sabato 31 ottobre 2020

Whirpool, prendi i soldi e scappa

La vicenda Whirpool di Napoli è emblematica. La delocalizzazione delle fabbriche italiane non è una novità. È solo l’ultimo episodio di una lunga serie

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da startmag.it

I dipendenti della Whirpool di Napoli sono stati ‘esentati dal rendere la propria prestazione lavorativa presso il sito e qualsiasi accesso non autorizzato sarà perseguito a termini di legge’. Per questo motivo i lavoratori hanno deciso di iniziare da subito il presidio dei locali dell’azienda. La vicenda per loro non è conclusa, e come potrebbe esserlo.

Dopo 18 mesi di lotte e di scioperi, con un messaggio telefonico, sono stati licenziati 400 addetti, ma il numero raddoppia se consideriamo anche l’indotto. A nulla sono valsi i tentativi di mediazione del Governo. La multinazionale statunitense negli ultimi anni ha ricevuto circa cento milioni di euro di aiuti pubblici per continuare a produrre nella città campana. Ed altri poteva riceverne, ma nulla è riuscito a far cambiare opinione agli amministratori dell’azienda produttrice di elettrodomestici.

La vicenda della fabbrica della Whirpool di Napoli è solo l’ultima di una lunga serie. Le imprese italiane ed estere acquisiscono i marchi più famosi del Made in Italy, approfittano degli aiuti statali e, infine, delocalizzano. Spesso si tratta di aziende che producono utili e lavoro, ma, nonostante ciò, si trasferiscono all’estero, perché? La risposta è ovvia: tutto è fatto in funzione della produttività. È la logica del capitalismo, è, cioè, la logica del profitto a tutti i costi. L’obiettivo degli imprenditori non è il benessere dei lavoratori e delle comunità dove le aziende hanno la sede e gli stabilimenti, ma l’arricchimento dei proprietari.

Con la globalizzazione le opportunità di accumulazione del capitale hanno varcato i confini nazionali, per cui spesso è più conveniente produrre nei paesi dove il costo del lavoro e delle materie prime sono più bassi.

Intanto, un’altra fabbrica del Sud chiude i battenti. E centinaia di lavoratori si ritrovano senza un’occupazione stabile. È una sconfitta della politica e degli imprenditori italiani. È la sconfessione dell’efficacia del Decreto Dignità introdotto dal Governo ‘pentaleghista’ e, voluto, in particolare da Luigi Di Maio. È la disfatta dell’operato del ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli e dell’azione dei sindacati.

Ed è la dimostrazione dell’inutilità delle politiche di incentivi statali alle imprese private. I finanziamenti e le agevolazioni concesse per garantire i posti di lavoro non bastano, occorrono politiche industriali e piani di investimento pubblico nel medio-lungo periodo. Fino a quando la logica sarà solo quella del profitto, le delocalizzazioni continueranno, specie nel Sud Italia, ed a pagarne le conseguenze saranno sempre e solo i lavoratori.

Fonte televideo.rai.it

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