mercoledì 3 maggio 2017

Primarie Pd: la ‘trionfale‘ vittoria di Matteo Renzi in realtà è stata un mezzo flop

L’analisi del voto delle primarie del Pd evidenzia un calo consistente di partecipanti ed una riduzione notevole dei consensi ottenuti dal nuovo segretario

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Denis Verdini e Matteo Renzi - (foto da ilfattoquotidiano.it)
Nel 2007 i votanti alle primarie del Partito democratico furono 3.545.894, nel 2009 scesero a 3.049.266, nel 2013 a 2.805.775 e in quelle di domenica scorsa a 1.833.134. La diminuzione è stata costante, ma la più consistente e significativa politicamente è stata quella di tre giorni fa, dove il calo è stato di 972.124 votanti. La scissione di una parte del Pd ed il crollo di consensi attorno alla figura dell’ex sindaco di Firenze hanno prodotto i loro effetti. La diminuzione ha riguardato soprattutto le regioni del centro e del nord Italia, che hanno fatto registrare una riduzione media del 41,58%. Più limitato il calo nel meridione, dove è stato del 16,80%. A livello nazionale tra il 2013 ed il 2017 la diminuzione è stata del 34,67%.
Renato Brunetta, Angelino Alfano e Silvio Berlusconi
(foto da corriere.it)
In percentuale i consensi al nuovo segretario sono aumentati, ma in termini assoluti sono calati di molto, soprattutto nelle regioni del centro e del nord Italia (-45,95%). Quattro anni fa Renzi ottenne 1.895.332 voti, mentre domenica scorsa si è fermato a 1.283.389, con una diminuzione di oltre 600 mila voti (-32,29%). Questi dati ci dicono che la ‘trionfale’ vittoria di Matteo Renzi in realtà è stata un mezzo flop.
Esso è ancora più evidente se consideriamo il fatto che i suoi due contendenti non sono apparsi come veri antagonisti, ma piuttosto come ‘spalle’ in una recita già scritta. E fa sorridere la richiesta di un nuovo conteggio dei voti da parte dell’attuale Ministro della Giustizia, Andrea Orlando. L’obiettivo di queste primarie era uno solo: la ‘rinascita’ politica di Matteo Renzi dopo la pesante sconfitta nel referendum costituzionale e nelle elezioni amministrative. Ora, il neo segretario ha la strada spianata, almeno all’interno del Pd, mentre il percorso da fare per un ritorno a Palazzo Chigi appare ancora lungo e pieno di ostacoli.
La storia politica italiana ci insegna che tutte le volte che la Destra o la Sinistra si sono presentate divise hanno perso le elezioni. Non s’illudano i renziani sulla possibilità di essere autosufficienti, senza Massimo D’Alema, Pier Luigi Bersani, e tra poco Giuliano Pisapia, al Pd non resteranno che Denis Verdini, Angelino Alfano e Renato Brunetta. A quel punto la metamorfosi ‘moderata’ dei democratici di Renzi sarà compiuta in modo irreversibile.

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