lunedì 20 gennaio 2020

I ricchi sono sempre più ricchi

‘La ricchezza globale rimane concentrata al vertice della piramide distributiva’, a dirlo è il rapporto pubblicato da Oxfam Italia

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da oxfamitalia.org
‘L’1% più ricco deteneva a metà del 2019 più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone’. Questo è quanto afferma il rapporto Time to care pubblicato da Oxfam Italia. Ed ancora, ‘2.253 persone detenevano più ricchezza di 4,6 miliardi di persone’, cioè circa il 60% della popolazione globale. ‘Il patrimonio di 22 persone più facoltose è superiore alla ricchezza di tutte le donne africane’.
In Italia, l’1% più ricco ‘superava quanto detenuto dal 70% più povero’. Il 10% possedeva ‘oltre 6 volte la ricchezza del 50% più povero’. Il 20% più ricco detiene il 69,8% della ricchezza nazionale netta, mentre il 60% più povero detiene il 13,3%.
L’ascensore sociale è fermo. ‘I ricchi sono figli di ricchi ed i poveri figli di poveri’. Un terzo dei figli di genitori più poveri è destinato a rimanere tale, mentre il 58% di quelli i cui genitori appartengono al 40% più ricco manterrà la posizione di privilegio. 
Il lavoro è sempre più precario e mal retribuito. Oltre il 30% dei giovani occupati guadagna meno di 800 euro lordi al mese. Il 13% è working poor. Nel mondo ‘il 46% di persone vive con meno di 5,50 dollari al giorno’.
Il 42% delle donne non può lavorare perché deve farsi carico della cura di familiari. Le donne spesso sono sottopagate e con orari di lavoro irregolari. A livello globale impiegano ‘12,5 miliardi di ore di lavoro non retribuito al giorno’.
Insomma, il Rapporto conferma ancora una volta che abbiamo creato un mondo fatto di ingiustizie, dove milioni di persone vivono in povertà, mentre le diseguaglianze sociali ed economiche anziché diminuire crescono, ma questa non è una novità.


giovedì 16 gennaio 2020

Le ingiustizie del sistema pensionistico italiano

L’Art. 53 della Costituzione italiana stabilisce: ‘Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività’

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Forto da miowelfare.it
Il sistema previdenziale italiano sta accentuando le differenze reddituali tra le classi sociali e tra le aree territoriali del Paese. Il report sulla spesa pensionistica nel 2018 pubblicato dall’Istat evidenzia, tra gli altri, due dati. Il primo riguarda le differenze d’importo tra le indennità erogate, il secondo il divario territoriale per tipo di pensione e spesa complessiva sostenuta dallo Stato italiano.
‘Ad un quinto dei pensionati con indennità più alte va il 42,4% della spesa complessiva’, mentre ‘al 20% dei redditi pensionistici più bassi va poco più del 5% della spesa’. Il 36,3% dei pensionati riceve mensilmente meno di 1.000 euro lordi, il 12,2% non supera 500 euro. Un pensionato su quattro percepisce un reddito lordo da pensione sopra i 2000 euro. I pensionati sono circa 16 milioni (il 26,6% del totale della popolazione italiana), mentre i trattamenti di quiescenza sono poco meno di 23 milioni. La spesa totale nel 2018 è stata di 293 miliardi di euro (+2,2% rispetto al 2017), cioè circa il 16,6% del Pil. Di questi 265 miliardi di euro (91% del totale) sono stati utilizzati per erogare pensioni IVS, cioè per invalidità, vecchiaia e superstiti. Le pensioni assistenziali (invalidità civile, pensioni sociali e di guerra), sono circa 4,4 milioni e costano ogni anno circa 23,8 miliardi di euro. Ogni 606 pensionati ci sono 1000 persone occupate, nel 2000 erano 683.
A livello territoriale più del 50% della spesa complessiva è stata erogata ai residenti nel Nord del Paese, il 27,8% nel Mezzogiorno e il 21,1% nel Centro. Questo significa che a maggiori opportunità occupazionali corrispondono ‘indennità pensionistiche altrettanto adeguate. In questo modo l’articolo 53 della Costituzione non solo è stato disatteso, ma le continue riforme del sistema previdenziale hanno creato una vera e propria babele piena di ingiustizie per quanto riguarda l'età di quiescenza e gli importi erogati. C’è chi è andato in pensione con meno di 40 anni di età e chi invece ci andrà a settant’anni. Inoltre, con l’introduzione del sistema contributivo le disuguaglianze e le ingiustizie cresceranno anche nell’importo dell’indennità, in particolare tra chi ha avuto un lavoro stabile e ben retribuito e chi invece avrà svolto lavori precari o saltuari e spesso mal pagati. Questo creerà ulteriori diseguaglianze tra i pensionati e tra le diverse aree del Paese. Ed è anche per questo, sottolinea il rapporto dell’Istat, che le famiglie del Sud ‘presentano un’incidenza al rischio povertà ed esclusione sociale maggiore rispetto a chi risiede nelle regioni settentrionali’.

Fonte istat.it


martedì 14 gennaio 2020

‘I resilienti delle comunità montane’

L’Assemblea regionale siciliana ha approvato la legge-voto che prevede agevolazioni fiscali per chi investe nei Comuni dell’entroterra. Ora i siciliani attendono il via libero definitivo dal Parlamento nazionale

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Gangi (Pa), sullo sfondo l'Etna - (foto di Oddo Giuseppa)
Nei giorni scorsi l’Assemblea regionale siciliana ha approvato una legge-voto per l’istituzione di agevolazioni fiscali nei Comuni montani. La nuova normativa prevede esoneri contributivi per gli Enti locali con meno di 15 mila abitanti e che si trovano almeno a 500 metri di altezza dal livello del mare. Si tratta di paesi che stanno subendo un graduale ma inesorabile spopolamento. In particolare, è prevista una riduzione dell’aliquota dell’Imu per le nuove attività che utilizzeranno i locali sfitti, l’Iva agevolata e aiuti per le startup. ‘Attendevamo questo momento da 1.706 giorni’ ha dichiarato il coordinatore regionale del comitato delle Zfm (Zone franche montane), Vincenzo Lapunzina. Ora il destino delle aree montane è nelle mani dello Stato, a cui chiediamo di essere leale con la Sicilia, atteggiamento che in passato è mancato soprattutto nei confronti dei resilienti delle montagne dell’isola’. La commissione paritetica Stato/Regione dovrà, ora, decidere se destinare una parte dei cespiti tributari maturati in Sicilia al finanziamento delle aree Zfm che il presidente della Regione individuerà nei prossimi sei mesi.
C’è un Sud che non si arrende, che resiste e combatte contro la decadenza e lo spopolamento. Le politiche di rigore nel bilancio statale iniziate alla fine del secolo scorso hanno penalizzato soprattutto le aree interne del Sud e non solo. Sono diminuiti i dipendenti degli enti locali territoriali e ridotti notevolmente i trasferimenti di risorse finanziarie e, peggio ancora, sono stati chiusi diversi uffici pubblici e presidi ospedalieri e giudiziari, nonché gli sportelli postali e bancari. Tagli che limitano le opportunità di lavoro, soprattutto per diplomati e laureati, molti dei quali oggi sono costretti ad emigrare. Non solo, il conseguente calo dei residenti determina la chiusura delle scuole e le poche attività agricole, commerciali e artigianali, oberate dai costi e dalle imposizioni fiscali, sono costrette a chiudere. Inoltre, molte case e capannoni rimangono sfitte o inutilizzati, ma su cui è obbligatorio continuare a pagare le imposte locali e nazionali (Imu, Irpef, accise sulla corrente elettrica, etc.)
Il paradosso è che, nonostante questa ‘spending review’ sulle comunità locali, il debito pubblico continua ad aumentare sia in termini assoluti, sia in rapporto con il Pil. Quella attuata finora è stata una politica economica fallimentare e miope che sta solo determinando la ‘morte’ di tanti piccoli paesi montani e non solo. Ma gli abitanti di queste comunità non si arrendono. La bellezza e la grandezza dell’Italia derivano dalla varietà di culture e tradizioni. Non si può continuare ad assistere passivamente a questo decadimento. La Sicilia, come altre regioni del Sud, sta facendo la sua parte, ora tocca alle autorità nazionali agire, ma i dubbi su un deciso intervento statale sono tanti e tutti legittimi. 




sabato 4 gennaio 2020

Prima la vita dei lavoratori, poi il profitto

Inizia male il 2020, nuova tragedia sui luoghi di lavoro. Nella fabbrica della Sevel di Castel di Sangro è morto un giovane operaio, Cristian Perilli  

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Adriano Olivetti - (foto da fondazionenenni.blog)
Il nuovo anno comincia come si è chiuso quello precedente. Si chiamava Cristian Perilli ed è la prima vittima per incidente sul lavoro del 2020. Aveva 29 anni. Operaio della ditta Sinergia è rimasto schiacciato da un supporto di ferro cadutogli addosso mentre stava sostituendo un tirante ad un discensore. Inutili sono stati i tentavi di soccorso degli operatori del 118.
L’incidente è avvenuto nella fabbrica di Atessa in provincia di Chieti. La struttura in questi giorni era chiusa per le ferie natalizie, ma erano in corso lavori di manutenzione per conto della Comau, società del gruppo FCA. Il giovane di Pignataro Interamna (Frosinone) era un dipendente della ditta esterna che svolgeva i lavori. Probabilmente si è trattato di una fatalità. Ora resta il dramma, Cristian, uscito di casa per andare al lavoro, non vi farà mai più ritorno. Tutto questo è inaccettabile. Siamo nel 2020, nell’era dei computer, dell’informatizzazione, della robotica, eppure si continua a morire di e per il lavoro.
Le leggi ci sono, ciò nonostante si ripetono gli incidenti ed i lavoratori continuano a subire infortuni o contrarre malattie e nei casi più gravi a perdere la vita. Prevenzione e controlli evidentemente non sono sufficienti o non sono adeguati. No, non ci si può rassegnare ad assistere a queste tragedie. Il lavoro deve essere un mezzo per vivere una vita dignitosa, non diventare una dramma. Occorre fare di tutto per evitare gli incidenti sul lavoro, se necessario si prendano misure eccezionali, ma bisogna intervenire. 
E' indispensabile mettere al centro del processo produttivo il lavoro ed i lavoratori così come fece negli anni Sessanta Andrea Olivetti. Fu considerato un utopista. Nella sua ‘idea’ di impresa c’erano i lavoratori con le loro famiglie. Sicurezza, cultura e creatività erano punti essenziali dell’organizzazione produttiva. Ecco cosa affermava: ‘La fabbrica non può guardare solo all'indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l'uomo, non l'uomo per la fabbrica, giusto? Occorre superare le divisioni fra capitale e lavoro, industria e agricoltura, produzione e cultura. A volte, quando lavoro fino a tardi vedo le luci degli operai che fanno il doppio turno, degli impiegati, degli ingegneri, e mi viene voglia di andare a porgere un saluto pieno di riconoscenza’.
Prima la vita dei lavoratori, poi il profitto.

Fonte ansa.it