mercoledì 7 agosto 2019

Marcinelle, ‘Je reviens de l’enfer’

Era la mattina dell’8 agosto 1956 quando scoppiò un incendio nella miniera di carbone di Bois du Cazier di Marcinelle, in Belgio, che provocò la morte di 262 minatori su 275 presenti, 136 erano immigrati italiani

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

L'incendio nella miniera di Marcunelle, 8 agosto 1956
(foto da wikipedia.org)
Il 23 giugno del 1946 il Governo italiano stipulò con quello belga un protocollo che prevedeva l’invio di 50.000 lavoratori (2.000 a settimana) in cambio di 2.500 tonnellate di carbone al mese ogni 1.000 immigrati. Braccia umane in cambio di carbone, questa era la sostanza dell’accordo. L’allora presidente del Consiglio, Alcide De Gasperi, considerava l’emigrazione di lavoratori italiani come funzionale alla ricostruzione del Paese. Nel giugno del 1949 al III° Congresso della Democrazia Cristiana ‘auspicava a questo fine una collaborazione internazionale che aprisse ai lavoratori italiani i mercati del lavoro esteri’ (Morandi 2011). Quell’accordo equiparava i lavoratori italiani alle merci, veri e propri ‘deportati economici’, venduti dall’Italia per qualche sacco di carbone (Franzina 2002). Nel 1956 dei 142 mila lavoratori impiegati nelle miniere del Belgio 44 mila erano italiani. Decine di migliaia di contadini, soprattutto meridionali, emigrarono nella speranza di vivere una vita dignitosa, ma per molti di loro non fu così. Alloggiavano nelle misere baracche che erano state utilizzate come lager dai nazisti e successivamente come campo di prigionia per gli stessi tedeschi. Li chiamavano ‘musi neri’ o ‘sporchi maccaroni’. Lavoravano a più di 1.000 metri di profondità in cunicoli alti appena mezzo metro. Spesso erano vittime di esplosioni di grisù e di malattie gravi come la silicosi.
Alle ore 8:11 dell’8 agosto 1956 uno dei due ascensori della miniera di Marcinelle per una manovra errata dovuta ad un disguido tra gli operatori ‘risalì bruscamente con due vagoncini sporgenti che urtarono una putrella del sistema di invio. A sua volta questa tranciò una condotta d’olio, i fili telefonici e due cavi in tensione (525 Volt)’. Il fumo provocato dall’incendio ‘raggiunse ogni angolo della miniera causando la morte dei minatori’. Il caposquadra Bohen prima di morire annotò sul suo taccuino: ’je reviens de l’enfer’ (ritorno dall’inferno). L’allarme fu dato alle ore 8:25. Tutti i tentavi di soccorso furono vani. Il 22 agosto alle ore 3:00 uno dei soccorritori, che da due settimane tentavano il salvataggio, disse in italiano: tutti cadaveri. Persero la vita 262 minatori, di cui 136 italiani e 95 belgi. Si salvarono solo in 13.
Erano partiti dalle campagne e dalla miseria, avevano le valigie di cartone e nel cuore la speranza di vivere una vita dignitosa. Trattati come una merce di scambio, sono stati mandati in quell’inferno per un sacco di carbone, per assicurare al Bel Paese la ricostruzione ed il boom economico. Vissero il disagio e la sofferenza degli ultimi, quelle dei migranti che sono disposti a tutto pur di fuggire dalla povertà e dalla guerra. Ora sono per sempre nella nostra memoria, ma con il rimpianto per averli traditi due volte, prima per averli illusi e, poi, per averli lasciati morire nelle viscere di una terra sconosciuta e lontana.



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