Per una questione di privacy i nomi ed i soprannomi sono indicati con le iniziali. Chi li ha conosciuti o li conosce certamente capirà di chi si tratta
Un sorriso ed un saluto a volte valgono più di ogni altra cosa
U zu P. e a za R. d’estate stavano quasi sempre in piazza
Marina davanti all’uscio di casa ed era inevitabile ricevere il loro saluto dal
ritorno dalla spiaggia. Poi un giorno non li vedi più, se n’erano andati. Erano
una casalinga ed un pescatore come allora ce n’erano tanti nel piccolo Borgo
marinaro. Chi non lavorava nello stabilimento di raffinazione della sansa,
viveva di pesca e di poco altro.
Le tragedie non guardano in faccia a nessuno, puoi solo
subirle con dignità e con la consapevolezza che si possono verificare in
qualunque momento e che, anche se vorresti, non puoi impedirle
C. lo
incontravi appoggiato su una barca o seduto sulla sabbia o su una pietra su un
lato della stessa per coprirsi dal sole di luglio. Stava lì a godersi il mare e
non solo. Guardando i bagnanti gli scappava sempre una battuta un po'
‘malandrina’ e noi per pudore non dicevamo nulla, anche se non eravamo convinti di quelle parole. Viveva in una casetta di fronte allo stabilimento.
Chissà cosa avranno provato Lui e la moglie quando scoppiò l’incendio. Due
operai rimasero carbonizzati. Uno fu trovato sotto la scala di ferro rannicchiato
nel vano tentativo di proteggersi dal fumo e dalle fiamme. Almeno questo si
disse. Quella notte ci fu chi si salvò saltando il muretto che delimitava lo
stabilimento e che costeggiava la spiaggia. Tra il suono delle sirene dei
vigili del fuoco e le fiamme alte decine di metri, scappammo da Torremuzza.
Il pericolo che tutto il Borgo potesse esplodere da un momento all’altro era
concreto. Mia nonna per sicurezza ci portò a Caronia montagna dove vivevano i
suoi parenti.
Noi eravamo troppo piccoli per capire il senso di quella
tragedia. Un nostro amico è cresciuto senza il papà, ma non ricordo una nostra battuta
o invettiva che glielo ricordasse. Eravamo bambini buoni. L’amicizia era vera e sincera. Allora non sapevamo nulla delle morti sul lavoro, di padri di famiglia
che escono di casa per non farvi più ritorno. Anche queste sono consapevolezze che si acquisiscono da adulti.
Nel Borgo non c’era quello che a torto o a ragione viene
definito come ‘lo scemo del villaggio’, in compenso non mancavano certi
comportamenti e certe abitudini che ci sembravano delle ‘stranezze’
Una volta entrai nell’abitazione di una signora che
allora mi parse molto anziana. Viveva sola. Non ricordo perché ci andai, ma non
importa. Era gentile, ma era, a detta di tutti, diciamo così poco attenta alle
pulizie. La chiamavamo a F. Non so se il nome derivasse da
questa sua caratteristica ‘particolare’ o se fosse invece il diminutivo di uno vero. Il mio ricordo nasce probabilmente da questa sua scarsa attenzione all’ordine
e alla pulizia o più semplicemente dalla nomina che si era fatta. Nelle borgate
basta poco per essere tacciati di questo o quel ‘vizio’, vero o falso che sia.
I pizzicotti sulle guance erano fastidiosi, ma tant’è li
subivamo senza nessuna lamentela
C’era il papà di un mio amico, quello che mi faceva
vincere le partite a calcio anche se giocavo da solo, che aveva la brutta
abitudine di salutarci con un bacio e un pizzicotto sulla guancia. U zu V. aveva i capelli bianchi, ma proprio tutti, almeno così lo ricordo. Era un pescatore ed era un
appassionato del gioco dello scopone, delle bocce e del ballo liscio, in
particolare della mazurca. Per tenere il ritmo batteva il piede destro sul
pavimento facendo uno strano rumore che richiamava l’attenzione di tutti.
A za M. era una persona paziente e buona di carattere, del resto chi altri
avrebbe potuto stare accanto ad un uomo misogino ed irriverente? La sua fiducia
sulle mie capacità contabili era senza se e senza ma. Non l’ho mai ringraziata per
questo. Lo faccio ora anche se non serve a nulla.
Il nonno di N. aveva una caratteristica inconfondibile. Quando doveva chiamare il nipote lo
faceva con un fischio. Si metteva sulla postazione che si trova nella parte
alta del borgo e cominciava il richiamo. Non ci colpiva solo quella specie di
sibilo ma anche il fatto che il nostro amico andasse via subito. Bastava quel segnale
ed era già a casa.
La mamma è sempre la mamma, lo imparammo quel giorno
La mamma di P. ogni tanto arrivava con una fetta di pane enorme, di quello fatto in casa, era colma di nutella. Era la merendina, si fa per dire, di P.. Non c’era giorno che la scena non si ripetesse. Non avevamo invidia, piuttosto non capivamo quel rapporto tra madre e figlio. Noi, pur essendo piccoli, ci sentivamo già grandi ed autonomi. Nella nostra presunzione di adolescenti mai avremmo accettato un gesto simile dalla nostra mamma, infatti non successe mai o quasi. Solo una volta. Mi vergogno ancora oggi della mia reazione. In Lei c’era un forte senso di colpa per aver ritardato il suo compito mattutino e soprattutto per aver compiuto un’esagerazione nel tentativo di porvi rimedio. Oggi capisco il senso di quel comportamento, era amore materno, nient’altro. Il mio gesto di stizza fu una stupidaggine, quando si è giovani si considerano più importanti i giudizi dei coetanei anziché quelli degli affetti più cari. Purtroppo, questo lo capisci dopo quando non puoi più porvi rimedio.
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