Emigrare
o rinunciare al Reddito di cittadinanza? È questo il dilemma di fronta al quale potrebbero trovarsi
migliaia di poveri del Sud, così come avvenne nel 2015 ai docenti precari storici
della scuola
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
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Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Matteo Salvini
(foto da governo.it) |
La riforma sulla #buonascuola, resa urgente dalla sentenza della Corte di giustizia europea ed
approvata dal Parlamento nel 2015, ha consentito al ministero della Pubblica
Istruzione di stabilizzare decine di migliaia di precari storici della scuola. Quel piano straordinario di assunzioni prevedeva la mobilità nazionale, ma non per tutti i
neoassunti. Essa dava la precedenza agli idonei (non vincitori) al concorso
del 2012 e che, pur non avendo mai insegnato, sono stati inseriti negli
organici delle scuole della loro provincia di residenza. In altre parole, i
giovani insegnanti sono rimasti 'sotto casa', mentre i precari storici, spesso
ultracinquantenni, sono stati ‘deportati’ in tutta Italia con la procedura della chiamata diretta dei Dirigenti scolastici. Questo spiega perché
quel governo e quella maggioranza parlamentare abbiano perso il consenso elettorale
della maggior parte dei dipendenti della scuola. Nella stessa
situazione si potranno trovare i percettori del reddito di cittadinanza. Il
decreto approvato dal Cdm prevede infatti che i poveri che avranno diritto
all’indennità prevista dalla nuova normativa perderanno l’assegno se
rifiuteranno tre proposte di lavoro, la prima entro 100 chilometri, la seconda
entro 250 chilometri e la terza su tutto il territorio nazionale. Accettare la ‘deportazione’ o rinunciare al
Rdc, sarà questo il dilemma di fronte al quale si potrebbero trovare i poveri,
così come successe a migliaia di docenti nel 2015.
Nello stesso tempo, con
la cosiddetta quota cento oltre 750 mila lavoratori, soprattutto del Nord Italia,
andranno in pensione anticipatamente rispetto a quanto previsto dalla legge
Fornero. Le imprese dove questi lavoratori sono impiegati avranno difficoltà a
sostituirli sia perché nella maggior parte dei casi si tratta di addetti qualificati, sia perché con il calo
demografico degli ultimi decenni i giovani disponibili a svolgere quel tipo di attività sono pochi o, comunque, in numero non
sufficiente. La conseguenza logica di questa situazione sarà che a ricoprire
quei posti di lavoro saranno gli immigrati o i poveri ‘deportati’ dal Sud che porteranno in dote alle imprese la parte del Rdc non ancora percepito (la durata prevista dal Decreto è di 18 mesi). E’ la quadratura del cerchio. Insomma, Luigi Di Maio e Matteo Salvini come Matteo Renzi nel 2015. Vogliono prendere ‘due picconi con una fava’, vale a dire assistere con un reddito
minimo i poveri del Sud, ma nello stesso tempo li si vuole ‘costringere’ ad
emigrare al Nord per prendere i posti lasciati vacanti dai neo pensionati o a fare lavori precari e mal retribuiti. Ovviamente non riguarderà tutti i beneficari del Rdc, ma solo coloro che sono disposti a lavorare, gli altri, i 'furbi', ne approfitteranno finchè la legge glielo permetterà.
Un altro paradosso della nuova normativa è che i 4 mila 'navigator' che verranno assunti entro il primo aprile con contratti precari dovranno adoperarsi per trovare un lavoro stabile a
5 milioni di poveri. Ed è ovvio che nel Meridione questi posti di lavoro non ci
sono e, poiché non spunteranno neanche nei prossimi anni, ai poveri del Sud non resterà che emigrare forzatamente o tornare nell'indigenza.
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