mercoledì 1 agosto 2018

Anche gli immigrati lasciano il Sud

La crescita dell’economia meridionale nel triennio 2015-2017 ha consentito di recuperare solo parzialmente quanto disperso dalla crisi, a sostenerlo sono le Anticipazioni del Rapporto Svimez 2018 sull’economia e la società del Mezzogiorno

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)


Foto da svimez.it
Nel 2017 nel Mezzogiorno il Pil è aumentato dell’1,4%, lo 0,6% in più rispetto al 2016. La ripresa è stata trainata soprattutto dagli investimenti privati (+3,9%). Tuttavia, rispetto ai livelli pre-crisi il dato rimane inferiori del -31,6% (al Centro-Nord del -20%). La spesa pubblica invece, nel periodo 2007-2017, è diminuita del -7,1% nel Mezzogiorno, mentre è cresciuta dello 0,5% nel resto del Paese.
Tuttavia, sostiene Svimez, tra Nord e Sud del Paese c’è una stretta interdipendenza. Lo dimostrerebbe il fatto che le due aree geografiche hanno fatto registrare negli ultimi dieci anni variazioni simili nell’andamento del Pil pro capite. Inoltre, ‘20 dei 50 miliardi circa di residuo fiscale trasferito alle regioni meridionali dal bilancio pubblico ritornano al Centro - Nord sotto forma di domanda di beni e servizi’.
La crescita economica registrata negli ultimi anni non è stata sufficiente a ridurre le disuguaglianze sociali. Nel 2017 l’occupazione nel Mezzogiorno è cresciuta di 71 mila unità (+1,2%), al Nord di 194 mila unità (+1.2%), ma al Sud è ancora insufficiente a colmare la perdita di posti di lavoro avvenuta con la crisi. Rispetto al 2008 l’occupazione è inferiore di 310 mila unità, mentre nello stesso periodo nelle regioni centro - settentrionali è superiore di 242 mila unità. Nel Sud i nuovi posti di lavoro riguardano soprattutto i contratti a termine (+61mila), mentre rimangono fermi quelli a tempo indeterminato (+0,2%).
‘Il numero di famiglie meridionali con tutti i componenti in cerca di occupazione è raddoppiato tra il 2010 ed il 2018, è passato da 362 mila unità a 600 mila (nel Centro - Nord sono 470 mila)’. Essi si concentrano soprattutto nelle zone periferiche, dove si registra una situazione di ‘crescente emarginazione e degrado sociale’. In particolare è in aumento il fenomeno dei working poors, cioè del lavoro a bassa retribuzione determinato dalla dequalificazione delle occupazioni e dal part time involontario.
Nel 2017 la popolazione italiana (60 milioni e 660 mila unità) è diminuita di 106 mila unità. La riduzione (-203 mila unità) non è compensata dall’aumento di stranieri, + 97mila unità. Nel 2017 nel Centro - Nord risiedevano 4.272 mila stranieri, al Sud 872 mila. Anche gli immigrati appena possono abbandonano il Meridione. Sbarcano in prevalenza sulle coste delle regioni del Sud, ma, appena hanno l’opportunità, si spostano nelle regioni settentrionali o vanno all’estero.
Negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883 mila residenti. Si tratta prevalentemente di giovani con età compresa tra 15 e 34 anni, quasi un quinto dei quali sono laureati, il 16% si è trasferito all’estero. Sono tornati al Sud in 800 mila. Tra il 2012 ed il 2016 il saldo netto è stato negativo di 783 mila unità, di cui 220 mila laureati.
Ai cittadini del Meridione, nonostante una pressione fiscale simile o superiore rispetto al resto del Paese, sono negati alcuni diritti fondamentali come la sicurezza, servizi sanitari adeguati e vivibilità ambientale. I dati sulla mobilità ospedaliera sono allarmanti ed evidenziano le carenze del sistema sanitario nel Mezzogiorno. I malati della Calabria, della Campania e della Sicilia spesso sono costretti ad ‘emigrare’ in altre regioni, in particolare in Lombardia ed Emilia Romagna. 
Il Rapporto Svimez è un’ulteriore conferma del divario economico e sociale tra Centro - Nord e Sud Italia, ma per il 'governo del cambiamento' il problema sono i migranti che vengono dall’Africa e non i meridionali che sono costretti ad emigrare anche per farsi curare.  

Fonte svimez.it

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