giovedì 26 novembre 2020

La parabola impossibile della ‘Mano de Dios’

‘Non si può fare’, pensarono i tifosi presenti allo stadio quel giorno, ma quello che per tutti era impossibile, per Diego Armando Maradona era realizzabile

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


Napoli - Juventus del 3/11/1985 - Video da youtube.com

Era il 3 novembre del 1985 quando Diego Armando Maradona realizzo un gol impossibile. Quel pomeriggio al San Paolo di Napoli c’era la Juventus, lo stadio era stracolmo di tifosi nonostante piovesse a dirotto. Ad un quarto d’ora dalla fine l’arbitro concesse una punizione a due in area. Diego era ad undici metri dalla porta, la barriera era a quattro metri. ‘No, non si può fare’ pensarono i tifosi, i compagni e gli avversari.

Invece è bastato un attimo. Il piccolo tocco dato alla palla dal compagno, Eraldo Pecci, il calcio di collo pieno ed ecco la parabola perfetta, quella che non ti aspetti. Il pallone scavalca la barriera, vola in cielo, poi ricade dall’alto verso il basso, proprio lì, nell’angolo più lontano, all’incrocio dei pali, dove nulla poteva fare Stefano Tacconi, estremo difensore della Juve di Giovanni Trapattoni che in quel campionato avrebbe vinto l’ennesimo scudetto, e nulla avrebbe potuto fare qualunque altro portiere.

Un gol impossibile, fuori dalla logica calcistica, ma non per Lui, ‘El Pibe de Oro’, il più grande calciatore dell’epoca moderna.

Il 22 giugno del 1986 allo stadio Azteca di Città del Messico, nel quarto di finale del Mondiale contro l’Inghilterra, Maradona ha realizzo un'altra rete che è passata alla storia. Per quel gesto fu soprannominato ‘La mano de Dios’. Quattro anni prima, tra i due Paesi, era scoppiata la Guerra delle Falkland. Quel gol non solo permise all’Argentina di passare il turno e, successivamente, di laurearsi campione del Mondo, ma rappresentò anche una rivincita morale del popolo sudamericano nei confronti di quello anglosassone.

Nella conferenza stampa che segui quella partita, Maradona dichiarò:’ “Un poco con la cabeza de Maradona y otro poco con la mano de Dios” (un po' con la testa di Maradona ed un altro po' con la mano di Dio). Ecco, il campione argentino era così, capace anche di inventarsi un gol fantasma ed a farlo diventare un capolavoro di maestria calcistica. Era pieno di eccessi e capace di provocare emozioni e sentimenti contrastanti. Era un metro e sessantacinque di genialità e sregolatezza. 

Anche la sua vita è stata come una parabola, fatta di alti e bassi, di cadute e di momenti di apoteosi. Cresciuto in un paesino povero del nord dell’Argentina, apparteneva ad una famiglia di umili origini. Aveva due fratelli e cinque sorelle. Spesso, ha raccontato in un celebre documentario sulla sua vita girato del regista Emir Kusturica, non avevamo nulla da mangiare se non quel poco che i genitori, con enormi sacrifici, riuscivano a procurarci. Fin da piccolo erano evidenti le sue doti calcistiche. La sua bravura è emersa subito, quando aveva appena dieci anni. Alla fine degli anni Settanta era già considerato un campione. Il passaggio dalla miseria alla ricchezza ed alla fama è stato rapido. Nel 1982, l’ingaggio record con il quale il Barcellona lo convinse a lasciare il Boca Juniores. Due anni dopo il grave infortunio alla caviglia ed il trasferimento al Napoli. Le sette stagioni vissute nella città del Vesuvio lo hanno consacrato come campione indiscusso del calcio mondiale. Poi, lenta, ma inesorabile, la caduta. La cocaina, il figlio illegittimo, la separazione, le cattive compagnie, le esagerazioni verbali e non solo ed eccessi di ogni genere.

Ma, nonostante una vita 'spericolata', Maradona non ha mai dimenticato le sue umili origini e non ha mai nascosto le sue idee politiche, l’amicizia con Fidel Castro, la sua ammirazione per Che Guevara, il suo risentimento per gli Stati Uniti d’America.

Ha tentato di essere protagonista anche come allenatore. Ma il momento magico era già trascorso. Infine, i problemi di salute ed ora la morte prematura.

Diego Armando Maradona se n’è andato così come è vissuto, con un altro eccesso, ma stavolta è stato l’ultimo, quello che di certo non avrebbe voluto vivere.

Fonte wikipedia.org


sabato 21 novembre 2020

Le vite salvate dalla Dad

Quantificare quante vite si stanno salvando con le misure prese dal Governo è difficile. Di certo aver ridotto gli affollamenti nei mezzi di trasporto con la chiusura momentanea della didattica in presenza è stato dirimente

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto di Giovanni Pulvino

Nelle ultime 24 ore sono stati registrati 34.767 nuovi casi di Covid-19 e 692 decessi. Sono stati effettuati 237.225 tamponi, il rapporto con i positivi è diminuito al 14,66%. I decessi totali sono aumentati a 49.261. In terapia intensiva ci sono attualmente 3.758 pazienti ed i contagiati sono 791.746. Particolarmente grave rimane la situazione in Lombardia (+8.853 casi), in Campania (+3.354 casi) e in Veneto (+3.367 casi). Diminuiscono i nuovi ricoveri in terapia intensiva e l’indice Rt è in calo da alcuni giorni. In quattro regioni è sotto 1.

Questi sono gli ultimi dati sull’andamento della pandemia nel nostro Paese. La situazione sta migliorando anche se è ancora molto grave. Le misure prese nelle ultime settimane dal Governo sembrano funzionare. Le chiusure di ristoranti, bar e, in genere, dei luoghi di assembramento stanno producendo i loro effetti. In particolare, aver limitato l’affollamento nei mezzi pubblici con la riattivazione della Didattica a distanza per le scuole superiori si sta dimostrando particolarmente efficace.

E' bene precisare a tale proposito che l’attività delle scuole, a differenza di quanto sostiene la ministra Lucia Azzolina, non si è mai fermata. La Dad è un impegno notevole per alunni e docenti. Certo bisogna fare i conti con le carenze strutturali della Rete e dei mezzi tecnologici a disposizione delle famiglie, soprattutto nel Sud del Paese, ma, nonostante ciò, la formazione continua senza soste. Anzi, l’attività è triplicata rispetto alla didattica in presenza. Gli studenti stanno imparando ad usare strumenti informatici fondamentali per il loro futuro, soprattutto per quello lavorativo. 

L’aspetto negativo è che i ragazzi non possono socializzare, ma si tratta di avere pazienza ancora per pochi mesi, poi torneranno ad affollare in sicurezza bus ed aule. Intanto, essi stanno constatando in prima persona cosa vuol dire far parte di una comunità e di quanto sia importante la condivisione ed il rispetto delle regole anche se questo comporta una limitazione momentanea delle libertà personali. 

E spiace vedere in televisione e sui giornali alunni e docenti, pochi per la verità, che protestano davanti alle scuole simulando una lezione in cortile. Alcuni mesi di attenzione e di limitazioni nei comportamenti individuali non sono nulla rispetto ad una vita, non dimentichiamolo mai.

lunedì 9 novembre 2020

CGIA di Mestre: ‘Il Pil del Sud torna indietro al 1989’

Secondo l’ufficio studi della CGIA di Mestre con la pandemiaogni italiano perde quasi 2.500 euro ed il Prodotto Interno Lordo del Meridione torna indietro di 31 anni’

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da teleborsa.it

La pandemia causata dal Coronavirus farà perdere ad ogni italiano in media 2.484 euro. A Milano saranno 5.575, a Bolzano 4.058, a Modena 3.645 e a Firenze 3.603.

Il dato più allarmante riguarda il Sud. Secondo l’Ufficio studi della CGIA di Mestre la ricchezza prodotta nel Mezzogiorno diminuirà meno delle altre aree del Paese, cioè -9%, ma, nonostante ciò, ‘il Pil del Sud tornerà allo stesso livello del 1989’. Molise, Campania e Calabria torneranno al 1988, la Sicilia addirittura al 1986.

Con meno soldi in tasca, più disoccupati e tante attività che entro la fine dell’anno chiuderanno definitivamente i battenti – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo - rischiamo che la gravissima difficoltà economica che stiamo vivendo in questo momento sfoci in una pericolosa crisi sociale. Soprattutto nel Mezzogiorno, che è l’area del Paese più in difficoltà, c’è il pericolo che le organizzazioni criminali di stampo mafioso cavalchino questo disagio traendone un grande vantaggio in termini di consenso.

Ed ancora: ‘solo se riusciremo a mantenere in vita le aziende potremo difendere i posti di lavoro, altrimenti saremo chiamati ad affrontare mesi molto difficili’.

Nonostante il blocco dei licenziamenti, sottolinea il rapporto, ‘gli occupati scenderanno di circa 500 mila unità’. A subire il calo maggiore sarà ancora una volta il Mezzogiorno (-180 mila addetti). La Sicilia farà registrare un -2,9%, la Campania -3,5% e la Calabria -5,1%.

Piove sul bagnato. La crisi dovuta alla pandemia sta mettendo in ginocchio l’economia delle regioni del Sud. La perdita di posti di lavoro causerà un incremento della migrazione verso il Nord Italia o verso l’estero ed un ulteriore impoverimento del tessuto sociale ed economico del Meridione.

Una seria politica di investimenti nel Mezzogiorno non è più rinviabile. E se a sostenerlo sono anche gli artigiani del profondo Nord c’è da crederci.

Fonte CGIA di Mestre

lunedì 2 novembre 2020

La meglio gioventù e non solo

Tutti quelli che c’erano ricordano quel giorno, tutti sanno i nomi di chi c’era, tutti si riconoscono come parte di quella comunità. Eppure, è un’immagine che esiste solo per puro caso. Fino ad un minuto prima nessuno avrebbe pensato ad una foto di gruppo dei Torremuzzari

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

 I Torremuzzari, fine anni Settanta - (foto di Petronio)

Era un giorno come tanti nel piccolo borgo marinaro di Torremuzza. Una domenica come un’altra. Spensierata, a giocare a bocce e, in diversi, a guardare. Si, perché allora otto bocce ed un pallino erano comunità e condivisione. Non serviva altro. Segnava le domeniche invernali dei Torremuzzari di tutte le età. Nelle piccole comunità è così: le generazioni si contaminano a vicenda, non c’è l’anziano ed il giovane, ma una ‘umanità’ senza tempo, senza età.   

Le squadre si formavano al momento, tenendo conto di chi c’era o più semplicemente di chi arrivava per primo in piazzetta. Il campo era la strada con le mattonelle un po’ sconnesse ed i marciapiedi bassi, dritti o ad angolo.

Quella mattina è stata diversa dalle altre. Nessuno di noi lo sapeva, ma è sempre così, le cose succedono senza volerlo, nel bene o nel male accadono. Durante la partita, ecco che arriva Petronio, stava semplicemente passando. Di certo non sapeva di quella piccola ‘folla’ di Torremuzzari. Un attimo ed uno di loro ha un’idea brillante. ‘Petronio perché non ci fai una foto?’. Sì, perché Petronio era un fotografo, non ho mai saputo se fosse un dilettante o un professionista e se quella foto, poi, sia stata pagata e da chi, e soprattutto non ho mai saputo chi ha l’originale. Ma che importa, c’è, questo solo conta. Anzi, tutti noi dobbiamo ringraziare chi ebbe quella brillante idea, di certo è o era qualcuno particolarmente affezionato a quel luogo ed a quella comunità.

È bastato poco per chiamare chi si trovava in quel momento in piazza Marina. Anche le ragazze si sono avvicinate. Tutti in posa sul muretto, quello dove ci sedevamo per guardare le partite di bocce. Dietro a pochi metri dalla ferrovia c’era il filo per stendere i panni, a destra la fontanella, a sinistra i ponti che caratterizzano il piccolo borgo marinaro.

Uno scatto, uno solo ed ecco che un momento di vita vissuta resterà immortalato per sempre. Rivedersi giovani, con i capelli lunghi, con espressioni spensierate è struggente, ti ricorda che il tempo passa, che non lo puoi fermare. Eppure, quella foto racchiude una comunità, un’entità precisa, unica, come, del resto, lo sono tante altre.  

Quel giorno nessuno di noi avrebbe mai pensato di vivere un momento di vita che sarebbe stato possibile ricordare e tramandare a chi verrà dopo noi. E non voglio scrivere i nomi di chi c’era, non ora, non più, adesso non potrei.

Gli sguardi dei giovani e degli anziani in posa esprimono l’animo di una comunità, meglio di come possa fare qualunque parola o pensiero. Diversi per età, spesso antagonisti e polemici, divisi dalla politica, dal calcio, ma pur sempre appartenenti agli stessi luoghi ... alle stesse strade ... al rumore del mare ... ai ponti della ferrovia ... allo stabilimento che produceva olio di sansa ... alla Torre ... allo scoglio ... al tabacchino ... alla piazzetta ... alle bocce di quel giorno ... a Petronio ... a quel muretto ... a quel momento, triste e bello nello stesso tempo.

Tutti, anche quelli che quel giorno non c’erano, anche quelli che non ci sono più, appartenevamo ed apparteniamo allo stesso borgo marinaro, alla stessa famiglia, a quella dei Torremuzzari.

Si, perché non siamo nient’altro. Solo pensieri ed immagini di chi ci sta di fronte, di chi abbiamo incontrato nella nostra strada, di chi anche senza volere ci tiene in un angolino della sua memoria.