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venerdì 5 settembre 2025

Le guerre dimenticate

'Ogni guerra ha una costante: il 90% delle vittime sono civili, persone che non hanno mai imbracciato un fucile. Che non sanno neanche perché gli arriva in testa una bomba. Le guerre vengono dichiarate dai ricchi e potenti, che poi ci mandano a morire i figli dei poveri', Gino Strada

di Giovanni Pulvino

Gaza - (foto da Emergency)

Ho chiesto a Copilot (Ai di Microsoft) di fare un elenco dei conflitti oggi in atto nel mondo, ecco la risposta: ‘Purtroppo, il numero è in crescita: si contano 56 conflitti in corso, il dato più alto dalla Seconda Guerra Mondiale’. Vediamone alcuni.

Europa ed Asia Centrale: guerra tra Russia e Ucraina iniziata nel 2022 che sta causando gravi perdite umane e instabilità regionale; Nagorno-Karabakh, nonostante il cessate il fuoco, sono persistenti le tensioni tra Armenia e Azerbaigian.

Medio Oriente: occupazione israeliana della Palestina; Siria, dopo la caduta di Assad, è frammentata e instabile; Yemen, guerra civile tra il governo e i ribelli Houthi.

Africa: Sudan, 150.000 vittime nel conflitto tra Esercito e Forze di Supporto Rapido; Sahel (Mali, Burkina Faso e Niger), continui attacchi Jihadisti e conflitti etnici; Etiopia nella regione del Tigray, scontri etnici e tensioni post-belliche; Somalia, attacchi del gruppo al-Shabaab.

Asia: in Myanmar dopo il colpo di Stato del 2021 è in corso la guerra civile con milioni di sfollati; Afghanistan, in alcune regioni è attiva la resistenza armata contro il governo talebano.

America latina: Messico, continua il conflitto tra i cartelli della droga e le forze di sicurezza; ad Haiti e Venezuela episodi di violenza armata.

L'elenco è lungo ed è difficile riportare tutti i conflitti in corso, come è difficile contare i morti ed i feriti che stanno provocando.

Le vittime registrate nel 2022 sono state 153.100, nel 2023 sono state 170.700, per il 2024 le proiezioni prevedono un aumento del 30%, cioè circa 230.000 decessi.

L’Ufficio del Rappresentante Speciale del Segretario Generale delle Nazioni Unite segnala un costante aumento dei decessi di minorenni, se ne contano oltre 11.600, tra vittime e mutilati, nel solo 2023.

In Palestina si contano oltre 67.000 morti a cui si dovranno aggiungere quelli che sono sotto le macerie. Di questi oltre l’83% sono civili e secondo alcune fonti i bambini rimasti uccisi sono oltre 17mila. I deceduti per fame secondo l’ONU sarebbero centinaia, ma il numero cresce ogni giorno. I feriti sono oltre 155.000.

Non sappiamo quanti morti e mutilati sta provocando la guerra tra Russia e Ucraina. E forse non lo sapremo mai.

A causa dei conflitti oltre 100 milioni di persone sono state costrette a migrare.

Quanto altro dolore dobbiamo provocare prima di comprendere che le guerre non servono a nulla, ma perché continuiamo a farle? Perché?

Fonte Copilot

sabato 3 maggio 2025

Gaza, li vogliono affamare tutti

Da due mesi Israele blocca completamente l’entrata di cibo e medicine a Gaza. Le scorte sono quasi esaurite e le cucine delle organizzazioni internazionali potrebbero chiudere entro due settimane

di Giovanni Pulvino


Immagine aerea/drone del governatorato di Gaza
settentrionale. Credit: Alef Multimedia Company/Oxfam
La Striscia di Gaza è popolata da oltre 2 milioni di persone, la maggior parte sono rifugiati e discendenti dai palestinesi sfollati nel 1948. Il 50% sono bambini. Dal 2007 subisce il blocco terrestre e marittimo imposto da Israele. La situazione è peggiorata dopo il 7 ottobre 2023. Da quel giorno Gaza ha subito bombardamenti continui da parte dell’esercito israeliano. Gli attacchi hanno causato la distruzione di intere città ed oltre 50.000 morti. Interi quartieri sono stati rasi al suolo. ‘La popolazione è costretta a cucinare bruciando i rifiuti’. Secondo Oxfam ‘700.000 persone vivono senza accesso diretto all’acqua, con infrastrutture idriche e sanitarie distrutte e un altissimo rischio di epidemie’.

La ‘devastazione è sistematica’. La chiusura dei valichi sta bloccando l’ingresso di ‘forniture mediche, cibo e carburante’. Negli ospedali mancano ventilatori, incubatrici e farmaci salvavita.

Secondo la Croce Rossa le ‘operazioni umanitarie sono sull’orlo del collasso’.

Non solo, Israele ha attaccato in acque internazionali (vicino Malta) la nave umanitaria Freedom Flotilla. È un atto senza precedenti. Netanyahu non si ferma davanti a nulla, sta usando la fame come arma contro Gaza, dove da 60 giorni non entra cibo. Questa non è una guerra, di fronte all’esercito israeliano non c’è un altro esercito, ma un popolo perseguitato da oltre settant’anni. È la prosecuzione della Nakba (che in arabo vuol dire ‘catastrofe’), che ha costretto nel 1948 all’esodo forzato circa 700.000 palestinesi. Un’intera comunità fu costretta a fuggire dalle proprie case e la maggior parte non ha potuto farvi ritorno. 

Quello di oggi cos’è? È un genocidio, è pulizia etnica, è l’ennesima occupazione di territori palestinesi? L’attacco terroristico di Hamas del 7ottobre 2023 può giustificare tutto questo?

I nostri governanti, italiani ed europei, continueranno a tacere o condanneranno questo crimine?

Free Palestine, Palestina libera’ hanno gridato più che cantato I Patagarri dal palco del Concertone del Primo Maggio, ma per la comunità ebraica italiana è stato un atto ‘ignobile’. 

Dove vogliono arrivare? I palestinesi come gli israeliani hanno diritto ad una vita dignitosa, ma quello che sta avvenendo non è degno dell’uomo, soprattutto se è compiuto da chi ha subito la tragedia della Shoah.

Fonte oxfamitalia.org

martedì 26 novembre 2024

Sinner vs Bagnaia ed i paradisi fiscali

'Pago le tasse come tutti, è normale. È giusto. Rispetto le regole. La vita mi ha dato più di quanto abbia dato ad altri. Non dimentico che c'è chi vive in condizioni difficili’, Pecco Bagnaia

di Giovanni Pulvino

Pecco Bagnaia e Jannik Sinner (foto da sportal.it)

Poche settimane fa il giovane tennista Jannik Sinner ha annunciato di voler fondare con i 6 milioni vinti al Six Kings Slam un’associazione benefica. Ecco cosa ha dichiarato: ‘Una Fondazione. Ancora non posso anticipare nulla perché stiamo perfezionando gli ultimi dettagli, ma tra poco la annunceremo e sono molto contento di poter essere utile per fare del bene. Ogni giocatore ha una visione un po’ diversa sul come aiutare persone, animali, natura. Ma è un punto molto importante per chi sta nella nostra posizione’.

Il numero uno al mondo del tennis ha trasferito la sua residenza nel principato di Monaco. La giustificazione sarebbe pratica, sarebbe cioè il luogo più adatto per allenarsi. Lì risiedono altri campioni del tennis e pertanto sarebbe più comodo prepararsi per le gare.

Il giovane altoatesino sorvola sul fatto che nel Principato non paga nessuna imposta sul reddito personale. Ovviamente non è il solo. Il sistema fiscale dei paesi dell'Unione europea lo permette. Ed è così che tanti miliardari o milionari e tante imprese, anche pubbliche, hanno trasferito la residenza nei cosiddetti paradisi fiscali, presenti anche nel Vecchio continente. La motivazione è per tutti solo ed esclusivamente fiscale.

Negli stessi giorni il motociclista Pecco Bagnaia ha dichiarato a la Repubblica: ‘Sto bene dove sto. Da noi la qualità di vita è altissima. In nessun'altra parte del mondo si vive come in Italia. Pago le tasse come tutti, è normale. È giusto. Rispetto le regole. La vita mi ha dato più di quanto abbia dato ad altri. Non dimentico che c'è chi vive in condizioni difficili’.

Due italiani, due campioni dello sport, uno paga le tasse in Italia, l’altro trasferisce la residenza nel principato di Monaco per non pagarle. Entrambi suscitano l’ammirazione dei tifosi italiani e non solo, di certo sono talenti come ce ne sono pochi, eppure sono diversi. Sinner pur non rinnegando, e come potrebbe, la sua italianità e mostrando attaccamento alla maglia azzurra, rimane un individualista, un leader dal cuore d’oro che sente il bisogno di fondare un’associazione benefica, ma che non intende contribuire alle spese dello Stato italiano.

L’altro non dimentica ‘chi vive in condizioni difficili e mostra fiducia nell’organizzazione pubblica, nella necessità dello Stato sociale e della redistribuzione della ricchezza.

Sono due campioni, ma non sono uguali, uno dei due è anche un uomo che pensa al bene comune. Da un lato la rivendicazione sia pure con modi garbati del privilegio della ricchezza, dall’altro il pensiero a chi resta indietro e non ce la fa da solo. 

Continueremo a tifare per entrambi, ma solo Pecco Bagnaia ci farà sentire orgogliosi di essere italiani e di essere cittadini del mondo. 


martedì 4 aprile 2023

Le stragi e le sparatorie negli Usa non sono casuali

Il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non può essere infranto’, questo è quanto stabilisce il secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America

di Giovanni Pulvino

Il presidente degli Usa Joe Biden
Negli Usa le armi si possono comprare al ‘supermercato’. Ogni americano è armato. Non c'è da meravigliarsi, quindi, se qualcuno decide di farsi giustizia da solo o spera di diventare famoso facendo una strage. 
Le dichiarazioni fatte dai presidenti democratici sulla necessità di approvare una legge che limiti l’acquisto delle armi appaiono retoriche ed inutili. I buoni propositi durano un paio di giorni, poi più nulla fino alla strage successiva.

Dall’inizio del 2023 negli Stati Uniti d’America ci sono state 129 sparatorie, una al giorno. L’ultima in ordine di tempo quella nella Covenant School di Nashville, in Tennessee, dove una giovane ventottenne transgender imbracciando due fucili ed una pistola prima di essere uccisa dalla polizia ha assassinato tre piccoli alunni delle elementari e tre adulti.

È una storia che si ripete.

Dal 1999 ad oggi nelle scuole americane sono state uccise oltre 175 persone.

Il 25 maggio del 2022 un ragazzo di 18 anni, Salvador Ramos, ha ucciso a sangue freddo diciannove bambini e due adulti nella scuola elementare di Uvalde, in Texas.

Il 25 gennaio 2023 in California ci sono state tre sparatorie in meno di 72 ore. Un settantaduenne ha ucciso 11 persone che festeggiavano il capodanno cinese, un altro killer anziano di origine asiatica ha assassinato sette uomini in una fattoria ed una donna è stata gravemente ferita. Sempre in California ad Oakland un uomo ha ucciso una persona e ne ha ferite altre sette.

Le stragi e le sparatorie in America non sono casuali. E non hanno nulla a che fare con la criminalità organizzata. Sono opera di ‘normali’ cittadini. Per noi europei è incomprensibile, ma per la maggior parte degli americani andare in giro armati è 'legittimo' oltreché necessario.

Negli Usa circolano più armi che persone. Il secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America stabilisce: ‘Il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non può essere infranto’.

Non è solo un interesse economico dei fabbricanti di armi è anche e soprattutto un fatto culturale.

Gli Usa sono una superpotenza economica e militare e si ritengono una grande 'Democrazia', ma, nonostante ciò, restano uno dei Paesi dove i diritti civili e sociali non sono pienamente affermati. Non rappresentano cioè un valore primario. Prima viene la libertà di fare profitti, poi, dopo, tutto il resto. Il diritto alla salute, ad una retribuzione dignitosa, all’uguaglianza tra bianchi e neri e, persino, il diritto alla vita sono secondari rispetto al 'business' delle armi.

La cultura di un Paese si misura con la sua capacità a garantire i diritti fondamentali dei suoi cittadini ed in questo gli Usa hanno molto da imparare da altri popoli e non solo da quello europeo.

martedì 24 maggio 2022

La NATO andrebbe abolita non allargata, ecco perché

‘Un giorno non ce l’ho più fatta. Ho sentito il bisogno di scoprire l’altra faccia del mondo, di andare a fare il chirurgo di guerra. Poi non è stato possibile tornare sui miei passi: avevo visto troppo dolore, troppe ingiustizie', Gino Strada

di Giovanni Pulvino

A sinistra in blu i paesi europei aderenti alla Nato oggi,
a destra quelli aderenti nel 1989

La volontà della Svezia e della Finlandia di entrare nella NATO non sorprende. Il conflitto tra la Russia e l’Ucraina sta preoccupando tutti i paesi europei che sono al confine con il ‘gigante’ russo e non solo, ma la richiesta di protezione militare è, per i due paesi scandinavi, una novità assoluta. Finora la ‘neutralità’ era stata un segno distintivo della loro cultura pacifista.

Le legittime preoccupazioni dei leader del Vecchio Continente sono la logica conseguenza dell’invasione dell’Ucraina. Per i russi invece la guerra sarebbe stata determinata dal tentativo degli americani di allargare la loro influenza politica e militare. L'obiettivo strategico sarebbe quello di indebolire ed isolare la Russia.

Se si guarda la mappa dell'Europa con i paesi aderenti al Patto Atlantico di oggi e la si confronta con quella del 1989 la preoccupazione è 'giustificata'. Il ‘soccorso’ alle aree russofone e l’espansionismo della Nato sarebbero, secondo Vladimir Putin, i motivi dell'invasione dell'Ucraina. Sono, in fondo, le stesse argomentazioni utilizzate per giustificare le politiche estere 'imperialiste' adottate dagli Usa e dalla Cina o da qualunque altra superpotenza mondiale. 

In tutto questo l’Europa, ancora una volta, ha un ruolo subalterno.

La domanda che dovremmo porci come europei è: ma la guerra a chi conviene? Ed ancora, cosa non abbiamo fatto per evitare questa tragedia? E cosa possiamo fare per fermare il conflitto?

Ai primi due interrogativi ormai è inutile rispondere, ma il terzo è dirimente. L’impressione è che non si stia facendo abbastanza per favorire la pace, anzi parteggiare pedissequamente per una parte può solo acuire la tensione o addirittura provocare una escalation del conflitto.

Negli anni Settanta si contestava la NATO che, come tutti sanno, è un’organizzazione militare. Farne parte vuol dire consentire al Pentagono e all’esercito americano di installare sul proprio territorio nazionale armi atomiche e reparti militari pronti alla guerra, ma la guerra contro chi? 

Negli anni Ottanta c’erano manifestazioni oceaniche per la pace e contro l’installazione di ordigni nucleari, oggi li invochiamo.

Fino al 1989, anno della caduta del muro di Berlino, il Patto Atlantico aveva una sua logica militare, ma da allora, con il disfacimento dell’Unione sovietica, che senso ha?

La NATO da chi ci dovrebbe difendere? Non c’è un pericolo ‘russo’, come non c’è un pericolo cinese o arabo. È tutta propaganda. Ed in ogni caso lo si può fare senza ricorrere alla violenza.

Le guerre hanno sempre portato morte e distruzione, i conflitti si risolvono con il dialogo e la condivisione, non con le armi. Quella guidata dai generali americani è un'organizzazione che andrebbe abolita, non allargata. La sua esistenza si giustifica solo per confermare e possibilmente allargare l’egemonia politica degli Stati Uniti d’America. 

E non dimentichiamoci che con l’invio di armi all’Ucraina siamo diventati un Paese co-belligerante in piena violazione dell’articolo 11 della Costituzione che è chiarissimo ma spesso lo dimentichiamo: ‘L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo’.

Fonte senato.it

 


lunedì 19 agosto 2019

Bang bang e ‘American first’

Bang bang non è solo il titolo di una popolare canzone degli anni Sessanta, è anche il rumore che fanno le armi quando vengono utilizzate e negli Usa questo avviene spesso, troppo spesso

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Donald Trump - (foto da globalproject.info)
Il tre agosto scorso diciotto persone sono morte e dieci sono rimaste ferite nella sparatoria al Walmart a El Paso, in Texas. Tra le vittime sei bambini. Arrestati tre sospetti. Due giorni prima sono stati uccisi due impiegati di Walmart nel Mississippi. Il sabato precedente un 19enne italo-iraniano, con simpatie suprematiste, ha sparato sulla folla a un festival in California: morti un bimbo di 6 anni, una 13enna ed un 25enne. A Dayton in Ohio ancora una sparatoria a poche ore dalla strage a El Paso.
Quasi tutti i giorni negli Usa si verifica un conflitto a fuoco. Non si tratta di atti compiuti dalla criminalità organizzata o da delinquenti comuni, ma di vere e proprie azioni di tipo militare. I motivi sono, spesso, religiosi o per la difesa della razza. Questi eventi si sono moltiplicati negli ultimi mesi. Le ragioni sono diverse. La prima è la facilità con cui negli Usa è possibile procurarsi le armi. Per compare fucili, pistole, mitragliatori e qualsiasi tipo di arma da guerra, basta entrare in uno dei tanti negozi che sono autorizzati alla loro vendita. È possibile farsi un arsenale senza essere soggetti ad alcun controllo. È la logica dei ‘Cowboy’ e del ‘Far west’. È la logica del capitalismo, del profitto comunque e prima di tutto. Inoltre, per i politici sostenere il libero accesso alle armi è il modo più semplice per ottenere consensi elettorali e, magari, essere eletti alla Presidenza degli USA.
Non è un caso che ‘Americans first’ è stato ed è lo slogan principale di Donald Trump. Questo status quo sta bene a tutti. Gli americani vogliono armarsi, i produttori vogliono continuare ad arricchirsi vendendo oggetti di morte ed i politici vogliono fare carriera facendo finta di nulla e se poi qualcuno viene ucciso senza un vero motivo non importa, peggio per lui che non era armato e non ha saputo difendersi.
Ma perchè negli Usa non ci sono i controlli che potrebbero limitare l’acquisto di questi strumenti di morte così come ci sono in Europa? Il secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America entrata in vigore nel 1791 sancisce: ’Essendo necessaria, alla sicurezza di uno Stato libero, una milizia ben regolamentata, il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto’. Nel luglio del 2008 ‘la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha riconosciuto il diritto dei cittadini di possedere armi, stabilendo l’incostituzionalità della legge del Distretto di Columbia che ne vietava il possesso’. Con questa sentenza il diritto all’acquisto delle armi è equiparato ai diritti inviolabili come il diritto di voto e quello di espressione.
Gli Stati Uniti d’America sono, da oltre un secolo, una potenza economica, ma dal punto di vista della civiltà giuridica e culturale sono lontani anni luce rispetto al Vecchio Continente e non solo. Ed è incomprensibile che anche nel nostro Paese ci sia qualcuno che intende imitare quelle politiche con ‘Prima gli italiani’ e con la legalizzazione dell’uso delle armi per la legittima difesa. Ma noi siamo italiani e, probabilmente, si tratta solo di un copia ed incolla fatto per guadagnare voti e che nel concreto ci sia, come sempre, solo poco o nulla.


sabato 2 aprile 2016

La PA del Sud Italia è tra le più inefficienti d’Europa

L’indagine condotta dall’UE sulla qualità della Pubblica Amministrazione ed esaminata dall’Ufficio Studi della Cgia di Mestre ha delineato una classifica impietosa per le regioni del Sud Italia

di Giovanni Pulvino (@PulvinoGiovanni)

Lo studio dell'UE sulla qualità della PA nel vecchio continente ha preso in considerazione diversi servizi pubblici come la formazione, la sanità, la sicurezza, la giustizia ed il modo in cui essi sono stati assegnati e gli eventuali fenomeni di corruzione.
Rispetto ai 206 territori presi in considerazione la Campania si trova al 202° posto, mentre le altre regioni meridionali compaiono 7 volte tra le peggiori trenta della classifica. Al primo posto in Europa c’è, con un indicatore di +2.781, la regione finlandese di Åland, mentre all’ultimo c’è, con -2.658 punti, Bati Anadolu, regione che si trova in Turchia.
In Italia i servizi pubblici migliori sono quelli erogati nelle due province autonome del Trentino Alto Adige e nelle due regioni a statuto speciale del Nord e cioè la Valle d’Aosta ed il Friuli Venezia Giulia che presentano indici superiori alla media dell’UE.
Tutte le altre regioni italiane sono in terreno negativo, ma con valori accettabili nel Centro Italia e nel Nord Ovest. Invece è disastrosa la situazione nelle regioni del Mezzogiorno. In particolare in Sicilia, Puglia, Molise e Calabria con indici che variano da -1588 a -1687, con la Campania addirittura a -2.242 punti.
‘Il quadro dipinto da questo indice europeo – dichiara il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre, Paolo Zabeo – evidenzia come l’Italia sia il Paese che presenta, al suo interno, la più ampia variabilità in termini di qualità della PA, tra le prime regioni del Nord e le ultime del Sud. Si pensi che, secondo quanto indicato dal Fondo Monetario Internazionale, se l’efficienza del settore pubblico si attestasse sui livelli ottenuti dai primi territori, come le province di Trento e di Bolzano, la produttività di un’impresa media potrebbe crescere del 5-10 per cento e il Pil di due punti percentuali, ovvero di 30 miliardi di euro’.