di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
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Foto da riviera24.it |
Il
motivo di questa sperequazione è semplice: quando l’incremento del debito è finalizzato alla
crescita il rapporto con il reddito rimane immutato o diminuisce, al contrario
quando non produce ricchezza il rapporto tende a crescere ed anziché risolvere
i problemi sociali li aggrava. Ed è così che esso ha determinato un
aumento del reddito medio pro capite nelle regioni del Nord, mentre ha progressivamente
impoverito i residenti delle regioni meridionali.
Inoltre,
il deficit di bilancio determina sempre una crescita nominale del debito
pubblico. Per gli
economisti questo valore è poco significativo, mentre, per loro, è molto più rilevante il suo rapporto con il
Pil. I fautori delle manovre espansive (Keynesiane) affermano, infatti, che con
il deficit spending si realizza un
aumento del prodotto interno lordo superiore o pari al maggior debito
contratto. I detrattori, invece, sostengono che l’aumento della spesa pubblica
è efficace se serve a fare investimenti e se il debito pubblico che si va ad
incrementare è sostenibile. Lo scontro tra governo ed opposizioni e tra
esponenti sovranisti ed Unione europea è su questa contraddittoria dicotomia.
Gli
italiani hanno la memoria corta. Il
debito su cui, è bene precisarlo, nel 2017 abbiamo pagato 65,6 miliardi di
interessi, è un’obbligazione che deve essere sempre onorata. La fiducia dei
mercati, che nella sostanza sono i nostri creditori, non è data per sempre. Con
l’ultimo governo di Silvio Berlusconi abbiamo già sperimentato come sia
pericoloso fare manovre contraendo altri debiti. Nel 2011 a subire le conseguenze
delle turbolenze finanziarie sono state soprattutto le classi sociali medio -
basse. Per risanare i conti pubblici non
sono stati intaccati i grandi patrimoni, ma i redditi dei lavoratori. Basta
citare il taglio delle spese per il Welfare (legge Fornero), l’introduzione
dell’Imu e della Tasi e la riduzione degli investimenti al Sud. Inoltre, la
crisi ha determinato un notevole incremento della disoccupazione e della
povertà assoluta.
Con
la manovra predisposta dal governo ‘pentaleghista’ si rischia di accrescere
inutilmente il debito pubblico e di intaccare ancora una volta la fiducia dei
nostri creditori. La lotta alla povertà è condivisibile, ma deve avvenire con la redistribuzione della ricchezza e con la dignità del lavoro. Il rischio,
anzi la certezza, è che alla prossima crisi finanziaria a pagare saranno ancora
una volta i lavoratori.
Fonte Banca d’Italia
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