Tentiamo di dare un senso al tempo che trascorre, e lo facciamo sempre, ma è tutto inutile, non possiamo decidere ne come ne cosa, lo subiamo soltanto, senza poter fare nulla
Torremuzza (Sicilia), 4 agosto 2023 (foto di Pippo Russo) |
I giorni trascorrono lenti, ma non hanno più lo stesso colore. È un tempo che non ci appartiene. Siamo degli estranei. Manca la leggerezza. Manca quel fare o quel non fare senza chiederti il perché. Manca il decidere al momento senza programmare, senza pensare.
I luoghi sono gli stessi, ma
noi siamo fuori dal tempo, siamo altro.
È solo un accumulo di memoria a perdere.
Un giorno di luglio di tanti
anni fa mio padre ci porto a Maccarruni. Nella parte alta della strada
statale c’era u stazuni, lì imparammo a fare i tivuli. Quell’attività
ci abituò al sacrificio e ci fece capire che potevamo fare tutto o quasi con un
po' d’impegno e buona volontà, che a dire il vero non è mai mancata.
Quel mattino, invece, imboccammo un viottolo in terra battuta che portava nella parte bassa. Passammo sotto il ponte della ferrovia e giungemmo in riva al mare. Ovviamente non c’era nessuno. Fu lì che imparammo a nuotare o qualcosa di simile. Riuscivamo a stare a galla muovendo avanti e indietro mani e piedi. Fu l’inizio, poi, nelle settimane successive prendemmo coraggio.
Una volta rischiai di annegare.
Un giorno di luglio mia zia M. ci porto al mare. Anche se si toccava andai sott’acqua, ma non riuscivo più a riemergere. Tentai più volte ma non ci riuscivo. Un po' come succede nei sogni, provi a muoverti, ma non ci riesci. Stavo bevendo acqua salata, fu mia zia a tirarmi fuori. Lei era l’unica delle tre sorelle che ci portava al mare. Le altre due non hanno mai conosciuto il piacere di ‘fare il bagno’.
Che tristezza.
Di solito le nostre mamme andavano
in spiaggia nel tardo pomeriggio o di prima mattina quando non c’era nessuno e
lo facevano solo per bagnarsi i piedi, ma sempre con i vestiti addosso. Allora
era così ed era considerato ‘normale’.
Il pudore ed il rispetto per la propria dignità prevalevano sui desideri.
Donne che hanno vissuto a ‘pochi’ metri dal mare; eppure, non sapevano nuotare e non hanno mai fatto un bagno. Come deve essere stato difficile per loro rinunciare ad uno dei pochi piaceri a cui potevano accedere gratuitamente. Il mare era lì, ma non potevano, non potevano. Non so perché, ma mi sento responsabile di tutte le privazioni che hanno dovuto sopportare per crescere i figli e per tenere unite le loro famiglie.
Nuotare è naturale, ma occorre
non aver paura dell’acqua, non bisogna temere di andare a fondo anche se il
rispetto del mare non deve venire meno, mai.
Nei mesi estivi scendere in spiaggia e fare subito un tuffo era una prassi quotidiana per noi torremuzzari, un po' meno pi nzusari. Per non sentire il freddo del primo impatto entravamo in acqua quasi di corsa o lo facevamo lentamente facendo un passo dopo l’altro fin dove si toccava e infine ci immergevamo. Ed era allora che entravi in simbiosi con l’acqua, era un leggero ondeggiare senza pensieri, senza timore.
Eri a pochi metri dalla riva, ma da lì potevi osservare tutta la borgata. La spiaggia, la ferrovia, la strada, lo
stabilimento di sansa e la campagna oltre le case. A volte passava un treno e
pensavi all’invidia che dovevano provare coloro che erano costretti a viaggiare
in quelle bellissime giornate di luglio. I rumori e le voci giungevano quasi
incomprensibili e non potevi non chiederti se sotto i ponti o là in alto sulla
Torre ci fosse qualcuno che sbirciava. Il rintocco cadenzato delle campane ci indicava
che era già mezzogiorno e che era ora di uscire dall’acqua, ma dovevi fare
attenzione per evitare di perdere l’equilibrio sulle pietre lippose.
E com’era bello prendere il
sole stando seduti sul brecciolino a pochi centimetri dall’acqua, quel tanto
che bastava per evitare le onde più lunghe oppure tenendo i piedi immersi
sulla battigia. Ed è in quei momenti che rimani stordito dall’immensità del mare e dal continuo ed incomprensibile movimento delle onde. L’acqua a volte
sembra ritirarsi, altre ti arriva vicino e sei costretto a fare un balzo
all’indietro o a bagnarti di nuovo senza volere.
Nelle giornate di maestrale solo
i più temerari provavano a fare un tuffo, ma com’era bello farsi avvolgere
dal vento e dalle goccioline di acqua salata. E com’era bello rimanere frastornati
dal fragore delle onde che inevitabilmente si infrangevano sulla sabbia e sulle
pietre emerse momentaneamente per il risucchio e che ti costringevano a tirarti
indietro quando un cavallone più alto portava l’acqua a sfiorarti. Oppure ti
lasciavi bagnare i piedi dalla schiuma d’acqua e sale che ti veniva incontro
minacciosa, ma non avevamo paura sapevamo che era innocua.
E com’è stato bello quel giorno d’inverno fare una lezione guardando il litorale. Chissà se S. e L. lo ricordano. Il mare era agitato, lo vedevamo bene dalle finestre della nostra
classe. La professoressa M. mi stava interrogando, ma si accorse delle mie
difficoltà e volle aiutarmi chiedendomi come mi piaceva il mare. Risposi che è
bello quando è agitato o quando è completamente piatto, che non mi piacevano le
vie di mezzo. L’insegnante apprezzò la mia risposta e di certo mi valutò più
del dovuto anche per quell’osservazione.
Chissà perché questi pensieri e
non altri ricompaiono sempre. È il mare che li fa tornare? Sono le giornate
di luglio? Ma che importa, di certo non possiamo tornare indietro e non possiamo cancellare il passato.
Siamo prigionieri.
Tentiamo di dare un senso al tempo che trascorre, e lo facciamo sempre, ma è tutto inutile, non possiamo decidere ne come ne cosa, lo subiamo soltanto, senza poter fare nulla.
E' un tempo che non ci appartiene.
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