giovedì 16 novembre 2017

Il rischio di cadere in povertà è triplo al Sud rispetto al resto del Paese ed in Sicilia e Campania sfiora il 40%

L’unico modo che hanno i meridionali per migliorare le loro condizioni economiche è emigrare, a sostenerlo è il rapporto Svimez 2017 sull’economia nel Mezzogiorno

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Roberto Maroni e Silvio Berlusconi - (foto da lettera43.it) 
Il saldo migratorio delle regioni del Sud continua ad essere negativo (-28 mila unità nel 2016), mentre nel Centro Nord nello stesso periodo è aumentato di 93.500 unità. In particolare la Sicilia ha perso 9.300 abitanti, la Campania 9.100, la Puglia 6.900. In forte aumento anche il fenomeno del ‘pendolarismo’. Nel Mezzogiorno ha interessato 208 mila persone, di cui 154 mila sono andate a vivere per lavoro nel Centro-Nord o all’estero. Questo fenomeno spiega, almeno per un quarto, l’aumento dell’occupazione al Sud avvenuto nel 2016 (+101 mila unità). Negli ultimi quindici anni circa 200 mila giovani meridionali si sono laureati nelle università del Centro-Nord, causando una ‘perdita netta in termini finanziari del Sud di circa 30 miliardi’ (quasi due punti di Pil).
Fotot da conquistedellavoro.it
Nel 2016 ’10 meridionali su 100 risultano in condizioni di povertà assoluta’, mentre nel Centro Nord sono 6 su 100. Non solo, il rischio di cadere in povertà è triplo al Sud rispetto al resto del Paese ed in Sicilia e Campania sfiora il 40%.  Il prodotto medio per abitante è nel Sud il 56,1% di quello del Centro-Nord. Nel Trentino Alto Adige è di 38.745 euro pro capite, mentre in Calabria è di 16.848 euro, vale a dire il 56,52% in meno. L’indagine condotta da Svimez evidenzia anche ‘l’interdipendenza economica’ tra le regioni italiane. La domanda interna del Sud ‘attiva’ il 14% del Pil del Centro-Nord (in termini assoluti nel 2016 è stato di 117 miliardi di euro). I flussi redistributivi fiscali verso le regioni meridionali sono diminuiti del 10%, sono passati cioè da oltre 55,5 miliardi di euro a 50. ‘Di questi 20 miliardi ritornano direttamente al Centro-Nord’, altri rimangono per sostenere un mercato che è ancora decisivo per tutto il Paese. Inoltre nel 2016 gli investimenti in opere pubbliche sono stati 286 euro pro capite al Centro-Nord, nel Mezzogiorno invece meno di 107 euro. Nel 1970 il rapporto era di 340,80 euro al Centro-Nord contro i 529 euro del Sud. Nell’ultimo cinquantennio la spesa per infrastrutture è crollata nelle regioni settentrionali del -2% l’anno, al Sud del -4,8% l’anno. Infine, il surplus di depositi dei meridionali finanzia le imprese del Centro-Nord. Nelle regioni settentrionali a fronte di depositi per 959 miliardi di euro gli impieghi sono stati 1.610 miliardi di euro. Con questi dati non si comprendono i recenti referendum consultivi che si sono svolti in Lombardia e Veneto per chiedere maggiore autonomia amministrativa e fiscale. Il Nord è ricco ed al Sud arrivano le briciole. Ed è paradossale che ha chiedere più risorse pubbliche siano due regioni del Nord Italia anziché quelle meridionali. 

Fonte: svimez.info

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