sabato 27 novembre 2021

‘Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità’

In uno dei primi capitoli del libro ‘Io posso - Due sorelle sole contro la mafia’ scritto da Pif e da Marco Lillo, gli autori raccontano come è nata a Palermo l’associazione antiracket ADDIPIZZO. Ecco il brano

di Giovanni Pulvino

Foto da addiopizzo.org

‘Tutto nasce nel 2004, quando a Ugo, Raffaele, Francesco, Daniele, Vittorio, Laura e Andrea viene l’idea di aprire una sorta  di pub/centro culturale, nella Palermo vecchia. Per capire quali spese dovranno sostenere ogni mese, un loro consulente stila una lista: luce, gas, acqua, tasse e pizzo. Alla parola pizzo tutti e sette fanno un balzo. Pizzo?Dovremo pagare il pizzo? All’improvviso la bella e spassosa città di Palermo, ideale per vivere da studente (affitti bassi, cibo buono ed economico, bel clima, ecc.), diventa molto ostica: è il momento in cui si entra nel mondo degli adulti. È possibile, quindi, che qualcuno si presenti, utilizzando all’inizio anche modi garbati, e consigli di mettersi a posto. Cosa  fare a quel punto? Qualcuno propone di invitare all’inaugurazione il fidanzato carabiniere , in modo da scoraggiare un’eventuale richiesta. Ma come strategia forse è in po' debolina. Dopo lunghe riflessioni, i ragazzi decidono di fare un gesto che è perfino un po' infantile: tappezzare un quartiere di Palermo di adesivi con la scritta Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità. La frase che a Vittorio è venuta in mente una notte. Se davvero noi non siamo nessuno, non abbiamo la possibilità di farci sentire, non ci rimane che l’attacchinaggio notturno. L’idea era di proseguire in altri quartieri nelle notti successive, ma il progetto non andrà mai in porto a causa di quello che i ragazzi scoprono la mattina seguente, accendendo la tv. Il comitato dell’ordine e sicurezza di Palermo (vale a dire questore, prefetto, comandante della finanza e dei carabinieri) si era riunito per discutere di un problema di pubblica sicurezza: la comparsa in alcuni quartieri di adesivi che parlano di pizzo. Una semplice verità aveva messo in crisi la città. Visto che i commercianti non avrebbero mai osato parlare di pizzo così pubblicamente, e men che meno di mafia, chi poteva aver osato tanto? Nessuno pensò a dei ragazzi che non riuscivano ad accettare quello che si era sempre accettato. Qualche giorno dopo ha luogo un incontro fra le istituzioni e questo impaurito gruppo di intraprendenti provocatori. È così viene l’dea di creare un’associazione antiracket che aiuti chi non ha il coraggio di denunciare perché magari si sente solo. Nasce Addiopizzo, la più significativa associazione antiracket di Palermo, che dal giorno della sua fondazione ha visto costantemente aumentare i propri iscritti. Con il passare del tempo la ricetta si rivela incredibilmente azzeccata. Lo conferma l’intercettazione di un mafioso che, qualche anno dopo la nascita dell’associazione, avverte al telefono un altro mafioso di non andare a chiedere il pizzo in quel determinato negozio, perché aderisce ad Addiopizzo’.
Tra i primi commercianti ad aderire all’associazione ci sono le sorelle Pilliu, protagoniste del libro 'Io posso - Due donne sole contro la mafia'.
‘Stavolta, oltre a intervistare i ragazzi di Addiopizzo, voglio incontrare anche qualche commerciante che ha aderito all’associazione. È così, un pomeriggio entro in un negozio di prodotti sardi in via del Bersagliere, gestito dalle sorelle Maria Rosa e Savina Pilliu. Dietro il bancone c’è l’anziana madre. A rilasciare l’intervista è Savina: Non sarei mai disposta a dividere quello che io guadagno con altri…. Da allora con le sorelle Pilliu abbiamo continuato a sentirci e, ogni volta che sono sceso a Palermo, sono passato a trovarle. L’argomento principale delle nostre conversazioni ruotava intorno alla storia del palazzo e delle due case diroccate ….

Fonte: ‘Io posso Due sorelle sole contro la mafia’

venerdì 19 novembre 2021

Silvio Berlusconi presidente della Repubblica?

L’elezione di Silvio Berlusconi alla carica più alta delle istituzioni italiane è plausibile? È un candidato di bandiera? Oppure c’è altro?

di Giovanni Pulvino

Silvio Berlusconi e Matteo Renzi - (foto da alganews.it)

La principale funzione del presidente della Repubblica è quella di rappresentare l’unità del Paese. I costituenti erano ben consapevoli di questa esigenza. L’ultimo comma dell’articolo 83 della Costituzione stabilisce: ‘L'elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell'assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta’. La maggioranza qualificata prevista dalla Carta nelle prime tre votazioni è stata introdotta per favorire un consenso ampio. Perché questo avvenga è necessaria un’intesa tra le forze politiche.

Il nome di Mario Draghi sembra essere l’unica figura istituzionale in grado di mettere d’accordo i partiti. Almeno questo è quanto si evince dalle dichiarazioni rilasciate in queste settimane dai leader politici, ma nella realtà così non è. La sua elezione dovrebbe avere come presupposto la nascita di un nuovo Esecutivo. Ed è assai improbabile che questo possa avvenire senza le elezioni anticipate e comunque sarebbe difficile mantenere coesa una maggioranza così ampia e variegata.

La riforma costituzionale ha ridotto drasticamente il numero dei seggi. I parlamentari faranno di tutto per giungere alla scadenza naturale della legislatura e per continuare con l’attuale Governo. L’ipotesi Draghi è, quindi, improbabile o di ultima istanza, cioè, può essere utilizzata come ancora di salvataggio nel caso in cui non si riesca ad eleggere un altro candidato.

Se così stanno le cose, chi sarà il nuovo capo dello Stato? Una parte del Centrodestra sogna Silvio Berlusconi. I numeri teoricamente ci potrebbero essere. Tutto dipende dal comportamento dei parlamentari di Italia Viva e di quelli del Gruppo misto.

La storia ci insegna che ad essere eletti sono sempre figure non di primo piano. Ed è assai probabile che anche stavolta sarà così. Allora la candidatura del leader di Forza Italia che scopo ha? Serve a favorire l’elezione di un esponente vicina alla Destra? È propedeutica per una sua eventuale nomina a senatore a vita? Certo è difficile immaginare ai vertici delle istituzioni un uomo che è stato condannato a quattro anni di detenzione per frode fiscale e che è oggetto di indagini e processi. Ma nel nostro Paese tutto è possibile, anche questo.

 

sabato 13 novembre 2021

Gli zii e le zie di Torremuzza (parte quinta)

Per una questione di privacy i nomi ed i soprannomi sono indicati con le iniziali. Chi li ha conosciuti o li conosce certamente capirà di chi si tratta

di Giovanni Pulvino

La fontanella di via San Giuseppe

Negli anni Sessanta e Settanta spostarsi non era facile. Le strade non erano asfaltate, in compenso c’era la stazione della ferrovia, ci lavorava un zu L.. Gli unici treni che si fermavano erano gli ‘accelerati’. Erano molto lenti, ma sarebbe stato complicato per i borgatari andare e venire da Messina o Palermo senza quei treni.

Solo G. C. aveva la macchina, una Seicento beige ultimo modello. Con quell’auto una volta mi porto a Villa Margi per offrirmi un gelato, era il mio padrino, ma solo sulla carta, non feci mai la comunione. I contrasti politici che abbiamo avuto negli anni dell’adolescenza si sanarono in parte solo tre decenni più tardi, anche se ognuno rimase sempre della sua idea, la solidarietà del Borgo vinceva su tutto.

Quando si è giovani non si pensa al pericolo e alle conseguenze dei nostri comportamenti, le precauzioni arrivano con la consapevolezza che ti conferisce l’età e l’esperienza, ma a volte è troppo tardi, non fu così per noi

Andavamo a scuola a Santo Stefano di Camastra con gli autobus. Allora erano pieni di ragazzi e ragazze del Borgo. C’è stato un periodo in cui utilizzammo il servizio di noleggio ru zu C.. Viaggiavamo su una Fiat 750. Il costo era sovvenzionato dal Comune. Agevolazione questa che è stata mantenuta anche nei decenni successivi. Quando uscivamo tardi per tornare a casa facevamo la strada a piedi. Oggi sarebbe assurdo e pericoloso. Scendevamo da porta Palermo verso il campo da calcio ed attraversavamo di corsa il ponte della ferrovia. Lo facevamo con trepidazione. Il timore era di essere sorpresi dal passaggio di un treno. Ai lati dei binari c’erano delle postazioni di sicurezza, si fa per dire, da utilizzare in caso di necessità. Non le adoperammo mai, almeno non ricordo, ma quanta paura quando eravamo sul ponte. Guardavamo con preoccupazione davanti e dietro di noi, ma anche sotto dove scorreva il torrente. Non eravamo degli irresponsabili, capivamo il pericolo, ma non c’erano alternative se volevamo evitare di fare il giro lungo la statale.

Nel Borgo non mancavano mai le dispute e le piccole beghe, ma non c’era cattiveria ed erano il ‘sale’ ed un motivo di ‘pettegolezzo

In via Nazionale, in prossimità ‘ru stazuni, c’era un albero di fichi. Quando maturavano i frutti cominciavano le dispute su chi avesse diritto a coglierli. La controversia finì quando a za P. T. e la sua famiglia ci costruirono la loro casa. Fu subito rimpiazzato con un altro e, ovviamente, le dispute ripresero. Allora su quel lato della strada non c’erano abitazioni, solo ‘u stazuni’. Nel Borgo ce n’erano due, anzi tre se consideriamo anche quello di ‘Maccaruni’. Immaginavamo che in quel posto potesse essere costruito un campo da calcio, lo stadio dei torremuzzari. Erano solo fantasie, e non erano le sole. Sognavamo di fare una squadra di soli borgatari e di vincere le varie divisioni, non ci ponevamo limiti, persino di giungere in Serie A. Eravamo bravi con il pallone, ma queste erano solo illusioni adolescenziali e come tante altre non furono mai realizzate. 

Eppure erano dolci pensieri ...

All’inizio di via San Giuseppe c’era una fontanella. Una foto in bianco e nero, scattata proprio in quel punto della strada, ritrae un soldato (americano?) che aiuta delle giovani borgatare a riempire 'u bummulu' d’acqua. Non ho mai capito chi fossero. Rimarrà una curiosità inappagata e non è la sola. Salendo quella via che allora era in terra battuta si arrivava Nzusu, dove c'è la Chiesa. Qui le case erano di proprietà del principe di Torremuzza e successivamente dei fratelli F.. La parte bassa e quella alta della frazione erano, per noi, due entità distinte e separate.

Torremuzza il paese della ‘puzza, dicevano, ma non era vero, il vento di maestrale spingeva quasi sempre i cattivi odori dovuti alla lavorazione della sansa verso est, il lato opposto al Borgo

La vita della frazione è cambiata completamente dopo la Seconda guerra mondiale. Fino ad allora le attività principali erano state la pesca e, in parte, la campagna e l'artigianato. Le case di piazza Marina venivano adibite anche per salare e mettere sottovuoto nei ‘varaluocchi’ le acciughe pescate dagli zii durante la notte. Non ho ricordi specifici di quest’attività, ma, probabilmente, è continuata fino agli anni Cinquanta.  

Nel nostro immaginario non c’è una Torremuzza senza la 'Raffineria', per noi era un ‘mostro’ parlante, familiare, faceva parte del nostro quotidiano, ha accompagnato la nostra adolescenza

All’inizio del Novecento in prossimità del mare c’era una fornace per la fabbricazione di materiale edile. La struttura per la raffinazione della sansa fu edificata proprio in quel posto. L’idea dei fratelli G. fu dirimente per i borgatari e non solo. Lo ‘Stabilimento’, come lo chiamavamo noi, funzionava bene perché utilizzava i residui dei frantoi d’olio. Attività questa molto prospera nel dopoguerra. L'olio prodotto non era di altissima qualità e gran parte di esso veniva esportato.

La sicurezza economica che quel 'lavoro' assicurò per oltre tre decenni permise la nascita di una comunità coesa e solidale

Di tanto in tanto sentivamo come un boato, sapevamo che dalla ciminiera ru Stabilimento stava uscendo a ‘nuzzulina. Era il residuo della lavorazione della sansa. Si spargeva ovunque per le strade della frazione. Noi correvamo sotto i ponti o a casa per evitare di essere sporcati da questa specie di polvere che cadeva dal cielo. Durava pochi minuti, per noi non era inquinamento, ma un evento fastidioso e divertente nello stesso tempo. Non era così per le nostre mamme che avevano steso i panni ad asciugare al sole.

Le famiglie dei borgatari, in particolare dei dipendenti della Raffineria, utilizzavano quei residui della lavorazione per il riscaldamento invernale. I bracieri a forma di cerchio o di quadrato riscaldavano le case, si fa per dire, ma quello c’era e si poteva avere. Il combustibile era il carbone, residuo della cottura del pane cotto nel forno a legna, o come avveniva più spesso ‘a nuzzulina’ dello 'Stabilimento' che durava di meno, ma riscaldava di più.

Di notte gli operai scaricavano a mare anche i residui d’olio e delle sostanze che utilizzavano per la lavorazione della sansa. Non era raro d’estate vedere in prossimità della riva queste chiazze d’olio. Per fortuna i venti allontanavano l’odore e questi sversamenti ‘illegali’ verso il lato opposto alla spiaggia del Borgo. Nonostante ciò, ci consideravano il Paese della ‘puzza’, ma non era vero.

Non rinunciammo mai a giocare all’aperto e d’estate a fare il bagno.

Continua ...

sabato 6 novembre 2021

‘Due donne sole contro la mafia’

Pierfrancesco Diliberto, detto Pif, e Marco Lillo, venuti a conoscenza delle vicende delle sorelle Pilliu, hanno deciso di raccontare la loro storia in un libro, un capitolo a testa e con l’intento di cambiare il finale

di Giovanni Pulvino

Fonte lafeltrinelli.it

Gli obiettivi degli autori che hanno scritto il libro ‘Io posso - Due donne sole contro la mafia’ sono tre. Raccogliere la cifra necessaria per pagare il 3 per cento chiesto dall’Agenzia delle entrate, far riconoscere lo status di vittime di mafia alle sorelle Pilliu e far ristrutturare il palazzone semidistrutto e concederne l’uso a un’associazione antimafia.

Ecco alcuni brani del libro.

‘Immaginate di tornare un giorno a casa vostra e di trovare un costruttore legato alla mafia lì davanti. Immaginate che vi dica che quella non è casa vostra, ma sua. E che, qualche anno dopo, ve la danneggi gravemente per costruirci accanto un palazzo più grande.

È immaginate di dover aspettare trent’anni prima che un tribunale italiano vi dia ragione.

Immaginate che, dopo tutto questo tempo, vi riconoscano un compenso per i danni, che però nessuno vi pagherà mai dato che il costruttore che vi ha arrecato il danno, nel frattempo, è stato condannato perché legato alla mafia e lo Stato gli ha sequestrato tutto. Inoltre, la società del costruttore si è fatta pure pignorare il palazzo abusivo dalla banca, che a sua volta ha ceduto tutto a una società finanziaria. E ancora, di quella somma, che non riceverete mai, l’Agenzia delle entrate vi chieda il 3 per cento.

Immaginate, infine, che bussando a un comitato che gestisce un fondo per aiutare le vittime di mafia vi sentiate dire: Mi spiace, ma per noi voi non siete vittime di mafia.

Se vi capitasse tutto questo, come vi sentireste? Questo è quello che, più o meno, è successo a Maria Rosa e Savina Pilliu, e alla loro madre. E diciamo ‘più o meno’, perché in trent’anni, in realtà, è successo questo e molto altro.

Siamo a Palermo e l’appartamento dove vivevano le sorelle Pilliu si trova in una palazzina in piazza Leoni, all’ingresso del parco della Favorita. Accanto c’è un’altra palazzina che appartiene anch’essa alla famiglia della mamma delle due sorelle. Pochi metri più indietro, a sovrastare tutti, oggi svetta un moderno palazzo di nove piani tirato su da un imprenditore, poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, che negli anni Ottanta decide di comprare tutte le palazzine della zona e creare lo spazio che gli serve per poter costruire il suo bell’edificio abusivo.

Ma c’è un problema: le uniche due persone con cui non riesce a trovare un accordo sono proprio Maria Rosa e Savina Pilliu. Le due sorelle non ritengono accettabili le proposte ricevute. E così un bel giorno, stanco di aspettare, il costruttore pensa bene di andare da un notaio, dichiarandosi proprietario di tutta quella zona – comprese le due palazzine di piazza Leoni – e, corrompendo le persone giuste, aprire il cantiere e cominciare a costruire.

Solo dopo trent’anni lo Stato darà ragione alle denunce delle sorelle Pilliu. Nel corso di questo lunghissimo periodo, intorno al palazzo abusivo si aggireranno vari personaggi: mafiosi eccellenti, figli di mafiosi eccellenti, assessori corrotti, killer di mafia latitanti, avvocati illustri diventati poi importanti politici, istituzioni pavide, vittime di lupare bianche, anonimi intimidatori e banchieri generosi’. 

Io posso è una sorta di mantra a Palermo. Non importa cosa dice la regola, perché tanto Io posso. Le regole valgono solo per gli stupidi. Io posso sottintende sempre: E tu no. Ecco, a noi piace molto questa frase. La gridiamo a gran voce ma con un senso opposto. Io posso e tu no perché io sono lo Stato e tu no’.

Fonte: ‘Io posso - Due sorelle sole contro la mafia’