‘Dopo
aver abitato nella città artificiale del male assoluto è ancora possibile
vivere, amare, sentirsi umani e – cosa più incredibile – liberi dalla
tentazione di odiare per sempre’, Liliana Segre
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
Liliana Segre con il padre Alberto - (foto da wikipedia.org) |
‘Dopo
l’appello che
durava a lungo nella neve - un’ora, due ore - … uscivamo in fila dal campo al
suono dell’orchestra che accompagnava, sinistra, anche le esecuzioni. E con una
marcia forzata arrivavamo alla fabbrica Union … Gli industriali tedeschi hanno beneficiato per anni di manodopera non
pagata … I nostri datori di lavoro potevano contare su un ricambio continuo:
quando una di noi cadeva a terra, sfinita, e non si rialzava più, arrivava
subito un’altra ragazza-nulla a rimpiazzarla. E’ così all’infinito … La maggior
parte … sono morte a causa dei lavori più tremendi: scavare buche conficcando
la vanga nella terra ghiacciata, mentre un altro gruppo le richiudeva subito
dopo; caricare un camion di pietre mentre un altro gruppo le scaricava nello
stesso punto. Lavori persecutori, ideati
affinché gli stück, i pezzi,
durassero il meno possibile’.
Il libro 'Sopravvissuta ad Auschwitz' |
La
selezione - '... le
Kapos ci chiudevano nelle baracche a gruppi, cinquanta - sessanta per volta.
Poi ci portavano nel locale delle docce – quelle vere – nude - … e qui dovevamo
sfilare una dietro l’altra attraversando una grande sala per uscire dall’altra
parte. Sulla porta in fondo alla sala sedeva il piccolo tribunale di vita e di
morte: un medico e due SS. Noi, nude col nostro corpo e nient’altro, dovevamo
presentarci a questa giuria. …. Donne nude, scheletriche, che venivano esaminate davanti, dietro, in bocca, da uomini
in divisa che spesso ordinavano: voltati di nuovo che non ti ho vista bene. Una
femminilità annullata, completamente violata. Bestie al mercato, che venivano osservate, e quando una non andava più
bene ci pensavano il gas e il crematorio a cancellarla dal mondo’.
Janine - … era francese, aveva ventidue o
ventitre anni, occhi azzurri, voce dolce, ricciolini biondi e corti, appena
ricresciuti dopo la rasatura. Andata al
gas ad Auschwitz in un giorno del 1944. Pensiamola un momento, perché nessuno,
tranne me e gli aguzzini, conosce la fine che ha fatto Janine …
27
gennaio 1945 - La marcia della morte -
‘Si svolgeva nel buio: camminavamo quasi sempre di notte perché i nazisti non
volevano far vedere neanche ai civili tedeschi le sembianze di queste migliaia
di persone schiavizzate e annientate, che si spostavano a nord, sempre più a
nord, man mano che i russi si avvicinavano … una lunga fila di disperati, che
si buttavano come pazzi sugli immondezzai alle porte della città. Addentavamo ossa già spolpate, bucce piene
di terra, torsoli marci, letamai dell’immondizia dei tedeschi … Cammina,
cammina, altrimenti muori … Cammina non cadere altrimenti ti uccidono. La vita è fatta così: se cadi qualcuno ti
calpesta e ti uccide moralmente: bisogna sempre avere la coscienza che siamo
fortissimi e che ce la faremo … Eravamo alla fine, ci rendevamo conto che,
se non ci avessero ucciso i nostri aguzzini, saremmo comunque morte nel giro di
una decina di giorni’.
1°
maggio 1945 - La fuga degli aguzzini
e la liberazione - ‘Li guardavamo
sbalorditi: cosa fanno?. Si mettono in
mutande le SS vicino a noi si spogliano, si rivestono da civili e tornano a
essere signori qualsiasi, quelli della banalità
del male (come scrisse Hannah Arendt, non erano né perversi né sadici,
bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali) … Il comandante di quell’ultimo campo, crudele assassino, camminava
vicino a me – non ho mai capito il suo nome, era un uomo alto ed elegante – si spogliò,
rimase in mutande, si rivesti da civile. Tornava a casa dai suoi bambini e da
sua moglie. Certamente non si accorgeva della mia presenza perché io ero una stück, un pezzo. Quando butto la pistola
ai miei piedi, con tutto l’odio che avevo dentro pensai per un istante: adesso
mi chino, prendo la pistola e in questa confusione assoluta lo ammazzo. Mi ero nutrita a lungo
solo di malvagità e di vendetta. Pensai che sparargli fosse l’azione giusta nel
momento giusto, il giusto finale di quella storia di cui ero stata protagonista
e testimone. Ma fu un attimo … Non avrei mai potuto raccogliere la pistola e
sparare al comandante di Malchow. Io avevo sempre scelto la vita. Quando si fa questa scelta non si può
togliere la vita a nessuno. E’ da quel momento sono stata libera’.
Fonte:
Sopravvissuta ad Auschwitz di Emanuela Zuccalà e wikipedia.org
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