giovedì 29 luglio 2021

Anthony Fauci: ‘Nessun vaccino è efficace al 100%’

La quanta ondata della pandemia dovuta al Covid-19 è arrivata. Il numero dei nuovi contagiati aumenta di giorno in giorno, ma in tanti pur potendolo fare ancora non si sono immunizzati

di Giovanni Pulvino

Anthony Fauci - (foto da it.wikipedia.org)

‘I vaccinati posso contrarre la variante Delta e contagiare’. A sostenerlo è il maggior esperto in pandemia degli Stati Uniti d’America, Anthony Fauci. Ed ancora: Nessun vaccino è efficace al 100%, perché il virus è cambiato. La gente – ha aggiunto l’immunologo - non si rende conto di una cosa: finché c'è circolazione elevata del virus tra le persone non vaccinate, diamo al virus la chance di variare ancora di più e rischiamo una variante peggiore della Delta, una variante che nemmeno i vaccinati potrebbero gestire’. 

Il Coronavirus è mutato ancora una volta. La nuova variante si sta diffondendo in tutto il mondo. Ha una carica virale nettamente superiore ai ceppi precedenti e può contagiare anche chi ha già fatto il vaccino.

Si trasmette soprattutto tra i più giovani o i non immunizzati, ma non è escluso che si possa infettare anche chi ha completato il ciclo vaccinale.

Negli Stati Uniti ci sono circa 100 milioni di persone ancora senza protezione anti-Covid-19. La situazione è così grave che il sindaco di New York, Bill de Blasio, ha promesso cento dollari di compenso a chi si farà iniettare il siero.

Sembra un paradosso ma non lo è. Nei paesi più ricchi una parte della popolazione pur avendone la possibilità è No vax o semplicemente è indecisa e le autorità pubbliche sono costrette a promettere denaro o comunque un compenso a chi non si è vaccinato.

Nel nostro Paese ci sono forze politiche che pur facendo parte della maggioranza di Governo manifestano contro il Green pass e sono contrarie alle vaccinazioni obbligatorie. Tra un mese ci sarà il rientro a scuola e oltre tre milioni di studenti ancora non sono stati immunizzati. Nulla è cambiato rispetto allo scorso anno se non la vaccinazione della maggior parte dei docenti e del personale Ata, ma questo ancora non basta.

Le conseguenze sanitarie ed economiche della nuova ondata dipenderanno da noi. Ancora una volta conterà il buon senso, ma per tanti italiani e non solo andare a mangiare una pizza o prendere un drink al bar è più importante che salvare delle vite. Ma anche questa non è una novità.

Fonte ansa.it

venerdì 23 luglio 2021

Lula, appello a Draghi: i vaccini anche ai Paesi poveri

Mentre nel nostro Paese discutiamo dei No vax nel mondo ci sono milioni di individui che vorrebbero vaccinarsi, ma non possono farlo perché non hanno accesso ai sieri

di Giovanni Pulvino

Mario Draghi e Luiz Inácio Lula da Silva

La pandemia diventerà endemica solo quando la maggior parte della popolazione mondiale sarà vaccinata o comunque immune al Covid-19. I sieri, si sa, non sono disponibili per tutti. Gli Stati più poveri dovranno aspettare i prossini anni per raggiungere quella che gli esperti definiscono l’immunità di gregge. Ed è per questo che l’ex presidente del Brasile Lula in una intervista rilasciata a Sky TG24 ha detto: ’Se potessi mandare un messaggio al presidente Draghi direi che è importante che al G20 di ottobre sia presa la decisione da parte di tutti i Paesi di sopperire alle deficienze dei vaccini nei Paesi più poveri. L'appello che vorrei fare è questo: il vaccino non è solo per chi lo può comprare ma per tutti gli esseri umani’.

Nei paesi più sviluppati oltre la metà dei cittadini è già immunizzata. Resta, tuttavia, una parte significativa di popolazione che è restia a vaccinarsi, perché?

Sono i cosiddetti No vax. In nome della libertà personale non sono disponibili ad iniettarsi il siero anti-Covid-19. Temono gli effetti collaterali. Poi ci sono gli indecisi. Questi ultimi sono vittime probabilmente della cattiva informazione, in particolare quella sugli effetti indesiderati dei vaccini.

Tra loro ci sono medici, infermieri ed insegnanti. Si tratta come è evidente, di lavoratori particolarmente esposti al contagio. Rischiano, cioè, di contrarre il Coronavirus e di finire in ospedale o peggio ancora in terapia intensiva, ma nonostante ciò non si decidono a vaccinarsi. Non solo potrebbero essere essi stessi soggetti portatori ‘inconsapevoli’ del virus.

La campagna vaccinale dovrebbe essere sostenuta da tutte le forze politiche, invece non è così.

Matteo Salvini e Giorgia Meloni quasi tutti i giorni fanno dichiarazioni intese a giustificare chi non si vuole immunizzare. Non solo, sono contrari all’obbligo vaccinale per gli insegnanti ed ora anche al Green pass. Unico strumento utile per evitare chiusure e per convincere gli indecisi.

In questi mesi così difficili i due esponenti della Destra non hanno pronunciato una parola o fatto una sollecitazione nei confronti di coloro che inneggiano al diritto a non iniettarsi il vaccino. Per loro la libertà personale viene prima dell’interesse collettivo, anche quando questo riguarda la vita delle persone. Di certo è una posizione di comodo, tanto le decisioni difficili le prenderanno altri, quelli che agiscono nel solo interesse del bene comune.

Ed è paradossale che mentre noi italiani discutiamo dei No vax, nel mondo ci sono milioni di individui che vorrebbero vaccinarsi, ma non possono farlo perché sono poveri e non hanno accesso ai sieri. 

Fonte Sky TG24

martedì 20 luglio 2021

I poveri finanziano le pensioni dei ricchi

La relazione annuale del presidente dell’Inps certifica gli squilibri del sistema pensionistico e propone modifiche sostanziali

di Giovanni Pulvino 

Foto da inps.it

A parità di coefficienti di trasformazione e di età di pensionamento, i cittadini con le pensioni più basse e che vivono meno a lungo finanziano i cittadini con le pensioni più alte che vivono più a lungo’. Questo è quanto si legge nella relazione annuale del presidente dell’Inps Pasquale Tridico. Ed ancora: ‘E’ chiaramente auspicabile intervenire per attenuare le differenze attuariali. Ad esempio, modulando l’età di pensionamento, correggendo i coefficienti di trasformazione, individuando le condizioni di lavoro usuranti e/o gravose e riconoscendo i territori a maggior rischio ambientale’.

Il sistema pensionistico è un coacervo di ingiustizie. L’indennità di quiescenza è stata introdotta per garantire un reddito minimo a chi non è in grado di svolgere un‘attività lavorativa. Le pensioni d’oro non dovrebbero esistere e neanche le differenze di età o di emolumento, ma così non è.

I pensionati erano e sono un importante bacino elettorale. Molte agevolazioni sono state introdotte per carpirne il consenso. Le pensioni baby, quelle di anzianità, i prepensionamenti, la reversibilità e persino i vitalizi dei parlamentari sono solo alcuni esempi di questa babele. I ‘politicanti’ hanno creato un sistema squilibrato che ha determinato continui disavanzi di bilancio. Non si poteva andare avanti così, occorreva porvi rimedio.

Il sistema che abbiamo oggi è il frutto di questa esigenza.

Le numerose riforme approvate dal Parlamento a partire dagli anni Novanta hanno creato un sistema complicato e pieno di ingiustizie.

La prima riguarda l’età. Fino al 1993 si poteva maturare il diritto alla quiescenza prima di compiere cinquant’anni. Ci sono cittadini che hanno o stanno percependo la pensione da oltre 40 anni. Oggi alcuni vanno a sessant’anni, altri a sessantadue, altri ancora a 64, poi ci sono quelli che ci andranno oltre i 67 anni. In tanti non ci andranno mai, è una ingiustizia insopportabile.

La seconda iniquità riguarda l’ammontare dell’assegno. Si sa c’è un'enorme differenza tra il sistema retributivo e quello contributivo. Con il secondo l’assegno percepito dipende dai contributi versati. Ed è ovvio che ad essere favoriti sono coloro che nel corso della loro vita hanno avuto un lavoro stabile e ben retribuito, mentre chi ha avuto lavori precari o è stato spesso disoccupato, si ritroverà con una pensione da ‘fame’. Poveri durante l’età lavorative e ‘poveracci’ durante il periodo di quiescenza.

La relazione annuale del presidente dell’Inps certifica questa situazione e propone delle modifiche. E di certo queste non possono essere Quota 100 e neanche Quota 102 o 104. Il limite di età dovrebbe essere uguali per tutti. Come uguale o quasi dovrebbe essere l’indennità pensionistica. Non è accettabile che ci siano pensionati che incassano ogni mese decine di migliaia di euro ed altri che percepiscono poco più di 500 euro. L’articolo 53 della Costituzione sulla capacità contributiva è chiaro, ma è disatteso.

Per i nostri ‘politicanti’ non dovrebbe essere difficile approvare questo tipo di riforme, quando c’è da elargire e concedere sono sempre rapidissimi, mentre quando è necessario imporre sacrifici e rigore arrivano i governi tecnici, sostenuti quasi sempre, chissà perché, dalla Sinistra. 

Ma non accadrà nulla. Come dice il proverbio: ‘Chi ha avuto, ha avuto, e chi ha dato, ha dato’. Tanto a pagare per tutti sono sempre gli stessi.

Fonte inps.it

sabato 17 luglio 2021

Whirpool: a pagare sono sempre e solo i lavoratori

La vicenda Whirpool di Napoli è emblematica. La delocalizzazione delle fabbriche italiane non è una novità. È solo l’ultimo episodio di una lunga serie

di Giovanni Pulvino

Foto da fiom-cgil.it

La multinazionale americana disattendendo l’accordo stipulato due anni fa ha annunciato l’inizio delle procedure per il licenziamento collettivo di 327 dipendenti della sede di via Argine a Napoli.

Per questo motivo i lavoratori hanno deciso una serie di proteste con cortei e persino con il blocco temporaneo dell’aeroporto di Capodichino. 

La vicenda per loro non è conclusa e come potrebbe esserlo.

Nonostante due anni di lotte e di scioperi la Whirpool ha dato inizio alla procedura di licenziamento che durerà 75 giorni. A nulla sono valsi i tentativi di mediazione del Governo. L’azienda ha ricevuto circa cento milioni di euro di aiuti pubblici per continuare a produrre nella città campana. Ed altri poteva riceverne, ma nulla è riuscito a far cambiare opinione agli amministratori dell’azienda produttrice di elettrodomestici.

La vicenda della fabbrica di Napoli è solo l’ultima di una lunga serie. Le imprese italiane ed estere acquisiscono i marchi più famosi del Made in Italy, approfittano degli aiuti statali ma poi delocalizzano. Spesso si tratta di aziende che producono utili, ma, nonostante ciò, si trasferiscono all’estero.

È la logica del capitalismo, è la logica del profitto a tutti i costi. L’obiettivo degli imprenditori non è il benessere dei lavoratori e delle comunità dove le aziende hanno la sede e gli stabilimenti, ma l’arricchimento dei proprietari.

Con la globalizzazione per le imprese è più conveniente produrre nei paesi dove il costo del lavoro e delle materie prime sono più bassi.

Niente di nuovo. Un’altra fabbrica del Sud sta per chiudere i battenti. Centinaia di lavoratori si ritroveranno senza un’occupazione stabile. 

Questa vicenda è l’ennesima sconfessione dell’efficacia del Decreto Dignità introdotto dal governo ‘Pentaleghista’, in particolare dall’allora ministro dello sviluppo Economico, Luigi Di Maio.

Ed è la dimostrazione dell’inutilità delle politiche di incentivi statali alle imprese private. I finanziamenti e le agevolazioni concesse per garantire i posti di lavoro non bastano, occorrono politiche industriali e piani di investimento pubblico nel medio-lungo periodo. Fino a quando la logica sarà solo quella dell’accumulazione del capitale, le delocalizzazioni continueranno, specie nel Sud Italia ed a pagarne le conseguenze saranno sempre e solo i lavoratori.

Fonte REDNEWS


giovedì 15 luglio 2021

La riduzione dell’orario di lavoro non è più un tabù

Ridurre l’orario di lavoro si può fare. È solo una questione di tempo, ma questo sarà

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da ideologiasocialista.it

Nel 1996 Rifondazione comunista propose al governo di cui faceva parte la riduzione dell’orario di lavoro. L’iniziativa non trovò il consenso delle altre forze politiche e dell’allora presidente del Consiglio, Romano Prodi. Quella mancanza di coraggio nel prendere in considerazione quella proposta che per certi aspetti era rivoluzionaria fu uno dei motivi della caduta di quell’Esecutivo.

In quella legislatura l’Italia entrò nell’Euro, risanò i conti pubblici e diede avvio ad una fase di crescita economica, ma, quella Maggioranza, non ebbe la forza per imporre una riforma del mercato del lavoro così dirimente.

Eppure, la riduzione dell’orario di lavoro era ed è inevitabile.

Negli ultimi cinque anni in Islanda è stata fatta una sperimentazione. I risultati sono stati entusiasmanti. I lavoratori del settore pubblico hanno potuto operare con orari più brevi senza subire la riduzione dello stipendio. L’esperimento ha evidenziato anche un aumento della produttività ed i dipendenti si sono sentiti meno stressati nello svolgere la loro mansione.

Lavorare meno per lavorare tutti era uno slogan della Sinistra extraparlamentare degli anni Settanta. Ridurre l’orario di lavoro oggi si può fare. I vantaggi sarebbero tanti. Si limiterebbe la disoccupazione. Le aziende avrebbero lavoratori più motivati, la produttività aumenterebbe. L’incremento delle ore da dedicare al tempo libero darebbe impulso alle imprese del settore. La conseguente redistribuzione della ricchezza favorirebbe la crescita economica. Le disuguaglianze ed i privilegi si ridurrebbero.  

Ed è un’esigenza del sistema economico capitalista. La concentrazione della ricchezza provoca crisi e conflitti sociali. L’1% più ricco deteneva a metà del 2019 più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone’. Questo è quanto si legge nel rapporto Time to care pubblicato poche settimane da Oxfam Italia. Jeff Bezos proprietario di Amazon ha un patrimonio di 177 miliardi di dollari. Certo, questa ricchezza è frutto della sue capacità imprenditoriali, ma è dovuta anche e soprattutto al lavoro di decine di migliaia di lavoratori. Il punto è che i profitti prodotti dalla multinazionale americana non sono redistribuiti in modo equo tra dipendenti e proprietà. L’accumulazione del capitale provoca, inevitabilmente, disuguaglianze e privilegi. È sempre stato così.

Per limitarli occorrono provvedimenti dirimenti. Aumentare le tasse, oggi i colossi del web non pagano quasi nulla, incrementare gli stipendi dei dipendenti e ridurre l’orario di lavoro. Negli ultimi trent’anni è avvenuto l’esatto contrario. Sono cresciuti i profitti e le disuguaglianze, il lavoro è sempre più precario e mal pagato, le tasse sono state abbassate per i ceti benestanti.

Tutto questo è un passaggio.

Presto sarà necessario redistribuire la ricchezza ed il modo più semplice sarà quello di ridurre l’orario di lavoro e, nello stesso tempo, aumentare il salario. È solo una questione di tempo, ma questo sarà.

domenica 11 luglio 2021

11 luglio 1982, 11 luglio 2021, la storia si ripete

39 anni fa la Nazionale di calcio guidata da Enzo Bearzot vinceva la Coppa del mondo. Oggi 11 luglio 2021 la storia si ripete, siamo Campioni d’Europa  

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Le Nazionali di calcio del 1982 e del 2021















Rossi, Tardelli, Oriali, Antognoni, Zoff, Gentile, Scirea, Cabrini, Bergomi, Conti, Collovati, Altobelli, Graziani, Causio. Questi furono i calciatori che nel 1982 vinsero per l’Italia la terza coppa Rimet. La differenza allora la fece Pablito con i suoi gol. Quella squadra veniva da lontano, dal mondiale in Argentina e prima ancora da quello fallimentare del 1974. Il grande merito di Enzo Bearzot fu quello di creare un gruppo coeso. Non era solo una squadra di calcio era soprattutto una ‘famiglia’.

Tutti ricordiamo dove eravamo l’11 luglio del 1982. Il rigore sbagliato da Cabrini, il gol di Rossi, l’urlo liberatorio di Tardelli, il gesto di vittoria di Sandro Pertini. Irripetibile.

Donnarumma, Di Lorenzo, Bonucci, Chiellini, Emerson Palmieri; Barella, Jorginho, Verratti; Chiesa, Immobile, Insigne, Florenzi, Spinazzola, Toloi, Cristante, Locatelli, Pessina, Belotti, Berardi, Bernardeschi. Le nuove regole consentono un numero maggiore di sostituzioni. Pertanto, il ruolo delle cosiddette riserve si è dimostrato decisivo. Il gruppo è stato importante anche in questo torneo, ma lo sono state anche le idee e le decisione prese dal tecnico. Roberto Mancini è stato un grande calciatore, ma sta confermando in Nazionale di essere anche un grande allenatore.

Quello del 1970, del 1978, del 1982, del 1994, del 2006 ed ora del 2021 è il calcio che vorresti sempre, è il gioco preferito dagli italiani e non solo, è quello che bastava un super Santos bucato, due pietre per delimitare le porte e tanta voglia di correre e sudare, nient’altro.

Il Paese in queste occasioni sembra compatto e coeso, ma è solo un momento, dopo i festeggiamenti torneremo alle nostre ‘abitudini’, sempre le stesse. Rimarranno i rimpianti per quello che poteva essere ed invece non è mai.

Momenti unici che diventano memoria collettiva, vuoto a perdere, come tutto, come niente.

Resteremo in attesa di un altro 11 luglio, nuovo per alcuni, diverso ed irripetibile per altri, 1982, 2021, …, chissà.

martedì 6 luglio 2021

Il 'Treno del sole' non si è mai fermato

Il Sud arriva sempre dopo, sempre che arrivi, ormai siamo alla desertificazione demografica oltre che ambientale

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Il Treno del sole (foto da raiplayradio,it)

Negli anni Cinquanta e Sessanta non c’era giorno che ‘il Treno del sole’ non fosse stipato di contadini o semplicemente di disoccupati che dal Mezzogiorno ‘fuggivano’ dalla miseria e dalla povertà. Partivano con le valige di cartone e con la morte nel cuore, ma con la speranza di una vita migliore. Spesso si trasferiva tutta la famiglia, che portava con sé quel poco che possedeva.

La destinazione principale era il cosiddetto triangolo industriale: Milano, Torino, Genova. Il boom economico degli anni Sessanta non ci sarebbe stato senza quelle braccia e quei sacrifici. Accolti con diffidenza, hanno dovuto adattarsi ad una realtà completamente nuova ed a volte ostile. I 'terroni' spesso erano costretti a vivere in pochi metri quadrati e con i servizi igienici in comune. Lavoravano fino a 14 ore al giorno. Il salario era appena sufficiente per sopravvivere.

Eppure, quegli uomini e quelle donne hanno cambiato il nostro paese.

Sono stati i protagonisti del Sessantotto e dell’Autunno caldo del 1969. Quelle lotte hanno costretto il Parlamento ad approvare una serie di importanti riforme sociali ed economiche. La riduzione dell’orario di lavoro, la riforma della scuola e quella fiscale, lo Statuto dei lavoratori, il divorzio, la scala mobile, ect..

La modernizzazione al Sud invece non è mai arrivata. Infrastrutture fatiscenti, clientelismo, corruzione diffusa e criminalità organizzata radicata sul territorio sono le cause principali. Chi doveva operare per lo sviluppo del Mezzogiorno non lo ha fatto o lo ha fatto male. 

Sono trascorsi oltre sessant’anni, ma la situazione è sempre la stessa. Il fenomeno migratorio da Sud verso Nord (o all’estero) continua. Le differenze economiche anziché ridursi sono aumentate. Il pericolo di una desertificazione demografica oltre che ambientale è ormai evidente. Persino i migranti che vengono dall’Africa e che attraversano il Mediterraneo a rischio della vita preferiscono proseguire il tragitto verso Nord.

La condizione di sottosviluppo di tante aree del Mezzogiorno non è solo una questione di lontananza dai mercati. E non è dovuta neanche alla scarsa capacità imprenditoriale dei meridionali. No, almeno non è solo questo. È il risultato di una precisa volontà politica.

Facciamo un esempio. L’Alta velocità ferroviaria. Tra Roma e Milano è in funzione da anni. In alcune regioni meridionali ancora siamo fermi alle progettazioni, ai finanziamenti che non ci sono, ai cantieri bloccati, ect.

Il Sud arriva sempre dopo. Sempre che arrivi. Il laborioso Nord-Est leghista di tanto in tanto vorrebbe liberarsi di questa palla la piede che è il Meridione. Poi, comprende che un Sud arretrato è funzionale alla loro ricchezza ed al loro benessere oltre ad essere un importante bacino elettorale.

La storia si ripete ancora una volta. Tutto cambia per non cambiare nulla o quasi. Il 'Treno del sole' non si è mai fermato, oggi si viaggia in aereo e con il trolley ma il motivo è sempre lo stesso: la ricerca di un lavoro e di una vita dignitosi. E dire che qualcuno ritiene che i meridionali siano solo dei fannulloni.