domenica 28 agosto 2022

Tesori di Sicilia: 'Ed è subito sera'

 di Barbera Erina

Torremuzza, Sicilia - Tramonto di agosto 2022
(foto di Barbera Erina)

'Ognuno sta solo sul cuore della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera'.

(Salvatore Quasimodo)



venerdì 26 agosto 2022

Quasi 15 milioni di italiani sono a rischio povertà

Cresce il rischio di cadere in povertà ed il Rdc non dà dignità a chi vuole non vuole vivere di assistenza

di Giovanni Pulvino

Foto da farodiroma.it
Nel 2021 il rischio di cadere in povertà in Italia è passato dal 20% al 20,1%. A sostenerlo sono i dati pubblicati dall'Eurostat. S
ono 11,84 milioni le persone che hanno percepito un reddito inferiore al 60% rispetto a quello medio. Se si considera anche il rischio di esclusione sociale, la percentuale sale al 25,2%. Si tratta di 14,83 milioni di individui che ‘non possono permettersi una serie di beni materiali o attività sociali o vivono in famiglie a bassa intensità lavorativa’. 
Un bambino su quattro vive in famiglie a rischio povertà, sono 667mila, in aumento rispetto ai 660mila dell’anno prima. Il tasso è al 26,7% rispetto al 23,8% del 2020, ma sale al 31,6% rispetto al 27% dell’anno precedente se consideriamo anche le famiglie a rischio di esclusione sociale.

È il dato peggiore dal 1995.

Questa situazione dovrebbe indurre i partiti a mettere al centro del dibattito elettorale la questione sociale, invece non è così, perché? Quasi tutte le forze politiche hanno annunciato di voler modificare o addirittura cancellare il Reddito di cittadinanza. I leader della Destra hanno proposto di utilizzare quelle risorse per finanziare la flat tax o tassa piatta. Può sembrare paradossale, ma nella sostanza s’intende togliere ai poveri per dare ai benestanti.  

Il Rdc va ‘revisionato’.

Tra i percettori dell’indennità voluta dal M5s ci sono soggetti che non sono in grado di lavorare o che hanno un lavoro saltuario, ma ci sono anche coloro che potrebbero farlo ma si ‘accontentano’ dell’indennità che percepiscono.

L’errore principale è stato quello di aver messo insieme povertà e politiche attive sul lavoro. Molte mansioni oltre ad essere precarie e saltuarie sono mal retribuite. Questo non incentiva i giovani. Lavorare per rimanere poveri scoraggia anche i più volenterosi. In secondo luogo, le maggiori opportunità occupazionali sono soprattutto nel nord del Paese o all’estero. Per i migranti meridionali non c’è solo il trauma dell’abbandono di amici e parenti, ma, spesso, si va a svolgere una mansione che è precaria o a tempo determinato e con il rischio concreto di cadere in povertà.

Il Rdc è necessario, ma non risolve i problemi sociali e soprattutto non dà dignità a chi non vuole vivere di assistenza. 

Fonte Eurostat  

domenica 21 agosto 2022

La famiglia ‘tradizionale’ secondo i leader della Destra

‘Dio, patria e famiglia’ è uno slogan fascista che i leader del Centrodestra, in particolare Giorgia Meloni, ripetono spesso, ma nella loro vita privata essi agiscono in tutt’altro modo

di Giovanni Pulvino

Manifesto elettorale di FdI
(foto di @NelloBattiloro - Twitter)
La famiglia per Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni è quella fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna. Tuttavia, i leader della Destra nella loro vita privata spesso non rispettano il principio dell’indissolubilità del vincolo coniugale. La contraddizione tra quanto sostenuto e quanto praticato nella vita quotidiana è evidente. Le biografie dei tre politici non ammettono equivoci.

Convivono, hanno contratto più matrimoni, hanno avuto figli da più relazioni, non rispettano i principi affermati dal diritto canonico, eppure continuano a propugnare i valori della famiglia tradizionale.

Una volta questa era composta da marito, moglie e figli. Fino all’introduzione del divorzio, avvenuta nel 1970, si poteva contrarre un secondo matrimonio solo dopo aver raggiunto lo status di vedovo/a.

Con l’entrata in vigore di quella legge si sono create sempre più le cosiddette ‘famiglie allargate’, quelle composte da nuovi partner e dai figli di quest’ultimi.

Secondo un’indagine Istat oggi in Italia ci sono circa mezzo milione di famiglie ‘ricomposte’, cioè con coppie in cui almeno uno dei due coniugi o compagni/e ha avuto un matrimonio o una separazione.

Ognuno di noi può gestire la sua vita come meglio crede. I rapporti iniziano, magari finiscono, altri cominciano, non c’è nulla di straordinario o di illegittimo. Quello che è incomprensibile e paradossale è dire una cosa e farne un’altra. Difendono la famiglia tradizionale declamandola continuamente come un valore fondamentale del popolo italiano, ma poi i leader della Destra agiscono come un ‘comunista’ qualsiasi.

Le regole ed i principi valgono solo per gli altri, soprattutto per gli avversari politici. L’intento di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi è ottenere consensi tra coloro che sono più sensibile a quei valori. E se qualcuno fa notare la loro mancanza di coerenza, pazienza.

Fonti wikipedia.org e REDNEWS

giovedì 18 agosto 2022

‘C’è un presidente un solo presidente’, cioè Silvio Berlusconi, chi altri

La linea politica di Silvino Berlusconi è fondata sul 'laissez faire' e sulla leadership, la sua ovviamente, nella sua vita non ha fatto altro e non potrà esserci altro. L’età non conta. I suoi emuli, e sono tanti, dovranno aspettare ancora

di Giovanni Pulvino

Il palazzo del Quirinale e Silvio Berlusconi
(foto da it.wikipedia.org)

L’inno di Forza Italia esprime meglio di qualunque analisi politica il pensiero del suo ideatore. Il partito non sarebbe nato senza l’azienda di proprietà e quest’ultima probabilmente sarebbe fallita senza il partito. FI non potrebbe esistere senza il fondatore della Fininvest. In tanti nel corso degli anni hanno tentato di prenderne il posto senza riuscirci. Pierferdinando Casini, Gianfranco Fini, Angelino Alfano, Stefano Parisi, Giovanni Toti, ect… l’elenco è lungo.

C’è un presidente un solo presidente’, sottolinea il ritornello della canzone. Silvio Berlusconi è e si sente il presidente, ogni altra ipotesi è inaccettabile per i suoi dipendenti, per il suo elettorato e per sé stesso. Presidente di Mediaset, del Milan, di Forza Italia, del Popolo della libertà, del Consiglio dei ministri, persino del Monza calcio, ect…

Dopo l’accordo stipulato pochi giorni fa tra i tre leader della Destra, Giorgia Meloni, Matteo Salvini e lo stesso Silvio Berlusconi, che prevede la presidenza del Consiglio per l’esponente di FdI, l’ex Cavaliere ha subito rilanciato. È chiaro che non accetta un ruolo di secondo piano. Dapprima ha paventato una sua non candidatura, dopo ci ha ripensato ed infine ha dichiarato che ‘non intende’ fare il presidente del Senato. Con la successiva dichiarazione abbiamo capito perché. Lui vuole fare il presidente della Repubblica, non il vice. E siccome non ci riesce con l’attuale sistema di elezione previsto dall’articolo 83 della Costituzione ha pensato bene di indicare come primo punto del programma della coalizione di Centrodestra l’elezione diretta del capo dello Stato.

La linea politica di Silvino Berlusconi è fondata sul laissez faire e sulla leadership, la sua ovviamente, nella sua vita non ha fatto altro e non potrà esserci altro. L’età non conta. I suoi emuli, e sono tanti, dovranno aspettare ancora.

Pochi mesi fa, in occasione dell'elezione del presidente della Repubblica, insistette con Matteo Salvini per sostenere la sua candidatura, quando capì che non sarebbe stato eletto rinunciò, a quel punto non gli rimase che mettere il suo imprimatur sulla rielezione di Sergio Mattarella. Ora, dopo le dimissioni nel 2011 da presidente del Consiglio (lo fece per salvare le sue aziende) e la mancata elezione a capo dello Stato, spera nella rivincita.

L’accordo elettorale tra i tre leader delle Destre è chiaro. A FdI andrà la presidenza del Consiglio, alla Lega il ministero dell’Interno, a Silvio Berlusconi la presidenza del Senato, ma solo in attesa della riforma costituzionale che dovrebbe introdurre l’elezione diretta del presidente della Repubblica. A quel punto le dimissioni di Sergio Mattarella diventerebbero, secondo il leader forzista, inevitabili. Quel posto spetta a Lui. 

Ovviamente tutto questo potrà realizzarsi solo se la Destra otterrà una larga maggioranza in Parlamento.



martedì 16 agosto 2022

sabato 13 agosto 2022

La Destra perde il pelo ma non il vizio

Un presidente eletto da una minoranza non potrà mai rappresentare tutti gli italiani, allora perché i leader della Destra insistono con l’elezione diretta del capo dello Stato?

di Giovanni Pulvino

Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Silvio Berlusconi 
(foto da wikipedia.org)

L’elezione diretta del presidente della Repubblica è la principale proposta elettorale della Destra. Questa riforma comporterebbe la riscrittura della Costituzione e non importa se la Sinistra non è d’accordo, Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni insistono. Vogliono fare da soli o è solo propaganda elettorale?

L’art. 83 della Costituzione italiana stabilisce: ‘Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri. All'elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d'Aosta ha un solo delegato. L'elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell'assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta’.

Lo scopo della norma costituzionale è quello di impedire l’elezione del capo dello Stato da parte di una minoranza come invece accadrebbe con l’introduzione della nuova forma di governo propugnata dalla Destra, cioè la Repubblica presidenziale. In questo caso sarebbe sempre una figura di parte, non potrebbe in nessuno caso rappresentare tutto il Paese. Non solo, ricoprirebbe anche il ruolo di presidente del Consiglio e probabilmente disporrebbe di un'ampia maggioranza parlamentare. Si potrebbe determinare una concentrazione di poteri assai pericolosa per la democrazia, noi italiani lo sappiamo bene o, meglio, dovremmo saperlo, allora perché la Destra insite per l’elezione diretta del capo dello Stato?

La democrazia ed il confronto sarebbero una 'fatica inutile', meglio che sia il Capo ad assumersi la responsabilità di decide per tutti e non importa se tra questi tutti c'è chi non è d’accordo.

I disastri compiuti dal fascismo non sono bastati per togliere dalla mente e dai cuori di tanti, troppi nostalgici l’idea dell’uomo solo al comando.

Nel 1932 Emil Ludwig durante un’intervista domandò a Benito Mussolini: ‘Ma deve essere ben difficile governare gente così individualista ed anarchica come gli italiani’. La risposta del Duce fu: ‘Difficile? Ma per nulla. È semplicemente inutile’. Ed ancora: ‘I regimi democratici possono essere definiti quelli nei quali, di tanto in tanto, si dà al popolo l'illusione di essere sovrano.. La democrazia è un regime senza re, ma con moltissimi re talora più esclusivi, tirannici e rovinosi che un solo re che sia tiranno’.

Oggi come allora le regole della democrazia costituirebbero un'inutile e costosa perdita di tempo. Troppi vincoli impedirebbero il governo del Paese. Il Presidente deve essere un Capo, non un mediatore. 

Se i presupposti sono questi, allora dobbiamo chiederci cosa succederà quando le Destre avranno le leve del potere in mano?

Per gli antifascisti non c’è tempo da perdere, tra poco potrebbe essere troppo tardi.

Fonti: senato.it, frasicelebri.it e le-citazioni.it

giovedì 11 agosto 2022

Brezza marina e 100 ml di succo di frutta alla pera

Un sorso basta per farti tornare indietro nel tempo, quando il poco che c’era era tutto

di Giovanni Pulvino

Torremuzza (Sicilia), 26 luglio 2022 (foto di Barbera Erina)

Nei pomeriggi di luglio non potevamo non goderci la brezza marina, il mare appena increspato dal venticello di levante si colorava di un blu intenso e, là in fondo, il cielo azzurro tracciava una linea intervallata dalle sagome quasi trasparenti delle isole Eolie, in quell’infinito di sfumature si perdevano i nostri sguardi di adolescenti ed i nostri inutili pensieri.

Stavamo così, seduti a leggere un libro o ad assaggiare dalla mini-bottiglietta il succo di frutta alla pera, a volte era una gazzosa, frizzante e dolce, a volte era altro, assaporavamo quelle bibite appena uscite dall’indistruttibile ’Indesit’, lo facevamo con lentezza, un poco per volta, per farli durare di più, per gustarli fino all’ultima goccia …

Li vendeva il fruttivendolo di Reitano, non ricordo il nome, di certo gli avevamo dato un soprannome curioso, forse era ‘u pisiedru’, ma non sono sicuro. Passava ogni settimana con il suo camioncino carico di frutta, ortaggi e verdure di ogni tipo. M. lo chiamava le tre P perché per richiamare l’attenzione delle casalinghe gridava: pummaruoro, patati, pisedri’. 

In frigorifero ce n’era sempre una confezione da sei. Erano cento ml di succo alla pera, non alla pesca, ma rigorosamente alla pera. Poco? Questo era, ma bastava. Aveva un sapore dolce ed intenso, di quelli che ti rimangono impressi nella memoria come uno sguardo, una parola non detta, un gesto involontario, un vuoto che non potrai mai colmare.

Ed ora è ancora lì, aspetta per tornare ancora una volta, come tutto come tutti, ... come la frase di una canzone, di quelle che segnano il trascorrere del tempo ...

Vorrei dirti le stesse cose .. ma come fan presto amore ad appassir le rose … e quando ti troverai in mano quei fiori appassiti al sole di un aprile ormai lontano … li rimpiangerai ma sarà la prima che incontri per strada che tu coprirai d’oro per un bacio mai dato per un amore nuovo …’  

......

lunedì 8 agosto 2022

Il Generale senza truppe ha detto no

Pretendono, pongono veti, dettano la linea politica, mancano di umiltà, sono autoreferenziali, si sentono indispensabili, ma sono solo Generali senza truppe    

di Giovanni Pulvino

I partiti più piccoli pur non avendo un ampio consenso elettorale a volte riescono ad essere determinanti nella formazione delle maggioranze parlamentari. Succedeva nella Prima Repubblica e continua a ripetersi nella Seconda con la differenza che allora il sistema elettorale era quello proporzionale e per governare occorreva avere una maggioranza effettiva nel Paese.

La quota di maggioritario (37%) prevista dal Rosatellum ha aumentato notevolmente il potere di condizionamento delle piccole formazioni politiche e le maggioranze che si formano in Parlamento spesso non corrispondono a quelle del Paese. La necessità di coalizzarsi non è più programmatica o ideale, ma è elettorale.

Il trasformismo ed i cambi di ‘casacca’ oltre ad essere poco etici sono inevitabili.

La legge voluta dal governo di Matteo Renzi riesce a riprodurre contemporaneamente gli aspetti più negativi del sistema proporzionale e di quello maggioritario. Non garantisce la governabilità e non consente ai partiti, sia grandi che piccoli, di essere autonomi. Tutte le formazioni politiche sono ‘costrette’ al compromesso prima delle elezioni, ma possono far saltare tutto subito dopo.

I generali senza truppe si moltiplicano, soprattutto nello schieramento di Centrosinistra. Il loro potere di contrattazione a volte è superiore alla loro forza elettorale. Il partito di Carlo Calenda, Azione, è l’esempio più evidente di questa tendenza.

Rappresenta un numero piuttosto limitato di cittadini, non ha un apparato adeguato per la formazione delle liste, eppure ha dimostrato di avere un potere di negoziazione elevatissimo. Nella trattativa con il Pd l’ex ministro dello sviluppo Economico ha imposto il numero dei seggi da garantire ai suoi candidati, ha messo veti e pretendeva di stabilire la linea politica a tutto il Centrosinistra come se fosse il leader.

Il passo indietro delle ultime ore è emblematico. Gli accordi si fondano sui compromessi, non possono essere frutto di imposizioni e veti. Ora, Enrico Letta può rimediare al suo errore inziale, quello di aver escluso il M5s e l’Unione popolare di Luigi de Magistris da ogni possibile accordo elettorale.

Rimanere inerti e andare al voto divisi è da irresponsabili.

Se si è umili si può, anzi si deve fare se non si vuole consegnare il Paese alle Destre.

giovedì 4 agosto 2022

I ‘tafazzisti’ del sistema elettorale

Proporzionale, maggioritario, uninominale, liste bloccate, soglia di sbarramento, liste di genere, ballottaggio, turno unico, è un guazzabuglio di regole e di sistemi elettorali, votare in Italia è una corsa ad ostacoli per candidati ed elettori, ma com’è possibile?

di Giovanni Pulvino

Tafazzi da 'Mai dire gol'
(Foto da it.wikipedia.org)

Nel nostro Paese è previsto un diverso sistema elettorale per ogni tipo di votazione. In linea di principio dovrebbero essere due: proporzionale e maggioritario. Il primo garantisce la rappresentanza, il secondo la governabilità. Ma a noi italiani le cose semplici non piacciono, dobbiamo accontentare tutti o favorire qualcuno e, inevitabilmente, finiamo per fare pasticci.

I nostri politici dal 1991, data del referendum che abolì le preferenze, continuano ad inventarsi sistemi elettorali nuovi. Ogni Regione per disposizione costituzionale ha il suo. Per i Comuni cambia in base al numero di abitanti. Per le Province è di secondo livello, lo stesso vale per le Città metropolitane.

Per eleggere i rappresentati al Parlamento europeo è previsto quello proporzionale, mentre per le elezioni politiche nazionali è misto e le modalità sono diverse per l’elettorato passivo. 

Il cosiddetto ‘Mattarellum’, dal nome del primo firmatario, Sergio Mattarella, era il sistema più equilibrato, ma il Centrodestra appena ha potuto ha approvato una legge elettorale a proprio uso e consumo. La Sinistra, invece, quando poteva farlo non vi ha posto rimedio, anzi ha peggiorato i meccanismi di selezione.

L’ultima versione, il ‘Rosatellum’, dal nome del primo firmatario della legge, Ettore Rosato, renziano doc, è un sistema misto. Prevede le liste bloccate come nel ‘Porcellum’ berlusconiano, vale a dire sono i segretari di partito a decidere chi verrà eletto. Prevede lo sbarramento al 3% se vai da solo ed al 10% per le coalizioni. Esclude le preferenze ed il voto disgiunto, ma prevede quello di genere e dei residenti all’estero e, soprattutto, il 37% dei seggi è assegnato nei collegi uninominali, cioè con il sistema maggioritario. I 147 deputati ed i 74 senatori che saranno eletti con questo sistema saranno decisivi per determinare le maggioranze parlamentari.

I numeri non sono un’opinione. Si vince solo se ci si presenta con un’ampia coalizione.

Gli ultimi sondaggi danno il Centrodestra al 45%, mentre il Centrosinistra (il Pd con Azione e + Europa e gli altri gruppi) potrà ambire al 30% dei consensi. Il M5s è dato intorno al 12%. Solo con un’ampia convergenza l'alleanza elettorale guidata da Enrico Letta potrà contendere la vittoria alla Destra, il resto sono solo sterili polemiche politiche di chi è abituato a fare opinione stando comodamente seduto nei salotti delle televisioni nazionali.

Se a questo aggiungiamo il ‘taglio del numero dei parlamentari’ (-200 alla Camera dei deputati e -100 al Senato) voluto dal Pd e dal M5s, la Destra alle prossime elezioni politiche potrebbe avere i numeri sufficienti per una modifica sostanziale della Costituzione e per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica.

Nonostante questi pericoli per la nostra democrazia, i tanti leader, si fa per dire, del Centrosinistra anziché allearsi si fanno la guerra e vanno alle elezioni in ordine sparso, ovviamente per perdere.  

Non solo. Sarebbe bastata una legge elettorale di un solo articolo per tornare al sistema proporzionale e per impedire alla Destra di Giorgia Meloni di mettere un'ipoteca sulla presidenza del Consiglio con poco più del 20% dei voti. Una stortura della democrazia rappresentativa che già vediamo con l’elezione di governatori e sindaci. Da un lato aumenta il potere di chi ci governa e dall'altro diminuisce il consenso per ottenerlo.

I governi Conte uno e due e quello Draghi non sono stati capaci di fare questa semplice modifica al sistema elettorale. Il Pd e il M5s avevano i numeri per correggere quest'obbrobrio che è il 'Rosatellum', ma non è successo nulla. 

È l’ennesimo regalo alla DestreA Sinistra, purtroppo, i ‘tafazzisti’ ed i populisti imperversano, ma anche questa non è una novità.

 


martedì 2 agosto 2022

Il ‘riformismo moderato’ di Enrico Letta e l'armata Brancaleone

I presupposti per una vittoria della Destra alle prossime elezioni politiche ci sono tutti, ma si può evitare?

di Giovanni Pulvino

Enrico Letta e Carlo Calenda

Nel 2008 il Popolo delle libertà, insieme alla Lega e al Movimento per le autonomie, ottenne la maggioranza assoluta dei seggi in entrambe le Camere.

Cosa determinò quel risultato?

Il Partito democratico fondato il 14 ottobre del 2007 decise di presentarsi alla consultazione alleandosi solo con l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Il segretario, Walter Veltroni, ed il gruppo dirigente di allora ritennero di poter vincere le elezioni escludendo dalla coalizione la Sinistra cosiddetta ‘radicale’. Quell’alleanza raggiunse il 37% dei voti, mentre la Destra superò il 46%.

Il Pd di Enrico Letta sembra intenzionato a seguire la stessa linea politica. Un’alleanza elettorale fatta di ex, tutti o quasi di Centro. Ex renziani come Carlo Calenda, ex grillini come Luigi Di Maio, ex radicali come Benedetto Della Vedova e Emma Bonino, socialisti come Riccardo Nencini, ex forzisti come Mariastella Gelmini e Mara Carfagna ed ex Pd come Roberto Speranza e forse Matteo Renzi, si proprio quello che disse ‘stai sereno Enrico’. Leader o esponenti di piccoli gruppi in cerca di seggi blindati.

È un’armata Brancaleone che si dividerà subito dopo le elezioni. Un miscuglio che mette insieme tutte le forze politiche ‘moderate’ a sinistra ed a destra del Pd, ma esclude il M5s e la nascente Unione popolare dell’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris, perché?

La motivazione è politica. E non ha nulla a che vedere con la caduta del governo Draghi. Il ragionamento è semplice. Il Centrosinistra non può vincere le elezioni, ma, limitando il ‘danno’, può, ad urne chiuse, creare le condizioni per un governo ‘moderato e riformista’, (una volta avremmo detto ‘democristiano’), magari con un ritorno dell'ex governatore della Bce alla presidenza del Consiglio.

La strada è in salita. Il sistema elettorale voluto dal Pd di Matteo Renzi e la riforma costituzionale che ha ridotto il numero dei parlamentari voluta dal M5s e votata dal Centrosinistra rendono il raggiungimento di questo obiettivo assai difficile. Solo il cosiddetto ‘campo largo’ potrebbe competere, ma allora perché rinunciarvi a priori?

Il 37% dei seggi sarà assegnato con il sistema maggioritario a turno unico. Le coalizioni hanno un notevole vantaggio sui singoli partiti. I sondaggi danno il Centrodestra al 45%. Il Centrosinistra (il Pd con Azione e + Europa e gli altri gruppi) può ambire al 30% dei consensi. Il M5s è dato intorno al 12%. I numeri non sono un’opinione. Ed è evidente che solo con un’ampia convergenza il Centrosinistra potrà contendere la vittoria alla Destra, il resto sono solo sterili polemiche politiche di chi è abituato a vivere nei quartieri Ztl ed a fare politica stando comodamente seduto nei salotti delle televisioni nazionali.