lunedì 3 giugno 2019

I paradisi fiscali sono anche nell'Unione europea

Oggi il principale problema dell’Unione europea è la mancata armonizzazione dei sistemi fiscali nazionali, anzi alcuni Paesi membri sono veri e propri paradisi fiscali

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Foto da permessidisoggiorno.it
Nella campagna elettorale per l'elezione del Parlamento europeo si è parlato molto della possibile deriva sovranista, ma poco o nulla dei programmi delle singole formazioni politiche. Si è ripetuto più volte della necessità di cambiare l'Unione europea, ma poco su come questo cambiamento dovrebbe avvenire. Le opzioni politiche sono sostanzialmente due: limitare i poteri dell’Unione europea o trasformala in un ente federale. Sulla prima ipotesi non c'è molto da dire, si tratterebbe, infatti, di tornare ai nazionalismi e, purtroppo, sappiamo quanti danni essi hanno fatto nel corso del Novecento. Un ritorno al passato oltreché deleterio è, quindi, assai improbabile.
I fautori della seconda opzione auspicano, invece, un’accelerazione del processo di integrazione tra gli Stati membri. Essi vogliono aumentare i poteri dell'Unione europea, ma questo può avvenire solo riducendo le materie di competenza delle singole sovranità nazionali. In particolare, tra gli Stati che hanno adottato la stessa moneta: l’Euro. La sua introduzione, avvenuta nel febbraio del 2002, è stata utile per la stabilità monetaria, ma non ha favorito la crescita e lo sviluppo economico di tutti gli Stati aderenti. A trarre maggiori vantaggi sono stati i Paesi più virtuosi nella gestione della cosa pubblica, mentre quelli del sud Europa, meno attenti al rigore nei loro bilanci pubblici, stanno avendo problemi economici e sociali.
Le responsabilità ovviamente non sono solo dei singoli governi, ma anche delle regole e dei paletti introdotti per aderire all’Euro. Alcune storture sono evidenti. Oltre alla diversa gestione delle risorse pubbliche ed al mancato rispetto dei parametri di Maastricht ci sono ragioni politiche. La più importante è non aver previsto e realizzato l'armonizzazione dei sistemi fiscali. E’ evidente infatti che sistemi tributari diversi creano squilibri economici ed ingiustizie sociali. 
L’Ong Oxfam ha denunciato ‘i paradisi fiscali’ che hanno sede nel Vecchio Continente. Non solo Svizzera, Repubblica di San Marino e Principato di Monaco, ma anche Stati membri dell’Ue, come Malta, Cipro, Olanda, Irlanda e Lussemburgo sono veri e propri paradisi fiscali. L’Onlus denuncia che l‘80% dei proventi sottratti alla tassazione per effetto di pratiche di profit shifting (l'insieme di strategie di natura fiscale che talune imprese attuano per erodere la base imponibile e dunque sottrarre imposte al fisco) finiscono nei paradisi fiscali dell’UE. Nel 2015 con questa pratica, calcola l'Oxfam, circa 210 miliardi di dollari sono finiti in Lussemburgo, Irlanda ed Olanda.
In tanti Paesi dell’UE sono in vigore sistemi tributari di favore che penalizzano gli altri Stati. Da qui le delocalizzazioni produttive, delle sedi legali e fiscali delle imprese con relativa perdita di gettito tributario, di posti di lavoro e di Know-how per i Paesi con tassazioni più alte. Quindi, se l’Ue vuole continuare nel processo di integrazione, non può non armonizzare i sistemi fiscali in modo da garantire a tutti i Paesi membri le spesse entrate fiscali e le stesse opportunità di sviluppo. 
I due vicepremier del governo ‘Pentaleghista’ anziché fare battute o demonizzare le istituzioni europea dovrebbero impegnarsi per la realizzazione di questa riforma, questa sì che sarebbe un atto rivoluzionario, ma i dubbi sul loro impegno sono più che legittimi.

Fonte oxfam.it

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