venerdì 28 ottobre 2016

Terremoto: in Umbria e Marche la ricostruzione del ’97 è stata fatta senza ‘furbizie’

Il terremoto di Ussita e Castelsantangelo del Nera non ha causato i morti ed i crolli di edifici che invece abbiamo visto ad Amatrice e Pescara del Tronto, questa è la dimostrazione che esiste anche un’Italia che agisce con consapevolezza e serietà  

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


Mappa da picenotime.it
‘Vedete, qui grazie a Dio non abbiamo avuto un morto né un ferito. E sa perché? Perché con i soldi del terremoto del ’97 abbiamo fatto il miglioramento antisismico. Così le case hanno retto alla botta. Non nascondo che è un disastro: l’80% delle abitazioni è inagibile. Il centro storico ormai è tutta una zona rossa. Però le lesioni non sono la stessa cosa che il collasso’. A dirlo è il sindaco di Ussita, Marco Rinaldi.
Marco Rinaldi
(foto da cronachemaceratesi.it)
Ed ancora: ‘Ci ha aiutato la prima scossa, che ha fatto uscire tutti in strada. Così quando la seconda è arrivata, nelle case non c’era quasi più nessuno’. Tuttavia gli edifici non sono crollati. ‘Ovvio che dove vedete il cemento armato – continua il sindaco  - i danni sono contenuti. Ma può essere un’impressione fuorviante. Il discorso cambia se si va nelle frazioni di Sasso, o di Casali, o di Vallazza. Lì i danni sono forti. Comunque, pur se ferite, le nostre case stanno ancora in piedi’.
Gli edifici hanno ugualmente resistito a Visso, Castelsantangelo sul Nera, Preci, Norcia. In questi centri di Umbria e Marche la ricostruzione è stata fatta con serietà e rigore. Anche se ci sono tanti edifici inagibili o pericolanti ed i danni sono enormi, non c’è un palazzo che è collassato.
Mauro Falcucci
(foto da cronachemaceratesi.it)
Mauro Falcucci, primo cittadino di Castelsantangelo del Nera, ha dichiarato: ‘Poteva andare peggio. Anche noi dopo il ’97 abbiamo ricostruito bene e ora raccogliamo i frutti di quella scelta. Certo, non vorrei che siccome non abbiamo avuto i lutti, allora calerà presto l’attenzione per i nostri danni... Beh, sarebbe un paradosso. Siccome siamo stati bravi prima, ora dobbiamo pagarne un prezzo?’Ed ha aggiunto: ‘Qui il Comune è proprietario di cinque seggiovie, di un palaghiaccio, di una bella piscina. Ma con quale spirito possiamo pensare di aprire gli impianti di risalita l’8 dicembre? Pensate che qualcuno verrebbe a sciare da noi? Di contro, non aprire gli impianti significa mandare a spasso 40 precari, tutti giovani del paese, per non parlare di alberghi, bar, seconde case. Qui si rischia la desertificazione’.  

martedì 25 ottobre 2016

Terroni, migranti o profughi, per i razzisti del Nord Italia non c’è differenza

Negli anni Sessanta e Settanta ad essere trattati con intolleranza erano i ‘terroni’, ora sono i migranti. Mentre nelle coste del Sud Italia gli arrivi sono continui, a Gorino, nel ferrarese, fanno le barricate per respingere 12 donne e otto bambini

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Gorino - (foto da lanuovaferrara.gelocal.it)
‘L'ipotesi di ospitare dei profughi a Gorino non è più in agenda’. A dirlo è stato Michele Tortora, prefetto di Ferrara, dopo le barricate antiprofughi, fatte dai residenti, che ieri hanno impedito l'arrivo di 12 donne profughe nel piccolo centro del ferrarese. ‘Ha prevalso la tranquillità dell'ordine pubblico – ha aggiunto il prefetto - non potevamo certo manganellare le persone. Questo fenomeno o si gestisce insieme con buonsenso oppure non si gestisce. Il mio primo pensiero dopo quello che è successo va alle 12 donne oggetto di contestazione. 
Milano anni Settanta
(foto da mentecritica.net)
Non oso pensare a quello che hanno passato nella traversata del Mediterraneo, al viaggio in pullman fino a Bologna e poi fino a Gorino e posso immaginare cosa possono aver provato quando si sono trovate davanti quelle barricate. E' stato un episodio tristissimo. Mi avrebbe fatto piacere che i cittadini di Gorino avessero visto di cosa si trattava, se avessero avuto cognizione dei termini del problema forse le cose sarebbero andare diversamente’. 
Ecco come i napoletani accolgono i migranti
(foto da repubblica.it)
Durissimo il commento del ministro dell'Interno Angelino Alfano: ‘Di fronte a 12 donne, delle quali una incinta, organizzare blocchi stradali non fa onore al nostro Paese. Poi certo tutto può essere gestito meglio, possiamo trovare tutte le scuse che vogliamo, ma quella non è Italia. Quel che è accaduto non è lo specchio dell'Italia. Non m’interessa se la protesta sia stata organizzata o meno io sto a quello che vedo e quello che vedo è qualcosa che amareggia e che non è lo specchio dell'Italia’.
Ed ancora: ‘Il nostro Paese sono i ragazzi di Napoli che aiutano i soccorritori sul molo quando arrivano i migranti, o il medico di Lampedusa Pietro Bartolo che non guarda a orari’. Dopo la strage di Lampedusa ‘l'Italia poteva scegliere se girarsi dall'altra parte o essere un paese coraggioso. E noi - ha concluso Alfano - abbiamo scelto di essere l'Italia della fatica e del coraggio. anche sapendo che così facendo si sarebbero persi voti’.


mercoledì 19 ottobre 2016

I lavoratori di Almaviva occupano il call center di Palermo

La protesta è iniziata quando la trattativa al ministero dello Sviluppo economico tra i rappresentanti dei lavoratori ed i vertici dell’azienda è stata sospesa con un nulla di fatto 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da gazzettadelsud.it
La dismissione della commessa Enel in scadenza a dicembre ha costretto Almaviva Contact ad elaborare una riorganizzazione delle attività del call center di Palermo. Il piano prevede il trasferimento, dal 24 ottobre, di 150 operatori dalla Sicilia a Rende, in Calabria.
Finora il confronto tra le parti, che si è tenuto al ministero dello Sviluppo economico, è stato infruttuoso. I sindacati, in attesa della ripresa della trattativa, hanno proclamato due giornate di sciopero.
Foto da drfreenews.com
Stamane i lavoratori di Almaviva Contact hanno occupato il call center di via Marcellini a Palermo, dove si trova una delle sedi della società. 
L’azienda, dopo l’iniziativa dei lavoratori, ha diffuso una nota in cui giudica come inammissibili le forme di protesta al di fuori della legalità. La società assumerà tutte le iniziative necessarie per tutelare la legalità, la continuità e la sicurezza delle persone che lavorano nelle sedi di Palermo.

lunedì 17 ottobre 2016

In Italia 4,6 milioni di poveri, al Sud gli italiani indigenti superano gli stranieri

Nel Mezzogiorno gli italiani che, nel 2015, si sono rivolti ai centri di ascolto della Caritas sono stati il 66,6 %, il doppio degli stranieri. Si è invertito anche il vecchio modello di povertà, oggi i più indigenti non sono gli anziani ma i giovani

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


Foto da tuttosu.virgilio.it
Le persone costrette a lasciare le proprie case a cause di guerre, conflitti e persecuzioni sono state, nel 2015, oltre 65 milioni. In Europa il numero di profughi giunti via mare è stato quattro volte superiore a quello dell’anno precedente. I migranti sbarcati nelle nostre coste lo scorso anno sono stati 153.842. Le persone che hanno fatto domanda di asilo sono state 83.970. Di fronte a questa situazione la politica europea risulta ‘frammentata’ ed ‘inadeguata’. A sostenerlo è la Caritas nel suo ‘Rapporto 2016 su povertà ed esclusione sociale in Italia e alle porte dell’Europa’.
Foto da caritas.it
Secondo i dati Istat in Italia vivono in uno stato di povertà assoluta 1 milione 582 mila famiglie, vale a dire 4,6 milioni di individui, il numero più alto dal 2005 ad oggi. La condizione di povertà assoluta è quella di chi non riesce ad accedere ai beni e servizi necessari per una vita dignitosa. In questa situazione si trovano soprattutto le famiglie che vivono nel Mezzogiorno e quelle con due o più figli minori o nuclei familiari stranieri e quelli in cui il capofamiglia è in cerca di un’occupazione. Inoltre, oggi la povertà assoluta è inversamente proporzionale all’età, aumenta cioè al diminuire di quest’ultima. Penalizza soprattutto i giovani in cerca di prima occupazione. Il Rapporto cita anche i dati raccolti presso i Centri di Ascolto della Caritas o collegate con esse. Il peso degli stranieri continua ad essere maggioritario (57,2%), ma nel Mezzogiorno la percentuale di italiani è stata, nel 2015, del 66,6%. Al Nord la media delle persone ascoltate è stata del 34,8%, al Centro del 36,2%. L’indagine della Caritas si conclude con una serie di proposte. Tra queste un piano pluriennale di contrasto alla povertà e di politiche tese a contrastare la disoccupazione, soprattutto giovanile, ed ancora, l'attivazione di politiche inclusive e di accoglienza dei migranti e l'apertura di canali legali di ingresso nell’UE. 
‘La cifra totale di 4,6 milioni di poveri, più che raddoppiata rispetto all’inizio della crisi, 8 anni fa, non è compatibile con i doveri di un Paese tra i più sviluppati al mondo’. Così la presidente della Camera Laura Boldrini, nel messaggio per la Giornata contro la povertà. ‘La povertà è come una macchia scura che si allarga nella società italiana e resta ancora senza risposta la diffusa domanda di un reddito di dignità’, malgrado varie proposte di legge. ‘Mi auguro – conclude Laura Boldrini - che Governo e Parlamento trovino la strada’.

venerdì 14 ottobre 2016

Non ci può essere crescita economica senza ridurre le disuguaglianze

Eugenio Scalfari in un editoriale su repubblica.it sostiene la necessità della ‘patrimoniale’ perché essa ‘attenua le diseguaglianze ed incita occupazione e consumi’  

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Eugenio Scalfari - (Foto da huffintonpost.it)
La crescita economica è determinata dall’incremento dei consumi e degli investimenti. I primi crescono aumentando le retribuzioni più basse o creando nuovi posti di lavoro. Questi ultimi dipendono dagli investimenti sia pubblici che privati. Lo Stato e gli enti locali possono farlo solo incrementando le entrate tributarie oppure il debito pubblico. Ovviamente il presupposto indispensabile per attuare politiche di ‘deficit spending’ è un debito sovrano sostenibile, eccessivi ed ulteriori disavanzi del bilancio sarebbero pericolosi e potrebbero provocare il default com’è avvenuto in Grecia, in Argentina, ecc.. 
Foto da wallstreetitalia.com
Dal 2011 in Italia l’unica alternativa ‘pubblica’ praticabile per favorire la crescita economica è la redistribuzione della ricchezza. L’ipotesi, non nuova, è stata formulata da Eugenio Scalfari in un suo editoriale su repubblica.it. Il ragionamento del giornalista romano è semplice ed è il seguente: sulle buste paga dei lavoratori gravano contributi previdenziali per il 9,19% e sui datori di lavoro per il 23,81%. L’ammontare totale del cosiddetto cuneo fiscale è di circa 300 miliardi di euro l’anno. Secondo Scalfari occorre ridurre questo prelievo di almeno il 30%, vale a dire di circa 80 miliardi che lo Stato dovrebbe fiscalizzare sui redditi superiori a 120 mila euro annui. Una sorta di patrimoniale che ‘attenua le diseguaglianze e incita occupazioni e consumi’.
Vignetta da documentazione.info
Poichè lo Stato italiano è obbligato a limitare la spesa pubblica (sia perché non può incrementare il suo debito sovrano, sia perché le sue politiche economiche spesso sono inefficienti o di natura assistenziale) non resta che incentivare gli investimenti dei privati. Con la globalizzazione molte imprese hanno delocalizzato all’estero, hanno cioè trasferito la produzione nei Paesi dove la pressione fiscale è minore e il costo del lavoro è più conveniente. Secondo Scalfari per indurre le aziende private ad investire, creare lavoro ed incrementare i consumi è indispensabile ridurre le tasse sul lavoro. L’argomentazione è logica, ma resta un dubbio: basterà la riduzione del cuneo fiscale per indurre le imprese italiane e straniere ad incrementare gli investimenti nel nostro Paese?
Inoltre, in questo ragionamento non c’è nessun riferimento alla Questione meridionale. La disoccupazione ed il sottosviluppo non sono in tutto il Paese, ma solo nelle regioni del Sud. Tornare ad investire nel Meridione non sarebbe proprio una cattiva idea. E’ solo una questione di scelte politiche e pertanto, se si vuole una ‘vera’ crescita Pil, è necessario che l’annosa questione delle disuguaglianze economiche tra le diverse aree del Paese torni al centro del dibattito politico.

sabato 8 ottobre 2016

AAA docenti cercasi

I docenti assunti con il piano straordinario previsto dalla Buona scuola e con il concorso non saranno sufficienti a coprire le cattedre disponibili. Eliminare il precariato è una missione impossibile

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da professionistiscuola.it
La riforma voluta dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi, non ha risolto i problemi della scuola italiana. L’obiettivo principale della Legge 107/2015 era quello di eliminare il precariato. I 48mila insegnanti (precari storici) immessi in ruolo con il piano di assunzione straordinaria e quelli assunti  con il concorso (previsti 60mila ma saranno molti di meno) che, ancora oggi, non è stato espletato, non saranno sufficienti a coprire le cattedre disponibili. Le scuole saranno costrette a nominare, con contratti a tempo determinato, decine di migliaia di docenti dalle graduatorie ad esaurimento (quelle che si volevano cancellare). 
Foto da linkedin.com
Aver ipotizzare una scuola senza docenti precari è stato un errore, perché ci sarà sempre la necessità di sostituire un insegnante che si ammala, che chiede il part-time o l’aspettativa, che ottiene l’assegnazione provvisoria o l’utilizzazione, ecc.. Queste esigenze, tipiche della scuola, diventano un problema solo quando la condizione di incertezza e precarietà dei docenti supplenti diviene stabile e definitiva. Negli ultimi due decenni oltre 150mila insegnanti si sono trovati in questa situazione.
Negli anni Settanta ed Ottanta i ‘precari’ che avevano maturato un certo numero di anni di servizio venivano immessi in ruolo. Era il cosiddetto ‘doppio canale’. A richiamare questa semplice regola è stata una sentenza della Corte di giustizia europea, ma in Italia si continuano a creare aspettative che regolarmente vengono disattese.

giovedì 6 ottobre 2016

Pil: il Sud cresce la metà del Nord

Nel 2016 il Pil crescerà dell’0,8%, ma continuerà ad aumentare il divario economico tra le regioni del Mezzogiorno e quelle Settentrionali 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da economia.rai.it
Quest’anno il Pil crescerà dello 0,8%, a dirlo è l’ultimo rapporto del Fondo Monetario. Siamo negli ultimi posti della classifica tra i paesi industrializzati e sotto la media Ue (+1,7%). Tuttavia, al netto della spesa delle famiglie e della Pubblica amministrazione, l’Italia, a sorpresa, va meglio della stessa Germania. A livello territoriale la situazione è più complessa. Il Mezzogiorno cresce la metà del Nord. In alto nella classifica c’è l’Emilia Romagna (+1,1%), seguita dalla Lombardia (+1%), mentre la Calabria e la Sardegna fanno registrare un +0,3%. 
La crescita è a macchia di leopardo e riguarda soprattutto i distretti industriali. Tra i settori che nel secondo trimestre del 2016 hanno fatto registrare il maggior incremento ci sono le ceramiche in Emilia, la termomeccanica a Padova e Verona, ma anche qualche realtà del Sud come le conserve in Campania e l’elettromeccanica nel barese. In taluni casi l’andamento è migliore di quello della Germania. Eppure il Pil italiano non cresce come quello tedesco, perché? La differenza è determinata dai consumi delle famiglie e della Pa che nel nostro Paese è calata, dalla fine del 2014, dello 0,5%, mentre in Germania è cresciuta del 5,4%. Negli ultimi tre anni l'incremento del Pil italiano è stato, al netto della Pa, dell’1,3%, vale a dire uno 0,1% in meno rispetto a quello tedesco.

domenica 2 ottobre 2016

Assegno di ricollocazione fino a 5000 euro, a novembre parte la sperimentazione

Il progetto riguarderà quasi 20 mila disoccupati che saranno estratti a sorte tra coloro che avranno percepito la Naspi da almeno 4 mesi 

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Vignetta da jobyourlife.com
Il progetto riguarderà tutti i senza lavoro e rappresenterà la prima esperienza di politiche attive nel mercato del lavoro in Italia. Lo Stato non si limiterà a garantire l’assegno di disoccupazione per un certo numero di mesi (Naspi), ma fornirà ai disoccupati anche strumenti utili a ritrovare il lavoro. L’ammontare dell’assegno dipenderà da quanto sarà ‘difficile’ ricollocare il lavoratore. La cifra minima sarà di mille euro, ma potrà salire fino a 5000 euro per coloro che avranno minori possibilità di reinserimento. L’importo dipenderà dal tipo di qualifica del lavoratore (esempio operaio o ingegnere), dalla sua residenza (Sud o Nord), ecc. L’indennità consisterà in un buono da spendere per ottenere uno o più servizi.
Foto da ilpotafoglio.info
Il disoccupato potrà rivolgersi ad un centro per l’impiego o ad un’agenzia privata. L’ente pubblico o privato assegnerà a ciascun lavoratore un tutor che, dopo aver individuato la sua qualifica professionale e le sue competenze, lo guiderà nella compilazione del curriculum e nel fissare colloqui di lavoro.
Nella fase di sperimentazione l’assegno spetterà a circa 20 mila disoccupati che avranno percepito la Naspi da almeno 4 mesi. L’obiettivo sarà quello di testare il modello e di apportarvi se necessario eventuali modifiche. Essa sarà preceduta dall’introduzione del nuovo portale dell’Anpal (Agenzia per le politiche attive del lavoro) che sostituirà l’attuale ‘clicca lavoro’. Quest’ultima fase dovrebbe essere attivata nel mese di novembre.
I lavoratori prescelti dovranno accedere in un’area riservata del sito ed iscriversi. Così potranno vedere a quanto ammonterà l’assegno e decidere come e dove spenderlo. Tuttavia, nessuno sarà obbligato a rispondere ed incassare l’indennità ma, in tal caso, si perderà la possibilità di ottenere un lavoro e si vedrà decurtata la Naspi.