mercoledì 13 agosto 2025

La piazzetta ‘ru tabacchinu’

Quando si è giovani si pensa sempre che ci sarà un ‘dopo’, che ci sarà sempre tempo, ma così non è

di Giovanni Pulvino

La piazzetta ru tabacchinu, 4 aprile 2008 (foto di Antonino Ciccia)

Stavamo seduti sul marciapiede, sugli scalini delle abitazioni o sul girello in ferro posto proprio al centro della piazzetta. Da lì potevamo vedere a vanedra ed il giardino, si fa per dire, della casa ra signurina Busalacchiu bagghiu, la via Nazionale, u tabacchino che era già chiuso, uno spicchio di mare, u stabilimentu e la strada che porta a Villa Margi.

Stavamo lì a sprecare il nostro tempo, la nostra breve ed inutile adolescenza. Ognuno con i suoi pensieri e con la leggerezza e l’incoscienza dovuti all’età. 

Quando si è giovani si pensa sempre che ci sarà un ‘dopo’, che ci sarà sempre tempo, ma così non è.

Nelle serate di luglio non mancava nessuno o quasi. C’erano anche i torremuzzari 'acquisiti' o quelli che vedevamo solo in quelle settimane estive. Si formavano dei piccoli gruppetti, a dire il vero sempre gli stessi. Qualcuno si alzava a fare una passeggiata sulla via Nazionale, per poi tornare al punto di partenza. Eravamo al centro della frazione e non c’era nessuna possibilità di sfuggire al controllo degli zii e delle zie. Questo ci dava certezze, ma non c’era nessuna privacy. Tutto ci limitava, ma non poteva che essere così.

Chissà perché questo ricordo torna sempre e perché sento il bisogno di condividerlo.

Una sera due nostri compagni ‘bisticciarono’. Forse qualche parola di troppo o un’avance inopportuna, di certo non correva un buon rapporto tra loro due. La cosa mi dispiacque per entrambi. Tutti videro la scena e non è stata una bella scena. Dopo, rimasero la 'rabbia' di Lei e la sorpresa e la 'vergogna' di Lui, ma non fu difficile capire il perché di quel gesto. A volte i pensieri che interpretiamo sono diversi da quelli elaborati ed espressi da chi ci sta di fronte e soprattutto da chi ci sta più a cuore. Comprendersi è impossibile oltreché illusorio. 

Ora stanno lì, senza corde, ci sono, sono nuove, ma stanno senza corde ...

Sul tardi non poteva mancare la chitarra. Cantare e suonare sottovoce era complicato. Disturbare chi aveva voglia di dormire era inevitabile. Lo spartito stava per terra o sulle gambe del 'chitarrista', i più bravi iniziavano a cantare, gli altri seguivano con un po' di incertezza, ma alla fine era un coro vero e proprio. Ed erano vani i tentativi di far abbassare il tono della voce, come erano inevitabile le proteste di chi abitava proprio lì e voleva dormire. Spostarci sulla Nazionale era inutile, ma, dopo un po', per educazione e per rispetto smettevamo. Ovviamente tutto ricominciava la sera dopo, e così per tutta l’estate e per quelle successive.

E' un tempo che non ci appartiene.

Non c’era altro. L’unico ‘bene’ che avevamo era la nostra gioventù e le nostre illusioni. Ma questo lo comprendi dopo, quando non puoi più tornare indietro.

Erano momenti per dimenticarsi, momenti che sarebbero rimasti impressi nella nostra memoria e che oggi rivivono ancora una volta, l’ultima.

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