sabato 27 luglio 2024

Il campetto era in terra battuta

È lì da tempo, è sbiadito, magari è anche nella memoria di altri, di certo è un dolce ricordo e non posso non condividerlo

di Giovanni Pulvino

Il campo di calcetto dei torremuzzari - (Foto di Antonino Ciccia)

Il calcio era oggetto di discussioni infinite, tutti avevano qualcosa da dire, era condivisione per torremuzzari e ‘nzunsari. Per diversi anni abbiamo organizzato tornei di calcetto a cui partecipavano le formazioni dei paesi vicini. La caratteristica particolare era il campo in terra battuta che richiedeva tanto impegno sia per togliere le erbacce, sia per limitare la polvere che inevitabilmente si alzava giocando. In tanti partecipavano all'organizzazione, dagli operai dello stabilimento che ci fornivano l'acqua per innaffiare il campo, a coloro che erano impegnati a recuperare il pallone, a chi doveva fare l'arbitro. Quell'impegno con il tempo venne meno, ma era inevitabile. 

Non c'era un pomeriggio che non facessimo una partita.

Un anno organizzammo anche il torneo femminile. La squadra del borgo era composta da giocatrici della frazione con qualche torremuzzara a tempo determinato. Qualcuna preferì non giocare, si limitò ad assistere agli allenamenti e alle partite. Erano troppo scarse? Si vergognavano o, più semplicemente, non gli piaceva il gioco del calcio?

Non dovete andare tutte dietro al pallone. Dovete tenere le posizioni assegnate’. Ma era fiato sprecato. Seguire la palla è un errore che non si deve fare quando si gioca a calcio. A spostarsi sul campo deve essere il pallone, i giocatori o le giocatrici non devono andarci dietro, non tutti/e almeno.

Il desiderio di giocare non è sufficiente, la buona volontà non basta.

Ognuno ha un ruolo e deve rispettarlo. Il calcio è un gioco collettivo’. E non è consentita la confusione, ma in certi momenti era tanta. ‘Tenete la posizione’. Niente da fare, era più forte di loro, l’istinto a seguire il pallone prevaleva sui richiami.

Spirito di volontà e sacrificio non mancavano. L’unico schema possibile era quello di riuscire a fargli tenere le posizioni, ma le indicazioni date ripetutamente spesso non venivano rispettate.

L’individualismo è ammesso, ma solo se è funzionale al gioco di squadra.

Quel pomeriggio di luglio c’era quasi tutta la frazione. Non c'erano le mamme, anche in questo caso gli era precluso un avvenimento che coinvolgeva gran parte del borgo. Fu per abitudine? Per il ruolo che gli era stato assegnato? O semplicemente perché erano impegnate nelle faccende di casa? Di certo è stata una privazione ed una mancanza nella loro e nella nostra vita di torremuzzari. Anche di questo mi sento in colpa e non so il perché.

Potevamo vincere il torneo. Le proteste del pubblico per il mancato fischio dell’arbitro a seguito di uno scontro tra due giocatrici erano giustificate. Il sangue che usciva dal naso di una di loro fece infuriare alcuni spettatori.

Perdemmo quella partita, ma quei giorni furono pieni di gioia, di vita, di felicità.

Se avessi osato di più invertendo le posizioni in campo il risultato sarebbe stato diverso? È un dubbio che coltivo ancora oggi, anche se non serve a nulla.

Ci sono momenti che determinano il senso del nostro breve ed inutile percorso, e, quel che è peggio, non possiamo tornare indietro per cambiarlo.

È lì. È rimarrà così nella memoria di chi c’è ancora, poi non sarà più nulla. Un vuoto a perdere come avveniva una volta con le bottiglie di birra non restituite, come il non detto che avresti voluto dire, come scrivere pensieri anche se non ne comprendi il perché, come il non senso di un tempo che non ti appartiene più.

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