L’analisi
del voto delle primarie del Pd evidenzia un calo consistente di partecipanti ed
una riduzione notevole dei consensi ottenuti dal nuovo segretario
di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)
Denis Verdini e Matteo Renzi - (foto da ilfattoquotidiano.it) |
Nel
2007 i votanti alle primarie del Partito democratico furono 3.545.894, nel 2009
scesero a 3.049.266, nel 2013 a 2.805.775 e in quelle di domenica scorsa a
1.833.134. La
diminuzione è stata costante, ma la più consistente e significativa politicamente è stata quella di tre giorni fa, dove il calo è stato di 972.124 votanti. La scissione
di una parte del Pd ed il crollo di consensi attorno alla figura dell’ex
sindaco di Firenze hanno prodotto i loro effetti. La diminuzione ha riguardato soprattutto le regioni del centro e del nord
Italia, che hanno fatto registrare una riduzione media del 41,58%. Più limitato
il calo nel meridione, dove è stato del 16,80%. A livello nazionale tra il 2013
ed il 2017 la diminuzione è stata del 34,67%.
Renato Brunetta, Angelino Alfano e Silvio Berlusconi (foto da corriere.it) |
In
percentuale i consensi al nuovo segretario sono aumentati, ma in termini
assoluti sono calati di molto, soprattutto nelle regioni del centro e del nord
Italia (-45,95%). Quattro anni fa Renzi ottenne 1.895.332 voti, mentre domenica
scorsa si è fermato a 1.283.389, con una diminuzione di oltre 600 mila voti (-32,29%). Questi dati ci dicono che la ‘trionfale’ vittoria di Matteo Renzi in realtà è stata un mezzo flop.
Esso è ancora più evidente se consideriamo il fatto che i
suoi due contendenti non sono apparsi come veri antagonisti, ma piuttosto come
‘spalle’ in una recita già scritta.
E fa sorridere la richiesta di un nuovo conteggio dei voti da parte
dell’attuale Ministro della Giustizia, Andrea Orlando. L’obiettivo
di queste primarie era uno solo: la ‘rinascita’ politica di Matteo Renzi dopo la pesante sconfitta nel
referendum costituzionale e nelle elezioni amministrative. Ora, il neo
segretario ha la strada spianata, almeno all’interno del Pd, mentre il percorso
da fare per un ritorno a Palazzo Chigi appare ancora lungo e pieno di ostacoli.
La
storia politica italiana ci insegna
che tutte le volte che la Destra o la Sinistra si sono presentate divise hanno
perso le elezioni. Non s’illudano i renziani sulla possibilità di essere
autosufficienti, senza Massimo D’Alema, Pier Luigi Bersani, e tra poco Giuliano Pisapia, al Pd non resteranno che Denis Verdini, Angelino Alfano e Renato Brunetta. A quel punto la metamorfosi ‘moderata’
dei democratici di Renzi sarà compiuta in modo irreversibile.
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