venerdì 24 novembre 2017

Ipazia d’Alessandria, donna ‘martire della libertà di pensiero’

‘Ipazia rappresentava il simbolo dell'amore per la verità, per la ragione, per la scienza che aveva fatto grande la civiltà ellenica. Con il suo sacrificio cominciò quel lungo periodo oscuro in cui il fondamentalismo religioso tentò di soffocare la ragione’, Margherita Hack

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Ipazia d'Alessandria, illustrazione del 1908
(Foto da wikipedia.org)
Gli atti di femminicidio iniziano con la nascita della società patriarcale ed ancora oggi decine di migliaia di donne vengono assassinate o maltrattate dagli uomini. Questa è la storia di Ipazia, una donna che ebbe il torto di rivendicare la sua libertà e la sua indipendenza. Era l’otto marzo del 415 d.C. quando un gruppo di cristiani, i cosiddetti parabalani seguaci del vescovo d’Egitto Cirillo, ‘dall'animo surriscaldato, guidati da un predicatore di nome Pietro, si misero d'accordo e si appostarono per sorprendere la donna mentre faceva ritorno a casa. Tiratala giù dal carro, la trascinarono fino alla chiesa che prendeva il nome da Cesario; qui, strappatale la veste, la uccisero usando dei cocci. Dopo che l'ebbero fatta a pezzi membro a membro, trasportati i brandelli del suo corpo nel cosiddetto Cinerone, cancellarono ogni traccia bruciandoli. Questo procurò non poco biasimo al patriarca e alla chiesa di Alessandria. Infatti stragi, lotte e azioni simili a queste sono del tutto estranee a coloro che meditano le parole di Cristo’. Matematica, astronoma e filosofa, Ipazia apparteneva all’aristocrazia intellettuale. Aveva tutti i requisiti per succedere al padre nell’insegnamento nella comunità di Alessandria. Titolare di una cattedra pubblica, impartiva lezioni ’a chiunque volesse ascoltarla sul pensiero di Platone e di Aristotele e di altri filosofi’. Inoltre, com’era usanza in quei tempi, teneva riunioni ‘private’ nella sua dimora. La rabbia di Cirillo scoppiò proprio con la scoperta di questi incontri. Ipazia non anticipò, come sostengono alcuni storici, la rivoluzione copernicana, ma pagò con la morte il fatto che era una donna carismatica e popolare che 'osò' vivere al centro della vita culturale di Alessandria. Una persona colta assassinata per la sua intelligenza, il suo prestigio, la sua moralità e coerenza, per la sua capacità di influire sulla vita politica e sociale. E per gli 'ominicchi' non c’è un pericolo più grande di una donna che rivendica la sua libertà e la sua indipendenza.

mercoledì 22 novembre 2017

Il tentativo di Piero Fassino ed il gioco delle tre carte

Perché il segretario dei democratici sta cercando solo ora il dialogo con la Sinistra? E, in secondo luogo, perché non s'impegna direttamente in quest’opera di ‘ricompattamento’?

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Piero fassino - (foto da tg24,sky,it)
Piero Fassino ha ricevuto da Matteo Renzi l’incarico di contattare le forze politiche del Centrosinistra per formare in vista delle elezioni del prossimo anno una lista unitaria in grado di competere con quella del Centrodestra e con il M5s. Lo scopo dovrebbe essere quello di dare vita ad uno schieramento che comprenda le forze moderate e quelle di Sinistra ‘senza nessuna preclusione’. In realtà il leader democratico punta ad una formazione che aggreghi sia i centristi di Angelino Alfano che le forze politiche che si stanno raccogliendo nella lista di Giuliano Pisapia ‘Campo progressista’. In sostanza intende costruire una compagine elettorale che escluda Mdp, Si e Possibile, un’aggregazione, cioè, che non metta in discussione le politiche fin qui adottate dal Governo e soprattutto che non contesti la sua leadership.
Walter Veltroni -(foto da it.wikiquote.org)
L’ambizione dell’ex sindaco di Firenze è intercettare i voti progressisti e di governare senza dover mediare con i leader della Sinistra. A dimostrarlo sono le scelte ‘moderate’ fatte in questi anni dall’Esecutivo. Ecco qualche esempio. Il Job Act che ha abolito l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, il bonus alle aziende che assumevano a tempo indeterminato, la riforma della #buonascuola che ha accresciuto i poteri dei dirigenti e che dopo aver assunto i precari storici li ha deportati in tutta Italia lasciando nella provincia di residenza chi invece non aveva mai insegnato. A ciò si devono aggiungere la mancanza di adeguate politiche sociali e piani d'investimento per il Mezzogiorno nonchè le riforme elettorali fatte con il solo scopo di ottenere maggiori consensi. Matteo Renzi, è bene ricordarlo, ha governato con i voti presi dal Pd di Pier Luigi Bersani ed è diventato segretario dei democratici per ‘rottamare’ le vecchie politiche e rinnovare la classe dirigente, ma nella sostanza ha escluso solo la parte Sinistra del partito. I Fassino, i Veltroni, le Finocchiaro, i Cuperlo, gli Orlando, gli Emiliano, ecc. cos’hanno di più o di meno che, ad esempio, D’Alema non ha? La ‘rottamazione’ si è limitata alla Sinistra del Pd forse perché quest'ultima si è rifiutata di fare politiche moderate? E la si vuole escludere dal Centrosinistra perché nel prossimo Parlamento si vogliono avere le mani libere per formare un governo di Centro? Il piano di Renzi è chiaro ed il tentativo di Piero Fassino assomiglia molto al gioco delle tre carte. E non si comprendono e per certi aspetti sono ridicole anche le 'invocazioni' all’unità fatte in questi giorni da Walter Veltroni, l'ex segretario del Pd che nel 2008 perse con dieci punti percentuali di distacco da Silvio Berlusconi. Ma dov’erano questi ex comunisti quando Renzi attaccava D’Alema o diceva ‘Fassina chi?’ o twittava #staiserenoenrico o i 100 franchi tiratori affossavano la candidatura di Romano Prodi alla presidenza della Repubblica? Far finta di non ricordare non è corretto. Le recenti sconfitte elettorali del Centrosinistra (referendum costituzionale, amministrative di Torino, Roma, Genova, Liguria e Sicilia) dovrebbero far riflettere i dirigenti storici del partito, invece essi si adeguano ed anzi assecondano la linea del segretario che ha come obiettivo solo quello di mantenere i consensi attuali per farli valere in un futuro governo di larghe intese, con Renzi premier ovviamente.

giovedì 16 novembre 2017

Il rischio di cadere in povertà è triplo al Sud rispetto al resto del Paese ed in Sicilia e Campania sfiora il 40%

L’unico modo che hanno i meridionali per migliorare le loro condizioni economiche è emigrare, a sostenerlo è il rapporto Svimez 2017 sull’economia nel Mezzogiorno

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Roberto Maroni e Silvio Berlusconi - (foto da lettera43.it) 
Il saldo migratorio delle regioni del Sud continua ad essere negativo (-28 mila unità nel 2016), mentre nel Centro Nord nello stesso periodo è aumentato di 93.500 unità. In particolare la Sicilia ha perso 9.300 abitanti, la Campania 9.100, la Puglia 6.900. In forte aumento anche il fenomeno del ‘pendolarismo’. Nel Mezzogiorno ha interessato 208 mila persone, di cui 154 mila sono andate a vivere per lavoro nel Centro-Nord o all’estero. Questo fenomeno spiega, almeno per un quarto, l’aumento dell’occupazione al Sud avvenuto nel 2016 (+101 mila unità). Negli ultimi quindici anni circa 200 mila giovani meridionali si sono laureati nelle università del Centro-Nord, causando una ‘perdita netta in termini finanziari del Sud di circa 30 miliardi’ (quasi due punti di Pil).
Fotot da conquistedellavoro.it
Nel 2016 ’10 meridionali su 100 risultano in condizioni di povertà assoluta’, mentre nel Centro Nord sono 6 su 100. Non solo, il rischio di cadere in povertà è triplo al Sud rispetto al resto del Paese ed in Sicilia e Campania sfiora il 40%.  Il prodotto medio per abitante è nel Sud il 56,1% di quello del Centro-Nord. Nel Trentino Alto Adige è di 38.745 euro pro capite, mentre in Calabria è di 16.848 euro, vale a dire il 56,52% in meno. L’indagine condotta da Svimez evidenzia anche ‘l’interdipendenza economica’ tra le regioni italiane. La domanda interna del Sud ‘attiva’ il 14% del Pil del Centro-Nord (in termini assoluti nel 2016 è stato di 117 miliardi di euro). I flussi redistributivi fiscali verso le regioni meridionali sono diminuiti del 10%, sono passati cioè da oltre 55,5 miliardi di euro a 50. ‘Di questi 20 miliardi ritornano direttamente al Centro-Nord’, altri rimangono per sostenere un mercato che è ancora decisivo per tutto il Paese. Inoltre nel 2016 gli investimenti in opere pubbliche sono stati 286 euro pro capite al Centro-Nord, nel Mezzogiorno invece meno di 107 euro. Nel 1970 il rapporto era di 340,80 euro al Centro-Nord contro i 529 euro del Sud. Nell’ultimo cinquantennio la spesa per infrastrutture è crollata nelle regioni settentrionali del -2% l’anno, al Sud del -4,8% l’anno. Infine, il surplus di depositi dei meridionali finanzia le imprese del Centro-Nord. Nelle regioni settentrionali a fronte di depositi per 959 miliardi di euro gli impieghi sono stati 1.610 miliardi di euro. Con questi dati non si comprendono i recenti referendum consultivi che si sono svolti in Lombardia e Veneto per chiedere maggiore autonomia amministrativa e fiscale. Il Nord è ricco ed al Sud arrivano le briciole. Ed è paradossale che ha chiedere più risorse pubbliche siano due regioni del Nord Italia anziché quelle meridionali. 

Fonte: svimez.info

sabato 11 novembre 2017

Il tasso di occupazione nel Mezzogiorno rimane il più basso d’Europa

Il Mezzogiorno è uscito dalla recessione, ma la ripresa congiunturale non è sufficiente per affrontare le emergenze sociali, a sostenerlo è il rapporto Svimez 2017 sull’economia del Mezzogiorno

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da svimez.info
Nel 2016 il Pil è cresciuto dell’1% nel Meridione e dello 0,8% nel resto d’Italia. Il prossimo anno il Pil crescerà nel Centro-Nord dell'1,6% e dell'1,3% al Sud. Nel 2018 le variazioni si attesteranno al +1,4% nel Centro-Nord e al +1,2% nel Meridione, mentre l’occupazione crescerà rispettivamente dello 0,8% e dello 0,7%. L’industria manifatturiera del Sud è cresciuta negli ultimi due anni del 7%, il doppio del resto del Paese (3%). Questi risultati sono dovuti, secondo Svimez, a due misure adottate dal Governo: le ZES (Zone economiche speciali) e le ‘clausole del 34%’ sugli investimenti ordinari. Tuttavia, il tasso di occupazione nel Mezzogiorno nonostante negli ultimi otto mesi siano stati incentivati oltre 90 mila rapporti di lavoro nell’ambito della misura ‘Occupazione Sud’ rimane il più basso d’Europa (-35%) e la crescita dell’1,7% (101 mila unità) registrata nel 2016 è dovuta 'a rapporti di lavoro a basso reddito e al cosiddetto part time involontario (+1,8%)'. Inoltre, mentre nelle regioni del centro e del settentrione i posti di lavoro persi con la crisi sono stati tutti recuperati (+48 mila nel 2016 rispetto al 2008), in quelle meridionali la perdita di occupazione è ancora oggi pari a -381 mila unità. In Sardegna e in Sicilia la situazione è ancora più grave, nelle due isole gli occupati continuano a calare. Rispetto al 2008 i posti di lavoro sono il 10,5% in meno in Calabria, -8,6% in Sicilia, -6,6% in Sardegna e Puglia, -6,3% in Molise, -5% in Abruzzo. Un po’ meglio sono, invece, i dati della Campania (-2,1%) e della Basilicata (-0.8%). Secondo l’Associazione per lo sviluppo nel Mezzogiorno nel Sud si assiste, a causa di un’occupazione di minore qualità e della riduzione d’orario, ad ‘un graduale dualismo generazionale’ e ad ‘un incremento dei lavoratori a bassa retribuzione’. Insomma, la ripresa economica non è sufficiente per affrontare le emergenze sociali ed il divario economico tra Centro-Nord e Sud Italia continua a crescere.

Fonte: svimez.info

lunedì 6 novembre 2017

In Sicilia vince il partito dell’astensione

2.481.637 siciliani su 4.661.111 elettori non sono andati a votare, oltre un siciliano su due non crede più nella politica, oggi ad essere stata sconfitta è la democrazia rappresentativa  

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da termometropolitico.it
La disaffezione alla politica continua a crescere, la maggioranza dei siciliani non crede più nei loro rappresentantiL’affluenza alle urne è calata ancora, ed è un record storico. Il 53,24 per cento degli aventi diritto non è andato a votare, cinque anni fa furono il 52,59 per cento. I cittadini dell’isola sono stanchi di promesse mancate e di politiche inconcludenti ed autoreferenziali. I responsabili di questa sconfitta sono tutti i partiti, nessuno escluso. In particolare il M5s che è nato proprio per raccogliere il consenso dei delusi e degli elettori che non credono più nelle istituzioni democratiche. Il dato è preoccupante perché è un segnale chiaro per tutta la classe dirigente italiana, vecchia e nuova. Ed è una sconfitta per la Sinistra che non è riuscita a far ritornare al voto quel ‘popolo’ progressista che, a dire il vero, in Sicilia è sempre stato piuttosto limitato numericamente, ma nonostante ciò rimane il fatto che la lista i ‘Centro passi’ non è riuscita ad uscire dal confine della cosiddetta Sinistra ‘radicale’, non è riuscita cioè ad essere rappresentativa della parte più debole del popolo siciliano che invece continua ad affidarsi al politico moderato, ‘amico degli amici’ o, al contrario, al voto di protesta grillino, che nella sostanza è un non voto. Vince Nello Musumeci con il consenso di meno di due siciliani su dieci e che per governare dovrà fare un accordo con il Pd o con una delle liste che sostenevano Fabrizio Micari. Del resto le larghe intese erano una possibilità messa in conto alla vigilia del voto da Matteo Renzi e da Angelino Alfano. La Sicilia dopo la parentesi di Rosario Crocetta e della sua mancata ‘rivoluzione’ torna ad essere governata dalla Destra, quelli della cattiva gestione delle risorse pubbliche, del favore, dell’amicizia, che in gran parte sono responsabili dell’alto tasso di disoccupazione (22,1%, oltre il doppio della media europea) e delle 260 mila famiglie che vivono in condizioni di povertà assoluta o relativa. Insomma vincono ancora una volta i poteri forti, quelli che dicono: ‘se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi’. Con questa logica politica ed istituzionale continueranno a crescere le disuguaglianze e le ingiustizie, in una terra che da sempre vive in una condizione di ritardo economico, culturale e sociale. Questo risultato è anche una fotografia di quanto potrà avvenire nelle prossime elezioni politiche nazionali. Come in Sicilia tutto è pronto perché non ci sia nel prossimo Parlamento una maggioranza certa e che, pertanto, un governo di larghe intese tra il Pd di Matteo Renzi, Fi e i partitini di Centro sia una conseguenza ‘inevitabile’.




giovedì 2 novembre 2017

Elezioni in Sicilia, vincerà Musumeci e governerà con il Pd

Dopo la mancata ‘rivoluzione’ auspicata ma mai realizzata da Rosario Crocetta chi sarà il nuovo governatore della Sicilia?

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da il gazzettinodisicilia.it
Stando ai sondaggi il prossimo governatore della Sicilia dovrebbe essere Nello Musumeci. L’esponente della Destra può approfittare di diverse circostanze. La prima è che nell’isola ha quasi sempre prevalso il Centrodestra. Basta ricordare il cappotto alle elezioni politiche del 2001 quando la Casa delle Libertà vinse con un secco sessantuno a zero. I siciliani come i lombardi ed i veneti sono, per ragioni storiche e sociali, ‘individualisti’ e tendenzialmente sono elettori di centro o di destra. La vittoria di Rosario Crocetta di cinque anni fa fu favorita dall’astensionismo (52,70%) e dal sostegno dell’Udc di D’Alia oltre che dalla lista il Megafono che includeva molti esponenti moderati. L’affluenza alle urne potrebbe essere dirimente anche in questa tornata elettorale e potrebbe favorire il candidato grillino ma non quello del Centrosinistra. Il secondo motivo è che il Centrodestra si presenta compatto, mentre il Centrosinistra è diviso e il M5s non ha il radicamento territoriale necessario per prevalere. Inoltre, pur ritenendosi un ‘paladino’ della legalità, Musumeci ha nelle liste che lo sostengono candidati che sono ‘impresentabili’, ma che, in cambio, portano tanti voti. La campagna elettorale con il passaparola la stanno facendo solo loro, le richieste di voto sono le solite, vengono da amici, sindaci, dirigenti che hanno un qualche interesse personale. Il Centrosinistra sa già che perderà e di questo il principale responsabile è l’attuale segretario del Pd Matteo Renzi che anzichè fare la campagna elettorale nell'isola è andato in tour in Nord America. Fabrizio Micari, come tutti i tecnici, ha solo ambizioni personali ed una eventuale sconfitta avverrebbe con il paracadute del ritorno alla professione o comunque con la possibilità di ricoprire un altro ruolo in politica o nelle istituzioni. La Sinistra con Claudio Fava e la lista i ‘Cento passi per la Sicilia’ p solo ambire a raccogliere consensi superiori o vicini a quelli del Pd di Matteo Renzi. Se questo avvenisse sarebbe un grande risultato politico ed avrebbe un enorme significato a livello nazionale, ma avrebbe anche come conseguenza immediata quella di riconsegnare, dopo la straordinaria vittoria di Rosario Crocetta del 2012, la Sicilia alla Destra. Il candidato grillino non entusiasma i siciliani e quello verso il M5s è un voto di protesta e di sfiducia verso la politica, in particolare verso gli esponenti moderati che, dal dopoguerra ad oggi, hanno tutelato le clientele ed adottato politiche assistenziali in tutto il Meridione. La vittoria di Giancarlo Cancelleri sarebbe comunque una sorpresa anche se i sondaggi lo danno vicino a Nello Musumeci. In ogni caso il M5s non avrebbe i numeri in Consiglio regionale per governare. L’unica possibilità potrebbe essere quella di un accordo con la Sinistra, sempreché quest’ultima ottenga i seggi sufficienti per formare insieme ai grillini una maggioranza all’Ars. L’ipotesi più probabile è una vittoria dell’ex presidente della provincia di Catania anche se per gli stessi elettori moderati l'esponente della Destra storica non è il Governatore ‘ideale’. Inoltre, difficilmente il Centrodestra otterrà la maggioranza all’Ars. Pertanto sarà necessario un governo di larghe intese, cioè un accordo con il Pd. La Sicilia ancora una volta diventerebbe, anzi è, un laboratorio politico per un futuro governo nazionale di ‘Centro’, magari con Renzi Premier, Berlusconi agli Esteri, la Meloni alla Gioventù e Brunetta all’Economia, ovviamente con Orfini sottosegretario al Lavoro. Sembra uno scenario inverosimile, ma ad oggi non si intravede un’alternativa plausibile e del resto è questo l'obiettivo non dichiarato dell'ex sindaco di Firenze. L’unica altra ipotesi, in una eventuale situazione d’ingovernabilità, potrebbe essere un governo del Presidente con la Sinistra chiamata ancora una volta a salvare il Paese dall’incapacità dei politici e degli elettori italiani a darsi un sistema istituzionale serio e stabile.