giovedì 15 luglio 2021

La riduzione dell’orario di lavoro non è più un tabù

Ridurre l’orario di lavoro si può fare. È solo una questione di tempo, ma questo sarà

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da ideologiasocialista.it

Nel 1996 Rifondazione comunista propose al governo di cui faceva parte la riduzione dell’orario di lavoro. L’iniziativa non trovò il consenso delle altre forze politiche e dell’allora presidente del Consiglio, Romano Prodi. Quella mancanza di coraggio nel prendere in considerazione quella proposta che per certi aspetti era rivoluzionaria fu uno dei motivi della caduta di quell’Esecutivo.

In quella legislatura l’Italia entrò nell’Euro, risanò i conti pubblici e diede avvio ad una fase di crescita economica, ma, quella Maggioranza, non ebbe la forza per imporre una riforma del mercato del lavoro così dirimente.

Eppure, la riduzione dell’orario di lavoro era ed è inevitabile.

Negli ultimi cinque anni in Islanda è stata fatta una sperimentazione. I risultati sono stati entusiasmanti. I lavoratori del settore pubblico hanno potuto operare con orari più brevi senza subire la riduzione dello stipendio. L’esperimento ha evidenziato anche un aumento della produttività ed i dipendenti si sono sentiti meno stressati nello svolgere la loro mansione.

Lavorare meno per lavorare tutti era uno slogan della Sinistra extraparlamentare degli anni Settanta. Ridurre l’orario di lavoro oggi si può fare. I vantaggi sarebbero tanti. Si limiterebbe la disoccupazione. Le aziende avrebbero lavoratori più motivati, la produttività aumenterebbe. L’incremento delle ore da dedicare al tempo libero darebbe impulso alle imprese del settore. La conseguente redistribuzione della ricchezza favorirebbe la crescita economica. Le disuguaglianze ed i privilegi si ridurrebbero.  

Ed è un’esigenza del sistema economico capitalista. La concentrazione della ricchezza provoca crisi e conflitti sociali. L’1% più ricco deteneva a metà del 2019 più del doppio della ricchezza netta posseduta da 6,9 miliardi di persone’. Questo è quanto si legge nel rapporto Time to care pubblicato poche settimane da Oxfam Italia. Jeff Bezos proprietario di Amazon ha un patrimonio di 177 miliardi di dollari. Certo, questa ricchezza è frutto della sue capacità imprenditoriali, ma è dovuta anche e soprattutto al lavoro di decine di migliaia di lavoratori. Il punto è che i profitti prodotti dalla multinazionale americana non sono redistribuiti in modo equo tra dipendenti e proprietà. L’accumulazione del capitale provoca, inevitabilmente, disuguaglianze e privilegi. È sempre stato così.

Per limitarli occorrono provvedimenti dirimenti. Aumentare le tasse, oggi i colossi del web non pagano quasi nulla, incrementare gli stipendi dei dipendenti e ridurre l’orario di lavoro. Negli ultimi trent’anni è avvenuto l’esatto contrario. Sono cresciuti i profitti e le disuguaglianze, il lavoro è sempre più precario e mal pagato, le tasse sono state abbassate per i ceti benestanti.

Tutto questo è un passaggio.

Presto sarà necessario redistribuire la ricchezza ed il modo più semplice sarà quello di ridurre l’orario di lavoro e, nello stesso tempo, aumentare il salario. È solo una questione di tempo, ma questo sarà.

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