Oggi
il principale problema dell’Unione europea è la mancata armonizzazione dei sistemi fiscali
nazionali, anzi alcuni Paesi membri sono veri e propri paradisi fiscali
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
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Foto da permessidisoggiorno.it |
Nella
campagna elettorale per l'elezione del Parlamento europeo si è parlato molto
della possibile deriva sovranista, ma poco o nulla dei programmi delle singole
formazioni politiche. Si è ripetuto più volte della necessità di cambiare
l'Unione europea, ma poco su come questo cambiamento dovrebbe avvenire. Le
opzioni politiche sono sostanzialmente due: limitare i poteri dell’Unione
europea o trasformala in un ente federale. Sulla prima ipotesi non c'è molto da dire, si tratterebbe,
infatti, di tornare ai nazionalismi e, purtroppo, sappiamo quanti danni essi hanno fatto nel corso del Novecento. Un ritorno al passato oltreché deleterio è, quindi, assai improbabile.
I
fautori della seconda opzione auspicano, invece, un’accelerazione del processo di
integrazione tra gli Stati membri. Essi vogliono aumentare i poteri dell'Unione europea, ma questo può avvenire solo riducendo le materie di competenza delle singole sovranità nazionali. In particolare, tra gli Stati che hanno
adottato la stessa moneta: l’Euro. La sua introduzione, avvenuta nel febbraio
del 2002, è stata utile per la stabilità monetaria, ma non ha favorito la
crescita e lo sviluppo economico di tutti gli Stati aderenti. A trarre maggiori
vantaggi sono stati i Paesi più virtuosi nella gestione della cosa pubblica,
mentre quelli del sud Europa, meno attenti al rigore nei loro bilanci pubblici,
stanno avendo problemi economici e sociali.
Le
responsabilità ovviamente non sono solo dei singoli governi, ma anche delle regole e dei paletti introdotti per aderire all’Euro. Alcune storture sono evidenti. Oltre
alla diversa gestione delle risorse pubbliche ed al mancato rispetto dei parametri di Maastricht
ci sono ragioni politiche. La più importante è non aver previsto e realizzato l'armonizzazione dei
sistemi fiscali. E’ evidente infatti che sistemi tributari diversi creano
squilibri economici ed ingiustizie sociali.
L’Ong Oxfam ha denunciato ‘i paradisi fiscali’ che hanno sede nel Vecchio Continente.
Non solo Svizzera, Repubblica di San Marino e Principato di Monaco, ma anche
Stati membri dell’Ue, come Malta, Cipro, Olanda, Irlanda e Lussemburgo sono
veri e propri paradisi fiscali. L’Onlus denuncia che l‘80% dei proventi sottratti alla tassazione per effetto di
pratiche di profit shifting (l'insieme di strategie di natura fiscale che
talune imprese attuano per erodere la base imponibile e dunque sottrarre
imposte al fisco) finiscono nei paradisi fiscali dell’UE. Nel 2015 con questa
pratica, calcola l'Oxfam, circa 210 miliardi di dollari sono finiti in
Lussemburgo, Irlanda ed Olanda.
In
tanti Paesi dell’UE sono in vigore sistemi tributari di favore che penalizzano
gli altri Stati. Da qui le delocalizzazioni produttive, delle sedi legali e
fiscali delle imprese con relativa perdita di gettito tributario, di posti di
lavoro e di Know-how per i Paesi con tassazioni più
alte. Quindi, se l’Ue vuole continuare nel processo di integrazione, non può
non armonizzare i sistemi fiscali in modo da garantire a tutti i Paesi membri
le spesse entrate fiscali e le stesse opportunità di sviluppo.
I due vicepremier del governo ‘Pentaleghista’ anziché fare battute o demonizzare
le istituzioni europea dovrebbero impegnarsi per la realizzazione di questa
riforma, questa sì che sarebbe un atto rivoluzionario, ma i dubbi sul loro impegno sono più che legittimi.
Fonte oxfam.it
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