domenica 28 febbraio 2016

Nobel per la Pace agli abitanti di Lampedusa e Lesbo

Cresce il sostegno alla proposta di assegnare a Lampedusa il Nobel per la Pace fatta nei giorni scorsi da Gianfranco Rosi regista del film sui rifugiati ‘Fuocoammare’, girato nell’isola siciliana e vincitore a Berlino dell’Orso d’oro

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Lampedusa - Porto vecchio 1950
'Il Premio Nobel agli abitanti di Lampedusa e Lesbo sarebbe una scelta giusta e un gesto simbolico importante'. L’ha detto Gianfranco Rosi vincitore dell’Orso d’oro a Berlino con il film documentario ‘Fuocoammare’.
‘Loro - ha aggiunto il regista - sono un popolo di pescatori e per questo accolgono tutto quel che viene dal mare. Dobbiamo assorbire anche noi l’anima dei pescatori. Non ho mai sentito nessuno a Lampedusa, a Palermo o a Catania parlare di barriere, le stesse che alcuni stati d’Europa innalzano, vergognosamente, oggi’.
Mistero buffo - 1976
La proposta ha ottenuto l'immediato appoggio di Dario Fo, premio Nobel per la letteratura nel 1997, che su repubblica.it ha scritto: ‘Che bella idea. Sostengo in pieno la proposta di Gianfranco Rosi di insignire del Premio Nobel per la Pace gli abitanti di Lampedusa e Lesbo. Lo sostengo come abitante di questo mio Paese. Non sarebbe solo un gesto simbolico, ma secondo me anche un riconoscimento concreto, “reale” per quello che gli abitanti di quelle isole del Mediterraneo stanno facendo ogni giorno per la sopravvivenza di altre popolazioni diverse da loro, ma che non per questo considerano “minori”. I lampedusani e gli abitanti di Lesbo hanno dimostrato a tutta l’Europa che si può essere solidali e tolleranti con i migranti, che si può accoglierli senza innalzare barriere e senza che per questo la propria vita venga coinvolta’.
’Certo, - conclude Fo - sono scelte politiche delle nazioni che decidono i destini di questi migranti, ma che il loro primo approccio in Europa sia un contatto umano, un’attenzione, sia cioè nel segno della solidarietà non nel segno della “real politik” mi fa sentire orgoglioso di scoprire dei miei connazionali degni di rappresentarci anche se spesso non lo meritiamo’.

lunedì 22 febbraio 2016

'Agromafie' diffuse da Sud a Nord

Nel 2015 il giro d’affari delle ‘Agromafie’ ha superato i 16 miliardi di euro. Questo è quanto emerge dal quarto Rapporto sui crimini agroalimentari elaborato da Eurispes, Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

L’indagine ha preso in considerazione la diffusione e l’intensità del fenomeno delinquenziale, le conseguenze degli eventi denunciati ed i fattori economici e sociali. I reati più frequenti rilevati dal Rapporto sono l’usura, il racket, i furti di attrezzature e macchinari agricoli, le macellazioni clandestine ed i danneggiamenti alle colture.
A livello territoriale il controllo criminale del territorio è praticamente totale in Calabria, in Sicilia ed in misura minore in Campania, ma dall’indagine emerge che esso è ‘forte e stabile’ anche in Abruzzo ed in Umbria, nel Grossetano e nel Lazio ed è presente anche al Nord, in particolare in Piemonte, nell’Alto lombardo, nella provincia di Venezia e nelle province lungo la Via Emilia.
L’obiettivo dei clan è di imporre la vendita di determinate marche o prodotti agli esercizi commerciali e, in alcuni casi, indebitarli al punto da costringerli al fallimento per acquisirne, successivamente, la proprietà. In tal modo essi realizzano ingenti guadagni, impediscono la concorrenza e strozzano la libera imprenditoria. Inoltre, le infiltrazioni malavitose compromettono la qualità dei prodotti, provocano l’aumento dei prezzi fino a quattro volte quelli di mercato ed intaccano l’immagine dei Made in Italy.
L’unico aspetto positivo del fenomeno è che, a differenza di quanto avviene all’estero, le informazioni sulle ‘Agromafie’ sono continue e numerose, perché nel nostro Paese esiste un sistema di controlli severissimo. Ed è per questo che, nonostante la diffusione, da Sud a Nord, della criminalità organizzata, i nostri cibi sono sani ed i più sicuri al mondo. 

martedì 16 febbraio 2016

Inps: nel 2015 sono stati creati 606.000 nuovi posti di lavoro

Lo scorso anno il saldo tra assunzioni e licenziamenti è stato positivo per 606mila unità, a sostenerlo è il rapporto pubblicato dall’Osservatorio sul precariato dell’Inps 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Nel 2015 il numero complessivo di assunzioni nel settore privato è stato di 5.408.804, in crescita dell’11% sul 2014 e del 15% sul 2013. Le nuove attivazioni sono state oltre 2,4 milioni, quelle che beneficiano dell’esonero contributivo sono state 1,4 milioni, cioè il 61% del totale e sono il doppio rispetto al 2014.
A livello territoriale gli incrementi più significativi sono stati nel Nord del paese con un incremento delle assunzioni a tempo indeterminato del 13,2%, mentre nel Centro sono cresciute del 12,3%, al Sud del 7,7% e nelle Isole del 4,0%.
L’aumento è stato determinato principalmente dai contratti a tempo indeterminato, cresciuti di 764mila unità rispetto al 2014, con un incremento del 47%. Stabili, invece, i contratti a tempo determinato, mentre le assunzioni in apprendistato sono diminuite del 20%.
I contratti a tutele crescenti introdotti con il Jobs act hanno beneficiato degli sgravi contributivi di 8.060 euro annui previsti nella Legge di stabilità. Al loro aumento hanno concorso, infatti, sia le nuove assunzioni che le trasformazioni di contratti già preesistenti (+50% per i contratti a tempo determinato e +23% per quelli in apprendistato). Diminuite invece di 158mila unità le altre tipologie di contratti (tempo determinato, intermittente, apprendistato e somministrazione).
Soddisfazione per i dati pubblicati dall'Inps ha espresso il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che ha twittato: ‘+764mila contratti stabili nel primo anno di #jobsact. Amici gufi, siete ancora sicuri che non funzioni?’.

domenica 14 febbraio 2016

Gela come Termini Imerese?

Continua da oltre ventitre giorni la protesta della popolazione di Gela a difesa del petrolchimico dell’Eni, ma la vicenda sembra una ripetizione di quanto già avvenuto a Termine Imerese 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Gela (foto wikipedia.org)
Nel gennaio del 2010 il nuovo amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, annunciava l’irrevocabilità della chiusura dello stabilimento siciliano. La dismissione si concretizzerà il 31 dicembre del 2011. Tra le tante ipotesi di salvataggio della fabbrica c’era la riconversione per la costruzione di auto elettriche da parte del gruppo italiano DR Motor Company. Ma l’accordo fallisce e dal 1° gennaio 2015 lo stabilimento passa alla newco Blutec. L’azienda ha assicurato pochi giorni fa che entro aprile del 2016 saranno avviati al lavoro i primi 50 operai con il compito di allestire la nuova fabbrica ed altri 200 dovrebbero iniziare a lavorare entro la fine dell’anno, mentre non si sa bene che fine faranno gli altri operari dell’ex stabilimento Fiat e gli oltre 1000 addetti dell’indotto.
Il pertrolchimico Eni di Gela
La vicenda del petrolchimico di Gela sembra una ripetizione di quella di Termini Imerese. Il nuovo piano industriale dell’Eni ha previsto la riduzione della produzione con la chiusura dello stabilimento nella piccola città siciliana, ma con la promessa di riconvertirlo in una green economy. L’accordo stipulato nel 2014 tra l’azienda di Stato, la Regione ed il Governo nazionale prevede, infatti, la ristrutturazione della fabbrica e soprattutto il salvataggio dei posti di lavoro. Intanto, seicento dei settecento operai dello stabilimento sono stati ‘trasferiti’ e milleduecento addetti dell’indotto sono in cassa integrazione.
Insomma, Gela come Termini Imerese, ma con l’aggravante che la piccola città della provincia di Caltanissetta pur di garantire i posti di lavoro ai propri concittadini ha rinunciato al mare pulito, ai boschi verdi e all’aria respirabile. I gelesi, per oltre cinquant’anni hanno accettato di tutto pur di avere e mantenere la fabbrica. Ora, i ritardi nella realizzazione dell’accordo stanno preoccupando i lavoratori e l’intera popolazione.
Lo stabilimento Fiat di Termine Imerese
Riusciranno Gela e con essa la Sicilia a vincere la battaglia del lavoro? La Fiat chiude lo stabilimento di Termini Imerese, L’Eni il petrolchimico, le trivelle nel Mediterraneo non le vuole nessuno e l’eventuale bonifica dell’area costerebbe troppo e per i sindacati sarebbe un salto nel buio.
Ai lavoratori non resta che sperare nel rispetto dell’intesa, ma questa storia assomiglia sempre più a quella di Termini Imerese ed a quella di tante altre realtà del Mezzogiorno che più di ogni altra area geografica del paese stanno pagando gli effetti della crisi e decenni di ritardi e di politiche economiche sbagliate decise sulla 'pelle' dei meridionali. 


martedì 2 febbraio 2016

La mafia è ‘qualcosa da combattere, da disprezzare o evitare con attenzione’

Presentati nell’aula magna del liceo classico ‘Giovanni Meli’ di Palermo i risultati dell’indagine svolta tra gli studenti siciliani dal Centro studi Pio La Torre sul tema ‘Giovani cittadini consapevoli, attivi e responsabili’ 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

L’indagine ha coinvolto circa 400 alunni tra i 16 ed i 21 anni di 14 scuole siciliane. Il 39% di essi ritiene che ‘Cosa nostra’ sia più forte dello Stato, mentre per il 34% sono sullo stesso piano e solo per il 16% è lo Stato ad essere più forte. Per il 76% degli studenti siciliani la mafia è ‘qualcosa da combattere, da disprezzare o evitare con attenzione”.
Secondo Laura Borino, membro del gruppo di lavoro del progetto, “quasi tutti i ragazzi sanno chi sono i giudici Falcone e Borsellino, padre Puglisi, Pio La Torre o, sul fronte opposto, Totò Riina. Più della metà, però, prima dell’avvio del progetto, ha ammesso di non conoscere figure come Antonino Caponnetto, Emanuela Loi, Placido Rizzotto e quasi la metà ignorava chi fosse Rocco Chinnici”.
Alla domanda: ‘Ti è mai capitato di avvertire concretamente la presenza della mafia?’, il 34% degli intervistati ha risposto ‘abbastanza’, il 25% ‘poco’, il 21% ‘molto’. La maggior parte degli studenti ha, poi, dichiarato di avere fiducia negli insegnanti, nei magistrati e nelle forze dell’ordine, rispettivamente con 137, 95 e 57 preferenze. Mentre negli ultimi posti della classifica ci sono i sindacalisti (26), i parroci (10), i politici nazionali (8) e quelli locali (3).
Alla presentazione dei risultati del progetto ha partecipato l’assessore regionale all’Istruzione, Bruno Marziano, che ha dichiarato: ‘Per La mia generazione Pio La Torre è stato un maestro di vita. Egli aveva il rigore di chi credeva in una missione, come la lotta alla mafia. La scuola è il primo presidio di legalità ed è il luogo dove si forma la classe dirigente. Investire nella qualità dell’istruzione è fondamentale’. Ed ha annunciato l’avvio in Sicilia di progetti di ‘alternanza scuola – lavoro anche nei licei, si tratta – ha concluso l’assessore – di una vera rivoluzione nel mondo dell’istruzione’.