tra le diverse aree geografiche del Paese e tra le diverse classi sociali. Mesi di emergenza sanitaria e di blocco delle attività hanno fatto emergere ulteriori condizioni di criticità. L’ipotesi di un incremento delle disuguaglianze dovute al Coronavirus non è quindi un’eventualità, ma una certezza.
Fonte istat.it
Il Rapporto Annuale pubblicato dall’Istat evidenzia l’incremento nel 2019 delle disuguaglianze tra le categorie sociali e le aree territoriali ed un loro ampliamento nel 2020 dovuto all’emergenza Covid 19
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
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Foto da istat.it |
‘Sul fronte del mercato del lavoro la fotografia al 2019 indica crescita di diseguaglianze territoriali, generazionali e per titolo di studio rispetto al 2008’. Questo è in sintesi il contenuto del Rapporto Annuale 2020 pubblicato dall’Istat. Con l'emergenza sanitaria l’elevato tasso di precarietà dell’occupazione ‘tra le donne, nel Mezzogiorno, tra i lavoratori molto giovani e tra quelli anziani è una fonte di fragilità aggiuntiva’. La chiusura delle scuole e l’impossibilità di affidarsi ‘alla rete famigliare’ rischiano di amplificare le disuguaglianze.
Il digital divide e la carezza di attrezzature informatiche accentuano le differenze sociali. In particolare, nel Mezzogiorno dove ci sono carenze strutturali negli asili nido e nell’affidabilità della Rete. L’utilizzo dello smartworking, reso necessario dal lockdown, ha evidenziato le grandi potenzialità di questo strumento, ma ha mostrato anche le criticità legate agli ‘squilibri tra lavoro e spazi privati’ ed il divario digitale che caratterizza il nostro Paese.
Il ‘mercato del lavoro pre-pandemia mostra diseguaglianze crescenti’. Nel 2019 gli occupati nel Centro-nord erano 519 mila in più rispetto al 2008, mentre nel Sud il saldo è ancora negativo per 249 mila unità. Gran parte dell’occupazione tra le donne, i giovani ed i lavoratori del Mezzogiorno è a ‘tempo determinato ed a tempo parziale’ ed è ad alto rischio ‘di marginalità e di perdita del lavoro’.
Le misure di confinamento adottate nei mesi scorsi dal Governo stanno causando ‘un aumento delle disuguaglianze’. Al divario strutturale nelle infrastrutture e nello sviluppo produttivo ora si aggiunge quello digitale. Nel Sud il 19% dei giovani tra i 6 ed i 17 anni non ha nè un computer né un tablet, mentre nel Nord la percentuale scende al 7,5% e nel Centro al 10,9%. La situazione è aggravata dalla condizione di disagio socio-economico delle famiglie.
Il Rapporto pubblicato dall’Istituto di statistica conferma il crescente divario tra le diverse aree geografiche del Paese e tra le diverse classi sociali. Mesi di emergenza sanitaria e di blocco delle attività hanno fatto emergere ulteriori condizioni di criticità. L’ipotesi di un incremento delle disuguaglianze dovute al Coronavirus non è quindi un’eventualità, ma una certezza.
Fonte istat.it
giovedì 18 giugno 2020
Ma Di Maio ed il M5s non avevano abolito la povertà?
Il Rapporto pubblicato dall’Istat sulla povertà è un duro e triste ritorno alla realtà. Forse qualcuno dovrebbe chiedere scusa, ma probabilmente sarebbe inutile
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Luigi Di Maio, 28 settembre 2018
(foto dal profilo Facebook)
Secondo il Report 2019 pubblicato dall’Istat le famiglie in condizione di povertà assoluta sono quasi 1,7 milioni, cioè il 6,4%, nel 2018 era al 7,0%. Il numero complessivo è di 4,6 milioni di persone, cioè il 7,7% del totale, nel 2018 erano l’8,4%. Di questi 1,3 milioni sono minori ed il 26,9% sono cittadini stranieri residenti. Le famiglie in condizioni di povertà relativa sono circa 3 milioni (11,4%), che corrispondono a 8,8 milioni di persone, il 14,7% del totale. La situazione è leggermente migliorata rispetto agli anni precedenti, ma siamo ancora a livelli molto superiori rispetto a quelli del 2008/2009.
Ma la povertà non era stata abolita con i provvedimenti emanati dal governo Gialloverde? Era il 28 settembre del 2018 quando dal balcone di Palazzo Chigi l’allora Vicepremier, nonché ministro del Lavoro e leader del M5s, Luigi Di Maio annunciava enfaticamente il lieto evento: ‘Abbiamo abolito la povertà?
‘Pari nu babbu priatu’, un ingenuo contento, così si dice in Sicilia delle persone che si vantano di un fatto che non ha riscontro nella realtà. In quelle ore il leader grillino sembrò un ‘sempliciotto’ che riteneva di aver risolto un problema secolare come la povertà con una manovra finanziaria. Nella realtà tutti sapevano che così non era e che così non sarebbe stato. Nessuno glielo disse o fece finta di non capire? Forse qualcuno dovrebbe chiedere scusa per quelle parole, ma probabilmente sarebbe inutile. Come sarebbe inutile chiedere come mai il Reddito di cittadinanza non abbia risolto il problema.
Il Report dell’Istat è un triste e duro ritorno alla realtà. ‘La povertà purtroppo non è abolita, ma la misura sta dando ottimi risultati e ossigeno a milioni di italiani sfortunati’, ha dichiarato a La Stampa il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico. Le vicende umane sono quasi sempre più complesse di quello che pensiamo o che vorremmo che fossero.
La storia dell’uomo è caratterizzata dal conflitto di classe. Dalla continua lotta tra chi comanda e chi ubbidisce, tra padroni e servi, tra borghesi e proletari, tra imprenditori e dipendenti, tra ricchi e poveri. Pensare di risolvere questa contrapposizione con un provvedimento legislativo è ingenuo e velleitario o peggio ancora è ‘disonesto’ verso chi ha bisogno e vive di illusioni.
Comunque sia, il dramma della povertà non si elimina o, più verosimilmente, non si limita con l’assistenzialismo, ma con la dignità del lavoro e con un’equa distribuzione della ricchezza. Sembrano ovvietà, ma metterle in pratica finora è stato impossibile.
Fonte istat.it
Il Rapporto pubblicato dall’Istat sulla povertà è un duro e triste ritorno alla realtà. Forse qualcuno dovrebbe chiedere scusa, ma probabilmente sarebbe inutile
Secondo il Report 2019 pubblicato dall’Istat le famiglie in condizione di povertà assoluta sono quasi 1,7 milioni, cioè il 6,4%, nel 2018 era al 7,0%. Il numero complessivo è di 4,6 milioni di persone, cioè il 7,7% del totale, nel 2018 erano l’8,4%. Di questi 1,3 milioni sono minori ed il 26,9% sono cittadini stranieri residenti. Le famiglie in condizioni di povertà relativa sono circa 3 milioni (11,4%), che corrispondono a 8,8 milioni di persone, il 14,7% del totale. La situazione è leggermente migliorata rispetto agli anni precedenti, ma siamo ancora a livelli molto superiori rispetto a quelli del 2008/2009.
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
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Luigi Di Maio, 28 settembre 2018 (foto dal profilo Facebook) |
Ma la povertà non era stata abolita con i provvedimenti emanati dal governo Gialloverde? Era il 28 settembre del 2018 quando dal balcone di Palazzo Chigi l’allora Vicepremier, nonché ministro del Lavoro e leader del M5s, Luigi Di Maio annunciava enfaticamente il lieto evento: ‘Abbiamo abolito la povertà?
‘Pari nu babbu priatu’, un ingenuo contento, così si dice in Sicilia delle persone che si vantano di un fatto che non ha riscontro nella realtà. In quelle ore il leader grillino sembrò un ‘sempliciotto’ che riteneva di aver risolto un problema secolare come la povertà con una manovra finanziaria. Nella realtà tutti sapevano che così non era e che così non sarebbe stato. Nessuno glielo disse o fece finta di non capire? Forse qualcuno dovrebbe chiedere scusa per quelle parole, ma probabilmente sarebbe inutile. Come sarebbe inutile chiedere come mai il Reddito di cittadinanza non abbia risolto il problema.
Il Report dell’Istat è un triste e duro ritorno alla realtà. ‘La povertà purtroppo non è abolita, ma la misura sta dando ottimi risultati e ossigeno a milioni di italiani sfortunati’, ha dichiarato a La Stampa il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico. Le vicende umane sono quasi sempre più complesse di quello che pensiamo o che vorremmo che fossero.
La storia dell’uomo è caratterizzata dal conflitto di classe. Dalla continua lotta tra chi comanda e chi ubbidisce, tra padroni e servi, tra borghesi e proletari, tra imprenditori e dipendenti, tra ricchi e poveri. Pensare di risolvere questa contrapposizione con un provvedimento legislativo è ingenuo e velleitario o peggio ancora è ‘disonesto’ verso chi ha bisogno e vive di illusioni.
Comunque sia, il dramma della povertà non si elimina o, più verosimilmente, non si limita con l’assistenzialismo, ma con la dignità del lavoro e con un’equa distribuzione della ricchezza. Sembrano ovvietà, ma metterle in pratica finora è stato impossibile.
Fonte istat.it
domenica 31 maggio 2020
Il 2 giugno è la Festa dell’Italia antifascista e repubblicana
Il tentativo di Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e di Giorgia Meloni di trasformare la Festa della Repubblica in una festa di partito è patetico
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Il volto 'simbolo' di Anna Iberti, sovrapposta ad una
copia del Corriere della Sera del 6 giugno del 1946,
con la notizia dei risultati della nascita della
Repubblica Italiana. La celebre foto fu realizzata da
Federico Patellani per il settimanale Tempo. Oggi si
trova presso il Museo di fotografia contemporanea
Tutte le formazioni politiche che parteciparono alla lotta di Liberazione erano apertamente repubblicane. Nell’aprile del 1946 nel corso del suo primo congresso anche la Democrazia Cristiana si espresse a favore delle Repubblica. L’unica forza politica del Comitato di Liberazione Nazionale che il 2 giugno di quell'anno si schierò a favore della Monarchia fu il Partito Liberale. Comunisti, socialisti, azionisti, cattolici ebbero un ruolo fondamentale nella nascita della nuova forma di Governo.
Vittorio Emanuele III è stato il principale responsabile dell’ascesa al potere di Benito Mussolini. La marcia su Roma del 28 ottobre del 1922 di poche migliaia di scalmanati poteva essere fermata, ma il Re preferì consegnare il Paese al Duce. L’ondata rivoluzionaria di quegli anni intimorì i Savoia ed i poteri ‘forti’ dell’economia e dell’industria italiana. Ed è per questa ragione che l’avvento del fascismo fu favorito dalla Monarchia e dalle forze anticomuniste ed antidemocratiche. Consenso che continuò anche quando, tra il 1925 ed il 1926, furono approvate le 'leggi fascistissime’ e quelle a ‘difesa della razza’ del 1938. Obbrobri che hanno macchiato in modo indelebile la storia giuridica ed istituzionale del nostro Paese. Non solo. Il due giugno del 1946 gli antifascisti sancirono con il Referendum e l’elezione dell’Assemblea costituente i valori di libertà e democrazia negati durante il Ventennio fascista. Quel giorno la Destra dov’era? Con chi stava?
La storia non può essere modificata a piacimento e per giustificare la propaganda politica di questo o quel partito. ‘L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro’, stabilisce il primo articolo della Costituzione. Libertà, democrazia, solidarietà sono i valori fondamentali su cui si fonda lo Stato italiano. E sono principi assoluti ed inviolabili dell’Italia antifascista e repubblicana. Il 2 giugno non è la Festa di una parte politica, ma di tutto il popolo italiano.
Il fatto è che nel calendario non c’è e non ci può essere una ricorrenza che possa essere ricondotta all’ideologia del Ventennio. Dall’8 settembre del 1943 l’Italia è uno Stato antifascista e dal 2 giugno 1946 è una Repubblica parlamentare e democratica. La Destra quando ne prenderà atto? E soprattutto quando farà i conti con la sua storia?
Fonte it.wikipedia.org
Il tentativo di Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e di Giorgia Meloni di trasformare la Festa della Repubblica in una festa di partito è patetico
Tutte le formazioni politiche che parteciparono alla lotta di Liberazione erano apertamente repubblicane. Nell’aprile del 1946 nel corso del suo primo congresso anche la Democrazia Cristiana si espresse a favore delle Repubblica. L’unica forza politica del Comitato di Liberazione Nazionale che il 2 giugno di quell'anno si schierò a favore della Monarchia fu il Partito Liberale. Comunisti, socialisti, azionisti, cattolici ebbero un ruolo fondamentale nella nascita della nuova forma di Governo.
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
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Il volto 'simbolo' di Anna Iberti, sovrapposta ad una
copia del Corriere della Sera del 6 giugno del 1946,
con la notizia dei risultati della nascita della
Repubblica Italiana. La celebre foto fu realizzata da
Federico Patellani per il settimanale Tempo. Oggi si
trova presso il Museo di fotografia contemporanea
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Vittorio Emanuele III è stato il principale responsabile dell’ascesa al potere di Benito Mussolini. La marcia su Roma del 28 ottobre del 1922 di poche migliaia di scalmanati poteva essere fermata, ma il Re preferì consegnare il Paese al Duce. L’ondata rivoluzionaria di quegli anni intimorì i Savoia ed i poteri ‘forti’ dell’economia e dell’industria italiana. Ed è per questa ragione che l’avvento del fascismo fu favorito dalla Monarchia e dalle forze anticomuniste ed antidemocratiche. Consenso che continuò anche quando, tra il 1925 ed il 1926, furono approvate le 'leggi fascistissime’ e quelle a ‘difesa della razza’ del 1938. Obbrobri che hanno macchiato in modo indelebile la storia giuridica ed istituzionale del nostro Paese. Non solo. Il due giugno del 1946 gli antifascisti sancirono con il Referendum e l’elezione dell’Assemblea costituente i valori di libertà e democrazia negati durante il Ventennio fascista. Quel giorno la Destra dov’era? Con chi stava?
La storia non può essere modificata a piacimento e per giustificare la propaganda politica di questo o quel partito. ‘L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro’, stabilisce il primo articolo della Costituzione. Libertà, democrazia, solidarietà sono i valori fondamentali su cui si fonda lo Stato italiano. E sono principi assoluti ed inviolabili dell’Italia antifascista e repubblicana. Il 2 giugno non è la Festa di una parte politica, ma di tutto il popolo italiano.
Il fatto è che nel calendario non c’è e non ci può essere una ricorrenza che possa essere ricondotta all’ideologia del Ventennio. Dall’8 settembre del 1943 l’Italia è uno Stato antifascista e dal 2 giugno 1946 è una Repubblica parlamentare e democratica. La Destra quando ne prenderà atto? E soprattutto quando farà i conti con la sua storia?
Fonte it.wikipedia.org
martedì 19 maggio 2020
Un leghista assessore all’Identità siciliana
È il giornalista Alberto Samonà il nuovo assessore ai Beni culturali e all’Identità siciliana. La delega apparteneva al compianto Sebastiano Tusa, deceduto un anno fa nell’incidente aereo di Addis Abeba in Etiopia
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Matteo Salvini e Alberto Samonà - (foto da indelebiliweb.it)
‘E’ la giusta sintesi della militanza politica e della competenza professionale’, ha dichiarato all’Ansa il presidente della regione Sicilia, Nello Musumeci. Intellettuale e scrittore, il nuovo assessore, Alberto Samonà, è il direttore del sito giornalistico online ilSicilia.it. Il suo percorso politico è stato ‘tortuoso’. Negli anni Ottanta è stato dirigente del Fronte della Gioventù. Successivamente ha fondato a Palermo il Circolo politico-culturale Julius Evola. Nel 2018 si è presentato alle ‘parlamentarie’ del Movimento 5 Stelle, ma è stato escluso dalla lista. Nel settembre dello stesso anno è stato nominato responsabile per il Dipartimento cultura della Lega Salvini Premier. Pochi giorni fa la designazione in quota Lega ad assessore ai Beni culturali e all’Identità siciliana.
Incalzato da Claudio Fava a dire pubblicamente se è iscritto ad una loggia massonica, come prevede il regolamento della regione Sicilia per tutti i deputati ed assessori anche se non eletti, Alberto Samonà ha dichiarato: ‘Si sono stato iscritto alla massoneria. Ma adesso non lo sono più da tempo’.
Insomma, il nuovo assessore all’Identità siciliana è, al di là delle sue competenze, un ex militante del Fronte della Gioventù, un mancato senatore grillino, un leghista ed un ex massone, ma perché il governatore della Sicilia lo ha voluto nella sua Giunta?
Di certo ci sono affinità culturali ed ideologiche, ma ci sono anche ragioni politiche ed amministrative. Ora la giunta Musumeci potrà contare sul sostegno senza se e senza ma della Lega di Matteo Salvini. Il partito che ha come simbolo l’eroe indipendentista, Alberto da Giussano, ora governa i ‘terroni’. Solo nella terra di Pirandello e di Sciascia poteva accadere un paradosso simile. E chissà cosa avrebbe pensato e detto Andrea Camilleri di un leghista custode della cultura e dell’identità siciliana.
Fonti: ansa.it, metronews.it e wikipedia.org
È il giornalista Alberto Samonà il nuovo assessore ai Beni culturali e all’Identità siciliana. La delega apparteneva al compianto Sebastiano Tusa, deceduto un anno fa nell’incidente aereo di Addis Abeba in Etiopia
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
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Matteo Salvini e Alberto Samonà - (foto da indelebiliweb.it) |
‘E’ la giusta sintesi della militanza politica e della competenza professionale’, ha dichiarato all’Ansa il presidente della regione Sicilia, Nello Musumeci. Intellettuale e scrittore, il nuovo assessore, Alberto Samonà, è il direttore del sito giornalistico online ilSicilia.it. Il suo percorso politico è stato ‘tortuoso’. Negli anni Ottanta è stato dirigente del Fronte della Gioventù. Successivamente ha fondato a Palermo il Circolo politico-culturale Julius Evola. Nel 2018 si è presentato alle ‘parlamentarie’ del Movimento 5 Stelle, ma è stato escluso dalla lista. Nel settembre dello stesso anno è stato nominato responsabile per il Dipartimento cultura della Lega Salvini Premier. Pochi giorni fa la designazione in quota Lega ad assessore ai Beni culturali e all’Identità siciliana.
Incalzato da Claudio Fava a dire pubblicamente se è iscritto ad una loggia massonica, come prevede il regolamento della regione Sicilia per tutti i deputati ed assessori anche se non eletti, Alberto Samonà ha dichiarato: ‘Si sono stato iscritto alla massoneria. Ma adesso non lo sono più da tempo’.
Insomma, il nuovo assessore all’Identità siciliana è, al di là delle sue competenze, un ex militante del Fronte della Gioventù, un mancato senatore grillino, un leghista ed un ex massone, ma perché il governatore della Sicilia lo ha voluto nella sua Giunta?
Di certo ci sono affinità culturali ed ideologiche, ma ci sono anche ragioni politiche ed amministrative. Ora la giunta Musumeci potrà contare sul sostegno senza se e senza ma della Lega di Matteo Salvini. Il partito che ha come simbolo l’eroe indipendentista, Alberto da Giussano, ora governa i ‘terroni’. Solo nella terra di Pirandello e di Sciascia poteva accadere un paradosso simile. E chissà cosa avrebbe pensato e detto Andrea Camilleri di un leghista custode della cultura e dell’identità siciliana.
Fonti: ansa.it, metronews.it e wikipedia.org
venerdì 8 maggio 2020
Sud vs Nord
Ci sono voluti meno di ventidue mesi per ricostruire i 1.067 metri del ponte di Genova, mentre per rifare i 270 metri del viadotto Himera sull’autostrada A19 Palermo-Catania sono stati necessari oltre cinque anni
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

A sinistra il nuovo ponte di Genova, a destra il viadotto Himera
Il 10 aprile del 2015 cedette, lungo la A19 Palermo – Catania, il viadotto Himera. L’interruzione, causata da una frana, divise in due la Sicilia. Nell’isola, infatti, non esiste un’altra autostrada che la attraversi da Nord a Sud o da Est a Ovest. Per diversi mesi gli automobilisti furono costretti a fare il giro da Polizzi Generosa. E gli autoarticolati per raggiungere Catania dovevano passare addirittura da Messina. Ancora oggi è obbligatorio utilizzare la bretella costruita dall’Anas. L’azienda pubblica ha comunicato che i lavori di ripristino del cavalcavia saranno completati entro la fine di luglio, ma visti i continui rinvii, forse sarebbe stato meglio non fare previsioni. Pochi giorni fa il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha assistito alla posa dell’ultima campata del nuovo ponte di Genova. Il tutto in diretta televisiva.
Per rifare un viadotto di nemmeno trecento metri non sono stati sufficienti oltre cinque anni, mentre per realizzare un ponte di 1.067 metri sono bastati meno di ventidue mesi. Il committente delle due opere è sempre lo stesso, eppure, l’efficienza organizzativa e burocratica è diversa, perché?
Non è solo una questione di procedure amministrative o di capacità imprenditoriali. Piuttosto è un fatto di scelte politiche ed economiche. La viabilità di una città settentrionale è, per chi ci governa, molto più importante che ripristinare un’arteria autostradale che collega cinque milioni di siciliani. Non è la prima volta che si verifica questa disparità di trattamento. Il Sud, spesso, è abbandonato a sé stesso, come se fosse un peso per l’opulento e operoso Settentrione.
Due pesi e due misure. Due Italie. È sempre stato così. Dalla nascita dello Stato unitario la priorità è sempre stata quella di favorire lo sviluppo economico del Nord. Sia chiaro, i meridionali hanno tante responsabilità, ma forse la più grave è quella di non aver saputo imporre gli interessi e le esigenze economiche e sociali del proprio territorio. Spesso, troppo spesso, i ‘terroni’ si sono limitati ad accettare quel poco che il resto del Paese era disposto a concedere, cioè poco o niente.
Ora la storia potrebbe ripetersi. Stiamo affrontando una gravissima crisi sanitaria. Ad essa seguirà un crollo del Pil peggiore di quello del 1929. E non è necessario essere un indovino per prevedere che a pagare saranno i più deboli ed i territori con un’economica più fragile, Mezzogiorno compreso. Ovviamente, il tutto avverrà nell’indifferenza di chi governa e di chi è governato, ma anche questa non è una novità.
Ci sono voluti meno di ventidue mesi per ricostruire i 1.067 metri del ponte di Genova, mentre per rifare i 270 metri del viadotto Himera sull’autostrada A19 Palermo-Catania sono stati necessari oltre cinque anni
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
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A sinistra il nuovo ponte di Genova, a destra il viadotto Himera |
Il 10 aprile del 2015 cedette, lungo la A19 Palermo – Catania, il viadotto Himera. L’interruzione, causata da una frana, divise in due la Sicilia. Nell’isola, infatti, non esiste un’altra autostrada che la attraversi da Nord a Sud o da Est a Ovest. Per diversi mesi gli automobilisti furono costretti a fare il giro da Polizzi Generosa. E gli autoarticolati per raggiungere Catania dovevano passare addirittura da Messina. Ancora oggi è obbligatorio utilizzare la bretella costruita dall’Anas. L’azienda pubblica ha comunicato che i lavori di ripristino del cavalcavia saranno completati entro la fine di luglio, ma visti i continui rinvii, forse sarebbe stato meglio non fare previsioni. Pochi giorni fa il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha assistito alla posa dell’ultima campata del nuovo ponte di Genova. Il tutto in diretta televisiva.
Per rifare un viadotto di nemmeno trecento metri non sono stati sufficienti oltre cinque anni, mentre per realizzare un ponte di 1.067 metri sono bastati meno di ventidue mesi. Il committente delle due opere è sempre lo stesso, eppure, l’efficienza organizzativa e burocratica è diversa, perché?
Non è solo una questione di procedure amministrative o di capacità imprenditoriali. Piuttosto è un fatto di scelte politiche ed economiche. La viabilità di una città settentrionale è, per chi ci governa, molto più importante che ripristinare un’arteria autostradale che collega cinque milioni di siciliani. Non è la prima volta che si verifica questa disparità di trattamento. Il Sud, spesso, è abbandonato a sé stesso, come se fosse un peso per l’opulento e operoso Settentrione.
Due pesi e due misure. Due Italie. È sempre stato così. Dalla nascita dello Stato unitario la priorità è sempre stata quella di favorire lo sviluppo economico del Nord. Sia chiaro, i meridionali hanno tante responsabilità, ma forse la più grave è quella di non aver saputo imporre gli interessi e le esigenze economiche e sociali del proprio territorio. Spesso, troppo spesso, i ‘terroni’ si sono limitati ad accettare quel poco che il resto del Paese era disposto a concedere, cioè poco o niente.
Ora la storia potrebbe ripetersi. Stiamo affrontando una gravissima crisi sanitaria. Ad essa seguirà un crollo del Pil peggiore di quello del 1929. E non è necessario essere un indovino per prevedere che a pagare saranno i più deboli ed i territori con un’economica più fragile, Mezzogiorno compreso. Ovviamente, il tutto avverrà nell’indifferenza di chi governa e di chi è governato, ma anche questa non è una novità.
sabato 2 maggio 2020
L’inizio della Fase 2 non vuol dire ‘liberi tutti’
Secondo gli esperti occorreranno dai 12 ai 18 mesi per ritornare alla ‘normalità’, pertanto, con il rientro al lavoro e alle attività quotidiane occorreranno maggiore cautela ed un rigido rispetto delle direttive sanitarie

Migranti, campo profughi in Libia - (foto di @fcantagallo)
Il lockdown totale sta per finire, il 4 maggio inizierà la cosiddetta Fase 2. Il divieto di circolazione sarà allentato. Oltre 4 milioni di lavoratori torneranno negli uffici e nelle fabbriche. Inoltre, potremo andare a trovare i congiunti, fare jogging, andare al mare e prendere bus e metrò.
Finora è stato relativamente facile, bastava stare a casa. I problemi iniziano adesso. Sapremo rispettare le nuove indicazioni del Governo? Sapremo interpretare correttamente le nuove direttive? Dal ridurre le limitazioni al ‘liberi tutti’, il passaggio per molti è scontato.
Cautela e rispetto delle nuove disposizioni, quindi. La pandemia non è stata debellata. Decine di migliaia di asintomatici continuano ad essere portatori inconsapevoli del virus. I focolai potrebbero riaccendersi in qualsiasi momento e in qualsiasi città. Il ritorno alla ‘normalità’ potrà avvenire solo quando la maggioranza dei residenti sarà vaccinata o comunque sarà diventata immune al Covid 19.
I prossimi 12 o 18 mesi saranno complicati. L’attenzione non deve diminuire, anzi con il ritorno al lavoro e alle attività quotidiane occorrerà maggiore cautela. Con l’arrivo della 'bella stagione' sarà tutto più difficile. In attesa di un vaccino, molto dipenderà dai nostri comportamenti. Il pericolo di una nuova e più virulenta fase di pandemia non è escluso, anzi gli esperti ci dicono che il peggio potrebbe non è essere alle nostre spalle.
Intanto, dall’opposizione parlamentare e dalla stessa maggioranza di Governo aumentano le critiche all’operato dell’Esecutivo e diversi Governatori e Sindaci annunciano ordinanze meno stringenti di quelle indicate nei decreti ministeriali. Il fai da te degli amministratori locali oltreché incostituzionale è molto pericoloso, ma si sa, per molti politici è più agevole parlare alla 'pancia' del Paese che prendere decisioni che scontentano una parte dell’elettorato.
Inoltre, lanciare invettive dai salotti delle proprie abitazioni o in estemporanei flashmob è comodo e facile, tanto le responsabilità sono di chi governa ed a correre i pericoli di infezione sono i lavoratori e le lavoratrici che da lunedì torneranno nelle fabbriche e negli uffici.
Attenzione quindi, la Fase 2 non è il ‘liberi tutti’, ma deve essere un altro momento di serietà ed altruismo, sempreché gli italiani non decidano di ritornare alle cattive abitudini, cioè all'anarchia e all'individualismo.
Secondo gli esperti occorreranno dai 12 ai 18 mesi per ritornare alla ‘normalità’, pertanto, con il rientro al lavoro e alle attività quotidiane occorreranno maggiore cautela ed un rigido rispetto delle direttive sanitarie
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Migranti, campo profughi in Libia - (foto di @fcantagallo) |
Il lockdown totale sta per finire, il 4 maggio inizierà la cosiddetta Fase 2. Il divieto di circolazione sarà allentato. Oltre 4 milioni di lavoratori torneranno negli uffici e nelle fabbriche. Inoltre, potremo andare a trovare i congiunti, fare jogging, andare al mare e prendere bus e metrò.
Finora è stato relativamente facile, bastava stare a casa. I problemi iniziano adesso. Sapremo rispettare le nuove indicazioni del Governo? Sapremo interpretare correttamente le nuove direttive? Dal ridurre le limitazioni al ‘liberi tutti’, il passaggio per molti è scontato.
Finora è stato relativamente facile, bastava stare a casa. I problemi iniziano adesso. Sapremo rispettare le nuove indicazioni del Governo? Sapremo interpretare correttamente le nuove direttive? Dal ridurre le limitazioni al ‘liberi tutti’, il passaggio per molti è scontato.
Cautela e rispetto delle nuove disposizioni, quindi. La pandemia non è stata debellata. Decine di migliaia di asintomatici continuano ad essere portatori inconsapevoli del virus. I focolai potrebbero riaccendersi in qualsiasi momento e in qualsiasi città. Il ritorno alla ‘normalità’ potrà avvenire solo quando la maggioranza dei residenti sarà vaccinata o comunque sarà diventata immune al Covid 19.
I prossimi 12 o 18 mesi saranno complicati. L’attenzione non deve diminuire, anzi con il ritorno al lavoro e alle attività quotidiane occorrerà maggiore cautela. Con l’arrivo della 'bella stagione' sarà tutto più difficile. In attesa di un vaccino, molto dipenderà dai nostri comportamenti. Il pericolo di una nuova e più virulenta fase di pandemia non è escluso, anzi gli esperti ci dicono che il peggio potrebbe non è essere alle nostre spalle.
Intanto, dall’opposizione parlamentare e dalla stessa maggioranza di Governo aumentano le critiche all’operato dell’Esecutivo e diversi Governatori e Sindaci annunciano ordinanze meno stringenti di quelle indicate nei decreti ministeriali. Il fai da te degli amministratori locali oltreché incostituzionale è molto pericoloso, ma si sa, per molti politici è più agevole parlare alla 'pancia' del Paese che prendere decisioni che scontentano una parte dell’elettorato.
Inoltre, lanciare invettive dai salotti delle proprie abitazioni o in estemporanei flashmob è comodo e facile, tanto le responsabilità sono di chi governa ed a correre i pericoli di infezione sono i lavoratori e le lavoratrici che da lunedì torneranno nelle fabbriche e negli uffici.
Attenzione quindi, la Fase 2 non è il ‘liberi tutti’, ma deve essere un altro momento di serietà ed altruismo, sempreché gli italiani non decidano di ritornare alle cattive abitudini, cioè all'anarchia e all'individualismo.
sabato 11 aprile 2020
MES o non MES? È solo opportunismo politico
A presentare il Disegno di legge per la ratifica del MES è stato il governo Berlusconi, mentre l'approvazione definitiva in Parlamento è arrivata durante il successivo governo di Mario Monti
Il 3 agosto del 2011 il Consiglio dei ministri del Governo di Centrodestra, il quarto presieduto da Silvio Berlusconi, approvò il ‘Ddl per la ratifica della decisione del Consiglio Europeo 2011/199/Ue, che modifica l’articolo 136 del Trattato sul funzionamento della Ue relativamente a un meccanismo di stabilità (Esm – European Stability Mechanism) nei Paesi in cui la moneta è l’euro. Obiettivo della decisione è far sì che tutti gli Stati dell’Eurozona possano istituire, se necessario, un meccanismo che renderà possibile affrontare situazioni di rischio per la stabilità finanziaria dell’intera area Euro’.
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
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Governo Berlusconi IV, in carica fino al 16 novembre 2011 (foto da it.wikipedia.org) |
Quel Disegno di legge fu poi ratificato in via definitiva dal Parlamento il 19 luglio 2012 con il sostegno di tutte le forze politiche, compresi Pdl (Centrodestra) e Pd, unico gruppo ad opporsi fu quello della Lega.
Quando l’accordo di modifica del trattato europeo fu firmato dal governo di Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni era ministro della Gioventù e l’Esecutivo era sostenuto dal Pdl e dalla Lega, mentre la successiva approvazione del Parlamento è avvenuta quando al Governo c’era Mario Monti, che aveva la fiducia del Pdl, del Pd e di quasi tutte le forze politiche con la sola opposizione della Lega.
Per capirci, nel 2011 i leghisti erano d’accordo con l’istituzione del MES, ma poi, nel 2012, usciti dal Governo, non lo votarono, mentre Giorgia Meloni approvò il Ddl in Consiglio dei Ministri, ma era assente quando fu ratificato dal Parlamento. La leader di FdI sostenne e partecipò anche all’approvazione della legge Fornero, che oggi invece combatte con fervore.
L’incongruenza dei due esponenti sovranisti è evidente. L’opportunismo politico contraddistingue il loro percorso politico. Per i due leader la coerenza e il senso delle istituzioni sono secondari rispetto agli interessi di partito, ma anche questa non è una novità.
Fonte wikipedia.org
unedì 16 aprile 2018
Colori di Tejeda, Gran Canaria, Spagna
lunedì 2 aprile 2018
Dune di Maspalomas, Gran Canaria, Spagna
venerdì 23 marzo 2018
martedì 20 marzo 2018
giovedì 22 giugno 2017
Ecco la canzone degli artisti inglesi per le vittime della Grenfell Tower – (lastampa.it)
venerdì 9 giugno 2017

Dimenticate Cetto La Qualunque: il comizio di Angelo Cofone è cult
http://video.repubblica.it/politica/italiano-insicuro-e-dialettica-zoppicante-il-candidato-cofone-e-un-cult/278049/278644?video&ref=RHPPBT-BS-I0-C4-P6-S1.4-T1
lunedì 5 giugno 2017
Quel tema di un ragazzo di 12 anni che ha messo a tacere i
bulli: "Sono diverso, non sbagliato" – (repubblica.it)
http://www.repubblica.it/cronaca/2017/06/04/news/quel_tema_di_un_ragazzo_di_12_anni_che_ha_messo_a_tacere_i_bulli_sono_diverso_non_sbagliato_-167195870/
9 maggio 2017
Il monologo di Radio Aut il giorno dopo la morte di
Peppino Impastato – (laspampa.it)
http://www.lastampa.it/2017/05/09/multimedia/italia/cronache/il-monologo-di-radio-aut-il-giorno-dopo-la-morte-di-peppino-impastato-oOsaAzbKmK5sltd34ZrGAJ/pagina.html
http://www.lastampa.it/2017/05/09/multimedia/italia/cronache/il-monologo-di-radio-aut-il-giorno-dopo-la-morte-di-peppino-impastato-oOsaAzbKmK5sltd34ZrGAJ/pagina.html
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