venerdì 11 febbraio 2022

Gli zii e le zie di Torremuzza (parte sesta)

Per una questione di privacy i nomi ed i soprannomi sono indicati con le iniziali. Chi li ha conosciuti o li conosce certamente capirà di chi si tratta

di Giovanni Pulvino

Torremuzza, piazza Marina
La gentilezza e la pazienza sono rare

A za B. non ha mai perso il suo accento calabrese. Riservata e di poche parole come suo marito, era una delle mamme a cui non dava fastidio il fatto che giocassimo in piazza Marina.

Anche a za R. non ebbe mai a lamentarsi, anzi apprezzava la nostra presenza. Sento spesso la mancanza del suo sorriso bonario e sincero, era una mamma allegra, che ha saputo gestire con parsimonia e leggerezza una famiglia numerosa. Era una presenza rassicurante. Le nostre zie e zii ci proteggevano, non correvamo pericoli se non quelli dovuti alla nostra presunzione ed esuberanza, l’infanzia dei giovani torremuzzari è stata felice, ma di questo ti rendi conto dopo.

A za C. d’estate ci faceva alzare alle sette del mattino con la scusa di offrirci la granita nel bar/tabacchino, poi ci portava a ‘Maccarruni’ dove c’era un altro ‘stazuni’, lì mio padre svolgeva uno dei suoi tanti lavori. ‘Giocando’ con il tornio di legno imparammo a fare i ‘tivuli’. Nelle fosse pestavamo l’argilla per renderla idonea alla lavorazione, allora non si comprava, si estraeva dalle cave che si trovavano in prossimità dei laboratori. Eravamo bambini, per noi era quasi un gioco, ma lì capimmo l’importanza del lavoro e dell’impegno che, dopo, non sono mai venuti meno

I doveri fanno parte della vita della maggior parte delle persone. Solo ‘i figli di papà’ non vivono queste necessità e non acquisiscono queste conoscenze di vita

All’inizio dell’autunno iniziava la raccolta delle olive. Ovviamente i proprietari si limitavano a vendere la ‘raccolta’ con le ‘gabelle’; un contratto basato sulla parola e sancito con una stretta di mano. Di solito un’oliva su tre andava al latifondista, la seconda al frantoio e quella che rimaneva a chi effettivamente si spaccava la schiena e le mani a raccoglierle. Tra i ‘gabelloti’ più bravi c’era u zu P., mio nonno. Quindi, ogni autunno ed inizio inverno, tutta la famiglia era impegnata in questa attività. Passavamo due volte: prima prendevamo quelle che c’erano a terra e, dopo, quelle che ancora erano sugli alberi. Per un certo periodo c’erano anche gli stagionali, anzi le stagionali che mio nonno ingaggiava nei paesi vicini. Coordinava e dirigeva, non faceva altro, ma era bravo in quel ruolo.

Ci sono ricordi senza nome, solo immagini in bianco e nero che non hanno un titolo, ma sono lì, come gli altri non vanno via, aspettano il loro turno per essere ridestati, ancora una volta, l’ultima

A za N. della Marina era una presenza continua. Una vicina di casa sempre attenta e rigorosa non mancava mai di rimproverarti quando c’era qualcosa che secondo Lei non andava bene. Nella sua casa, dove accedevo raramente, si entrava o usciva dalla ‘Vanedra’ e si poteva farlo anche dal lato opposto, salendo e scendendo una scala ‘ripida’ che dà sul cortile Marina.

I pensieri a volte riemergono per circostanze bizzarre, inconsuete, ma ci aiutano a fare memoria, a mantenere vivi certi visi e certi ricordi

C’era una zia che aveva una strana abitudine, scriveva i suoi pensierini ovunque le capitasse, almeno così si diceva. Non ne ho mai visti e, pertanto, non ne conosco il contenuto, ma di certo quella signora era gentile ed esprimeva un forte desiderio di comunicare. Non c’era nulla di male, oggi quella strana ‘mania’ è la fonte del ricordo. Forse era questo il suo modo di lasciare una testimonianza, un modo semplice per farsi ricordare.

A za F. la vedevamo ogni tanto affacciata sulla ringhiera della sua abitazione. Poi un giorno non la vedemmo più, visse gli ultimi anni della sua vita a letto. Tutti i giorni uno dei figli andava a portare il pranzo o la cena, fu assistita fino all’ultimo. Allora i genitori ed i nonni nell’ultima fase della loro esistenza si accudivano in famiglia.

U zu N. aveva una disabilità importante ma, nonostante ciò, tutti i giorni si recava con la sua vespa a Villa Margi, lì gestiva il rifornimento di benzina ed un piccolo bar ed era bravo anche nelle piccole riparazioni. Allora non c’erano le pensioni di invalidità o di accompagnamento, occorreva darsi da fare. È Lui non si tirò mai indietro.

A signorina B. la vedevamo ogni tanto seduta sul balconcino di casa che dà sulla Vanedra’. Stava seduta a godersi la brezza estiva del primo pomeriggio. Era raro vederla, ma sapevi che c’era. Una volta entrai in casa sua, era un ambiente di stile antico, con i colori tenui e con gli odori di stoffe vecchie e di mobili impolverati, per un attimo mi sembrò di essere trasportato ad inizio secolo. Era una signora gentile, ma teneva le distanze, ‘noblesse obblige’, ma noi che vivevamo proprio di fronte, per Lei eravamo tutto o quasi, eravamo uno dei pochi contatti con il mondo esterno.

A proposito della signorina B. ci sono alcuni ricordi di due mie coetanee. Ecco quello di R.. A proposito del gelato... Il mio preferito era il fortunello! E se la signorina B. malauguratamente mi avesse beccato sarebbero stati guai, cominciava a farmi l'interrogatorio di terzo grado, e cominciava a toccare il mio fortunello... dicendo: "viremu chi gelatu t'accattasti” e lo palpava tutto con le sue mani. Ma io mi vergognavo a dire di non toccarlo, e lo mangiavo lo stesso schifata e arrabbiata. Un'altra volta si ripeté la stessa storia, ma stavolta ero in compagnia di mia sorella S. e strappandomi nuovamente il fortunello dalle mani... Mia sorella rispose irritata ... “adesso se lo mangia lei!”. Da allora in poi si tolse il vizio di toccarlo! Grazie a mia sorella che ebbe il coraggio di rispondere!’. Ed ancora: ‘La signorina B., mi regalava sempre delle bellissime immaginette sacre, stampate su una carta elegante che oggi non viene più usata. Le conservavo gelosamente’.

Ecco quello di L. ‘Il mio gelato preferito era tutto al cioccolato. Costava 20 Lire. Lo acquistavo nella “putia" da za' P. Era un locale vicino alla vanedda’.

Il mio ricordo ra putia è sfocato, ma è lì

C’erano degli scalini se non sbaglio ed il locale era spoglio, o comunque poco accogliente. Sì, lì comperavamo il gelato che era al cioccolato, ma non ricordo il nome, era uno dei nostri preferiti, ma forse lo era solo perché c’erano solo quelli e poco altro.

I pensieri degli zii e delle zie per ora si fermano qui, almeno fino a quando non ne verranno altri e non sentirò il bisogno di condividerli con chi li ha conosciuti

Grazie zii e zie, sarete con noi fino a quando noi saremo


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