All’origine del populismo berlusconiano c’è il consumismo, ancora oggi ne paghiamo le conseguenze politiche ed economiche
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
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Silvio Berlusconi sul palco al Mediolanum Forum, nel giugno 1995 - (foto da it.wikipedia.org) |
Alla fine degli anni Ottanta i partiti da strumenti di mediazione si sono trasformati in mezzi per favorire la carriera dei singoli leader politici. Ed è questo, probabilmente, il disastro più evidente causato dal berlusconismo. La caduta del muro di Berlino, tangentopoli e la grave crisi economica di inizio anni Novanta sono stati i presupposti per la fine del cosiddetto ‘partitismo’. La
degenerazione del sistema politico e la corruzione dilagante favorirono l’affermazione
del populismo.
Il
primo ad approfittare di questo cambiamento è stato Silvio Berlusconi. Il suo
impero economico si è consolidato con le televisioni commerciali. Da
costruttore edile a venditore di pubblicità il passaggio non era scontato.
Senza considerare il fatto che i suoi finanziatori in parte sono rimasti sconosciuti, ma questa è un’altra storia.
La cosiddetta ‘discesa in campo’, avvenuta il 6 gennaio del 1994, è servita a riempire il
vuoto lasciato dai partiti della ‘Prima Repubblica’. Da quel momento la
politica diventa un prodotto da vendere e l’imprenditore di successo il leader
in grado di affrontare e risolvere i problemi dei cittadini. ‘Ghe penso mi’. L’uomo della ‘provvidenza’ che pur di conquistare e mantenere il potere promette
di tutto e di più. Chi non ricorda l’impegno a creare un milione di posti di
lavoro, il taglio delle tasse o la costruzione del ponte sullo stretto di Messina? Con il populismo non contano più gli ideali ed i programmi, ma il
carisma dei leader. Del resto in Italia il terreno era ed è fertile: la maggior parte degli italiani tende spesso a
delegare ad altri le proprie responsabilità.
Il fenomeno ora sta continuando con Matteo Renzi, Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Il loro riferimento è il
popolo. Non esistono più politiche di destra o di sinistra, dicono, ma solo il
benessere dei cittadini. Le mediazioni sono inutili e fanno perdere tempo. Ci
vuole un uomo solo al comando o quasi.
E
non importa se crescono le ingiustizie e le disuguaglianze e se tutto avviene a
debito, scaricando cioè gli oneri sulle generazioni future o su altri.
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