sabato 29 luglio 2017

La Francia nazionalizza Stx, ma non erano 'vietate' dall’UE?

Il presidente della Francia Emmanuel Macron ha deciso di nazionalizzare, nel silenzio assordante dell’UE, i cantieri di Stx, bloccando così gli accordi che il suo predecessore François Hollande aveva stipulato con Fincantieri 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Emmanuel Macron - (foto da formiche.it)
La vicenda dell’azienda di Saint Nazaire è solo l’ultimo episodio di una lunga serie d’intrecci finanziari e politici tra le due sponde delle Alpi. Nel 2000 la Fiat abbandonò il settore ferroviario cedendo Fiat Ferroviaria ad Alstom. Nel febbraio del 2006 il tentativo di scalata della Bnl da parte di Unipol fallì miseramente. Chi non ricorda la telefonata in cui Piero Fassino, allora segretario dei Democratici di sinistra, inopinatamente esultò per l’avvenuta acquisizione? Non se ne fece nulla, furono i francesi di Bnp Paribas ad acquisire la banca guidata da Luigi Abete. Nel 2007, a seguito della fusione tra Banca Intesa e Sanpaolo Imi, la nuova banca, Intesa Sanpaolo, ha dovuto cedere per motivi di antitrust il controllo di Cariparma e Banca Popolare FriulAdria a Credit Agricole. Nello stesso anno Groupama ha acquisito il 100% di Nuova Tirrena e, di recente, Amundi ha acquistato da Unicredit la società di risparmio gestito Pioneer. Stessa sorte hanno subito i marchi del lusso e dell’alimentare italiano. Eridania Italia società leader nel settore dello zucchero è finita in mano francesi. La grande distribuzione come Carrefour, Castorama, Auchan e Leroy-Merlin sono state acquisite da aziende d’Oltralpe. La Parmalat è passata a Lactalis. E così via, l’elenco è lungo.
Tweet di Paolo Gentiloni - (foto da contropiano.org)
Poi ci sono stati i tentativi falliti. Nel 2008 Air France-Klm aveva accettato la proposta dell’allora ministro del Tesoro, Tommaso Padoa-Schioppa, di acquisire l’Alitalia offrendo un investimento di un miliardo di euro, l’accollo di tutti i debiti per un altro miliardo e mezzo di euro e l’impegno a mantenere l’autonomia organizzativa della compagnia aerea. Tutto questo non bastò al nuovo presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che, in nome dell’italianità, azzerò l’accordo e fece stanziare al Parlamento, appena eletto, 800 milioni di euro per far decollare la ‘cordata di imprenditori italiani’ chiamata a rilevare il pacchetto azionario della compagnia di bandiera. Quella mancata cessione è costata allo Stato italiano almeno 4,5 miliardi di euro ed, oggi a distanza di quasi dieci anni e dopo alterne vicende, l’azienda è di nuovo sull’orlo del fallimento. Ancora in corso è, invece, la vicenda Vivendi-Telecom-Mediaset, con i ripetuti tentativi di Vincent Bollorè di acquisire il controllo delle due aziende italiane. Il ministro Calenda a proposito di Telecom ha dichiarato: ‘Non la nazionalizziamo, non si risponde alle fesserie con le fesserie’.
Foto da webnews.it
Quando, invece, sono state le aziende italiane a tentare di acquisire i gioielli francesi sono scattati subito i distinguo e le difese del governo d’Oltralpe. Basta citare i tentativi di acquisizione falliti  da parte di Enel e Mediaset (La Cinq).
Quello che stupisce in questa vicenda di Stx è, oltre all’idiosincrasia dei cugini per le acquisizioni italiane, il silenzio assordante dell’Europa. Pronta a richiamare l’Italia se interviene per proteggere le proprie aziende (Banca Montepaschi, Alitalia), è silente se a farlo sono i cugini francesi, perché? L’asse franco-tedesco è positivo per il Vecchio Continente se consente di fare passi in avanti nel processo d’integrazione politica dell’Europa, ma diventa deleterio se questo avviene a danno degli altri paesi e l’Italia, di certo, non può stare a guardare passivamente.


venerdì 28 luglio 2017

Dieci meridionali su cento vivono in condizioni di povertà assoluta

Le anticipazioni sul Rapporto Svimez 2017 segnalano un rischio povertà in Campania, Calabria e Sicilia triplo rispetto al resto del Paese

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da orizzonte48.blogspot.com
Nel 2016 il Prodotto interno lordo nelle regioni meridionali è cresciuto dell’1%, in misura superiore rispetto al Centro-Nord (+0,8%), tuttavia, segnala lo Svimez, con questi ritmi il Mezzogiorno tornerà ai livelli pre-crisi solamente nel 2028, vale a dire dieci anni dopo al resto del Paese. Tra il 2001 ed il 2016 il Pil è diminuito al Sud del -7,2%, mentre è cresciuto nell’aria Ue a 28 del 23,2%. Il divario tornerà a crescere nei prossimi due anni, nel 2017 il Pil dovrebbe aumentare dell’1,1% al Sud e dell’1,4% nel Centro-Nord, mentre nel 2018 si prevede un aumento dello 0,9% al Sud e dell’1,2% al Centro-Nord. Lo scorso anno gli occupati sono cresciuti nel Mezzogiorno di 101mila unità, ma restano inferiori di 308mila unità rispetto al 2008 e circa dieci meridionali su cento vivono in condizioni di povertà assoluta.
Foto da quotidianodelsud.it
Negli ultimi quindici anni la popolazione del Sud è diminuita di 393mila unità, mentre nel Nord è aumentata di 274mila unità. Nello stesso periodo sono emigrati dal Mezzogiorno 1,7 milioni di persone, i rientri sono stati circa un milione, con una perdita netta di 716mila persone, di questi il 72,4% sono giovani con meno di 34 anni e 198mila sono laureati.
Le ragioni di questo divario economico e sociale sono indicate nel Rapporto: bassi salari, scarsa produttività, carente competitività e una limitata accumulazione della ricchezza. Inoltre, nel 2016 la spesa pubblica in conto capitale nel Sud ha toccato il punto più basso della sua storia, pari a tredici miliardi di euro, cioè lo 0,8% del Pil.
Per lo Svimez occorre flessibilità nel bilancio statale per rilanciare gli investimenti pubblici e porre il Mediterraneo al centro delle politiche nazionali. Il problema è lo sviluppo economico per il quale il Mezzogiorno non deve essere visto come un peso, ma come un’opportunità di crescita. Negli ultimi anni diversi interventi sono stati fatti dal Governo, ma, rileva lo Svimez, solo le ZES (Zone Economiche Speciali), attraendo investimenti esterni nell’area, possono favorire lo sviluppo del tessuto produttivo meridionale e ridurre il divario economico e sociale tra le diverse aree del Paese.

giovedì 27 luglio 2017

‘Il capotreno si è inventato tutto’, ma la sicurezza sui treni è inesistente

L’aggressione subita il 19 luglio scorso dal capotreno Davide Feltri è falsa, ma nonostante questa incredibile vicenda viaggiare in treno non è affatto sicuro

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Davide Feltri (foto dal suo profilo facebook)
‘Si è inventato tutto, la vicenda va letta come segnale di esasperazione per la situazione che stanno vivendo’, ha spiegato il procuratore della Repubblica di Lodi Domenico Chiaro. Il capotreno, Davide Feltri, quarantacinque anni, autore della simulazione si è giustificato dicendo che pochi giorni prima aveva avuto un litigio con un ghanese di venticinque anni e per questo temeva di subire un’aggressione. ‘Mi sono vendicato di una lite avuta il giorno prima con quella persona, mi aveva minacciato di morte se lo avessi ancora disturbato per chiedergli il biglietto’, è stata la spiegazione data agli investigatori. Anche di questo alterco, però, non ci sono certezze. Di sicuro il giorno della presunta aggressione con il capotreno non c’era nessuno.  
Il fatto sarebbe avvenuto il 19 luglio scorso sul treno Piacenza - Milano Greco Pirelli. Per simulare l’aggressione il capotreno si era accoltellato una mano e, successivamente, aveva identificato il presunto autore. La notizia, dopo i fatti del controllore aggredito con il machete da una banda di latinos, aveva creato enorme allarme tra i dipendenti di Trenord che avevano proclamato uno sciopero per chiedere più protezione. L’adesione era stata altissima. Ora, Davide Feltri, sarà accusato di interruzione di pubblico servizio, calunnia e simulazione di reato.
Nonostante questa incredibile vicenda, resta il fatto che viaggiare in treno non è affatto sicuro. I controlli della polizia ferroviaria sono praticamente inesistenti, soprattutto nelle tratte periferiche e nelle stazioni dei piccoli paesi che spesso sono deserte. Ma dei pendolari e dei controllori dei treni che devono viaggiare o lavorare in queste condizioni non interessa a nessuno. 

lunedì 24 luglio 2017

Ciciri o sciscirì?

‘Se mala segnoria, che sempre accorra li popoli suggetti, non avesse mosso Palermo a gridar: ‘Mora, mora!’, Dante Alighieri, da la Divina Commedia, canto VIII del Paradiso

Drouet trafitto dalla spada viene ucciso, da I Vespri Siciliani
di Francesco Hayez - (foto da wikipedia.org)
Nella chiesa di Santo Spirito erano soliti recarsi gli abitanti di Palermo. Erano uomini, donne, famiglie che volevano dimenticare le sofferenze e le angherie subite dall’occupante francese. Ma era proprio in queste occasioni che gli agenti della riscossione braccavano i debitori delle tasse, ammanettandoli e gridando. ‘Pagate, paterini, pagate’. Il 30 marzo del 1282 all’ora dei vespri un gruppo di fedeli a seguito dell’ennesima provocazione degli oppressori reagì dando avvio alla rivolta che ben presto si propagò in tutta l’isola. Furono i giorni dei Vespri siciliani.
Quel lunedì di Pasqua, all’imbrunire, un gruppo di angioini si mescolò ai credenti, ma, come accadeva spesso, essi iniziarono ad usare un comportamento poco licenzioso nei confronti delle donne. Alla reazione dei padri, fratelli e mariti, i francesi non solo insistettero, ma cominciarono a perquisire e percuotere i malcapitati. Uno di loro, un certo Drouet all’arrivo di una giovane sposa si avvicinò per vedere se aveva armi, iniziò a toccarla ed a frugare nei suoi vestiti, ma la poveretta per la vergogna cadde svenuta in braccio al marito, questi, indignato ed offeso, gridò: ’Ah, muoiano questi francesi’ ed impadronitisi della spada dello stesso Drouet lo trafisse con un solo colpo.
La tirscele diverrà il vessillo della Sicilia, formata dal giallo di
Corleone e dal rosso di Palermo - 3 aprile 1282
(foto da slideplayer.it)
Fu la scintilla che fece scoppiare la rabbia e l’odio represso dei siciliani nei confronti degli occupanti. In poco tempo dalla rissa si passo al linciaggio, spuntarono bastoni, coltelli e spade. Gli angioini furono sopraffatti e dopo una breve lotta caddero sanguinanti a terra. La sommossa si propagò in tutta la città guidata da un certo Ruggero Mastrangelo. Gli occupanti, impauriti tentarono la fuga, quelli che vennero catturati implorarono, inutilmente, pietà.  Fu una vera e propria caccia all’uomo, i rivoltosi frugarono nelle caserme, nelle case, nei magazzini. ‘Non furono sicuri nemmeno i ricoveri religiosi come i templi e i conventi dei Minori e dei Predicatori’.
La Pace di Cartabellotta assegnò la Sicilia agli Aragonesi e il
Meridione agli Angioini fino al 1442. I due regni si riunificarono
nel 1816 nel Regno delle due Sicilie.- (foto da slideplayer.it)
Si narra che quando i ribelli incontravano uno sconosciuto gli imponevano di pronunciare in dialetto siciliano la parola ‘ciciri’  (in italiano ceci),  i malcapitati che la storpiavano in ‘sciscirì’, usando cioè la pronuncia francese, venivano riconosciuti e passati per le armi. Gli atti di violenza furono così atroci che ‘alle madri furono strappati e uccisi i lattanti generati dai francesi e alle siciliane ingravidate - scrive lo storico Amari - gli aprivano il corpo facendo scempio del frutto di quel mescolamento di sangue tra oppressori e oppressi’. La strage continuò tutta la notte, sino a quando in città non vi fu più alcun francese. Si calcola che quel giorno caddero tra i duemila e i quattromila angioini, i cui corpi furono sepolti in fosse comuni. A Palermo ancora oggi una colonna sormontata da una croce ricorda il luogo di una di quelle sepolture. All’alba del giorno dopo il popolo siciliano dichiarò Palermo libera dalla dominazione angioina e stabilì di federarsi insieme agli altri comuni e di mettersi sotto la protezione della Chiesa. Ma Papa Martino IV, eletto con il sostegno dei francesi, si rifiutò di patrocinare l’indipendenza dell’isolaIntanto, Carlo d’Angio nel tentativo di sedare la rivolta promise numerose riforme, ma, successivamente, decise di intervenire militarmente. I nobili siciliani allora offrirono la corona agli Aragona. Ci furono vent’anni di guerre. Il primo accordo fu raggiunto tra Carlo II d’Angio e Federino II d’Aragona il 31 agosto del 1302, con la pace di Cartabellotta che assegnò la Sicilia agli Aragonesi ed il resto del Meridione agli Angioini.
I Vespri, oltre ad aver dato inizio al lungo legame tra l’isola e gli Aragona, hanno rappresentato uno degli episodi più significativi nella storia della Sicilia. ‘Amara terra mia e bella’ cantava Domenico Modugno, ed ancora oggi è così. I siciliani, perennemente sotto il domino straniero e, dopo l’Unità d’Italia, sotto il giogo mafioso, hanno tentato più volte nel corso della storia di emanciparsi senza riuscire mai a concretizzare ‘quel fresco profumo di libertà’ auspicato da Paolo Borsellino e, di conseguenza, non hanno mai beneficiato di una vera autonomia politica, economica e sociale.

Fonte: wikipedia.org


domenica 16 luglio 2017

E’ proprio vero, siamo ‘il Paese delle meraviglie’

I dati statistici usciti negli ultimi giorni confermano la crescita delle disuguaglianze e delle ingiustizie e di come, contemporaneamente, gli amministratori pubblici continuino a spendere risorse finanziarie per creare enti inefficienti e spesso inutili

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Maurizio Crozza - (foto da youtube.com)
Nel mese di maggio il debito pubblico è arrivato alla cifra mostruosa di 2.278,9 miliardi di euro, in aumento di 8,2 miliardi rispetto al mese precedente. Nonostante ciò il segretario del Pd Matteo Renzi è tornato a chiedere all’Europa più flessibilità sui conti, vale a dire la possibilità di fare deficit di bilancio aggiuntivo nei prossimi cinque anni. Insomma, il lupo perde il pelo ma non il vizio. Il punto dirimente è che spesso i nostri governanti impiegano risorse non disponibili. Un uomo di buon senso potrebbe pensare che esse siano utilizzate per fare investimenti o per ridurre le disuguaglianze, ma purtroppo non è così. Nella maggior parte dei casi esse finiscono per 'foraggiare' le clientele politiche o più semplicemente per garantire un ‘posto fisso’ agli esponenti della casta politico - istituzionale.
Maurizio Crozza - (foto da memegen.com)
Un’indagine condotta dall’Ires, centro studi della Cgil, ha rilevato un incremento, tra il 2000 ed il 2014, di 5.000 aziende partecipate dal settore pubblico, in tutto sono 8.893, una ogni 6.821 abitanti. Molte, secondo l’indagine, non svolgono alcuna attività (1.663) ed in tante gli amministratori sono più numerosi dei dipendenti (1.214). La Regione più piccola d’Italia, la Valle d’Aosta, ne ha una ogni 1.929 valdostani. Il numero dei dipendenti assunti spesso per chiamata diretta (cioè senza concorso pubblico) è di 783.974 unità. In tempi di spending review ci si aspetterebbe una razionalizzazione, invece aumentano gli enti inefficienti o inutili. L’ex commissario alla revisione della spesa, Carlo Cottarelli, all’inizio del 2014, aveva stimato un risparmio di 2 miliardi di euro l’anno ed una riduzione delle aziende partecipate a mille. Ma così non è stato. Il dubbio più che legittimo è che lo scopo di molti di questi enti sia solo quello di garantire un posto ai ‘trombati’ della politica ed uno stipendio sicuro agli amici degli amici.
Maurizio Crozza imita Roberto Formigoni
(foto da youtube.com)
La notizia più preoccupante è quella sulla povertà assoluta. Il dato per il 2016 comunicato dall’Istat è simile a quello dell’anno precedente. 1 milione e 619mila famiglie, cioè 4 milioni e 742mila individui fanno fatica a procurarsi i mezzi essenziali per vivere. La maggior parte di queste famiglie vivono nel Sud Italia, ma questa non è una novità. Quello che indigna è che lo Stato continui a fare debiti e sperperare risorse pubbliche per mantenere e sovvenzionare clientele e caste politiche ed istituzionali, anziché adoperarsi per dare un’opportunità a chi vive in una condizione di povertà assoluta o di esclusione sociale.


sabato 15 luglio 2017

A che cosa servono gli esami di Stato?

In questi giorni si stanno per concludere, per decine di migliaia di docenti ed alunni, le prove degli esami di Stato, ma hanno ancora un senso?

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da lastampa.it
E’ ora di adempiere alle ultime formalità, inserire gli elaborati, le schede dei candidati ed i verbali delle prove nel plico, sigillarlo con i bolli di ceralacca, compilare i registri riepilogativi, gli attestati e le certificazioni, preparare tutto il materiale da consegnare o riconsegnare alla scuola dove si sono svolti gli esami di Stato.
E’ una calda ed afosa giornata di luglio e decine di migliaia di professori, candidati e collaboratori della scuola stanno svolgendo la loro mansione con particolare attenzione, quella tipica di chi sa che sta eseguendo un compito delicato, che inciderà per sempre nella vita e nella memoria di esaminatori ed esaminati. Chi non ricorda i professori degli esami di Stato, l’elaborazione delle prove, il voto finale e le presunte o reali ingiustizie fatte dagli esaminatori?
Si sa, la discussione sulle valutazioni tra docenti ‘interni’, i professori cioè che hanno seguito i ragazzi per tutto l’anno ed in alcuni casi per tutto il percorso formativo della scuola superiore, e quelli ‘esterni’, che invece giudicano solo le prove dell’esame, è una circostanza che si ripete ogni volta. L’opinione dei primi difficilmente coincide con quella dei secondi ma una sintesi, anche se a volte è preceduta da estenuanti e spesso inutili discussioni, si trova quasi sempre. Di certo, di quel giorno, oltre al voto finale rimarranno le titubanze e le gaffe fatte dai ragazzi e le facili ed inopportune ironie di chi, ormai adulto, non rammenta o fa finta di non rammentare gli errori commessi quando si è trovato nella medesima situazione.
C’è chi ritiene, tra i docenti, che questo sia un inutile tour de force, un ‘rituale’ a cui si devono sottoporre alunni ed insegnanti delle scuole medie e di quelle superiori. Per altri invece è un importante passaggio verso il mondo degli adulti, verso la maturità. I cambiamenti intervenuti negli ultimi decenni sulle sue modalità di svolgimento di certo lo hanno reso più complicato e faticoso per i ragazzi ma nello stesso tempo non sempre consente di evidenziare chi ha capacità e competenze superiori alla media. E’ il risultato delle ultime riforme. Ed è la dimostrazione che i politici ed i tecnici che si sono susseguiti al ministero della Pubblica istruzione non conoscono il ‘mondo della scuola. La loro è stata una visione ragionieristica, hanno solo operato per ridurre la spesa pubblica licenziando una parte dei docenti, ovviamente quelli precari, cioè quei lavoratori che in un altro post ho definito esodati invisibili’, vale a dire gli unici precari che dopo decenni di lavoro sono diventati disoccupati nell’indifferenza di sindacati e politici. Si è ritenuto e si continua a ritenere, infatti, che i problemi dl deficit del bilancio statale si possano risolvere lasciando a casa decine di migliaia di docenti e collaboratori della scuola. E’ una visione miope, ma chi ci governa non sembra comprenderlo.
Intanto, migliaia di giovani stanno per conseguire il diploma di scuola superiore, quello che una volta era considerato un importante ‘pezzo di carta’, ma prima dovranno rispondere all’ultima fatidica domanda: cosa farai dopo aver conseguito il diploma? Questo quesito è posto per soddisfare la curiosità dei professori, ma non è un 'obbligo' imposto dal ministero ed i docenti, in questi tempi difficili in cui proseguire negli studi costa troppo e trovare un lavoro è quasi un terno al lotto, farebbero bene a porlo sottovoce e senza insistere troppo di fronte alle eventuali titubanze dei ragazzi.  

Penultima fermata: Baarìa

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Stazione di Santo Stefano di Camastra (Me)
“Ancora una fermata, ma dove siamo?” chiede uno dei passeggeri del treno locale Messina-Palermo, “a Santo Stefano di Camastra” risponde svogliatamente il suo compagno di viaggio. Dopo pochi minuti di sosta la corsa riprende, sono le sei e trenta del mattino ed in tanti sono saliti da almeno un'ora.
La tratta che il convoglio ferroviario sta percorrendo si snoda lungo la costa nord della Sicilia. Alla sua sinistra è un continuo susseguirsi di colline frastagliate da alberi di ulivo o da terreni scoscesi e pieni di arbusti, interrotte di tanto in tanto dalle case dei piccoli paesini e dalle loro stazioni deserte ravvivate solo di primo mattino dalla presenza dei pendolari. Alla sua destra s’infrangono sugli scogli, a pochi metri dai vagoni, le onde del mare, il Tirreno, e dal finestrino è possibile scorgere l’orizzonte, la cui linea è spezzata dalla sagoma di una delle sette isole dell’arcipelago delle Eolie, sarà Alicudi o Filicudi? Chissà, da questa parte della Sicilia è difficile distinguerle, ma del resto cosa importa, a quest’ora del mattino una vale l’altra. Ad est sta albeggiando e ad ovest, dove nel tardo pomeriggio si poggia quotidianamente il Sole con i suoi ultimi raggi, sta tramontando la Luna, ha un colore difficile da definire è una specie di rosso tenue quasi arancione, di certo è uno spettacolo straordinario, ma solo chi è mattiniero come i lavoratori pendolari può godere di questo miracolo della natura.
Siamo a metà del percorso eppure le carrozze sono già piene e non si comprende perché non sia stato predisposto da Trenitalia un numero maggiore di vetture, dalla prossima fermata sarà difficile trovare posto a sedere. I vagoni sono in buone condizioni ma sono di seconda mano, di certo già utilizzati in altre tratte, probabilmente nel nord del Paese. Alcuni di questi treni (es. il Minuetto) sono stati progettati con un numero limitato di posti ed erano destinati, inizialmente, per corse brevi ora invece sono utilizzati per percorsi più lunghi. L’affollamento è inevitabile, ma a chi importa dei lavoratori, degli studenti e di chi non può permettersi o non ha voglia di viaggiare in auto o in pullman? 
I volti che s’incontrano sono quasi sempre gli stessi, dopo un po’ ci si riconosce, qualcuno accenna un saluto, altri sono solo preoccupati di trovare un posto a sedere. Durante il viaggio sono pochi coloro che hanno voglia di chiacchierare, c’è chi tira fuori un tablet o uno smartpfone ed inizia subito a smanettare sul touchscreen per chattare, lavorare o giocare, di certo si estranea da ciò che lo circonda. Se poi qualcuno risponde al cellulare o fa una chiamata vorresti evitare di ascoltare ma come si fa?
Sono quasi le otto, siamo a Bagheria o Baarìa come il titolo del film diretto nel 2009 da Giuseppe Tornatore ed ambientato nella caotica cittadina siciliana che è famosa per i suoi palazzi settecenteschi e per le sue magnifiche ville, oggi purtroppo quasi tutte chiuse o inaccessibili. E’ la penultima fermata prima di arrivare a Palermo e per i pendolari che scendono la giornata inizia solo adesso, anche se per loro sono già trascorse almeno tre ore dal suono della sveglia. Ed è così per ogni giorno lavorativo, per tutto l’anno.
In questi tempi difficili e nonostante i sacrifici ‘aggiuntivi’ che questi lavoratori devono sostenere essi non hanno il diritto a lamentarsi ma al contrario devono tenersi stretto il posto di lavoro perché, nonostante tutto, gli consente di vivere una vita dignitosa. Ed è per questa ragione che in questo inizio d’anno chi ha un’occupazione precaria o è un lavoratore pendolare non può non pensare a chi sta peggio e per il 2014 non può non fare un in bocca al lupo a chi non ha neanche questo.

Il borgo più bello d’Italia 2015 è Montalbano Elicona

La trasmissione di Rai Tre ‘Alle falde del Kilimangiaro’ ha proclamato Montalbano Elicona il borgo più bello d’Italia 2015. Il piccolo paesino della provincia di Messina rappresenta una Sicilia che non si rassegna al decadimento morale ed economico

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Nel corso della trasmissione di Rai Tre “Alle falde del Kilimangiaro” i conduttori, Camila Raznovich e Dario Vergassola, hanno proclamato Montalbano Elicona il borgo più bello d’Italia 2015. I Comuni che hanno partecipato alla competizione erano inizialmente quaranta, poi a seguito del televoto sono diventati venti, un Comune per ogni Regione, Montalbano Elicona ha prevalso su Cefalù.
Il borgo più bello d’Italia è un paesino della provincia di Messina con circa 2500 abitanti. Costruito a 920 metri sul livello del mare è caratterizzato dalla presenza di un antico Castello che è stato la residenza estiva di Federico II di Aragona.
Nella campagna attorno al piccolo borgo sono presenti i ‘megaliti’ di Argimosco, Elmo, Losi, Mattinata e Zilla. Si tratta di massi di pietra che per la loro forma ricordano quelli di Stonehenge in Inghilterra. Costituiti da blocchi di granito, tipici dei monti dei Nebrodi, sono adatti alla realizzazione di calendari astronomici utilizzati per determinare i solstizi e gli equinozi. Sulla roccia è scavata la vasca per i riti battesimali e due ‘menhir’ celebrano i culti della Vita e del Sole.
Montalbano Elicona con le sue viuzze, i suoi monumenti e le sue tradizioni non è solo il simbolo di una Sicilia che non si rassegna al decadimento morale ed economico ma è soprattutto un luogo adatto per rivivere il passato ed i riti di una civiltà millenaria.

martedì 11 luglio 2017

L’1% delle famiglie possiede il 45% della ricchezza globale

Il rapporto pubblicato dal Boston Consulting Group sulla ricchezza finanziaria conferma la crescita delle disuguaglianze e del divario economico tra le classi sociali
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
Silvio Berlusconi e Flavio Briatore
(foto da notizie.virgilio.it)
Il numero di famiglie milionarie è cresciuto del 7%, a sostenerlo è la società di consulenza finanziaria BCG che ha pubblicato la 17esima edizione del report ‘Global Wealth 2017: Transforming the Client Experience’. Secondo il rapporto sono 18 milioni i nuclei familiari, cioè l’1% del totale, che posseggono il 45% della ricchezza globale. In Italia sono 307mila le famiglie che hanno investimenti in titoli di Stato, azioni, depositi e altri strumenti finanziari superiori ad un milione di dollari. L’1,2% delle famiglie possiede il 20,9% della ricchezza finanziaria, cioè 4.500 miliardi di dollari. Questa somma è destinata ad aumentare nei prossimi anni, nel 2021 il numero delle famiglie dovrebbe crescere fino a 433mila unità, con un percentuale che salirà all’1,6 e che possiederà una ricchezza del 23,9%, vale a dire quasi un quarto del totale.
Foto da fanpage.it
Insomma, cresce la concentrazione della ricchezza ed aumentano le disuguaglianze economiche e sociali. Nel mondo ci sono persone e famiglie che utilizzano per i loro bisogni solo una piccolissima parte della loro ricchezza ed altre che invece non posseggono nulla e che vivono con meno di un dollaro al giorno o addirittura muoiono di fame. Basterebbe impiegare il ‘superfluo’ della risorse finanziarie a disposizione dei super ricchi per consentire una vita dignitosa a miliardi di persone, invece si perpetuano le ingiustizie e le disuguaglianze.
In Italia sarebbe sufficiente un prelievo una tantum sui grandi patrimoni per risolvere i problemi di finanza pubblica che, negli ultimi anni, i vari governi di Centrosinistra si sono affannati a tenere sotto controllo, senza peraltro riuscirvi. Il debito pubblico continua a crescere ed oggi è di circa 2.200 miliardi di euro. Sarebbe sufficiente una piccola parte del ‘troppo’ che i nostri Peperoni posseggono per risanare il bilancio pubblico e consentire allo Stato politiche di investimenti che diano lavoro e dignità a chi oggi è disoccupato, precario o è un pensionato al minimo.
L’ingiustizia è anche nelle opportunità. Le possibilità di ascesa sociale non sono uguali per tutti, anzi oggi sono quasi del tutto inesistenti per i ceti meno abbienti. E’ assai probabile, infatti, che il figlio di un operaio diventi egli stesso un operaio o che il figlio di un disoccupato non riesca a trovare lavoro o diventi un precario, mentre il figlio di un magnate non si pone neanche il problema, l’unica sua preoccupazione è quella di spendere 'a piene mani' il patrimonio famigliare, ma per quanto possa sperperare sarà sempre una piccola parte del totale.

sabato 8 luglio 2017

Voucher o libretto di famiglia?

Lunedì prossimo l’Inps attiverà la procedura per i nuovi contratti a prestazione occasionale e per i cosiddetti libretti di famiglia che sostituiranno i vecchi voucher, ma per la Cgil ad essere cambiato è solo il nome 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da quifinanza.it
Il Governo per impedire l’abuso dei voucher e soprattutto per evitare il referendum abrogativo proposto dalla Cgil li ha aboliti sostituendoli con il cosiddetto libretto di famiglia e con i nuovi contratti a prestazione occasionale, ma, realmente, quanto sono nuovi questi strumenti e quanto invece sono un semplice maquillage? Per capire meglio vediamo quali sono le principali novità.
Il libretto di famiglia è destinato alle persone fisiche ‘non nell’esercizio di un’impresa o di una libera professione’ e potrà essere utilizzato per retribuire i piccoli lavori domestici, l’assistenza domiciliare a bambini, persone anziane o ammalate o affette da disabilità e per l’insegnamento privato supplementare. All’inizio del 2018 saranno inclusi anche i servizi di baby sitting. Il compenso sarà corrisposto tramite un titolo simile ai voucher. L’importo di 10 euro l’ora comprenderà 8 euro di compenso al lavoratore, 1,65 euro di contributi Inps, 0,25 centesimi per l’assicurazione all’Inail e 0,10 centesimi di oneri gestionali.
Foto da lavoroediritti.com
Il contratto di prestazione occasionale riguarda invece la pubblica amministrazione, i liberi professionisti, le imprese, le associazioni ed altri enti di natura privata. Il datore di lavoro dovrà registrare se stesso ed il lavoratore, versare a titolo di anticipo quanto dovuto con il modello F24 o altra modalità di pagamento elettronico e comunicare l’avvenuta prestazione. A pagare il lavoratore, il quindicesimo giorno del mese successivo allo svolgimento della prestazione, provvederà l’Inps accreditando la somma netta sul conto corrente del lavoratore, sulla sua carta di credito o tramite bonifico domiciliato presso tutti gli uffici della Poste Italiane.
Il compenso minimo giornaliero non potrà essere inferiore a trentasei euro che corrispondono a quattro ore di lavoro. Per eventuali ore aggiuntive l’indennità non potrà essere inferiore a 9 euro l’ora, a cui si aggiungono 2,97 euro di contributi Inps, 0,32 centesimi per l'assicurazione all’Inail e l’1% come oneri di gestione.
Il tetto annuo per ciascun lavoratore, anche cumulando più datori di lavoro, è di 5.000 euro che si riducono a 2.500 euro se il prestatore lavora per lo stesso utilizzatore. Un altro limite è quello orario, infatti, la durata annua massima è di 280 ore. Inoltre, i lavoratori hanno diritto al riposo giornaliero e settimanale secondo quanto previsto in generale dall’ordinamento. I compensi non sono soggetti a tassazione Irpef e non incidono sullo stato di disoccupazione o inoccupazione. Nel settore agricolo possono essere utilizzati solo i titolari di pensione di vecchiaia o d’invalidità, i giovani con meno di 25 anni, i disoccupati o i percettori di reddito di inclusione o di altra prestazione di sostegno al reddito.

giovedì 6 luglio 2017

Weekend infuocato con l’arrivo dell’anticiclone Caronte

Nei prossimi due giorni ritornerà il caldo ‘africano’, con temperature oltre i 38 gradi in quasi tutte le regioni italiane

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

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Una bassa pressione atlantica sul Portogallo sta favorendo l’arrivo sulle coste italiane dell’anticiclone africano Caronte. L’aria umida e calda che sta investendo le nostre regioni viene direttamente dal deserto del Sahara. Per domani sole ovunque e temperature in salita che potranno raggiungere i 38/40 gradi nella giornata di sabato. In Emilia Romagna, nel sud del Veneto, della Lombardia e della Sardegna, nelle zone interne delle Marche, della Puglia, della Sicilia e della Basilicata  meridionale si potranno registrare anche 40 gradi.
Domenica la situazione migliorerà nelle regioni settentrionali. L’anticiclone anche se indebolito continuerà a produrre i suoi effetti soprattutto nel Sud Italia, dove, sia lunedì che martedì, rimarrà il bel tempo ed il clima sarà molto caldo con temperature vicine a 35 gradi. Temporali in arrivo solo sui rilievi alpini e localmente sulle alte pianure e sul Nordest.

martedì 4 luglio 2017

Boeri: ‘Chiudere le porte agli immigrati ci costerebbe 38 miliardi’

‘I lavoratori che arrivano in Italia bilanciano in parte il calo delle nascite’, a sostenerlo è il presidente dell’Inps Tito Boeri nella ‘Relazione Annuale’ presentata stamane a Montecitorio  

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Tito Boeri - (foto da lapresse.it)
‘Chiudere le porte ci costerebbe 38 miliardi per i prossimi 22 anni’. Si avrebbero, infatti, trentacinque miliardi in meno di uscite, ma nello stesso tempo settantatre in meno di entrate. Insomma, gli immigrati non solo non ci rubano il lavoro, ma producono ricchezza e pagano tasse e contributi indispensabili per mantenere l’attuale sistema di previdenza sociale. ‘I lavoratori che arrivano in Italia – sottolinea Boeri - sono sempre più giovani, la quota degli under 25 è passata dal 27,5% del 1996 al 35% del 2015, e pertanto si tratta di 150.000 contribuenti in più l’anno, che bilanciano in parte il calo delle nascite’.
Barcone di immigrati - (foto da tg24.sky.it)
Con le ultime riforme la copertura degli ammortizzatori sociali è aumentata, ma la strada per garantire una vita dignitosa ai più deboli è ancora lunga. ‘Manca in Italia – sostiene il presidente dell’Inps – uno strumento universalistico per chi non ce la fa comunque a trovare lavoro al termine della durata massima dei sussidi di disoccupazione e, più in generale, per tutti coloro che finiscono in condizioni di indigenza’.
Nella relazione si evidenzia anche un uso distorto della Cig. Delle 350mila imprese che hanno usufruito della Cassa integrazione durante la crisi 2008 – 2016 hanno utilizzato questo strumento per più di un anno e un quinto di esse per cinque anni. ‘Difficile pensare – rileva Boeri – che si tratti di problemi temporanei, indubbio che siamo di fronte a un sussidio prolungato che riduce in modo continuativo il costo del lavoro di alcune imprese. Tutto questo ci dice che utilizziamo per periodi molto lunghi strumenti concepiti per affrontare crisi temporanee’.
Infine Boeri, oltre a rivendicare la gestione virtuosa dell’Istituto: ’Nel 2016 è costata 3.660 milioni di euro contro i 4.531 del 2012, all’indomani dell’incorporazione di Inpdap ed Enpals’ e poiché delle 440 prestazioni erogate dall’Istituto solo 150 di natura pensionistica, propone di cambiare nome all’Ente in: ‘Istituto nazionale della protezione sociale’.