‘Sii arcobaleno nella nuvola di qualcun altro’, Maya Angelou
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| Torremuzza. Foto di Antonino Pulvino, 8 novembre 2019 |
Giocava con un pallone di plastica sgonfio ed era tutto. Avveniva sotto lo sguardo e la protezione delle zie e degli zii della borgata, non c’erano pericoli, solo un continuo ripetersi di calci al Super Santos.
Dapprima era solo, poi
iniziò a condividere. Erano in due, in tre, poi la squadra. Non giocava per sé, ma sempre per gli altri.
La sua impronta era segnata. Era così ancor prima di venire al mondo. Non c’era rimedio possibile,
la sua strada era decisa, non poteva esserci nessun cambiamento. Era destinato a non essere egoista.
Non c’erano alternative,
solo un continuo dare, senza pretese, senza ritorno. Da non credere, ma era
così. Cosa cercava? Cosa voleva?
Non era un donare il superfluo, ma un cedere la propria essenza senza aspettarsi nulla in cambio. Non era neanche un
farsi del male, era la ricerca del gesto incondizionato, dell’atto spontaneo
così come deve essere l’amore, senza tornaconti, senza profitto.
Tutto all’inizio avveniva inconsapevolmente.
Era così e non sapeva neanche il perché, semplicemente era così. Pensava, prima o poi mi succederà di ricevere lo stesso trattamento, senza egoismi, senza richieste alcune.
Ed
aspettava.
Persino quando ebbe quel
grave infortunio al braccio pensò: è solo colpa mia, non può che essere così. Ma
non era così.
Notte insonni a
struggersi, giorni interi ad aspettare, ma niente: nulla veniva, nulla si realizzava, nulla consolava.
Finché c’era una
prospettiva riteneva che ci fosse ancora un’opportunità, che prima o poi
sarebbe successo anche a lui. Il tempo sarebbe stato galantuomo, pensava, ma
così non era.
Continuava a dare, non
faceva altro che dare, dare e ancora dare. A volte era patetico, altre un
illuso, altre un ingenuo, ma nonostante ciò continuava ad insistere.
Poi venne il giorno in cui restò immobile a fissare il nulla, non gli rimaneva altro.

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