sabato 13 novembre 2021

Gli zii e le zie di Torremuzza (parte quinta)

Per una questione di privacy i nomi ed i soprannomi sono indicati con le iniziali. Chi li ha conosciuti o li conosce certamente capirà di chi si tratta

di Giovanni Pulvino

La fontanella di via San Giuseppe

Negli anni Sessanta e Settanta spostarsi non era facile. Le strade non erano asfaltate, in compenso c’era la stazione della ferrovia, ci lavorava un zu L.. Gli unici treni che si fermavano erano gli ‘accelerati’. Erano molto lenti, ma sarebbe stato complicato per i borgatari andare e venire da Messina o Palermo senza quei treni.

Solo G. C. aveva la macchina, una Seicento beige ultimo modello. Con quell’auto una volta mi porto a Villa Margi per offrirmi un gelato, era il mio padrino, ma solo sulla carta, non feci mai la comunione. I contrasti politici che abbiamo avuto negli anni dell’adolescenza si sanarono in parte solo tre decenni più tardi, anche se ognuno rimase sempre della sua idea, la solidarietà del Borgo vinceva su tutto.

Quando si è giovani non si pensa al pericolo e alle conseguenze dei nostri comportamenti, le precauzioni arrivano con la consapevolezza che ti conferisce l’età e l’esperienza, ma a volte è troppo tardi, non fu così per noi

Andavamo a scuola a Santo Stefano di Camastra con gli autobus. Allora erano pieni di ragazzi e ragazze del Borgo. C’è stato un periodo in cui utilizzammo il servizio di noleggio ru zu C.. Viaggiavamo su una Fiat 750. Il costo era sovvenzionato dal Comune. Agevolazione questa che è stata mantenuta anche nei decenni successivi. Quando uscivamo tardi per tornare a casa facevamo la strada a piedi. Oggi sarebbe assurdo e pericoloso. Scendevamo da porta Palermo verso il campo da calcio ed attraversavamo di corsa il ponte della ferrovia. Lo facevamo con trepidazione. Il timore era di essere sorpresi dal passaggio di un treno. Ai lati dei binari c’erano delle postazioni di sicurezza, si fa per dire, da utilizzare in caso di necessità. Non le adoperammo mai, almeno non ricordo, ma quanta paura quando eravamo sul ponte. Guardavamo con preoccupazione davanti e dietro di noi, ma anche sotto dove scorreva il torrente. Non eravamo degli irresponsabili, capivamo il pericolo, ma non c’erano alternative se volevamo evitare di fare il giro lungo la statale.

Nel Borgo non mancavano mai le dispute e le piccole beghe, ma non c’era cattiveria ed erano il ‘sale’ ed un motivo di ‘pettegolezzo

In via Nazionale, in prossimità ‘ru stazuni, c’era un albero di fichi. Quando maturavano i frutti cominciavano le dispute su chi avesse diritto a coglierli. La controversia finì quando a za P. T. e la sua famiglia ci costruirono la loro casa. Fu subito rimpiazzato con un altro e, ovviamente, le dispute ripresero. Allora su quel lato della strada non c’erano abitazioni, solo ‘u stazuni’. Nel Borgo ce n’erano due, anzi tre se consideriamo anche quello di ‘Maccaruni’. Immaginavamo che in quel posto potesse essere costruito un campo da calcio, lo stadio dei torremuzzari. Erano solo fantasie, e non erano le sole. Sognavamo di fare una squadra di soli borgatari e di vincere le varie divisioni, non ci ponevamo limiti, persino di giungere in Serie A. Eravamo bravi con il pallone, ma queste erano solo illusioni adolescenziali e come tante altre non furono mai realizzate. 

Eppure erano dolci pensieri ...

All’inizio di via San Giuseppe c’era una fontanella. Una foto in bianco e nero, scattata proprio in quel punto della strada, ritrae un soldato (americano?) che aiuta delle giovani borgatare a riempire 'u bummulu' d’acqua. Non ho mai capito chi fossero. Rimarrà una curiosità inappagata e non è la sola. Salendo quella via che allora era in terra battuta si arrivava Nzusu, dove c'è la Chiesa. Qui le case erano di proprietà del principe di Torremuzza e successivamente dei fratelli F.. La parte bassa e quella alta della frazione erano, per noi, due entità distinte e separate.

Torremuzza il paese della ‘puzza, dicevano, ma non era vero, il vento di maestrale spingeva quasi sempre i cattivi odori dovuti alla lavorazione della sansa verso est, il lato opposto al Borgo

La vita della frazione è cambiata completamente dopo la Seconda guerra mondiale. Fino ad allora le attività principali erano state la pesca e, in parte, la campagna e l'artigianato. Le case di piazza Marina venivano adibite anche per salare e mettere sottovuoto nei ‘varaluocchi’ le acciughe pescate dagli zii durante la notte. Non ho ricordi specifici di quest’attività, ma, probabilmente, è continuata fino agli anni Cinquanta.  

Nel nostro immaginario non c’è una Torremuzza senza la 'Raffineria', per noi era un ‘mostro’ parlante, familiare, faceva parte del nostro quotidiano, ha accompagnato la nostra adolescenza

All’inizio del Novecento in prossimità del mare c’era una fornace per la fabbricazione di materiale edile. La struttura per la raffinazione della sansa fu edificata proprio in quel posto. L’idea dei fratelli G. fu dirimente per i borgatari e non solo. Lo ‘Stabilimento’, come lo chiamavamo noi, funzionava bene perché utilizzava i residui dei frantoi d’olio. Attività questa molto prospera nel dopoguerra. L'olio prodotto non era di altissima qualità e gran parte di esso veniva esportato.

La sicurezza economica che quel 'lavoro' assicurò per oltre tre decenni permise la nascita di una comunità coesa e solidale

Di tanto in tanto sentivamo come un boato, sapevamo che dalla ciminiera ru Stabilimento stava uscendo a ‘nuzzulina. Era il residuo della lavorazione della sansa. Si spargeva ovunque per le strade della frazione. Noi correvamo sotto i ponti o a casa per evitare di essere sporcati da questa specie di polvere che cadeva dal cielo. Durava pochi minuti, per noi non era inquinamento, ma un evento fastidioso e divertente nello stesso tempo. Non era così per le nostre mamme che avevano steso i panni ad asciugare al sole.

Le famiglie dei borgatari, in particolare dei dipendenti della Raffineria, utilizzavano quei residui della lavorazione per il riscaldamento invernale. I bracieri a forma di cerchio o di quadrato riscaldavano le case, si fa per dire, ma quello c’era e si poteva avere. Il combustibile era il carbone, residuo della cottura del pane cotto nel forno a legna, o come avveniva più spesso ‘a nuzzulina’ dello 'Stabilimento' che durava di meno, ma riscaldava di più.

Di notte gli operai scaricavano a mare anche i residui d’olio e delle sostanze che utilizzavano per la lavorazione della sansa. Non era raro d’estate vedere in prossimità della riva queste chiazze d’olio. Per fortuna i venti allontanavano l’odore e questi sversamenti ‘illegali’ verso il lato opposto alla spiaggia del Borgo. Nonostante ciò, ci consideravano il Paese della ‘puzza’, ma non era vero.

Non rinunciammo mai a giocare all’aperto e d’estate a fare il bagno.

Continua ...

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