Il
debito pubblico dello Stato italiano continua a crescere sia in valori assoluti
che in rapporto al Pil, ma a pagarne le conseguenze sono solo i lavoratori
di Pulvino Giovanni (@PulvinoGiovanni)
Foto da umbvrei.blogspot.com |
Oggi,
ogni italiano, neonati compresi, è debitore inconsapevole di circa 37 mila euro. L’importo è il risultato della
divisione tra l’ammontare del debito pubblico (circa 2.287 miliardi di euro) ed il numero di cittadini (circa 60 milioni). ‘L’accollo debitorio’ cosi calcolato non tiene conto del
reddito o del patrimonio del singolo cittadino, non fa differenza, cioè, tra un
benestante ed un disoccupato. Ed è evidente che un ipotetico rimborso per il ‘milionario’
costituirebbe una cifra irrisoria, mentre per il disoccupato sarebbe assai
complicato adempiere all’obbligo che ne deriverebbe. Inoltre, è probabile che chi
dispone di risorse finanziarie sia anche possessore di titoli di Stato (Bot,
Cct, ecc.). In tal caso egli, in quanto creditore dell’Erario, percepisce una
rendita finanziaria derivante dalla somma degli interessi e delle plusvalenze che
su di essi maturano. E’ uno dei tanti
paradossi italiani che consentono ad alcuni (ceti medio - alti) di approfittare
di ogni situazione per arricchirsi ed ad altri (ceti medio - bassi) di pagarne
le conseguenze.
Foto da agenziaradicale.it |
Gli unici governi che
dal 1945 ad oggi sono riusciti ad abbassare il debito, almeno in rapporto al
Pil ed operando senza creare traumi finanziari e sociali, sono stati gli
esecutivi di Romano Prodi e quello di Massino D’Alema. Tra il 1996 ed il 2001 il rapporto debito/Pil è sceso dal 120% al 101%.
Quelle politiche economiche consentirono all’Italia di avere buoni tassi di
crescita e di entrare nell’Euro, ma nelle elezioni regionali e, successivamente,
in quelle politiche ad essere premiata è stata la coalizione di Centrodestra. La
serietà ed il ‘buon governo’ non pagarono, ma questa non è una novità. Dal 2002 il debito è tornato a crescere. Anzi
nel 2011 esso era fuori controllo ed il Paese, allora
guidato da Silvio Berlusconi (che per questo fu costretto a dimettersi), era
sull’orlo del default finanziario.
Negli
ultimi diciotto anni i tentativi di risanamento hanno determinato tagli alla spesa pubblica
(pensioni, sanità e scuola) ed incrementi delle entrate tributarie (Ici/Imu,
Iva, ecc..), ma i deficit di bilancio sono cresciuti o sono rimasti pressoché
invariati. L’introduzione dell’Ici, poi abolita dal governo di Silvio Berlusconi
e, successivamente, reintrodotta dal governo di Mario Monti con la
denominazione di Imu, non sono servite ad abbassare il debito, ma solo ad
impedirne una crescita incontrollata. Le altre misure introdotte dai governi di
‘emergenza nazionale’ di Giuliano Amato (1992), Lamberto Dini (1993) e Mario Monti
(2011) hanno riguardato le modalità di accesso e calcolo delle pensioni che
hanno prodotto ingiustizie persino tra i pensionati.
A
pagare il costo del ‘rigore finanziario’ sono stati soprattutto i lavoratori. Le statistiche pubblicate negli
ultimi anni dai vari istituti di ricerca mostrano un aumento delle
disuguaglianze tra le classi sociali e del divario economico tra il Centro –
Nord ed il Sud del Paese. Anzi, i tentativi di risanamento dell’abnorme debito
pubblico creato con decenni di politiche clientelari, con l’inefficienza della
Pubblica Amministrazione e con una corruzione diffusa non solo non hanno intaccato
i patrimoni dei ceti sociali più alti, ma sono stati occasioni per incrementare
le loro ricchezze, mentre il debito pro-capite è di tutti, neonati compresi.
Fonti: Mef,
Istat.it, italiaora.org
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